[Nonviolenza] Telegrammi. 2790



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2790 del 6 agosto 2017

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVIII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Un anniversario

2. "Una persona, un voto". Un appello all'Italia civile

3. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia

4. La sinistra rinasce se

5. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"

6. Vladimiro Oglianovi: Rieducare gli educatori (parte seconda)

7. Segnalazioni librarie

8. La "Carta" del Movimento Nonviolento

9. Per saperne di piu'

 

1. SCORCIATOIE. UN ANNIVERSARIO

 

Nell'anniversario della bomba di Hiroshima questa verita' nessuno puo' piu' ignorare: solo la nonviolenza puo' salvare dall'umanita'. Non c'e' tempo da perdere.

 

2. INIZIATIVE. "UNA PERSONA, UN VOTO". UN APPELLO ALL'ITALIA CIVILE

 

Un appello all'Italia civile: sia riconosciuto il diritto di voto a tutte le persone che vivono in Italia.

Il fondamento della democrazia e' il principio "una persona, un voto"; l'Italia essendo una repubblica democratica non puo' continuare a negare il primo diritto democratico a milioni di persone che vivono stabilmente qui.

Vivono stabilmente in Italia oltre cinque milioni di persone non native, che qui risiedono, qui lavorano, qui pagano le tasse, qui mandano a scuola i loro figli che crescono nella lingua e nella cultura del nostro paese; queste persone rispettano le nostre leggi, contribuiscono intensamente alla nostra economia, contribuiscono in misura determinante a sostenere il nostro sistema pensionistico, contribuiscono in modo decisivo ad impedire il declino demografico del nostro paese; sono insomma milioni di nostri effettivi conterranei che arrecano all'Italia ingenti benefici ma che tuttora sono privi del diritto di contribuire alle decisioni pubbliche che anche le loro vite riguardano.

Una persona, un voto. Il momento e' ora.

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All'appello "Una persona, un voto" hanno gia' espresso il loro sostegno innumerevoli persone, tra cui tra le prime: padre Alex Zanotelli; Lidia Menapace, partigiana, femminista e senatrice emerita.

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Per adesioni: centropacevt at gmail.com, crpviterbo at yahoo.it

Per dare notizia delle adesioni ai presidenti del Parlamento:

- on. Laura Boldrini, Presidente della Camera: laura.boldrini at camera.it

- on. Pietro Grasso, Presidente del Senato: pietro.grasso at senato.it

 

3. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

 

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.

Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

 

4. IN BREVE. LA SINISTRA RINASCE SE

 

La sinistra rinasce se - e solo se - torna ad essere il movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per la liberazione dell'umanita' e la difesa della biosfera.

La sinistra rinasce se - e solo se - fa la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.

La sinistra rinasce se - e solo se - torna ad essere il movimento organizzato di chi non ha nulla da perdere se non le proprie catene.

La sinistra rinasce se - e solo se - e' il partito dei superstiti dei lager, dei naufragi, delle guerre; il partito degli schiavi fuggitivi; il partito dei disertori dall'esercito imperiale e da ogni altro esercito; il partito dei morti di fame, il partito dei fucilati.

Socialista e libertaria, responsabile e misericordiosa, ecopacifista ed equosolidale, antimilitarista, antirazzista, antimaschilista, la sinistra rinasce se - e solo se - torna ad essere il movimento reale che crede nell'eguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani e persegue l'utopia concreta della liberazione comune, della messa in comune di tutti i beni, della difesa dell'unico mondo vivente.

Da ciascuna persona secondo le sue capacita', a ciascuna persona secondo i suoi bisogni.

 

5. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"

[L'associazione e centro antiviolenza "Erinna" e' un luogo di comunicazione, solidarieta' e iniziativa tra donne per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza fisica e psichica e lo stupro, reati specifici contro la persona perche' ledono l'inviolabilita' del corpo femminile (art. 1 dello Statuto). Fa progettazione e realizzazione di percorsi formativi ed informativi delle operatrici e di quanti/e, per ruolo professionale e/o istituzionale, vengono a contatto con il fenomeno della violenza. E' un luogo di elaborazione culturale sul genere femminile, di organizzazione di seminari, gruppi di studio, eventi e di interventi nelle scuole. Offre una struttura di riferimento alle donne in stato di disagio per cause di violenze e/o maltrattamenti in famiglia. Erinna e' un'associazione di donne contro la violenza alle donne. Ha come scopo principale la lotta alla violenza di genere per costruire cultura e spazi di liberta' per le donne. Il centro mette a disposizione: segreteria attiva 24 ore su 24; colloqui; consulenza legale e possibilita' di assistenza legale in gratuito patrocinio; attivita' culturali, formazione e percorsi di autodeterminazione. La violenza contro le donne e' ancora oggi un problema sociale di proporzioni mondiali e le donne che si impegnano perche' in Italia e in ogni Paese la violenza venga sconfitta lo fanno nella convinzione che le donne rappresentano una grande risorsa sociale allorquando vengono rispettati i loro diritti e la loro dignita': solo i Paesi che combattono la violenza contro le donne figurano di diritto tra le societa' piu' avanzate. L'intento e' di fare di ogni donna una persona valorizzata, autorevole, economicamente indipendente, ricca di dignita' e saggezza. Una donna che conosca il valore della differenza di genere e operi in solidarieta' con altre donne. La solidarieta' fra donne e' fondamentale per contrastare la violenza]

 

Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.

Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, facebook: associazioneerinna1998

Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

 

6. RACCONTI CRUDELI DELL'ESTATE. VLADIMIRO OGLIANOVI: RIEDUCARE GLI EDUCATORI (PARTE SECONDA)

 

Le disavventure coniugali di Mascarpone

Successe questo: che la moglie di Mascarpone, la Ghisolabella, era una strega. Avete presente una strega? Ecco, era cosi'. Bella era bella, ma una strega. E se lo rigirava come gli pareva. E quell'imbecille sbavava dietro a quella strega che intanto piu' di una secchiata di lumache se capite che dico. E i soldi non le bastavano mai, e lui gliene portava a carrettate ma lei era una macchina evaporatrice di soldi, tanti ne portava a casa tanti quella li spariva, e poi come.

E poi Mascarpone ci aveva un secondo difetto: che non sapeva tenere la bocca chiusa. In genere si', ma con la moglie no. E insomma come facevamo a fidarci di quella? Pero' non era che la potessimo eradicare senza che a Mascarpa gli dispiacesse, ci vuole sensibilita' umana in queste cose, io sono sempre per le soluzioni psicologiche.

Pero' la cosa diventava sempre piu' pericolosa: un giorno stavamo al bar e Strappacerase a un certo punto fa: "A chi lo torcemo 'l collo stanotte, eh, rega'?". E guardava a me e a Mascarone, c'eravamo solo noi li' dove guardava. Pero' sentivano tutti, perche' Strappacerase ciaveva 'na voce che pareva Pavarotti. Se ne accorse subito d'averla fatta grossa, io lo guardai in faccia senza una parola e lui usci' dal bar, cercando di camminare lentamente ma si sentiva che era trascinato da una tempesta. L'aveva proprio fatta di fuori. Nel bar il silenzio duro' ancora almeno almeno mezzo minuto. Non va bene. Quando succedono 'ste cose io dico che non va bene.

Adesso il punto era chi glielo aveva detto a Strappacerase, che lo sapevano pure i gatti con chi annava a letto. Che poi a me Strappacerase era uno che mi stava pure simpatico, era stupido quanto la luna pero' era un pezzo di pane, e da regazzini eravamo stati compagni di banco. Mascarpone mi guarda e mi dice: "Che significa?". E io: "Niente, niente". Ma lui: "Tocca?". E io: "Certo che tocca". E lui: "Pero' me dispiace". Io: "Figurete a me che semo stati compagni de banco a scola da la sora Amaglia". E lui: "Tocca dillo mall'altri". E io: "Sicuro". E lui: "Va bene". E io: "Va bene". Ma agli altri glielo dissi solo a cose fatte, perche' la questione si risolse quella sera stessa. Non erano passati neanche dieci minuti che Strappone era rientrato nel bar, era bianco de varecchina, pareva ciavesse cent'anni, me s'avvicina e me fa: "Ah Robbe', t'ho dda parla'". E io: "Embe', parlamo". E lui: "Mejo de fori, senza offesa, Torqua'": Torquato sarebbe il nome di Mascarpone, come si dice: all'anagrafe. Mascarpone sollevo' appena appena le spalle e non disse niente. Io mi alzai e uscii co' Miglio - che' Strappacerase all'anagrafe fa Emilio -. "Famo du' passi?", dice lui. "E famo du' passi", dico io. "Ah Robbe', tte ricordi quann'annamme a scola, eh?". "No, nu'mme ricordo gnente". "Mannaggia, ma ssi' cche te ricordi, e' che adesso dichi de no pe' nun damme soddisfazzione, eh?". "Penza 'n po' cquello che tte pare". "Mesa' ch'ho ffatto 'na cazzata, Robbe'". "Mesa' dde si'". "E' ggrave?". "Mesa' dde si'". "Ma sse po' rimedia', no?". "Mesa' dde no". "Mannaggia, ah Robbe', dimme ch'ho da fa'". "E che voi fa?". "Cquello che dichi tu". "E io ch'ho dda di'? Io nun dico gnente". "Mannaggia, Robbe', ce sara' 'na via d'uscita, no? C'e' sempre 'na via d'uscita". "Si lo dichi tu". "Ah Robbe', che mme dispiace lo sae ggia' che mme dispiace, ma a la fine ch'e' ssuccesso, n'e' successo gnente, 'n ze n'e' 'ccorto gniuno". "Si lo dichi tu". "Dimme come se