[Nonviolenza] Archivi. 217
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- Date: Mon, 21 Nov 2016 13:26:04 +0100 (CET)
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)
Numero 217 del 21 novembre 2016
In questo numero:
1. Alcuni testi del mese di settembre 2016 (parte settima)
2. Alcune parole dette a Viterbo la sera del 23 settembre 2016
3. Lucio Emilio Piegapini: Il gruppo di studio
4. La comune nemica
5. Di notte, scrutando il mare
6. L'altra, la vera, la nostra politica
7. Gli abracadabra del governo
8. Opporsi alla guerra, salvare le vite, combattere il male facendo il bene
9. Lucio Emilio Piegapini: La prova
1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI SETTEMBRE 2016 (PARTE SETTIMA)
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di settembre 2016.
2. ALCUNE PAROLE DETTE A VITERBO LA SERA DEL 23 SETTEMBRE 2016
[Ricostruite a memoria queste sono le cose dette dal responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" in piazza della Repubblica a Viterbo la sera del 23 settembre 2016 nell'intervento svolto alla conclusione del corteo promosso dal Comitato per il No alla riforma costituzionale. Prima di lui erano intervenuti Maria Immordino a nome del Comitato provinciale per il No, una rappresentante del mondo della scuola, il presidente provinciale dell'Anpi Enrico Mezzetti, un consigliere comunale del M5S]
La riforma costituzionale voluta da un governo di apprendisti stregoni e' un golpe, perche' aggredisce e devasta due elementi basilari della democrazia e dello stato di diritto.
Non e' solo un caotico e grottesco cumulo di insensate e nocive modifiche; e' assai peggio: e' un consapevole scellerato attacco frontale a elementi decisivi della Costituzione repubblicana e antifascista, ai fondamenti stessi dell'ordinamento democratico e del sistema giuridico dello stato di diritto. E' il tentativo di sostituire alla democrazia l'autocrazia.
Questo golpe puo' e deve essere respinto votando No al referendum: cosi' come le nostre sorelle e i nostri fratelli che in Cile nel 1988 votando No al referendum abbatterono la dittatura fascista di Pinochet. Come loro dobbiamo vincere il referendum facendo nostro il loro motto: "Senza odio, senza violenza, senza paura".
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La riforma costituzionale voluta dal governo degli apprendisti stregoni riducendo il Senato a una comitiva in gita aziendale umilia e mutila il Parlamento: con essa una delle due Camere che fanno le leggi non e' piu' eletta dai cittadini, cosicche' il Parlamento cessa di essere espressione della sovranita' popolare.
Con la riforma elettorale - che fa corpo con la riforma costituzionale - si annienta poi del tutto il principio della sovranita' popolare consentendo ad una "minoranza organizzata" di appropriarsi della maggioranza assoluta dei seggi della residua Camera elettiva pur avendo quella "minoranza organizzata" ottenuto soltanto una parte minoritaria e fin esigua dei voti espressi: cosi' il principio per cui la maggioranza parlamentare riflette e rappresenta la volonta' della maggioranza del popolo italiano e' distrutto e sostituito da un potere oligarchico e anomico.
La violazione della democrazia non potrebbe essere piu' flagrante.
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Il combinato disposto della riforma costituzionale e della riforma elettorale ad essa coerente infine mette interamente nelle mani del governo, che gia' detiene il potere esecutivo, anche il potere legislativo, esautorando de facto e finanche de jure il Parlamento e facendo venir meno quella separazione dei poteri e quel sistema di controlli che e' alla base dello stato di diritto.
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Ad un ordinamento democratico si sostituisce un regime autocratico. Al principio del governo della maggioranza si sostituisce un'oligarchia. Alla partecipazione politica di tutti i cittadini per il bene comune si sostituisce la dominazione di un gruppo di potere che con metodi autoritari impone decisioni a proprio esclusivo vantaggio e a danno dei diritti di tutti. Al governo delle leggi si sostituisce il governo di una cricca. Alla repubblica costituzionale, democratica e antifascista si sostituisce un'altra cosa, una cosa indicibile e oscena.
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Se una riforma costituzionale ed elettorale in Italia e' necessaria ed urgente, e' quella che abolisca l'apartheid di cui sono vittima nel nostro paese oltre cinque milioni di persone che qui vivono e lavorano e pagano le tassa ma alle quali e' negato il diritto di voto. Questa e' l'unica riforma veramente necessaria e urgente, quella che inveri il principio "una persona, un voto", il principio dell'eguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani che vivono insieme nel medesimo luogo.
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Per il resto non di modificare, ma di rispettare e applicare finalmente la Costituzione della Repubblica italiana vi e' necessita' ed urgenza.
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Rispettare e applicare l'articolo 10 che afferma che "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica"; e quindi soccorrere, accogliere, assistere tutte - tutte - le persone in fuga dalla fame e dalla guerra, dalle dittature e dai disastri ambientali, dall'orrore provocato anche da chi ci governa in tanta parte del Sud del mondo. L'ecatombe dei migranti nel Mediterraneo e' causata dalla decisione dei governi europei di impedire a chi e' costretto a fuggire dal suo paese di farlo con mezzi di trasporto legali e sicuri; salvare innumerevoli vite sarebbe assai semplice: basterebbe riconoscere ad ogni essere umano il diritto di spostarsi liberamente su tutto il pianeta casa comune dell'umanita'; basterebbe permettere ad ogni essere umano di utilizzare mezzi di trasporto legali e sicuri. Sono i governi europei i mandanti delle mafie schiaviste, i macellai di carne umana del Mediterraneo.
