[Nonviolenza] Telegrammi. 2677



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2677 del 13 aprile 2017

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVIII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Ernesto Balducci: Introduzione a "La pace. Realismo di un'utopia"

2. Peppe Sini: "Non imponete in Italia il regime dell'apartheid". Corrucciata una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri

3. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"

4. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia

5. "Una persona, un voto". Un appello all'Italia civile

6. Segnalazioni librarie

7. La "Carta" del Movimento Nonviolento

8. Per saperne di piu'

 

1. TESTI. ERNESTO BALDUCCI: INTRODUZIONE A "LA PACE. REALISMO DI UN'UTOPIA"

[Riproponiamo ancora una volta l'introduzione del libro di Ernesto Balducci e Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia, Principato, Milano 1983; un ottimo libro per le scuole che illustrava ed antologizzava la tradizione del pensiero per la pace dal Rinascimento a oggi, da Erasmo a Gandhi a Anders. L'introduzione riprende un indimenticabile intervento di padre Balducci al convegno di "Testimonianze" il 14 novembre 1981, relazione che fu uno dei punti di elaborazione piu' alti e profondi del grande movimento pacifista che in quegli anni si batteva contro il riarmo atomico dell'est e dell'ovest.

Ernesto Balducci e' nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922, ed e' deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote, insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose iniziative di pace e di solidarieta'. Fondatore della rivista "Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986. Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e' stato un pensatore di grande vigore ed originalita', le cui riflessioni ed analisi sono decisive per un'etica della mondialita' all'altezza dei drammatici problemi dell'ora presente. Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo particolarmente alcuni libri dell'ultimo periodo: Il terzo millennio (Bompiani); La pace. Realismo di un'utopia (Principato), in collaborazione con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); L'uomo planetario (Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre l'Europa (Ecp). Si vedano anche l'intervista autobiografica Il cerchio che si chiude (Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una cosa (Ecp); la raccolta postuma di scritti su temi educativi Educazione come liberazione (Libreria Chiari); il manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano (Cremonese); ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo (Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su Ernesto Balducci: cfr. almeno i fondamentali volumi monografici di "Testimonianze" a lui dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn. 347-349, 1992; ed Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani, "Testimonianze" nn. 373-374, 1995; un'ottima rassegna bibliografica preceduta da una precisa introduzione biografica e' il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant'anni di attivita', Libreria Chiari, Firenze 1996; cfr. anche il libro di Bruna Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernita', Laterza, Roma-Bari 2002; cfr. anche almeno Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002; e AA. VV., Verso l'"uomo inedito", Fondazione Ernesto Balducci, San Domenico di Fiesole (Fi) 2004. Per contattare la Fondazione Ernesto Balducci: www.fondazionebalducci.it]

 

Cresce di anno in anno la paura della catastrofe atomica e di anno in anno, dinanzi a tale prospettiva, si fa piu' serrato il confronto tra gli utopisti, secondo i quali e' possibile, in ragione della stessa smisuratezza del pericolo, uscire una volta per sempre dalla civilta' della guerra, e i realisti, secondo i quali il bene della pace, anche oggi come sempre, puo' essere custodito solo dall'equilibrio delle forze in campo.

Il contrasto tra utopisti e realisti e' antico quanto la cultura, ma ha cominciato a diventare acuto agli inizi dell'eta' moderna. Nel chiudere il quarto dei suoi Discorsi dello svolgimento della letteratura nazionale, Giosue Carducci contrappone alle figure massime del nostro Rinascimento Girolamo Savonarola, che in Piazza Signoria "rizzava roghi innocenti contro l'arte e la natura" ... "e tra le ridde de' suoi piagnoni non vedeva, povero frate, in qualche canto della piazza, sorridere pietosamente il pallido viso di Niccolo' Machiavelli". Il sorriso scettico di Machiavelli e' durato fino ad oggi: la tesi degli autori di questo libro e' che il tempo in cui siamo rende possibile all'utopia di appropriarsi dei severi argomenti del realismo, e al realismo, pena la negazione di se stesso, di integrare in se' le ragioni dell'utopia. Savonarola e Machiavelli, insomma, non sono piu' gli emblemi di due opposte e inconciliabili maniere di progettare il bene comune. Com'e' noto, il maestro dei realisti affidava alla virtu' (che nel suo linguaggio voleva dire abilita' conforme a ragione) il compito di far fronte alla fortuna e cioe' al corso caotico e imprevedibile degli eventi. A suo giudizio, fortuna e virtu' potevano governare la storia umana con una incidenza del 50% ciascuna. Le milizie cittadine erano lo strumento primo della virtu' di un principe. Uno strumento peraltro da usare all'interno di una preveggenza multiforme delle eventualita' della fortuna. "Assomiglio quella - dice Machiavelli ragionando della fortuna, nel Principe (cap. XXV) - a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s'adirano, allagano e' piani, ruinano gli alberi e gli edifizi, lievono da questa parte terreno, pongono da quell'altra; ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, senza potervi in alcuna parte obstare. E benche' sieno cosi' fatti, non resta pero' che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessimo fare provvedimento, e con ripari e argini, in modo che, crescendo poi, o egli andrebbano per uno canale, o l'impeto loro non sarebbe ne' si' licenzioso ne' si' dannoso. Similmente interviene della fortuna; la quale dimostra la sua potenzia dove non e' ordinata virtu' a resisterle".

Il "fiume rovinoso" di cui oggi anche Machiavelli dovrebbe ragionare e' il fiume del fuoco atomico, contro cui nessun argine vale, nessun "provvedimento" che non sia la sua estinzione; e la "citta'" affidata al principe oggi e', secondo la "verita' effettuale", vorremmo dire materialistica, non Firenze o l'Italia, ma il pianeta Terra.

Se per Machiavelli il "provvedimento" delle armi era, di fronte all'imperativo assoluto del bene del Principato, un imperativo ipotetico, legato cioe' a condizioni di fatto, una volta che queste condizioni mutano, anche l'imperativo, per logica realistica, deve mutare.

*

Le condizioni di fatto sono radicalmente mutate. L'umanita' e' entrata in un tempo nuovo nel momento stesso in cui si e' trovata di fronte al dilemma: o mutare il modo di pensare o morire. Essa vive ormai sulla soglia di una mutazione, nel senso forte che ha il termine in antropologia.