po' rripara' e riparo". "Ah Emi', stae a ffa' ttutto da solo". "Tu ddimme e io fo". "E cchesso', Ffratindovino?". "Tu dimme e io fo". "Ma ffa quer che tte pare, e lasseme perda che mmo' me cominci a scoccia'". "Guarda che io nun dico piu' 'na parola a gnuno, manco si mme tortureno". "E perche' t'averebbono da tortura'?". "Dico pe' ddi'". "Ma a mme nun me piaciono 'sti discorsi detti tanto pe' ddi'. Uno quanno parla ce ll'ha dda sape' cche dice e quanno e' 'r momento s'ha dda sape' da sta' zzitto. Nun cio' raggione?". "Si' cche cciae raggione, Robbe'. Io so' 'na tomba, Robbe'". "E che famo mo', parlamo de tombe? E nun ce lo sae che porta male?". "Volevo di' ch'io me so sta' zzitto, me so sta' zzitto, io". "Come pprima al barre?". "Me so' sbajato, nun succede ppiu', Robbe', nun succede ppiu'". "E piantela de di' le cose du' vorte, mica so' ssordo". "Nun succede ppiu'". "Ho ccapito, nun succede ppiu'. Certo pero' che 'na curiosita' mo' me ll'hae fatta veni'". "Dimme che vvo' sape' che io te dico tutto, tutto te dico". "No, gnente, me chiedevo come t'era venuto 'mmente quel ch'hae detto prima al barre". "Ma nun ho ddetto gnente, Robbe'". "Eh, cosi' nun ce semo, cosi' nun semo ppiu' compagni de bbanco: io t'ho ffatto 'na domanna e ttu m'arisponni, cosi' sse fa. Nun cio' raggione?". "Si' cche ciai raggione. Ma era tanto pe' ddi', che ne so che volevo di'". "Enno', enno', qualche cosa volevi da di', e magari la volevi da di' pe' ffa' 'l mafioso, pe' ffa' veda che ttu ssapevi le cose che nun evi da sape'". "Ma che ne so, che ne so io, Robbe'". "E mmagara e' perche' quarch'ucelletto, quarch'ucelletto t'ha cantato la canzoncina, eh?". "Ma cche ddiche, Robbe'". "E mmo' basta co' 'sto Robbe' e Robbe'. Sto a cerca' de sarvatte la vita, sto a ccerca'. Brutto bburino, te ll'ho da sarva' o nno 'sta vitaccia cagna? Sine o none". "Sine, sine". "E allora m'hae da di' chi e' stato l'ucelletto ch'ha cantato la canzoncina". "Nu' lo pozzo di', nu' lo pozzo di'". "Ariattacche a ddi le cose du' vorte?". "Nu' lo pozzo di'". "Fijo bbello, l'hae da di' si vvoe che semo sempr'amici". "Nu' lo posso di', Robbe', cerca de capimme". "Cerca de capimme 'n par de ciuffoli. Ah Miglio, tu stae sull'orlo de l'abbisso". "E' stata essa e' stata, Robbe', ce lo sae chi e' stata, mannaggiamme'". "Essa chi?" "Essa, essa". "Emi', ce la cave a dillo 'sto nome si' o nno?". "Essa, la Ghisola". "La Ghisola". "La Ghisola si'. Nu' lo di' a Mascagnazzo". "Eh, ma io a Mascarpone jel'ho dda di' de la su' moje". "No Robbe', nun je di' gnente Robbe', te lo chiedo 'nginocchio Robbe'". "E mno' cche so' 'ste pajacciate? E famo ll'omini famo". "Nun je di' gnente a Mascagno, che cquello m'ammazza". "Cqui gnuno ammazza gnuno si nu' lo dico io". "E' ccosi', Robbe', sarveme Robbe'". "Pero' t'e' ppiaciuto d'anna' co la Ghisoletta". "M'e' ppiaciuto si'". "E tt'e' ppiaciuto che te raccontava ll'affaracci de ll'artri". "Io nu' li volevo sape', io nu' li volevo sape' Robbe'". "E adesso te se' scordato tutto". "Tutto me so' scordato, tutto". "E allora che stamo a parla' a ffa'? De che? Tu tte se' scordato tutto, la conversazione e' finita". "E' finita Robbe'?". "La conversazione e' finita. Anze: nun c'e' mae stata". "Mae, Robbe', mae". "Pero' cosi' ade' troppo facile, me pare". "Dillo tu Robbe', dillo tu ch'ho dda fa'". "Eh, adesso cio' da penza'. Famo ccosi', che s'arivedemo fra 'n par d'ore, anze, famo a le due, a le due dietro al casaletto de lo strapiommo". "E perche' propio lli'? Nun potemo fa' ppiu' vvicino, a casa tua, a casa mia". "Eh ma allora tu nun te contente mae, Emi', uno te vole ajuta' ma tu propio nun voe". "No, nno, vabbe' com'hae detto, vabbe' com'hae detto tu, sse vedemo a le due, a le due se vedemo".