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Rispettare e applicare l'art. 11 che stabilisce che "L'Italia ripudia la guerra". E quindi imporre a chi ci governa di cessare di violare la legge, di cessare di partecipare alle guerre in corso, di cessare di inviare spedizioni militari dove occorrerebbe invece agire per la pace con mezzi di pace per salvare innumerevoli vite in pericolo, di cessare di armare regimi e poteri assassini, di cessare di far parte di alleanze terroriste e stragiste come la Nato, di cessare di produrre armi che servono solo ad uccidere gli esseri umani.
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Rispettare ed applicare la Costituzione tutta, a cominciare dai principi fondamentali tutti, e tra essi il diritto al lavoro, la sovranita' che appartiene al popolo, i diritti inviolabili di ogni essere umano, quel meraviglioso articolo 3 che riconosce la dignita' e l'eguaglianza di ogni essere umano e sancisce che "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
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Il popolo italiano votando No al referendum puo' respingere il golpe degli apprendisti stregoni e difendere la Costituzione repubblicana presidio delle nostre liberta'. Dobbiamo farlo. Dobbiamo vincere. Per il bene di tutti. Per il bene comune.
Senza odio, senza violenza, senza paura.
3. LUCIO EMILIO PIEGAPINI: IL GRUPPO DI STUDIO
Con Pippetto, Generoso e Penzaperte' avevamo costituito un gruppo di studio.
A quel tempo andavano di moda e cosi' ne costituimmo uno pure noi, che di passare tutte le serate al bar del sor Augusto a giocare a briscola e tressette dopo un po' annoierebbe pure i santi stilisti, quelli che ci avevano lo stile di stare sempre sulle colonne che gli portavano da mangiare e loro lo tiravano su con un cestino con lo spago.
Poi bisognava decidere che si studiava, e noi decidemmo che avremmo letto Il Capitale di Carlo Marx.
Siccome nessuno di noi ce l'aveva, che era un librone grosso come tre vocabolari, lo andavamo a leggere in biblioteca. Pero' c'era un problema, che il sor Gesualdo non voleva che lo leggevamo ad alta voce perche' diceva che disturbavamo gli altri lettori, che invece in biblioteca non c'era mai nessuno a parte noi quattro che era la prima volta che ci andavamo, ma lui intignava che non ci andava nessuno proprio perche' si sapeva che noi leggevamo ad alta voce Il Capitale di Carlo Marx, che invece ancora dovevamo cominciare e lo avevamo detto solo a lui cinque minuti prima.
Insomma dovemmo decidere di cambiare posto e libro.
In sezione c'era Stato e rivoluzione del compagno Lenin, che era pure parecchio piu' corto.
Pero' si ripresento' lo stesso problema, perche' pure il segretario della sezione, 'l zi' Rodolfo detto Foffo, ci disse che sembrava che venivamo in sezione a dire il rosario, e che certi compagni (me li immagino quali, quelli che stavano sempre a strillare che ci facevamo le canne) dicevano che non stava bene, che sembrava il culto della personalita', e insomma non ci fu verso. E neppure ci volle dare il libro per andarcelo a leggere da un'altra parte, perche' doveva restare nella biblioteca della sezione - che poi la biblioteca della sezione era solo quel libro, un paio di gialli mondadori, le istruzioni per i rappresentanti di lista, il Breve corso, due volumi delle opere del compagno Kim Il Sung e una Settimana enigmistica che 'l zi' Rodolfo ci faceva le parole crociate da due anni (le faceva con la matita, poi le cancellava e qualche settimana dopo le rifaceva, e mai una volta che riuscisse a finirne una).
Ma siccome noi eravamo un gruppo di studio - e marxista, oltretutto - non ci arrendevamo.
Decidemmo di comprarci un libro e di leggercelo seduti su una panchina ai giardinetti pubblici. Ma di libri da comprare al paese c'erano solo quelli che vendeva l'edicola, e il meglio che riuscimmo a trovare fu Perche' non sono cristiano di Bertrand Russell, che non era del partito, pero' era sempre un pacifista e un libero pensatore.
Ma ci eravamo appena sistemati sulla panchina e avevamo levato la plastica dal libro (e non l'avevamo buttata per terra, no) che subito arrivano i carabinieri che ci volevano multare per atti osceni, vilipendio alla religione di stato e blasfemia, che poi significherebbe quando uno bestemmia. Noi cominciammo a spiegargli che Bertrand Russell era un Lord inglese (non lo avessimo mai detto: "Lordi ci sarete voi e Fido Castro e Cecco Vara!", replico' furioso il maresciallo), che quel libro era regolarmente in commercio, che ancora non avevamo letto manco una riga, e irre e orre, ma non ci fu verso. E ci sequestrarono pure il libro che era meglio se coi soldi c'eravamo comprati quattro alfa che almeno ci fumavamo una sigaretta per uno.
Per i militanti della classe operaia appropriarsi della cultura e' un dovere, come diceva il compagno Gramsci. Ma e' pure una faticaccia boia. Eppero' qui non si arrende nessuno. No pasaran.