Non serve obiettare, contro il dilemma, che la mutazione non e' avvenuta e noi siamo vivi! Non e' forse vero che l'abisso si e' spaventosamente allargato dinanzi a noi? D'altronde le mutazioni non avvengono con ritmi serrati e uniformi. In ogni caso si puo' gia' dire, con fondatezza, che si sono andate generalizzando alcune certezze in cui e' facile scoprire il riflesso del messaggio di Hiroshima e dunque un qualche inizio della mutazione.

La prima verita' contenuta in quel messaggio e' che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita' intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si e' dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione piu' recente e piu' organica e' quella del Rapporto Brandt. L'unita' del genere umano e' ormai una verita' economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e' il Sud a dipendere dal Nord ma e' il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco e' resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud e' sottoposto e poi, piu' specificamente, perche' esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi l'aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto, nel solo anno 1979. E piu' comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non e' un prodotto fatale dell'avarizia della natura o dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti nell'industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe' 10 volte di piu' del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno piu' la coscienza tranquilla.

La seconda verita' di Hiroshima e' che ormai l'imperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e' arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressivita' distruttiva. Fino ad oggi e' stato un punto fermo.che la sfera della morale e quella dell'istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura e' un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualita'.

La terza verita' di Hiroshima e' che la guerra e' uscita per sempre dalla sfera della razionalita'. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioe' come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio di Benedetto Croce - l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento" fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell'accadimento.

*

Queste tre verita' non trovano il loro giusto contesto nella cultura e nella pratica politica ancora dominanti. Il pacifismo che esse prefigurano e' anch'esso di tipo nuovo, non in continuita' con quello tradizionale. Per pacifismo tradizionale non intendiamo qui le forme idealistiche o misticheggianti su cui giustamente cadeva il sarcasmo di Marx, ma quelle correnti ideologiche che, nell'eta' moderna, hanno posto a fondamento della politica la ricerca di una pace definitiva. In questo senso potremmo parlare di tre diversi pacifismi che hanno accompagnato, contestandole, le culture via via dominanti, il cui dogma centrale e' sempre stato la inevitabilita' della guerra.

Si ravviva oggi quel pacifismo che per solito viene detto umanistico perche' ebbe le sue prime manifestazioni nell'eta' di Erasmo, ma che potremmo chiamare anche, utilizzando un lessico piu' alla moda, radicale. Il suo principio e' la tolleranza, il suo nemico e' il fanatismo, da quello religioso a quello ideologico. La pace tra gli uomini e tra i popoli non va posata sulla fede religiosa o su qualsiasi altra visione del mondo, ma su cio' che negli uomini e' comune, sulla loro natura razionale, la cui voce e' la coscienza. "Voila' l'ennemi" diceva Voltaire indicando la chiesa cattolica. Il pacifismo radicale vede il nemico preferibilmente nelle istituzioni, in particolar modo nell'esercito, e ripone la causa dello spirito aggressivo nell'influenza nefasta che esse hanno sulle coscienze. Cio' che sembra mancare in questo tipo di pacifismo, a causa del suo impianto individualistico, e' la disponibilita' al confronto e soprattutto la giusta considerazione del valore delle istituzioni, della loro capacita', almeno potenziale, di garantire il cittadino dinanzi al privilegio e di fornirgli strumenti di diritto per il perseguimento della giustizia e dell'eguaglianza. Ecco perche' esso e' stato sempre un pacifismo elitario, capace di svegliare le coscienze, ma incapace di mordere realmente sulle cause che generano i conflitti interni ed esterni alla societa'. Il principio della tolleranza e' senza dubbio necessario a dar fondamento a una societa' pacifica, purche' pero' venga coniugato con una militanza politica il cui obiettivo sia la subordinazione delle istituzioni ai fini del bene comune e della pace.

E' questo, appunto, il principio del pacifismo democratico. Secondo la formula ideologica che gli dettero, al suo nascere, i giacobini, esso identifica la causa delle guerre con le tirannidi, e la fondazione della pace con l'esercizio effettivo della sovranita' popolare. I popoli amano la pace - ecco il dogma democratico - in quanto il lavoro, la prosperita', la liberta' coincidono con i loro interessi, mentre la guerra produce sprechi, rovine, servitu' militari. Bastarono i plebisciti di Napoleone a dimostrare quanto fosse ingenuo il dogma giacobino. E tuttavia l'idea che un popolo, una volta che gli siano assicurati gli strumenti formali della sovranita', rifugga naturalmente dalle guerre, ha avuto vita lunga. Nel primo dopoguerra essa ebbe una splendida reviviscenza con la dottrina di Wilson che tenne a battesimo la Societa' delle Nazioni. Ma fu proprio nella piu' democratica delle repubbliche, nata dalle rovine dell'Impero tedesco, quella di Weimar, che prospero' e trionfo', col rispetto delle regole, il nazismo. Ed oggi noi siamo qui a constatare che un paese di sicura democrazia formale come gli USA si e' trasformato in una cittadella atomica, alla cui ombra prosperano in tutto il mondo dittature militari. Il limite dell'ideologia democratica e' che essa chiama in causa il popolo senza tener conto delle forze che nel suo seno si contrastano e lo frantumano piegandolo alla loro logica.

La risposta piu' razionale alla questione della pace sembrava averla data il pacifismo socialista. L'internazionalismo operaio e' senza dubbio l'utopia pacifista piu' straordinaria che sia nata nel mondo moderno. Il suo strumento di lotta, lo sciopero, e' stato ed e' un'arma non violenta, che ha modificato dall'interno tutti i rapporti sociali. Ma ognuno sa che esso non e' stato in grado di arrestare nessuna delle due guerre mondiali: anche quando e' stato indetto, lo "sciopero per la pace" non ha mai funzionato. Lenin ha aggiornato la dottrina marxista della guerra, dimostrando che essa e' strutturalmente connessa alla societa' capitalistica e che percio' vivra' e morira' con questa. La razionalita' della guerra e' nel fatto di portare al limite l'inevitabile crisi del capitalismo e di preparar cosi' il suo capovolgimento: la rivoluzione. E' quanto avvenne, per suo merito, in Russia. Ma la sua tesi, smentita per due volte, era che una guerra mondiale avrebbe dovuto generare una rivoluzione mondiale.