Andai a casa a caricare in macchina l'attrezzatura, poi tornai al bar. Masca era sempre lli' e era arrivato pure Ninetto 'r Diavoletto e figurarsi se non gli aveva gia' raccontato tutto. Non faccio neppure in tempo a mettermi seduto che Ginetto dice: "E allora che sse fa?". E io: "Gnente, e' tutto ggia' risorto". "E ccome s'e' rrisorto". "Come? Come se risorveno li problemi, parlanno". "Ciae parlato?". "Senno' come s'era risorto si nun cevo parlato?". "E avete risorto". "Risorto". E Mascarpone: "Risorto, risorto?". "Risorto. Che sse lo dico du' vorte ade' vvero e ssi lo dico una no?". "No, no, se e' risorto e' risorto". "E allora e' risorto". "E che dicevo io? Risorto". M'e sempre piaciuto de pote' ddi' risorto. Co' la o aperta.

*

Poi sono andato a casa a dormire un paio d'ore e ho messo la sveglia all'una, ma dormire non ho dormito, ho sentito un album di Patti Smith, la grande sacerdotessa del rock. Quale album? Horses.

All'una e mezza ho preso la macchina e dopo un quarto d'ora ero dietro al casaletto dello strapiombo. Lo chiamano cosi' perche' dietro c'e' uno strapiombo. Il casaletto e' disabitato da parecchi anni, perche' una volta ci trovarono uno impiccato e da allora dicono che porta sfortuna e che di notte ci stanno i fantasmi. La gente qui e' superstiziosa, come dappertutto. Quando arrivai Mijo era gia' li' e tremava come una foglia, aveva bevuto, puzzava di cognac e non si reggeva in piedi. Era arrivato col motorino. Il motorino era appoggiato addosso al muro, lui aveva acceso un focherello di sterpaglie, per riscaldarsi, o perche' aveva paura del buio, la gente e' strana. Io scesi dalla macchina e gli dissi: "Allora, tutto a posto, Strappacera'". "E' tutto a posto?". "E' tutto a posto". "Grazzie Robbe', grazzie, e qualunque cosa, qualunque cosa, ce lo sai che devi solo da chiede. Qualunque cosa". "Eh, magari 'na cosetta". "Dimme, dimme". "Che la Ghisolabella hai da smette de praticalla, e' la moje de Mascagno e Mascagno e' 'n amico". "E' troppo ggiusto, e' troppo ggiusto, Robbe'". "Ero sicuro". "Ce poi conta' ce poi". "Ero sicuro". "Grazzie, Robbe', grazzie". "Vie' cqua, vva', fatt'abbraccia' 'mbecillone". E l'imbecillone mi venne incontro a braccia aperte e quasi non se n'accorse della rasoiata sul collo. Comincio' a zampillare il sangue e io lo reggevo e lui cercava di dire qualcosa ma il sangue gli riempiva la gola e invece delle parole gli uscivano i fiotti di sangue, per fortuna che mi ero messo la tuta vecchia e la sciarpa rintorcinata cinque volte sul collo. Lo tenni ancora un paio di minuti con la testa penzoloni sulla spalla. Poi lo adagiai per terra. Presi il motorino e lo buttai nello strapiombo. Poi presi il saccone dell'immondizia dalla macchina e a Stappacerase che ormai pareva 'n pupazzo sgonfio ce lo misi dentro. Una pensa che e' difficile, ma quando il morto e' ancora fresco non ci vuole niente perche' il corpo e' morbido, pare di pezza. Cosi' tu gli alzi i piedi e li metti nel sacco, poi tiri su' il sacco e piano piano risali le gambe, il bacino, il torace con le braccia affiancate (non gliele devi alzare le braccia, le devi fare entrare insieme al tronco) e poi la capoccia. Poi chiudi bene, ma bene, ermeticamente, il sacco, con lo scotch da pacchi io dico che e' il modo migliore, e con un piccolo sforzo lo ficchi nel bagagliaio, e il piu' e' fatto. Poi ti levi la sciarpa e la metti in un altro sacco dell'immondizia, piccolo, e ti levi la tuta - che sotto tanto ci avevi i vestiti - e schiaffi pure quella nel sacco piccolo. Chiudi bene il sacco e giu' nel portabagagli pure quello. E poi si va a casa? No, c'e' ancora uno spaccetto. E lo spaccetto e' arrivare alla grotta del somaro de Gragnarella. La grotta del somaro de Gnagnarella e' un buco nel tufo che Gnagnarella ci teneva l'asino, una stalla scavata nella roccia. Ce ne sono tante al paese, e' tutto tufo, si scava facile. Gnagnarella anche se pare un nome di donna era un uomo, e pure tosto. Era morto nella prima guerra mondiale. In suo onore chiamavano Gnagnarella pure il figlio, che si chiamava Alfredo, e pure il figlio del figlio che si chiamava Rodolfo e che era un amico mio, che poi e' morto in un incidente sul lavoro alla cava: si stacco' un costone e ci resto' sotto. Ne' il secondo ne' il terzo Gnagnarella possedevano asini, per cui la grotta del somaro de Gnagnarella era restata vuota dal tempo della prima guerra mondiale, pero' era famosa perche' si diceva che chi ci passava una notte spariva, e pare che succedeva davvero perche' quando in qualche regolamento di conti si faceva fuori qualcuno, poi lo si portava nella grotta del somaro de Gnagnarella e li' gli si dava fuoco. Da fuori il fuoco non si vedeva, e il fumo di notte non si vedeva neanche quello. Cosi' portai Strappacerase alla grotta del somaro de Gnagnarella e con una tanica di venti litri di benzina lo trasformai in aria puzzolente, cenere, carcassa e schifezze, insieme a esso dieci fuoco pure alla tuta e alla sciarpa mia. Poi a casa mi pulii bene, ma bene, le scarpe e poi a nanna. Stanco ma felice del lavoro ben fatto. Povero Strappacerase, eravamo compagni di banco a scuola.

*

Qualche giorno dopo mi venne a cercare al bar lo zio, 'l sor Gajjano, il nepote era sparito da un po' di giorni e gli avevano detto che l'ultima volta era stato visto con me che chiacchieravamo fuori dal bar: gli dissi che avevamo parlato di quando eravamo regazzini, che eravamo stati a scuola insieme, sono sempre bei ricordi. Nessuno lo cerco' piu'. Lo zio si prese l'appartamento che a Strappacerase gli avevano lasciato il padre e la madre che erano morti da parecchio tempo. Altri parenti non ce li aveva.

Nel bar nessuno fece piu' lo spiritoso, pero' questo non provava che la Ghisolabella avesse capito l'antifona, magari continuava a spifferare, solo che il Ganimede di turno teneva il becco chiuso. Insomma: chi tradisce una volta e' traditore sempre. Semel abbas, semper abbas: l'avevate mai sentito di'? E' cultura, signori, e la cultura cia' sempre raggione. Li proverbi stann'avanti al vangelo. Chi ha tradito 'na volta, se sei uno svejo ce lo sai che non ti puoi piu' fidare. Io poi della Ghisola non mi ero fidato mai, neanche quando mi faceva gli occhi dolci, che poi gli occhi dolci li ha fatti a tutto il paese. Povero Mascarpone.

Mascarpone non mi chiese niente. Ninetto non mi chiese niente. Solo Giobbone una volta mi disse: "Tutto risolto, no?". "Tutto", dissi io. E fu tutto.

*

Passo' un po' di tempo, il tempo ci ha questo vizio di passare sempre e a te ti sembra sempre che e' passato un po' di tempo, ma poco, finche' ti ritrovi a sessant'anni che sei un rottame e ti chiedi quando e' passato tutto quel tempo che non te ne eri mai accorto.