C'era un prete beat a quel tempo, lo sapete, no, i preti beat, quelli che volevano fa' la messa co' la chitarra; 'sto prete beat sotto sotto era uno dei nostri, lo dicevano tutti. Insomma, siccome Penzaperte' lo conosceva, gli chiedemmo se poteva prestarci qualche libro per fare il gruppo di studio, e quello ci presta il Vangelo, anzi, ce ne presta quattro copie, che cosi' era piu' facile seguire quando uno leggeva e quegli altri invece di sentire solo leggevano pure loro ma a bocca chiusa. Era uno gajardo 'sto prete beat, si chiamava don Ildebrando (ma tutti lo chiamavano Armando). Pensate, ci disse che se volevamo potevamo fare il gruppo di studio in sacrestia. Non l'avesse mai detto. Prima ancora che noi potessimo fare il primo incontro di studio lo denunciarono a non so quale tribunale dei preti e lo mandarono a fare il missionario. Poi ho saputo che era diventato guerrigliero in America Latina. Era uno gajardo, m'e' sempre dispiaciuto che non lo avevo potuto conosce mejo, ma io in chiesa non ci andavo, noi militanti della classe operaia marxisti-leninisti (io sono ancora per il trattino, voi no? siete di quelli che si deve scrivere senza trattino? Fate come vi pare, che me ne frega a me) siamo ateisti scientifici siamo, mica chiacchiere. Pero' m'e' dispiaciuto, si'. Comunque i Vangeli ce li tenemmo.
No che non era facile a quei tempi fare un gruppo di studio, non era facile per nente.
Mo' c'era il barbiere che ci aveva tutta la collezione di Tex, Tex Willer, si', ma proprio tutta. E siccome era l'unico barbiere del paese e ci tagliavamo tutti i capelli da lui, lo sapevamo tutti che ci aveva la collezione in-te-gra-le di Tex. Cosi' ci venne l'idea che potevamo andare dal barbiere e leggere Tex. Pero' il sor Criterio (lo chiamavano tutti cosi', ma il nome completo era Cristoforo Eleuterio, che io mi sono sempre chiesto che gli dicesse la capoccia al padre quando gli mise quel nome) ci disse che non si poteva, perche' nel retrobottega in quattro non ci si entrava, e nella bottega oltre i due sediloni davanti agli specchi e i rubinetti c'erano solo tre sedie e non e' che uno di noi poteva occupare uno dei sediloni, era brutto, e poi se arrivava un cliente che doveva aspettare dove si metteva seduto, per terra? Non dico che non avesse ragione, dico solo che la bottega era sempre piena di gente sia seduta che in piedi perche' a quel tempo si andava dal barbiere mica solo per barba e capelli ma pure per sentire due sfitti sulla vita paesana; le donne andavano al lavatoio, ma gli uomini dove potevano andare? Per forza dal barbiere, che poi c'erano pure quei calendarietti profumati che chi lasciava una bella mancia il sor Criterio gli regalava il calendarietto, che lo chiamavano calendarietto ma erano tutte fotografie di donne gnude. A quei tempi ci si divertiva cosi'.
Per farla corta e commovente: avviare un gruppo di studio marxista non era certo impresa facile. Cosi' decidemmo che a mali estremi estremi rimedi. Generoso disse: "Ah rega', famo cosi': se vedemo la sera a la stalla del mi ba'. Tanto lui a le nove gia' sornaca".
E cosi' ci organizzammo, mettendo un po' di soldi per uno comprammo "Rinascita", che era il settimanale del partito che c'erano certi articoli che erano scritti difficile che parevano un libro (pero' di tre o quattro pagine solo), e la sera dopo aver fatto un paio di giri di bicchierini al bar andiamo tutti e quattro insieme al podere del padre di Generoso.
E per fortuna che sornacava: la prima sera, dico la prima sera, con tutto che c'era Generoso, Mio Mao, che sarebbe il cane lupo che ci avevano al casale, prima ancora che arriviamo comincia ad abbaiare che se per caso nel raggio di dieci chilometri qualcuno dormiva con quel casino dopo cinque minuti s'era gia' svegliato, quasi non facciamo in tempo a entrare nella stalla che si presenta il padre di Generoso cogli scarponi, i mutandoni di lana, la maglietta della salute e col quintone puntato gia' carico che adesso che ci si era dovuto alzare dal letto a qualcuno bisognava proprio che gli sparava.
Nella fuga precipitosa il fascicolo di "Rinascita" non si seppe a chi cadde per terra e la mattina dopo lo ritrovo' Generoso tutto impiastrato di merda di vacca e ormai inutilizzabile a fini di studio.
Ma adesso fare 'sto gruppo di studio era diventata una sfida e vedremo chi la vince. Perche' si sa, chi la dura la vince.
Non mi ricordo piu' se l'idea venne a me o a Penzaperte', ma venne fuori che si poteva fare il gruppo di studio nell'officina dove lavoravamo noi due. Noi staccavamo alle sette, le otto, verso le dieci di sera il principale chiudeva, e poi era via libera: e Penzaperte' ci aveva pure le chiavi perche' la mattina alle sei era lui che apriva la bottega. E' vero che il sor Giulio, il principale, era uno da prendere con le pinze, pero' se noi andavamo tardi e non facevamo casini lui non se ne accorgeva (abitava dall'altra parte del paese) e la cosa passava inosservata, bastava che dopo entrati abbassavamo la saracinesca e da fuori nessuno si accorgeva di niente. Non era male come idea. E poi il sor Giulio era un caratteraccio ma non era uno che sarebbe venuto con la carabina a tirarci addosso.