La crisi del pacifismo socialista si e' aggravata in questi ultimi tempi, provocando un collasso estremo nella nostra cultura. I suoi segni sono di due ordini. La' dove si ritiene di aver gia' realizzato il socialismo, non solo si e' messo in piedi un apparato di resistenza militare che uguaglia quello delle potenze capitalistiche (e, in questo, chi condivide la critica socialista all'imperialismo del capitale potrebbe anche vedere un dato provvidenziale), ma ha mutuato in pieno la cultura borghese della repressione. Tra gli stessi paesi socialisti, o quanto meno liberi dalla logica del capitale, c'e' attualmente lo stato di all'erta: segno, per molti, che le cause della guerra non sono riducibili all'economia di mercato.

Ma la crisi deriva anche dal fatto che la spiegazione leninista e' contraddetta almeno da due dati oggi emergenti: i movimenti pacifisti all'interno del mondo capitalistico e l'ingresso in scena dei paesi ex-coloniali in lotta per la loro liberazione. Per Lenin tutte le potenze capitalistiche si equivalevano, dalla Russia zarista all'Inghilterra parlamentare. Per quanto duttile, il suo pensiero era ancora succube dello schematismo economicistico. Non solo, ma quello che noi chiamiamo Terzo Mondo era per lui soltanto un'appendice del mondo capitalista, una specie di immensa retroguardia del proletariato occidentale. Dinanzi ad uno scenario storico cosi' imprevisto qual e' quello odierno, l'ideologia socialista appare ormai inadeguata a dar fondamento ad un pacifismo all'altezza delle necessita'. Essa sconta fino in fondo il lato positivistico della sua origine che l'ha tenuta subalterna all'ideologia borghese. Non e' forse una tesi di Marx e di Lenin che il proletariato e' il naturale erede della cultura della borghesia, che e' intimamente cultura di violenza? Niente di strano che ben poco sia rimasto oggi, in occidente, del pacifismo proletario. Non e' forse vero, ad esempio, che, stretti nel cappio delle necessita' del sistema, gli operai prestano la forza-lavoro anche nell'immenso apparato che, in Italia come in tutto il mondo industriale, produce armi da esportare nei paesi del Terzo Mondo per dar forza ai regimi oppressivi? Marx ed Engels non si sarebbero forse scandalizzati, dato che per loro la pace sarebbe stata il risultato di una rivoluzione mondiale che, dandosi la necessita', avrebbe potuto anche far uso della violenza delle armi. Ma che senso ha oggi parlare di rivoluzione armata, quando le classi dominanti del sistema imperialistico hanno in mano le armi atomiche?

*

Eccoci, cosi', alla questione di fondo. Si avverte, sempre meno confusamente, che se ci sara' una reazione all'altezza dell'estremo discrimine in cui siamo, essa non potra' essere piu' la proposta dei pacifismi tradizionali, per preziosa che sia la loro eredita', ma un mutamento culturale (la mutazione di cui sopra si diceva) che metta fine, una volta per sempre, all'eta' neolitica, tanto per usare un'espressione cara a Teilhard de Chardin, o alla preistoria, come diceva Marx. Nelle nuove manifestazioni pacifiste si va facendo strada una richiesta di cambiamento, non solo della politica, ma dei termini fondamentali della presenza dell'uomo alla storia e al mondo, e cioe' la richiesta del passaggio da una civilta' che aveva assunto la competizione come molla del suo stesso sviluppo ad una civilta' che ponga la sua radice nell'altra valenza dell'uomo, rimasta fino ad oggi marginale, consolatoria e comunque inefficace: quella dell'apertura dell'uomo all'uomo come condizione del proprio essere, della collaborazione come condizione del proprio sviluppo, della solidarieta' con l'intera specie come condizione del suo essere persona.

Tra i molti orizzonti che la scienza moderna ha dischiuso ai nostri occhi c'e' anche quello, remotissimo nel tempo, delle origini della nostra specie. Ora sappiamo che gli uomini preistorici non erano piu' bellicosi di noi, a volte non lo erano affatto. E' vero: la civilta' (ma questa parola ora la pronunciamo con piu' pudore) comincia con le istituzioni e tra di esse non manca mai la guerra. Ma questo nesso costante tra civilta' e guerra ci autorizza a dedurne che dunque la guerra e' una legge insuperabile della specie? Troppe volte, nel passato, si attribuiva alla natura della specie quello che poi si e' scoperto essere niente piu' che un portato della cultura. Ad esempio, la schiavitu'. L'opinione comune, fino a due secoli fa, era che la schiavitu' fosse un'esigenza naturale della societa' umana, proprio come aveva insegnato, nel IV secolo a. C., il filosofo per eccellenza, Aristotele. Oggi l'idea stessa di schiavitu' ci ripugna. E cosi': appena oggi si sta sfaldando il pregiudizio secondo il quale e' la natura che vuole il primato dell'uomo sulla donna: da Aristotele a san Tommaso, a Kant, a Freud, su questo punto non ci sono state incertezze. Oggi anche nel diritto italiano e' stata sancita la parita' dell'uomo e della donna nel matrimonio. Ci si va convincendo che quanto si attribuiva alla natura non era che un portato della cultura.

Non potrebbe avvenire lo stesso per la "istituzione guerra"? Come c'e' stata l'eta' della pietra e poi quella del bronzo e del ferro, non potrebbe esserci, dopo la civilta' della guerra, la civilta' della pace?

E' vero, una transizione del genere appare molto improbabile anche agli autori di questa rassegna. Un'analisi obiettiva dell'attuale corso delle cose non puo' non portare alla previsione della catastrofe. Ma cio' che e' improbabile, non per questo e' impossibile. La paleontologia dimostra che la nostra specie ha saputo sottrarsi alla fatalita' (quella fatalita' che invece ha avuto la meglio su altre specie di animali e di ominidi), mettendo i propri ritrovati (il fuoco, ad esempio) al servizio del suo istinto di conservazione. In questi decenni la specie si trova in una congiuntura del genere: il fuoco atomico, che la sua intelligenza le ha messo tra le mani, puo' incendiare e distruggere sulla Terra ogni germe di vita o puo' diventare lo strumento per inaugurare una pagina totalmente nuova della storia umana, quella in cui il genere umano viva pacificamente nell'unica citta' che e' ormai il nostro pianeta.