Un pomeriggio ero a casa da solo che mi sentivo un po' di buona musica, di musica forte, la musica di Patti Smith, la grande sacerdotessa del rock. Quando bussano alla porta. Io non apro mai quando bussano alla porta. Il campanello poi l'ho staccato: voglio dire che il campanello c'e', ma possono spingere fino a  sfondare il muro col ditaccio loro, tanto non suona, perche' ho staccato il filo. Pero' bussare possono bussare e da dentro si sente. Adesso, una sola cosa e' piu' odiosa di uno che bussa alla porta di casa tua, ed e' uno che bussa alla porta di casa tua quando tu stai ascoltando in santa pace un album di Patti Smith, la grande sacerdotessa del rock. Ma quello intignava, intignava, intignava. A un certo punto comincio' pure a strilla': "Apri, Villi, apri, lo so che ce sei, guarda che lo sento lo stereo a palla, apri, forza, so' Giobbe, t'ho da di' 'na cosa, e apri, annamo, apri", e intanto continuava a dare cazzotti al legno della porta, se poi erano cazzotti, che potevano essere pure zampate, e a me se c'e' una cosa che non sopporto e' che ti rovinano la roba di tua proprieta' privata come per esempio le porte a forza di prenderle a calci, e' una cosa che non sopporto, sono cose che non si fanno, e sarei capace di uscire fuori con un'accetta e aprirgli la zucca in due a uno che si comporta cosi' da incivile. E che diavolo, se non c'e' la civilta' allora non c'e' piu' niente, e' la notte che tutte le vacche so' nere.

Non ci fu niente da fare, mi tocco' interrompere l'audizione e aprire. "Mo' ssi nun e' 'na cosa grave come 'l terremmoto de Messina te scortico vivo e mme te magno 'l core", gli dissi. Ma Giobbe: "E' piu' grave, e urge intervenire". Giobbe mi piace perche' sa essere di poche parole. Certe volte sembra che gli viene naturale di dire il minor numero di parole possibile, invece io ce lo so che per riuscirci ci vuole studio, e studio, e applicazione, e Giobbe e' uno che si applica, e che ha studiato. Ci ha una faccia che pare un cavallo e e' sempre triste: quelli che hanno studiato so' fatti tutti cosi'.

"E allora?". "La Ghisola". "Ch'ha fatto?". "Ha cantato col Galletto". E tu come lo sai?". "Me l'ha detto 'l Galletto". "E che sa 'l Galletto?". "Del lavoro nostro". "E allora?". "Allora bisogna risolve". "Risorve'". "Risolve". "Chi?". "Prima 'l Galletto". "Prima". "E poi a la radice". "Poi". "Ma bisogna parlarne tutti e quattro". "D'accordo". "D'accordo?". "Ho detto d'accordo, me pare ch'ho detto tutto, no?". "Bene, al bar tra un par d'ore". "Al bar tra un par d'ore".

Due ore dopo al bar il primo a prendere la parola fu Giobbaccio: "'L Galletto e' 'n bravo fijo, ma ssa 'na cosa che nun ha dda sape'. Me l'ha ddetto lui che la sa e mm'ha cchiesto se ppotevo ajutallo a nun fa' la fine de Strappone. J'ho ddetto che la fine de Strappone nu' la sapeva gnuno. E esso: apposta m'hae d'ajuta'. J'ho detto che avre' visto che sse poteva fa'. E eccoce". Ninetto: "'L Galletto e' 'n bravo fijo, ma pure i bravi fiji arriva ll'ora che smettono d'esse bbrave". Mascarpa era rosso rosso, e tartagliava: "Io pe' mme nu' lo so che ss'ha dda fa', ma ssi ss'ha dda fa', allora famolo". Io: "Famolo che?". Lui: "Quel che ss'ha dda fa'", ed era li' lli' ppe' ppiagne. Giobbe: "allora?". Io: "Famolo". Mascagnone: "E ppoi basta?". Io "E ppoi bbasta". Giobbe: "Unanimita'", ma lo disse con una voce, una voce che non l'ho scordata piu' e che l'ho sentita solo nei sogni. Certe volte ho pensato che veramente Giobbe era di piu' di quello che pareva che fosse, non so come dirlo.

Dissi: "Chi vuole avere l'onore?". Silenzio. "Ce vo' penza' ttu, Giobbo'?". Scosse la testa. "Cio' dda penza' io?", dissi allora. Silenzio. Cosi' fu deciso.

Pero' ci tengo a dirlo che non e' che il Giobbone non lo sapeva fa: lo sapeva fa' e l'eva fatto, e ciaveva la certificazione de lo Stato che l'eveno messo ar gabbio piu' dde 'na vorta, e s'era fatto in tutto almeno diec'anne de carcerazione preventiva. Sempre e solo preventiva perche' poi quanno s'arrivava al processo nun c'era ppiu' 'n testimone uno che ll'accusava, e chi ha orecchie per intendere intenda. Cosi' entrava colpevole e usciva innocente, bastava ave' sussurrato qualche paroletta a chi ancora nun aveva imparato che il silenzio e' d'oro. Pero' je dispiaceva, se vedeva che je dispiaceva. M'e' sempre piaciuto Giobbaccio e ho sempre penzato che se 'n giorno fossimo finiti l'uno contro l'altro sarebbe stata 'na bella battaja. Me piaciono le belle battaje. Ce tenevo a dillo, perche' me piace pure d'esse equanime, nun dico giusto ch'e impossibile, ma equanime si'. Unicuique suum se dice in latino, che e' l'unica lingua civile del monno.