Ammaestrati dalla precedenti esperienze decidemmo di fare una prima prova per vedere come buttava. Pippetto aveva ancora a casa il libro sussidiario di terza elementare, si decise di usare quello. La sera giusta restammo al bar a giocare a carte fino a verso mezzanotte, poi andiamo all'officina. Ve la ricordate l'officina del sor Giulio, no? Aveva l'ingresso grosso su via Venezia e l'ingresso piccolo nel vicoletto del Rospo (mi saro' chiesto mille volte perche' si chiamava vicoletto del Rospo). Pero' Penzaperte' aveva solo la chiave della saracinesca dell'ingresso grosso, per cui un po' di rumore lo dovemmo fare prima per tirarla su e dopo entrati per tirarla giu'. Perdemmo un po' di tempo per decidere se era meglio che ci mettevamo seduti sui sedili di una macchina in riparazione o se era meglio prendere le due sedie che c'erano nell'ufficetto del principale (che era una cabina di compensato in fondo all'officina, di fianco alla stanza del cesso), uno sgabelletto e un bidone e metterci seduti in circolo li' in mezzo. Avevamo appena deciso questa sistemazione che sentiamo bussare forte sulla saracinesca, che col rimbombo metallico faceva un fracasso della malora. Vado ad aprire e chi ti trovo? Aurelio, la guardia notturna, che mi fa: "Che facete qui?". Io: "Come che facemo? Ce lavoramo, ce lo sai. Che nun me riconosci?". E lui "A 'st'ora lavorate?". E io: "No, a 'st'ora famo 'l gruppo de studio". E lui: "E 'l sor Giuglio ce lo sa o nun ce lo sa?". E io: "De che?". e Lui: "Che facete 'l gruppo de studio ne la bottega sua". E io: "Intanto nun e' 'na bottega ma 'n officina". Ma lui: "Nun ce prova' a fregamme co' le chiacchiere, Lazzaro' (Lazzaro' sarei io, che il mio vero nome e' Lazzaro ma tutti mi chiamano Lazzarone, per via che da giovane, vabbe', lassamo perde), ce lo sa o nun ce lo sa?". E io: "In che senso?". E lui: "Nel senso del colpo che te se pija. Ce lo sa o nun ce lo sa?". Allora io: "No cche nun ce lo sa". E lui: "Eh". E io: "Eh". E lui: "Eh". E io: "Eh". Allora lui: "A mme perche' me pagheno seconno te?". E io: "Pe' ffa' la spia ar sor Giujo?". E lui: "Mo' m'offenni pure?". E io: "Vabbe', lassamo perde". E lui: "Vabbe' lassamo perde lo dico io, lo dico". E io: "Sine". E lui: "Allora sentite come famo". E io: "Sine". E lui: "Famo che io nun je dico gnente, famo ch'emo scherzato, famo che nun e' successo gnente. Ma mmo' voi ve n'annate e senza fa' casino co' 'sta saracinesca che domani mettetece 'n po' d'ojo. E ffinisce qui. Semo d'accordo?". E io: "Sine". E lui: "None. Sine lo dovete da di' tutt'e cquattro". E noi tutt'e quattro: "Sine". E fini' cosi'.
Ma mentre uscivamo ci dicemmo che il primo che s'arrendeva era cornuto, oramai era una questione di punto d'onore riuscire a farlo il gruppo di studio, porca la paletta.
Pippetto lavorava al bar del sor Augusto Mozzicone (che lo chiamavano mozzicone per via del padre che lo chiamavano Mozzicone pure a lui per via del nonno che l'avevano chiamato Mozzicone perche' quando c'era la luna piena la notte si mozzicava dappertutto sui bracci e dicevano che era un lupo mannaro e che si mozzicava le braccia sue perche' non voleva rischiare di mozzicare la moglie, che tanto poi l'aveva lasciato lo stesso e allora lui le aveva tirato una schioppettata e non fini' in galera perche' era delitto d'onore pero' lo chiusero in manicomio e buttarono la chiave. La gente diceva pure che pure il figlio era un lupo mannaro pero' piu' civile, e che era lupo mannaro pure il figlio del figlio, cioe' il sor Augusto, io pero' a fare il lupo mannaro non ce l'ho visto mai. Bella lunga 'sta parentesi, eh? E tutta in italiano schietto).
E che ti s'inventa Pippetto? Chiede al sor Augusto se a una cert'ora della notte, visto che il bar non chiudeva mai ma dopo le due e fino a verso le quattro i clienti erano pochi e niente, potevamo usare la sala del biliardo per farci il gruppo di studio se nessuno giocava a biliardo. Il sor Augusto, che Dio lo benedica, disse di si'.
Ma quando ci provammo, alle due, due e mezza, eravamo tutti troppo stanchi per fare il gruppo di studio, cosi' decidemmo di giocare una partita a biliardo e di non pensarci piu' per quella notte. Ci riprovammo altre due volte, ma fini' come la prima volta, solo che una volta giocammo a tressette e un'altra stavamo giocando a morra quando ti si presenta Giggetto la guardia (la guardia del Comune, non la guardia notturna che e' un'altra cosa) che l'aveva svegliato il sindaco perche' c'erano gli schiamazzi notturni e allora smettemmo di giocare a morra e andammo a dormire. Era stata una buona idea quella del bar, ma non aveva funzionato.