Per la prima volta questa utopia e' diventata realistica, sia nel senso che essa e' per la prima volta tecnicamente possibile, sia nel senso che essa e' l'unica alternativa alla morte universale Quel che le manca e', appunto, una cultura che sia al suo livello, cioe', come si e' detto, al livello della voce della coscienza e dell'istinto, una cultura della pace che succeda alla cultura della guerra di cui noi siamo figli, cosi' come alla cultura paleolitica successe, piu' di diecimila anni fa, la cultura neolitica che ancora sopravvive nelle sue istituzioni fondamentali.

E' vero, il tempo e' breve, cosi' breve che e' gia' un grave obbligo adoperarsi perche' non sia accorciato. Ed e' questo che da ogni parte viene chiesto ai titolari del potere politico, in attesa che la mutazione antropologica si svolga secondo i suoi ritmi, sicuramente lunghissimi. Essa chiama in causa la societa' in tutte le sue articolazioni organiche, anzi - non dovremmo aver paura a riconoscerlo - chiama in causa primariamente le singole coscienze. Difatti, alla base della pace c'e' una virtu' che non puo' essere insegnata: e' la fede dell'uomo nell'uomo e, in generale, la fede dell'uomo nelle risorse della sua specie, rimaste represse e mortificate dalla gelida stagione del cinismo morale. Non si obietti che questa fede nell'uomo non e' in regola con i rigori della ragione, perche' e' appunto questa ragione che, sotto le forme del rigore, a nient'altro e' intenta se non a codificare l'esistente e a proiettarne le forme nel futuro, e' proprio questa ragione il primo bersaglio della fede morale. D'altronde anche questa ragione cinica ha le sue forme di fede, quella, ad esempio, di cui danno prova, a loro modo, coloro che propongono come seria l'ipotesi di una guerra al neutrone regionale e controllata!

La fede morale non e' piu' un semplice postulato, un'esigenza cioe' senza riscontro nei fatti. Essa ha gia' dalla sua parte alcuni processi in corso, il cui senso unitario si svela solo se si assume la civilta' della pace come loro punto di riferimento e di sintesi. Si tratta di processi che stanno battendo in breccia, anno dopo anno, le premesse antropologiche della civilta' della guerra. La prima di queste premesse e' che l'uomo sia per natura aggressivo, di quell'aggressivita' distruttiva che noi chiamiamo violenza. Come sopra si diceva, le ricerche antropologiche ci hanno condotto ad un punto in cui non ha piu' senso dire che l'uomo e' per natura pacifico o che l'uomo e' per natura violento. La natura dell'uomo e' nel suo farsi, e' cioe' nella sua cultura. Come dire che l'uomo e' cosi' come si fa. Insomma, una cultura della pace non contraddice a nessun dato irreformabile, scritto nei cieli o sulla terra. Osserviamo cosa avviene nella societa' cresciuta all'ombra del fungo atomico.

- Per la prima volta nella sua storia la specie umana e' fisicamente come un individuo solo, secondo la suggestiva immagine di Pascal: un individuo con la coscienza ancora dispersa e frazionata nel suo organismo, ma con strutture fisiche e psichiche gia' pronte perche' avvenga l'unificazione soggettiva. Le barriere Est/Ovest e, piu' ancora, quella Nord/Sud, sono sempre piu' intollerabili: chi le tollera e' un ominide il cui sottosviluppo e' insieme intellettuale e morale. Se trionferanno gli ominidi, il tempo della fine e' gia' segnato, perche' la loro egemonia e' diventata fisicamente impossibile. Il colosso della civilta' della tecnica - il Nord - ha i piedi di argilla. Il Sud lo sa e quando lo schiavo si accorge che il padrone non sarebbe padrone se lui non fosse schiavo, il tempo del padrone e' finito, ed e' finita la sua cultura. Il padrone puo' morire come Sansone o puo' morire di tranquilla morte naturale, e cioe' il Nord puo' morire sotto le macerie cosmiche provocate dalla sua tracotanza o puo' morire risolvendosi in una comunita' mondiale senza piu' discriminazioni.

- Il rapporto tra l'uomo e il suo ambiente fisico non puo' piu' essere quello che e' stato, non lo puo' piu' per ragioni fisiche. L'ideologia dello sfruttamento illimitato della natura si capovolge ormai contro i suoi fautori. Gia' si sta riscoprendo e propugnando un nuovo rapporto con la natura che non e' quello alienante del romanticismo, e' un rapporto su cui batte la luce dell'utopia marxiana dell'uomo naturalizzato e della natura umanizzata. La passione ecologica e' un capitolo importante della cultura della pace.

- Si diffonde la presa di coscienza che uno dei luoghi di riproduzione (e' proprio il caso di dirlo) della violenza e' il modo storico in cui si e' determinato il rapporto uomo-donna, tanto nell'esercizio della sessualita' quanto nel dispiegamento sociale e culturale della sua bipolarita'. L'emancipazione femminile, con il connesso mutamento del senso della sessualita', segna potenzialmente un salto qualitativo nella stessa soggettivita' umana. L'"altra meta' del cielo", anzi l'altra meta' della terra, a partire dall'eta' neolitica, e' stata mantenuta con violenza al di fuori degli spazi in cui si crea la storia: l'uomo del neolitico e' un uomo dimidiato e proprio per questo violento. L'emancipazione femminile e' potenzialmente un altro capitolo della cultura della pace.