Ma quando andai alla casa del Galletto era tutto chiuso. Bussa che te ribbussa s'apre la finestra de la sora Cesira che abitava ne la casa affianco. "Chi ccercate?". "A chi, signo'? Chi cce abbita cqui?". "'L Galletto". "Brava, e 'nfatti io cerco 'l Galletto". "Ma l'Galletto se n'e' ito stamattina de bon'ora". "Stamattina?". "Sine". "E cquanno arivene, signo'?". "Nun arivene, se n'e' ito pe' ssempre". "Pe' ssempre?". "Pe' ssempre". "E vvoi, signo', che ne sapete che se n'e' ito pe' ssempre?". "Perche' me l'ha detto esso". "Quanno?". "Stamattina prima de parti', de bon'ora". "De bon'ora". "De bon'ora, si', e ceva pure prescia". "Prescia". "Prescia, prescia, e ha ddetto ch'e' inutile cercallo che ttanto nun vene ppiu' e nun se fa trova' ppiu' e ccomunque lui tene la bocca chiusa, ha ddetto cosi'". "Cosi' ha ddetto?". "Ha ddetto propio cosi': la bbocca chiusa". "La bbocca chiusa". "La bbocca chiusa". "Vabbe', allora grazzie". "E dde che? De gnente, si sse po' ffa' 'na cortesia". "Bongiorno allora signo'", e mi ero gia' girato per risalire in macchina quando la sora Cesira mi fa: "Sentite 'n po', giovano'". "Dite, signo'". "Sareste mica voi quello che v'ha lassato 'na lettera?". "Nu' lo so signo', ma ssi mme fate veda la lettera po' esse de si'". "La lettera ce ll'ho io, me l'ha llassata stamattina pe' davvela si sete voi quello che doveva passa'". "Passa' so' passato, mo' ssi aspettava propi'a mme nu' lo so". "Mesa' dde si'". "Si mme fate veda 'sta lettera, signo', ve lo dico". "Aspettate che la pijo e vve la porto". Dopo un po' apri' la porta di casa e si fece sull'uscio, protendendo la lettera. La busta era aperta. "Nu' l'ha cchiusa, ma io nu' l'ho lletta, io nun me li fo ll'affari de ll'artri". "E fate bbene, signo', fate bbene".

Aprii la lettera e cominciava cosi': "Lo so che nun potete fa' ddiverzamente". "E' propio pe' mme, signo', ggrazzie". "E ggrazzie de che, si sse po' ffa' 'na bona azzione...". "Dite bbene, signo', dite bbene. Continuate ccosi' cche dite bbene".

Gli altri erano ancora al bar che giocavano a biliardo. "Ll'amico nostro se n'e' ito, pero' ha lassato 'n proclama". "E lleggemolo 'sto proclama" disse Giobbone, e mi parve sollevato. In quel momento mi venne in mente che magari l'aveva aiutato lui a scriverlo. Giobbone era uno capace. "E lleggemo".

Il messaggio era corto e commovente, diceva: "Lo so che nun potete fa' ddiverzamente. Io nun ho fatto gnente, so' stato colto de sorpresa in un momento d'intimita' e mica me potevo tura' ll'orecchie che le mano - e mmica solo le mano - ce ll'evo occupate, e  oramai la frittata era fatta. Ve ll'ho voluto di' perche' mm'e' parso giusto divvelo. Mo' mme ne vo e nun me cercate che tanto nun me fo trova' piu'. 'Ndo vo e' ccosi' llontano che nu' mme trovarete mae. E ccomunque la so tene' la bbocca chiusa e allora su que' potete sta' tranquille, che da la bocca mia nun esce gnente". La lettera finiva cosi', non c'era ne' firma ne' altro. Pero' non era scritta con grafia frettolosa, anzi. E chissa' perche' l'aveva scritta in dialetto invece che in italiano: il dialetto se parla, ma quanno se scrive s'ha dda scrive in itagliano.

Non l'ho chiesto a Mascarpone se lo sapeva chi era che glielo aveva detto al Galletto del lavoro nostro, ma secondo me lo sapeva. E sapeva pure che era la stessa persona che l'aveva detto a Strappacerase. Ci metterei la mano sul fuoco, come Muzio Scevola.

"Che si fa?" dissi alla fine. "Niente, va bene cosi'", disse Giobbe, e la faccia di cavallo si era allungata ancora ma pareva meno triste del solito. "Va bene cosi'?", chiesi io. "Vabbe' ccosi'", fecero in coro Masca e Diavolaccio. E fine. Poi andammo tutti a casa di Giobbe a sentirci un po' di rock come Cristo comanda: della poetessa maledetta, dell'immensa regina, dell'imperatrice di tutte le galassie: Patti Smith, la grande sacerdotessa del rock.

*

Ma alla fine ci tocco' risolvere.

Pippo del zi' Zibbibbo s'era 'npiccato. E tutti dicevano che s'era impiccato - se poi s'era impiccato da solo - perche' sapeva un segreto che non si poteva dire. E ci credo, altrimenti che segreto sarebbe? Pero' la dialettica del segreto e' proprio questa: che non si puo' dire, pero' si dice, perche' se non si dicesse come si saprebbe che c'e' quel segreto? Nulla e' piu' pubblico dei segreti; cosi' come l'essere umano e' un animale sociale, il segreto e' la base della comunicazione. E per oggi la lezioncina de filosofia e' fernuta.