Cosi' alla fine dovemmo rinunciare, e continuammo a leggere ognuno per conto suo il Corriere dello sport, Satanik, Caballero e Le ore, e il massimo della socializzazione delle conoscenze era che ce li scambiavamo dopo averli letti (e delle ultime due testate anche dopo averne fatto qualche altro uso, e chi capisce capisce e chi non capisce e' meglio cosi').
E' una storia vera, e come tutte le storie vere e' una storia istruttiva, dimostra che la lotta del proletariato non e' un continuo di vittorie, magari, ma si conoscono anche sconfitte e arretramenti. Dolorose sconfitte e gravi arretramenti. Ma non si ferma la lotta del proletariato, e un giorno l'umanita' sara' libera, e allora quell'umanita' finalmente felice, giusta, fraterna, si ricordera' di tutti i compagni che nei tempi passati si sono battuti per il comunismo e la liberta', si ricorderanno di noi, delle nostre lotte, e quando ci penso mi sento contento, contento per loro, che saranno liberi e felici grazie alla dittatura del proletariato, e mi sento contento pure per me che mi sembra di aver sprecato la vita e invece non e' stata tutta sprecata, no, perche' si ricorderanno di noi e allora tutti questi patimenti che ho sofferto - che abbiamo sofferto, tutti noi oppressi dall'inizio dei tempi fino a quel giorno - allora avranno un senso. E ci penso e sono cosi' contento che me metto a piagne. A piagne da solo. Si puo' essere piu' scemi di cosi'?
E questa era la storia di quando facemmo il gruppo di studio.
Proletari di tutti i paesi, unitevi!
4. LA COMUNE NEMICA
E' la guerra la comune nemica dell'umanita'.
Tutta l'umanita' si coalizzi contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni.
Il primo diritto che tutti gli altri fonda e consente e' il diritto a non essere uccisi.
Il primo dovere di ogni essere umano e di ogni umano istituto e' il dovere di salvare le vite.
*
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Cessare di uccidere, salvare le vite.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
5. DI NOTTE, SCRUTANDO IL MARE
I.
Solo a questo riesco a pensare:
alla morte, alla morte che arriva.
Alla guerra che uccide e che uccide
alle mandrie infinite di schiavi
alla marcia a scorpioni e frustate
e neppure uno spettro per l'Europa.
Solo a questo riesco a pensare:
alla morte, alla morte che arriva.
E vorrei pur pensare alle stelle
come al mare dei fili dell'erba
che accarezza gentile e furioso
del suo soffio il vento silente.
Solo a questo riesco a pensare:
alla morte, alla morte che arriva.
Chi produce le armi assassine?
Chi si presta a sganciare le bombe?
Chi avvelena i pozzi di tutti?
Ch frantuma le ossa a sua moglie?
Solo a questo riesco a pensare:
alla morte, alla morte che arriva.
Ferme al dazio le navi negriere
delle carni di uomini e donne
il commercio fiorisce e fiorisce
non hai Circe che possa salvarci.
Solo a questo riesco a pensare:
alla morte, alla morte che arriva.
II.
Io che fui alla scuola di Timandro
di Eleandro alla scuola e allora seppi
che non c'e' altra virtu' che la virtu'
di recare soccorso agli infelici
e lottare senza requie contro il male,
io che serbo ancora il sogno di una cosa
e che so che e' solo sogno ma che i sogni
sono veri se tu fai la cosa giusta:
soccorrere, accogliere, assistere tutti,
salvare le vite che gia' sono cosi' brevi,
io che ebbi proprio tutte le fortune
e di tutte le fortune la maggiore:
di sapere che l'umanita' e' una sola
di sapere che ogni vita e' un valore
e una stessa sorte tutti ci fa uguali,
io lo so che non c'e' io se non c'e' tu
io lo so che non si esiste senza un noi
e che unica e' la scelta: amore o morte
ed a tutte le menzogne e le oppressioni
io, tu, noi dobbiamo opporci ora e sempre.
III.
Dopo il deserto il mare
alle spalle le lance insanguinate
dinanzi i muraglioni dell'impero
dall'alto piovono frutti di fuoco
e noi qui soli, nuda umanita'.
Senza illusioni, senza speranze
solo persuasi del nostro dovere
di recare aiuto a chi soffre
di condividere questa dura vita
questo mondo di orrori e di vertigini
e questo pane, questo giaciglio
questa casa fatta solo di parole
questa festa fatta solo di sguardo
e di respiro.
In questo dovere trovando
una sobria, una lieve, luminosa
felicita', compagne e compagni.
6. L'ALTRA, LA VERA, LA NOSTRA POLITICA
Trovo miserabile una politica che non dedichi tutte le sue energie ad opporsi alla guerra, ad opporsi al razzismo, ad opporsi al maschilismo, ad opporsi alla schiavitu' e all'ecocidio.
E trovo quindi ignobili tutte le organizzazioni politiche che invece di adoperarsi per la pace, i diritti umani di tutti gli esseri umani (ed in primo luogo di tutte le donne del mondo), per un'economia di giustizia e di rispetto della natura, contro un'organizzazione fascista della societa' e un'oppressione di classe giunta ormai in gran parte del mondo a livelli di puro orrore, continuino nello squallido teatrino della societa' dello spettacolo.