- Ma il fenomeno forse piu' rilevante, che da' conforto alla fede nell'uomo, e' la nuova dialettica che si e' aperta all'interno delle grandi religioni. Possiamo limitarci, e non solo per brevita', al cristianesimo. La soglia atomica, come si e' detto, in quanto crinale tra morte e vita del genere umano, e' di sua natura il "luogo" di una mutazione. Se l'alternativa della vita trionfera', essa non potra' andare che nel senso di una composizione unitaria del genere umano. Il che significa che tutto cio' che e' nato e cresciuto con i segni del "particolare" potra' sopravvivere solo se sapra' accettare le nuove misure di universalita' concreta. Alla pari delle altre religioni, il cristianesimo non potra' non apparire (e gia' appare) come il patrimonio di una porzione del genere umano. La sua storia, nel bene e nel male, si confonde con quella dell'occidente. L'attuale congiuntura agisce come un pungolo sulla forma storica del cristianesimo, un pungolo che sgretola quel che e' connesso alla relativita' storico-geografica e, nello stesso tempo, fa emergere il suo nucleo profetico. La profezia cristiana ha questo di proprio e forse di esclusivo: che e' una profezia messianica, investe cioe' la totalita' delle speranze degne dell'uomo, prima fra tutte la speranza della pace. In questo senso il cristianesimo trabocca dai confini religiosi e si commisura, senza sforzi, sulla qualita' laica della storia.

- Non solo il cristianesimo cattolico ma anche quello delle altre confessioni che fanno capo al Consiglio Ecumenico delle Chiese sta spostando l'asse della propria vita interna o della propria missione storica dagli spazi religiosi a quelli antropologici, dove hanno rilievo decisivo la giustizia e la pace. Su queste frontiere l'ecumenismo e' gia' in atto. Morendo alle sue terribili stagioni di complicita' con le guerre, il cristianesimo di ogni confessione mette in evidenza la sua indole di fondo, che e' la passione per l'uomo del futuro. Le chiese intuiscono che la transizione alla civilta' della pace e' come un appuntamento storico che Dio ha loro fissato e su cui le giudichera'. Una chiesa veramente evangelica e' come un'obiezione di coscienza piantata da Dio nella carne viva del mondo. Ebbene, in questi ultimi tempi le chiese, perfino nei loro vertici istituzionali, che sono piu' tardi a muoversi e che d'altronde hanno ancora un pesante conto da pagare alla civilta' della pace, si sentono sospinte sulle trincee dove si prepara la guerra per pronunciarvi il loro no. Secondo alcuni, e' gia' matura la stagione per un Concilio ecumenico in cui le chiese si ritrovino non per lanciare un nuovo messaggio al mondo ma per assumersi, nei modi loro propri e con tutte le conseguenze, la responsabilita' della sopravvivenza del mondo e, in positivo, dell'avvento della civilta' della pace.

- Sono passati dieci anni da quando il rapporto Faure, condensando un'indagine commissionata dall'Unesco, riconosceva che la crisi della scuola era un dato evidente in ogni parte del mondo e osava affermare che, alla radice di questa crisi, c'era una "mutazione antropologica". Gli autori di questa rassegna hanno la pretesa di sapere di che mutazione si tratti. La scuola, nelle forme e nei modi che le sono stati assegnati dalla rivoluzione borghese e che nei paesi dell'Est europeo appaiono aggravati, e' sempre stata l'apparato ideologico destinato a procurare consensi al potere costituito o quanto meno alle classi dominanti. Le classi dominanti, per definizione, guardano al mondo con l'occhio del dominio e cioe' l'occhio che, viziato da daltonismo ideologico, scambia il proprio particolare per l'universale, il proprio calcolo per la Ragione, la propria espansione colonialistica per la diffusione della civilta'. Ma l'occhio fiero del padrone ha bisogno dell'occhio umile dello schiavo: oggi, finalmente, l'occhio umile non c'e' piu'. Le barriere, almeno dal punto di vista conoscitivo, sono cadute e nessuna cultura puo' ormai provocare un'eco veramente umana nelle coscienze se non e' cultura planetaria, e cioe' se il suo punto di vista non e' il punto di vista del pianeta divenuto l'indivisibile citta' dell'uomo. Per diventare planetaria la cultura deve essere cultura di pace.

La mutazione antropologica che, secondo il rapporto Faure, sta alla base della crisi della scuola e' proprio questa. Se ne accorga o meno, la scuola e' ancora un organo di diffusione della cultura padronale che e', per forza di cose, cultura di guerra, in contrasto strutturale con i processi di crescita che abbiamo appena indicato. E le riforme della scuola saranno semplici palliativi finche' non scenderanno a questa profondita', per mettere in questione il presupposto antropologico che ha fatto da dogma latente della cultura occidentale. Tocca alla scuola provvedere alla riforma di se stessa facendo spazio, naturalmente nei modi suoi propri, ai processi di cambiamento che preparano e prefigurano la cultura della pace.

*

Uno dei modi con cui la scuola puo' inserirsi, con efficacia decisiva, in quei processi e' la costruzione, nelle nuove generazioni, di una memoria storica diversa da quella codificata nel sapere dominante. Ed e' un compito che comporta la rilettura critica del patrimonio letterario e filosofico che abbiamo ricevuto in eredita'. Tutto cio' che, in questo patrimonio, era riconducibile alla sfera dell'utopia veniva, mediante opportuni trattamenti critici, puntualmente sigillato nella dimenticanza o relegato ai margini come ingenuo o poeticamente evasivo. E' razionale solo cio' che e' reale: ecco il dogma implicito o esplicito che ha presieduto alla codificazione del sapere. La parola pace, nei libri di scuola, serve normalmente per indicare i trattati conclusivi di guerre, i quali appaiono poco piu' che interpunzioni nel "continuo" del divenire bellicoso della civilta'. La "verita' effettuale" e' diversa. E' diversa non solo nell'animo e nel costume dei popoli, che negli annali ufficiali sembrano piuttosto oggetti che soggetti di storia, ma anche nello svolgimento del pensiero a cui e' solito rifarsi, come propria sorgente, il mondo moderno.

E' appunto di questo secondo aspetto della verita' effettuale che la presente rassegna intende offrire una larga documentazione critica. Il panorama che essa offre e' di necessita' limitato, nel tempo e nello spazio. Nel tempo: la rassegna si apre col periodo in cui prende origine la politica degli Stati e congiuntamente si trasforma, anche dal punto di vista tecnico, l'"istituzione guerra". Nello spazio: la rassegna resta, salvo qualche sortita, nei confini del pensiero occidentale anche perche' e' in quest'area che la civilta' della guerra ha prodotto le sue grandezze e oggi il suo dilemma mortale.