E la gente diceva pure (che non direbbe la gente, con la fantasia che si ritrova) che s'era impiccato perche' qualcuno che aveva attraversato il deserto gli aveva detto che o lo faceva da solo o glielo faceva lui il nodo al cravattino, e allora meglio da solo che perlomeno uno se risparmia la tortura. Ma dovevano da esse tutte chiacchiere perche' lo trovarono con una bottiglia di cognac vuota e che puzzava come una distilleria, quindi era chiaramente una crisi depressiva (che nessuno se ne era accorto prima ma certe volte le depressioni funzionano cosi', a scoppio ritardato) e il resto fanfaluche, ciarle da bar, fole da donnette. E comunque e' da un bel pezzo che la Legione Straniera non fa piu' le marcie nel deserto, adesso e' motorizzata, ma qui al paese pensano sempre a quel film li', e io lascio che lo pensino, mi piace che intorno alla Legione ci sia quest'aura romantica. Dico: l'aura. Quando c'e' l'aura la vita diventa un'opera d'arte.

Comunque Pippetto del zi' Zibbibbo aveva tolto 'l disturbo, ma la fonte dei suoi e dei nostri guai no. E questo mi disturbava assai. Io odio la violenza, la violenza piace solo agli esteti malati e alle bestiacce incivili. Dulce belllum inexpertis. Ma mmo' basta de di' de Pippetto, io so' 'na perzona discreta.

Pero' cosi' non poteva andare avanti. Il lavoro era gia' impegnativo, se poi toccava fa' pure 'li straordinari e oltretutto aggratisse, no, nun annava bbene. Toccava risorve.

Cosi' una sera eravamo al bar come tutte le sere in cui non lavoravamo ed approfittai del fatto che Mascaraccio era andato al gabinetto a fare un goccio d'acqua per dire agli altri: "Insomma, la Ghisoletta non si regge piu', qui se rischia de dove' stermina' mezzo paese, de fa' la stragge de li nocenti, io dico che mmo' basta. Dico bene?". Nessuno disse niente e fu tutto. Quando Masca torno' dal cesso quei fessi del Giobbo e del Diavoletto stavano a testa bassa ed erano tutti rossi in faccia. Che fessi. Mascarpone non sara' un'aquila ma gli tocco' dirlo: "Che c'e'?". E io: "Niente, mi sa che al cesso ci stanno le piattole, e 'sti cretini...". "Le piattole?", disse Mascarpone. "Le piattole", dissi io, e aggiunsi, "Pero' non e' sicuro". E poi aggiunsi ancora: "Pero', nel dubbio...". E Mascagno: "Embe', me lo potevate pure di' prima". E io: "Apposta mo' se vergognano 'sti scemi". E lui: "Che scemi". E gli scemi le facciacce loro non erano piu' rosse, ma viola, e poi nere, e stavano li' li' pe' piagne. Scemi.

*

Era chiaro che toccava a me risolvere. Non fu difficile e non ci persi neppure tanto tempo. Era una sera che al paese era arrivato il luna park e quando c'e' il luna park a Mascarpone non c'e' verso di farlo scendere dalle macchinette a scontro. Finche' non chiudono. Cosi' andai a casa sua, bussai, la Ghisola apri', le dissi che c'era l'occasione per lei di fare bei soldi, bei soldi - lo dissi due volte -, lei mi disse che gli ero sempre piaciuto, e mi venne dietro. Era buio, sali' in macchina. La portai fuori mano, ed era buio come la pece. Le dissi di spogliarsi, e lei che fa? dice: "Manco per sogno". "Come sarebbe a ddi' manco per sogno?". E lei: "Sarebbe a ddi' manco per sogno, Robbe', o t'ho da chiama' Villi il rosso?", e Villi il rosso lo disse con un tono, come se squittiva, e a mme mme da' 'n ffastidio cane quanno qualcuno fa lo spiritoso, specialmente se fa lo spiritoso quanno nun cia' propio motivo de fa' lo spiritoso e specialmente se ppenza de sfotteme a mme. "Nun fa' la scema, Ghisole', t'ho ddetto che tte do' 'n zacco de sordi, lo sae che cce ll'ho". "E perche' mme dovrei spoja'?". "Perche' vojo veda si nun ciai appresso 'n reggistratore, ecco perche'". Nei momenti cruciali mi vengono certe idee che io stesso mi dico: Villi sei un genio. Allora lei disse: "E pperche' dovressi d'avecce 'n reggistratore?". E io: "Che ne so, ma io so' uno prudente, ce lo sai". Allora disse: "Sara'", ma intanto nun scegneva e nun ze spojava. Allora io: "Allora?". Allora lei: "Allora che?". "Come che? Spojete, me fae vede che nun ciai gnente cosi' poi potemo da parla'". Ma lei continuava a ffa' la spiritosa: "Ma cciai propio bbisogno de tutte 'ste manfrine pe' vvede' 'na femmina gnuda? Tu sse' malato, Robbe'". L'asso nella manica: "Vabbe', come non detto, mo' tte riaccompagno a ccasa e famo finta ch'emo scherzato". Funziona sempre l'asso nella manica, non lo so perche' ma funziona sempre. "Ho ccapito, ho ccapito, mo' mme spojo, volevo solo scherza' 'n po'. Ammazza, Robbe', quanto se' permaloso. Stavo solo a scherza', e poi, via, nun e' che tte dispiace de vede' come so' ffatta, no?". E scese per spogliarsi, scesi pure io, feci il giro della macchina e con un movimento elegante e solenne, come quando i moschettieri si levano il copricapo e fanno una riverenza, le strinsi il fil di ferro al collo. Dopo la spinsi dentro la macchina, finii di strapparle di dosso gli indumenti che non aveva fatto in tempo a togliersi, misi in moto, tornai sulla provinciale, buttai giu' lei e gli stracci sua sul ciglio della strada e tornai al paese. Al bar, non al luna park, io non ci vado al luna park, troppa gente, troppo rumore, mi piace la tranquillita'. Bella era bella, ma magari ci aveva pure qualche malattia. La prudenza non e' mai troppa.