Se non vi fosse stata per decenni e decenni un'opera diseducativa e di narcotizzazione di massa non sarebbe possibile che nel nostro paese, ad esempio, oggi tutte le principali organizzazioni politiche siano fondate sulla leadership di capi carismatici la cui barbarie e' a tutti evidente, e perseguano fini piu' che autoritari totalitari tout court.
Ma questo, hic et nunc, e' lo stato del mondo.
*
Ma si illuderebbe chi credesse che a un ceto politico corrotto corrispondesse una societa' civile non infetta. In verita' paese legale e paese reale - per usare di questa vecchia formulazione - si rispecchiano e fanno corpo.
Il che significa, dal nostro modesto, modestissimo punto di vista, che ad alcun compiti necessari ed urgenti dobbiamo attendere, ed attendervi noi senza attendere che altri lo faccia: come amava dire Gandhi, sii tu il cambiamento che vorresti vedere nel mondo.
Partecipando qualche giorno fa a un corteo per il No al referendum ci dicevamo con un vecchio amico e compagno di mille battaglie che l'eta' media dei manifestanti era oltre i cinquant'anni. Non era ne' una battuta, ne' uno sfogo tra noi vecchierelli; con una sia pur evidente forzatura era una mera constatazione. Ed anche di questo dovremmo ragionare.
Questi compiti io vedo i piu' urgenti, e li elenco costi' per semplicita' di comunicazione:
1. opporsi alla guerra, e quindi alle armi e agli eserciti, a tutte le armi, a tutti gli armigeri, a tutte le uccisioni;
2. opporsi al razzismo, e quindi innanzitutto soccorrere, accogliere, assistere ogni persona che in fuga da guerra e fame, da dittature e disastri, qui cerca di giungere per salvare la vita;
3. opporsi al maschilismo che e' la prima radice e il primo paradigma di ogni violenza;
4. opporsi ad ogni ulteriore aggressione alla biosfera ed anzi intraprendere politiche di risanamento ambientale e di contenimento e riduzione dell'inquinamento prodotto;
5. riorganizzare il movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per la liberazione dell'umanita' e ricostruirne una rappresentanza politica che porti anche nelle istituzioni democratiche la sua lotta, il suo programma di comune emancipazione e di condivisione e difesa dei comuni diritti e dei beni comuni;
6. scegliere la nonviolenza come unica teoria-prassi adeguata alla lotta che dobbiamo condurre per la salvezza dell'umanita' e della biosfera;
7. difendere lo stato di diritto, costituzionale e democratico, come assetto che garantisca diritti civili, politici, sociali ed umani, finche' l'umanita' unificata, autocosciente ed autoriconoscente non sappia trovare forme piu' adeguate di organizzazione sociale che garantiscano i medesimi diritti;
8. sperimentare fin d'ora forme di produzione e riproduzione sociale, di civile convivenza e piena condivisione dei saperi e dei beni, di mutuo soccorso e rispetto reciproco, di democrazia consiliare fondata sul metodo decisionale nonviolento del consenso;
9. estendere quanto piu' possibile le forme e le pratiche nonviolente di gestione e risoluzione dei conflitti;
10. non indulgere giammai al mentire: quel che non sappiamo, ammettere di non saperlo; quel che sappiamo, socializzarlo; quel che e' discutibile, discuterlo insieme; insieme camminare o ristare ascoltandoci - ascoltando la voce dei presenti, riascoltando la voce dei passati (conservandone quindi le tracce, meditandone quindi le lezioni), immaginando la voce dei venturi.
*
E nell'immediato, ad esempio:
I. quanto all'opposizione alla guerra: drastica riduzione delle spese militari; avvio del piu' rigoroso disarmo; cessazione della partecipazione italiana alle guerre in corso; cessazione di ogni complicita' del nostro paese con regimi violatori dei diritti umani e recessione da ogni alleanza militare; promozione dei corpi civili di pace e della difesa popolare nonviolenta;
II. quanto all'opposizione al razzismo: riconoscere a tutte le persone il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro; riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che nel nostro paese vivono;
III. quanto all'opposizione al maschilismo: sostenere i centri antiviolenza del movimento delle donne; applicare integralmente la Convenzione di Istanbul;
IV. quanto alla difesa della biosfera: opporsi all'ulteriore consumo di territorio; fermare le attivita' produttive e correggere gli stili di vita incompatibili con la difesa della biosfera casa comune dell'umanita'; risanare per quanto possibile quanto avvelenato e devastato;
V. quanto ai rapporti di produzione e di proprieta': inverare l'impegno al primato del diritto di ogni essere umano alla vita, alla dignita', alla solidarieta';
VI. quanto alla difesa della democrazia e dello stato di diritto: innanzitutto vincere il referendum con cui impedire il golpe, votando No alla riforma costituzionale voluta dal governo degli apprendisti stregoni.
Senza odio, senza violenza, senza paura.
7. GLI ABRACADABRA DEL GOVERNO
Talora, ohibo', la realta' rilutta ad adeguarsi alle parole magiche. E valga il vero.
In pro della sua riforma costituzionale il governo afferma che essa semplifica, risparmia, velocizza.