Secolo dopo secolo, autore dopo autore, l'utopia della pace appare in queste pagine sempre in un rapporto dialettico con la realta' della guerra e appare sempre, alla prova dei fatti, perdente. Solo oggi, nell'era di Hiroshima, le due logiche, quella dell'ideale morale e quella della necessita' realistica, arrivano a coincidere dischiudendo una ricca gamma di prospettive morali e politiche.

Gli autori della rassegna non nascondono affatto quale sia, in rapporto a questo singolare evento della coincidenza tra utopia e realismo, la loro posizione, anzi hanno voluto apertamente dichiararla fin da questa lunga premessa. E tuttavia essi sono convinti di non aver fatto forza al senso oggettivo delle cose, di non aver contraffatto l'immagine della realta' su cui le coscienze possono elaborare, in modo autonomo, le proprie scelte. Lo strumento che essi hanno preparato intende provocare e soccorrere, all'interno della scuola, un dibattito che e sicuramente il piu' alto, il piu' universale e, sia permesso di dire, il piu' religioso tra quelli che fanno ancora della scuola l'occasione piu' importante per la formazione dell'uomo nuovo. I lettori, giovani o meno, giudichino da loro. E ci aiutino a colmare lacune e a rettificare giudizi per rendere il nostro lavoro sempre piu' adatto ad illuminare e ad alimentare, dentro e fuori della scuola, la cultura della pace da cui dipende il destino della Terra.

 

2. LETTERE. PEPPE SINI: "NON IMPONETE IN ITALIA IL REGIME DELL'APARTHEID". CORRUCCIATA UNA LETTERA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

 

Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,

vorrei invitare lei e il governo a riconsiderare e recedere dalle misure adottate con il recente decreto cosiddetto Minniti approvato dal Parlamento attraverso un voto di fiducia di entrambe le Camere.

Con quel decreto infatti si introducono nell'ordinamento giuridico italiano - e in un ambito di importanza cruciale - alcuni elementi propri di un regime di apartheid.

Orbene, l'Italia e' una repubblica democratica, e una repubblica democratica e' del tutto incompatibile con l'apartheid, ovvero con l'istituzionalizzazione della diseguaglianza di diritti tra le persone in considerazione della loro origine etnica e provenienza territoriale: l'apartheid e' il razzismo eretto a sistema politico, l'apartheid e' un crimine contro l'umanita'.

Nel nostro paese negli scorsi decenni gia' molte gravi violazioni dei diritti umani sono state commesse da governi esplicitamente composti da forze politiche filomafiose, razziste e neofasciste: con l'antilegge Bossi-Fini e con il famigerato "pacchetto sicurezza" in particolare, ma non solo; decisioni feroci che sono costate - e costano tuttora - sofferenze infinite a milioni e milioni di persone innocenti.

Ma il governo che lei presiede invece di abrogare quelle insensate crudeli misure apportatrici di sciagurate violenze tragicamente sta facendo un passo ulteriore lungo la china che porta alla barbarie: giacche' non solo intende realizzare nuovi campi di concentramento, non solo intende intensificare le deportazioni, ma addirittura crea tribunali speciali e nega alle persone migranti qui giunte fondamentali garanzie giuridiche: istituendo un antidiritto fondato sulla discriminazione etnica.

Cosi' si crea un regime di apartheid.

Non credo che lei e i suoi ministri (ed i parlamentari che vi hanno rinnovato la fiducia pur sapendo che cosi' avallavano quelle specifiche misure) vi siate resi conto di cio' che state facendo, ma cio' che state facendo e' esattamente questo.

*

Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,

verrei meno a un fondamentale dovere di cittadino e di essere umano se non mi adoperassi per tentare di persuaderla e persuadervi a recedere da quella decisione al piu' presto.

Ed in assenza di una vostra tempestiva resipiscenza non resterebbe che adire tutte le vie legali e tutte le forme nonviolente d'impegno civile per contrastare l'instaurazione in Italia di un regime di apartheid; ovvero per difendere la legalita' costituzionale e i diritti umani nel nostro paese gia' profondamente vulnerati.

Ho scritto questa lettera nella forma piu' breve, molte argomentazioni avrei potuto aggiungere ma la sostanza e' tutta qui: che le misure previste nel decreto teste' avallato dalle Camere violano lo stato di diritto, la costituzione repubblicana, la democrazia e i diritti umani; che quelle misure introducono nel nostro paese sostanziali elementi di apartheid.

Vogliate pensare al male che esse provocheranno a innumerevoli innocenti.

Vogliate pensare al male che esse faranno al nostro paese.

Vogliate pensare alle vostre stesse coscienze.

Tornate indietro.

L'apartheid e' un crimine contro l'umanita'.

*

Augurandole ogni bene,

Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo

Viterbo, 12 aprile 2017

 

3. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"

[L'associazione e centro antiviolenza "Erinna" e' un luogo di comunicazione, solidarieta' e iniziativa tra donne per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza fisica e psichica e lo stupro, reati specifici contro la persona perche' ledono l'inviolabilita' del corpo femminile (art. 1 dello Statuto). Fa progettazione e realizzazione di percorsi formativi ed informativi delle operatrici e di quanti/e, per ruolo professionale e/o istituzionale, vengono a contatto con il fenomeno della violenza. E' un luogo di elaborazione culturale sul genere femminile, di organizzazione di seminari, gruppi di studio, eventi e di interventi nelle scuole. Offre una struttura di riferimento alle donne in stato di disagio per cause di violenze e/o maltrattamenti in famiglia. Erinna e' un'associazione di donne contro la violenza alle donne. Ha come scopo principale la lotta alla violenza di genere per costruire cultura e spazi di liberta' per le donne. Il centro mette a disposizione: segreteria attiva 24 ore su 24; colloqui; consulenza legale e possibilita' di assistenza legale in gratuito patrocinio; attivita' culturali, formazione e percorsi di autodeterminazione. La violenza contro le donne e' ancora oggi un problema sociale di proporzioni mondiali e le donne che si impegnano perche' in Italia e in ogni Paese la violenza venga sconfitta lo fanno nella convinzione che le donne rappresentano una grande risorsa sociale allorquando vengono rispettati i loro diritti e la loro dignita': solo i Paesi che combattono la violenza contro le donne figurano di diritto tra le societa' piu' avanzate. L'intento e' di fare di ogni donna una persona valorizzata, autorevole, economicamente indipendente, ricca di dignita' e saggezza. Una donna che conosca il valore della differenza di genere e operi in solidarieta' con altre donne. La solidarieta' fra donne e' fondamentale per contrastare la violenza]

 

Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.

Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, facebook: associazioneerinna1998

Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

 

4. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

 

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.

Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

 

5. INIZIATIVE. "UNA PERSONA, UN VOTO". UN APPELLO ALL'ITALIA CIVILE

 

Un appello all'Italia civile: sia riconosciuto il diritto di voto a tutte le persone che vivono in Italia.

Il fondamento della democrazia e' il principio "una persona, un voto"; l'Italia essendo una repubblica democratica non puo' continuare a negare il primo diritto democratico a milioni di persone che vivono stabilmente qui.

Vivono stabilmente in Italia oltre cinque milioni di persone non native, che qui risiedono, qui lavorano, qui pagano le tasse, qui mandano a scuola i loro figli che crescono nella lingua e nella cultura del nostro paese; queste persone rispettano le nostre leggi, contribuiscono intensamente alla nostra economia, contribuiscono in misura determinante a sostenere il nostro sistema pensionistico, contribuiscono in modo decisivo ad impedire il declino demografico del nostro paese; sono insomma milioni di nostri effettivi conterranei che arrecano all'Italia ingenti benefici ma che tuttora sono privi del diritto di contribuire alle decisioni pubbliche che anche le loro vite riguardano.

Una persona, un voto. Il momento e' ora.

*

All'appello "Una persona, un voto" hanno gia' espresso il loro sostegno innumerevoli persone, tra cui tra le prime:

padre Alex Zanotelli

Lidia Menapace, partigiana, femminista e senatrice emerita

Isa Alberti

Gianfranco Aldrovandi, del "Collettivo nonviolento uomo-ambiente"

Rocco Altieri, docente e saggista, direttore dei "Quaderni Satyagraha", Centro Gandhi di Pisa

Simonetta Astigiano, biologa e ricercatrice

Lino Balza, ecologista

don Franco Barbero

Daniele Barbieri, blogger

Davide Barillari, consigliere regionale del Lazio

Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di "Noi Siamo Chiesa"

Eleonora Bellini, bibliotecaria e scrittrice

Giuliana Beltrame, sociologa e attivista

Maurizio Benazzi, quacchero, curatore della newsletter "Ecumenici"

don Gianni Bergamaschi

Ascanio Bernardeschi, saggista e militante

Massimiliano Bernini, deputato

Norma Bertullacelli, dell'"ora in silenzio per la pace" di Genova

Michele Boato, ecologista

Franco Borghi, attivista per la pace e la legalita'

Dario Borso, filosofo

Paolo Bosi, docente universitario

Donatella Botta, impegnata nella solidarieta'

Silvio Bozzi, docente universitario

Anna Bravo, storica

Giuseppe Burgio, pedagogista, Universita' di Enna

Alberto Cacopardo, antropologo

Alessandro Capuzzo, ecopacifista

Gennaro Carotenuto, storico

Claudio Carrara, presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione - Italia

Maria Luigia Casieri, dirigente scolastica

Pilar Castel, autrice e attrice No War

Valeria Castelli

Marco Catarci, pedagogista e docente universitario

Nello Centomo

Olindo Cicchetti, figura storica dei movimenti ecopacifisti e per i diritti, narratore di comunita'

Giancarla Codrignani, saggista e deputata emerita

Francesco Coletta, docente e coordinatore della Federazione Gilda-Unams di Viterbo

Antonio Corbeletti, presidente della sezione Anpi di Voghera

don Franco Corbo, parroco, presidente del gruppo di volontariato "Solidarieta'"

Lucia Cruschelli, associazione "Mestizaje" di Cecina

Pasquale D'Andretta, formatore

Massimo Dalla Giovanna, impiegato, delegato Rsu

Tiziana Dal Pra, presidente dell'associazione "Trama di terre" di Imola

Emanuela Dei, giornalista

Tonio Dell'Olio, presidente Pro Civitate Christiana di Assisi, gia' coordinatore nazionale di Pax Christi, gia' responsabile di Libera International

Giorgio Demurtas, docente universitario

Lucia De Sanctis, associazione "Mestizaje" di Cecina

Maria Rosa De Troia, attivista in difesa della Costituzione

Mario Di Marco, responsabile della formazione dei volontari in servizio civile della Caritas diocesana di Viterbo

Domenico Di Pietro, associazione "Mestizaje" di Cecina

Angela Dogliotti, peace-researcher

Luciano Dottarelli, docente e saggista, presidente Club Unesco Viterbo-Tuscia

Massimo Duranti, giudice di pace emerito

Osvaldo Ercoli, figura storica dell'impegno per la pace, i diritti umani, l'ambiente

Carla Ermoli, pensionata

suor Maria Stella Fabbri

Sergio Falcone, poeta

Valentina Franchi, associazione "Mestizaje" di Cecina

Sancia Gaetani, Wilfp Italia

Haidi Gaggio Giuliani, senatrice emerita

Elena Gajani Monguzzi, docente, poetessa, impegnata per i diritti umani di tutti gli esseri umani

Francuccio Gesualdi, animatore del "Centro nuovo modello di sviluppo"

Agnese Ginocchio, cantautrice per la pace e la nonviolenza

Miguel Gotor, senatore

Carmine Grassimo, docente, formatore, capo scout e barelliere a Lourdes

Carlo Gubitosa, saggista e mediattivista

Paolo Henrici De Angelis, architetto

Paolo Hutter, giornalista

Luca Kocci, docente, giornalista, saggista

Francesca Koch, presidente della "Casa Internazionale delle Donne" di Roma

Alberto L'Abate, presidente onorario dell'Ipri

Federico La Sala, docente di filosofia e saggista

Raniero La Valle, senatore emerito, direttore di "Vasti", presidente del Comitato per la democrazia internazionale