Piu' tardi un fesso la vide e chiamo' la polizia, e qualche ora dopo tutto il paese lo sapeva, quel babbeo del marito stava ancora sulle macchinette a scontro quando lo avvisarono. Andai a consolarlo. C'erano pure il Giobbaccio e Ginettaccio, e mi guardavano male. Come se non avessimo deciso insieme.

Il giorno dopo Ginetto mi fa: "Come e' andata?". E io: "Come e' andata che?". E lui: "Lo sai". E io: "Lo sai pure tu". E lui: "Parliamo della stessa cosa?". E io: "E che ne so". E lui: "Tu non sai mai niente". E io: "Quando ti svegli impari a non saper mai niente pure tu". Fine. Ma lo vedevo che masticava amaro.

*

Quell'imbecille di Mascarpone ovviamente non ci poteva arrivare a sospettare (anzi, sospettare forse sospettava, ma che poteva fare?), e poi era intossicato dalla vergogna. I giornali ci godevano a raccontare della femmina ignuda sul ciglio della strada. "Secondo te che e' successo?", mi disse. E io: "E che ne so?". E lui: "Secondo te batteva?". E io: "Se non lo sai tu". E lui: "Io non lo so, lo giuro sulla testa mia". E io: "Non giura', che porta male". E lui: "Ma tu che pensi?". E io: "Niente. E' morta". E lui: "Lo so che e' morta". E io: "E allora piantela de pensacce". E lui: "Tutto je davo, che bbisogno ceva de bbatte? La trattavo come 'na reggina, a llattemmele, nun c'era sfizio che nun je pagavo. Li sordi tutti a llei le davo, tutti. Ch'e' ssuccesso? Ch'e' ssuccesso?". E sse metteva a piagne. Chi le capisce le donne. E chi li capisce ll'ommini. Il mondo e' fuori sesto, saggezza e' saperlo, ed essere pronti e' tutto.

Quell'imbecille di Mascarpone. Voleva capire, ma che poteva capire? Voleva sapere, ma che c'era da sapere? Voleva fare, ma fare che? E poi era una parola. Intanto gli sbirri lo tenevano d'occhio, e bisogno' pure rallentare il lavoro. Gli sbirri erano piu' fessi ancora dei giornalisti, che del resto scrivevano le scemenze che gli raccontavano gli sbirri, poi ci ricamavano sopra e gli sbirri leggevano il giornale e si bevevano quelle scemenze senza accorgersi che le avevano inventate loro.

Certe storie erano divertenti. Sentite questa: dicevano ch'era 'n'esibizionista che ciaveva gusto a spojasse pe' strada la notte; ma se su quella strada la notte nun ce passa mai nessuno, annamo! E quest'altra: dicevano che si prostituiva per permettersi il tenore di vita che faceva, visto che ciaveva 'n sacco de bbelle cose e dde stravizzi, e che 'l marito - che poi sarebbe Mascarpone nostro - era disoccupato e campava con la rendita di quel che gli avevano lasciato i genitori che erano morti che lui era regazzetto (avevano preso foco dentro 'n fienile co' ttutto 'l fienile, 'na storia strana ma lassamo perda), e l'eredita' oltre alla casa dove abitava (che era bella grossa e ci aveva ricavato oltre all'alloggio suo e de la moje 'n'antri tre appartamenti tutti affittati), era un poderetto (quello del fienile) che poi lui aveva dato a mezzadria, e grasso che cola se cce scajava 'n par de galline pe' le feste, 'n po' d'ova, e al tempo loro 'n par de secchiate de pornelle, de persiche, de cerase e d'uva, e l'ojo, quello si', ppe' ttutto ll'anno. Erano storie divertenti. Divertenti per tutti meno che per Mascarpone, e si capisce. Ma non si divertivano neanche quegli altri due salami. E venne pure fora qualche fotografia della Ghisola di un certo tipo, anzi parecchie, che i giornali pubblicavano a tutto spiano e al bar quei fogli sparivano subito, e chi nu' lo capisce che cce faceveno poi i regazzetti che sse le fregavano? E il giorno dopo finivano su internet che dice che ce ne saranno un centinaio. E bbella era bbella davero. Ma per Mascarpone erano tutte coltellate: in corpore vili, se mi si concede la citazione.

Il funerale pero' fu bello. A me i funerali non mi piacciono, si dicono solo un mucchio di frescacce. Che il morto era bono come 'l pane, che i parenti afflitti eccetera, e poi che va in cielo mentre invece lo sotterramo a marci' sotto terra. E' che alla gente gli piace sentire le favole e i preti ci campano. Mica solo loro, troppi ce sguazzano. C'era tutto il paese in chiesa, a fianco di Mascarpone c'era la suocera e la badante della suocera che la suocera ciaveva l'alzheimer. Nel banco dietro c'eravamo noi tre ch'eravamo i migliori amici di Masca e nessun altro: il banco era lungo ma non ci si era messo nessun altro. Nel banco di fianco e in quello dietro, sul'altra fila, c'erano certe sciacquette ch'erano state amiche della Ghisola. L'ho guardate tutta la messa, e loro abbassavano lo sguardo e pure la testa quando sbirciavano qua e vedevano che le guardavo. Chissa' se la Ghisoletta aveva detto qualche cosa pure a loro. Secondo me si', ma avevano capito la lezione.

Loro si', e Mascarpone no.

(segue)

 

7. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Pierre Boulez, Pensare la musica oggi, Einaudi, Torino 1979, pp. VIII + 218.

*

Riedizioni

- Jacques Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. 1964, Einaudi, Torino 1979, 2003, Rcs, Milano 2016, pp. 352, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

 

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

9. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2790 del 6 agosto 2017

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVIII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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