Semplifica a tal punto che dove una era la procedura per approvare le leggi, ora sono una pletora in contraddizione tra loro - con conseguenti prevedibili contenziosi i cui tempi biblici incepperanno definitivamente il parlamento e favoriranno il disegno di ridurlo a mero ratificatore dei diktat del governo.
Risparmia a tal punto che la montagna partorisce il topolino di ridurre forse le spese del Senato di un modesto quinto, ma al prezzo insostenibile di ridicolizzare, mutilare e invalidare il Parlamento come organo istituzionale detentore del potere legislativo; se questo era il fine allora il governo sia coerente fino in fondo: c'e' un modo di risparmiare molto di piu', basta far prendere tutte le decisioni a un solo Cesare. E la forca per chi obietta.
Velocizza a tal punto che l'attivita' del Senato verra' svolta da consiglieri regionali e sindaci in trasferta turistica il fine settimana a Roma, che tra una visita al Colosseo e una a San Pietro approveranno il menu dal governo predisposto, per poi il lunedi' tornare di corsa in Comune e in Regione che c'e' il lavoro arretrato che aspetta.
*
I giovinotti giunti al governo neppure loro sanno come, ignorano forse che la democrazia e' una procedura lenta e complessa, che lo stato di diritto si regge sulla separazione e l'equilibrio dei poteri, che quando il governo decide tutto (e tutti gli altri zitti e mosca) quel regime si chiama dittatura.
Ignorano che la fretta e' una cattiva consigliera; che una societa' senza conflitto e' morta; che il bello della liberta' e' poter discutere prima di agire e decidere insieme cio' che reca migliori e maggiori benefici per tutti e fa comunque meno danni; che il sistema delle garanzie giuridiche - dei diritti fondamentali come dell'articolazione e del controllo dei poteri - non puo' essere sussunto agli interessi di governanti pro tempore; che non solo in campo bioetico ed ecologico vale il principio "In dubio, contra projectum".
Sono giovani, e molto si puo' loro perdonare. Ma non si puo' consentire che azzannino e sbranino la costituzione repubblicana, che facciano scempio della democrazia, che demoliscano lo stato di diritto per sostituire tutto cio' con un'anomica autocrazia. In questo nostro sventurato paese abbiamo gia' fatto amara esperienza del regime in cui il detentore del potere esecutivo decide tutto per tutti, e non e' stata una bella esperienza: l'ultima volta fini' con una guerra mondiale e cinquanta milioni di morti.
Se ne persuadano gli apprendisti stregoni attualmente al governo: votando No al referendum sulla riforma costituzionale facciamo del bene a tutti, quindi anche a loro.
*
No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.
Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo degli apprendisti stregoni votiamo No.
Senza odio, senza violenza, senza paura.
8. OPPORSI ALLA GUERRA, SALVARE LE VITE, COMBATTERE IL MALE FACENDO IL BENE
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
9. LUCIO EMILIO PIEGAPINI: LA PROVA
"... autos gar ephelketai andra sideros"
(Omero, Odissea, XIX, 13)
Ti mettono in mano una pistola, ti puntano un'altra pistola alla tempia e ti dicono di sparare alla testa di uno legato che ti guarda con occhi imploranti e se tu non spari a quel poveraccio sparano a te e amen. Vi e' mai capitato? Se vi e' capitato e siete ancora vivi e' chiaro che avete sparato. Anche a me e' capitato. Chi non ci si e' mai trovato si astenga da ogni commento, grazie.
*
Come ci sono arrivato? Come sempre, al termine di un lungo cammino. Ma di questo parleremo dopo. Adesso vorrei porvi una domanda: siete proprio sicuri che a voi non sia mai capitato?
Quanta gente e' morta in Congo perche' tu possa avere il tuo telefonino? Mentre il tuo governo bombardava la Libia tu cosa hai fatto per fermarlo? Lo spreco e l'inquinamento che produci avra' o no a che vedere con chi muore di fame? Le merci che compri sono o no legate a forme di sfruttamento schiavista? Dite che non lo sapete? E da quando ignoranza equivale a innocenza? Lo so, e' troppo facile. Era solo per capirci. No, no, non sto dicendo "tutti colpevoli quindi nessun colpevole", al contrario. Sto dicendo l'esatto contrario (ma quale e' l'esatto contrario?). Comunque la storia e' questa, se vi interessa ancora.