Paolo Limonta, maestro elementare e consigliere comunale

Antonella Litta, dell'Associazione italiana medici per l'ambiente

Anna Lodeserto, internazionalista ed esperta di politiche migratorie, cittadinanza e mobilita'

Eugenio Longoni, militante antifascista

Franco Lorenzoni, maestro elementare e coordinatore della Casa-laboratorio di Cenci

Paolo Lucchesi, dal lungo curriculum d'impegno sociale

Daniele Lugli, presidente onorario del Movimento Nonviolento

Monica Luisoni, attivista

suor Monica Luparello, missionaria comboniana

Antonio Lupo, medico

Maria Immacolata Macioti, sociologa, docente universitaria

Agnese Manca, docente universitaria, impegnata in molte iniziative di solidarieta'

Giovanni Mandorino, del Centro Gandhi di Pisa

Cristina Maranesi, blogger

Luisa Marchini, operatrice culturale, saggista e narratrice

don Mario Marchiori

Alessandro Marescotti, fondatore e presidente di Peacelink

Gian Marco Martignoni, Cgil Varese

Rachele Matteucci, insegnante di lingua italiana per stranieri presso l'Associazione San Martino de Porres

Cristina Mattiello, insegnante, giornalista

Clementina Mazzucco, docente universitaria, saggista

Alessandra Mecozzi, presidente di "Cultura e' liberta'. Una campagna per la Palestina"

Enrico Mezzetti, presidente dell'Anpi provinciale di Viterbo

Pierangelo Monti, del Mir di Ivrea

Luisa Morgantini, gia' vicepresidente del Parlamento Europeo

Rosangela Mura, attivista

Alessandro Murgia, medico impegnato nella solidarieta'

Loretta Mussi, Rete romana di solidarieta' con la Palestina

Amalia Navoni, educatrice e attivista per i diritti umani e i beni comuni

Giorgio Nebbia, ecologista

Giovanna Niccoli, attivista

don Gianni Novelli, direttore emerito del Cipax

Emilia Pacelli, casalinga

Giovanna Pagani, Wilpf Italia

Vittorio Pallotti, fondatore del Centro di documentazione del manifesto pacifista internazionale

Maria Paola Patuelli, Comitato in difesa della Costituzione di Ravenna e Associazione femminile maschile plurale

Marisa Pedroncelli, volontaria nella solidarieta' internazionale

Giovanni Penzo, pensionato

Donato Perreca, pensionato

Enrico Peyretti, saggista e peace-researcher

Giorgio Piacentini, presidente emerito del Cipax

Leo Piacentini, pensionato

Rosanna Pirajno, architetta, presidente dell'associazione "Mezzocielo" di Palermo

Alessandro Pizzi, gia' sindaco di Soriano nel Cimino, docente di matematica e fisica, volontario nel carcere di Viterbo

Pier Paolo Poggio, storico, direttore della Fondazione "Luigi Micheletti"

Rocco Pompeo, presidente della "Fondazione Nesi"

Pier Paolo Poncia, geologo

Giuliano Pontara, filosofo

Franco Porcu, operaio

Alessandro Presicce, giurista

Andrea Pubusa, giurista

Pasquale Pugliese, segreteria nazionale del Movimento Nonviolento

Mauro Pugni, Cdb di Modena

Laura Quagliuolo, redattrice e attivista del Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane

Fabio Ragaini, Gruppo Solidarieta'

Roberto Rampi, deputato

Massimo Ribelli, Universita' di Roma "La Sapienza"

Annamaria Rivera, antropologa

Giorgio Roversi, pensionato

Vincenzo Sanfilippo, sociologo, della Comunita' dell'Arca di Lanza del Vasto

Lavinia Sangiorgi, volontaria di Focus - Casa dei diritti sociali di Roma

Antonia Sani, Wilpf Italia

Adriano Sansa, magistrato e poeta

Delfino Santaniello, figura storica dell'impegno per la legalita' e la democrazia

Eugenio Santi, presidente del Gavci

don Alessandro Santoro, della comunita' delle Piagge

padre Pietro Sartorel, sacerdote, missionario in Brasile

Giovanni Sarubbi, direttore de "Il dialogo"

Renato Sasdelli, docente universitario e saggista

Eugenio Scardaccione, dirigente scolastico

Manlio Schiavo, docente, referente del Comitato cittadino di Bagheria per la Costituzione

Marco Scipioni, presidente del Centro studi e documentazione "Don Pietro Innocenti"

Rosa Scognamiglio, docente impegnata in difesa dei diritti umani e della Costituzione

Arturo Scotto, capogruppo di Sinistra Italiana alla Camera dei Deputati

Giovanni Battista Sgritta, sociologo e docente universitario

Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo

Matteo Soccio, "Casa per la Pace" di Vicenza

Pietro Soldini, responsabile immigrazione della Cgil

Marilena Spriano

Irene Starace, Wilpf Italia

Michelangelo Tumini, dei "Cantieri di pace" di Osimo, Offagna, Castelfidardo e Loreto

Olivier Turquet, educatore ed editore, coordinatore di "Pressenza"

Laura Tussi, giornalista e scrittrice

Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento

Leonardo Varvaro, docente universitario

Antonio Vermigli, direttore di "In dialogo"

Salvatore Vitale, divulgatore agricolo

Giulio Vittorangeli, presidente dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo

Luciano Zambelli, della Lega per il disarmo unilaterale

Lorenzo Zaniboni

Rina Zardetto, presidente dell'Associazione Reggiana per la Costituzione

Franco Zunino, ingegnere

*

Per adesioni: centropacevt at gmail.com, crpviterbo at yahoo.it

Per dare notizia delle adesioni ai presidenti del Parlamento:

- on. Laura Boldrini, Presidente della Camera: laura.boldrini at camera.it

- on. Pietro Grasso, Presidente del Senato: pietro.grasso at senato.it

 

6. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rcs, Milano 1987, pp. 474.

- Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori, Milano 1977, pp. LXXII + 360.

 

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

8. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2677 del 13 aprile 2017

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVIII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

 

Per non riceverlo piu':

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

 

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web

http://web.peacelink.it/mailing_admin.html

quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

 

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web:

http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

 

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

Gli unici indirizzi di posta elettronica utilizzabili per contattare la redazione sono: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com