*
All'inizio volevo solo darmi una mossa, cioe' imboccare qualche scorciatoia, non restare a fare la muffa; lo sapete com'e', non facciamo gli ipocriti. Per questo mi misi col Roscetto a fare quel lavoro. Lo so che e' reato, grazie tante. Invece l'usura da parte delle banche no, eh? Invece i bombardamenti sono una bella cosa, eh? Pero' non e' che ci restai tanto col Roscetto perche' c'ebbe la bella idea di farsi trovare con la refurtiva dentro casa, e allora ci penso' lo stato a dargli una casa. Qunado usci' era diventato una larva. Non ho mai avuto il coraggio di chiedergli che gli era successo li' dentro; Ma quando lo rividi mi dissi che prima di farmi beccare facevo una strage, e l'ultimo colpo me lo tiravo in bocca. Cosi' andai a cercarmi una rivoltella, che fino a quel momento ciavevo solo il coltello. Fu per via della rivoltella che conobbi Cesarone. Io la volevo comprare ma lui mi disse che me l'affittava e io gli chiesi quanto voleva e lui disse niente, niente voglio, basta solo che se ti chiamo tu arrivi. E io: arrivo dove? E lui: quando ti chiamo. E io: ma pe' ffa' cche? E lui: gnente. E mi lascio' il ferro e tre caricatori. Io continuavo con gli appartamenti per conto mio ed ero l'uomo piu' prudente della baleneria. Poi, saranno passati tre, quanttro mesi? una sera mentre stavo al bar del sor Augusto che giocavo a flipper arriva quel rubagalline di Gnagnarella e mi dice: Te cerca Cesarone. Allora io: E che vo'? E Gnagnarella: Te cerca e basta. E io: E 'ndo lo trovo? E lui: E 'ndo lo voi trova'? ce lo sai 'ndo lo trovi. E a dire il vero lo sapevo, lo sapevano tutti al paese 'ndo stava Cesarone. Ciaveva un negozio di elettricita', pero' vendeva tutto, ma veramente tutto, qualunque cosa ti serviva da Cesarone la trovavi. Non era esposta nel negozio, e' chiaro, ma tu chiedevi e lui in ventiquattr'ore te la portava. Roba buona a prezzi modici. Magari conveniva che poi gli davi una riverniciata, o cambiavi qualche pezzo per non farla proprio riconoscere facile facile. Pensava sempre lui pure a quello. Perche' oltre il negozio ciaveva l'officina, il magazzino e la squadretta. La squadretta serviva sia per procurare la merce, sia - diciamo cosi' - per ritirare i volontari contributi che ogni commerciante ed ogni artigiano elargiva al Comitato organizzatore (delle feste patronali e non solo) di cui Cesarone era presidente ed amministratore unico, sia per rimettere in carreggiata chi andava fuori strada, e chi va fuori strada si fa male, male si fa.
Cosi' dovetti lasciare il flipper a Gnagnarella, che mi scocciava pure parecchio perche' io a flipper sono un dio e lui invece la schiappa delle schiappe, e filare da Cesarone che gia' la cosa non mi sconfinferava per niente. Anche perche' come tutti pur'io gia' contribuivo al Comitato organizzatore e ogni volta le tariffe erano peggio, e invece nel mio ramo produttivo raramente capita l'affarone, specialmente se sei uno prudente, e il piu' delle volte rimedi due ninnoli che poi ti ci danno una mseria con la scusa che e' difficile piazzarli.
"Bonasera, Cesaro'", dissi. "Ecchete, finarmente". "Quanno m'hai chiamato so' vvenuto". "De malavoja". "Que' nu' lo po' di'". "Senti senti, e che mmo' lo dichi tu quello che pozzo o nun pozzo di'? Ner negozio mio lo so io quer che pozzo di', e io dico che sse' venuto de malavoja". "Di' 'n po' ccome te pare". "Ce poi scommette". "E allora?". "E allora che?". "E che ne so, se' tu che m'ha' fatto chiama'". "E ssi tt'ho ffatto chiama ce sara' 'n motivo, no?". "Apposta". "Apposta". "E allora?". "Aho', vedi de nun fa' l'antipatico che te corco qui 'ndo te trovo, eh?". "Ma 'nzomma se po' sape' che vvoi, o no?". "Hai da fa' 'n lavoretto". "Nun se ne parla". "Avoja si sse ne parla, anzi: avemo ggia' parlato, fa' 'l lavoretto e zzitto, che te convene pure a tte". "Io lavoro pe' cconto mio". "Ma la bajaffa l'hae voluta, no? E e' la mia o nno? E quanno te l'ho ddata te l'ho ddetto o no? E allora bbasta. Stanotte hae da 'nna' co' Morizzietto e Ciampicone a ffa' 'no spaccetto, robba de gnente. Fatte trova' dar sor Agusto a le dieci precise". "Nun se ne parla". "Precise, ho detto. E mmo' vattene che cio' da lavora', che io lavoro e nu' lo butto tutto 'l tempo a gioca' a flippe".
Comunque la sera alle dieci e mezza ero al bar, arriva Morizzietto e mi dice "L'hai gia' preso il caffe'?". E io: "Si'". E lui: "Allora 'nnamo". Di fuori sulla macchina ci aspettavano Ciampicone e Alibbabba'. Ciao, ciao, come butta, che se dice, eccetera. Al paese ci conosciamo tutti. E si parte. Morizzietto mi fa: il ferro ce ll'hae, si'? E io: si'. E lui: bravo soldato. E io: ma sse po' ssape' che ss'ha dda fa'? E lui: aspetta che vegghi che lo capisci da solo.
Dopo una mezz'ora arriviamo al paese di ***, che io ci conosco diverse persone perche' una volta facevo l'amore con una di li' e allora ci andavo spesso colla Gilera.
Ciampicone che guidava inbiffa dentro un vicoletto e poi in un altro e fa un sacco di giri che secondo me faceva finta ma non trovava la strada. Alla fine comunque si ferma davanti a una fontanella e scendiamo tutti meno che lui. Allora Morizzietto: Spedizione punitiva e diritto di razzia, ce li avete i passamontagna? E io: Io no. E lui: E allora tu a faccia scoperta, cosi' te 'mpari a nun presentatte quipaggiato; almeno la bajaffa ce l'hae, si'? E io: Quella si'. E lui: Allora tirala fora e viemme appresso. Da' una spallata a un portonaccio e lo apre, poi Alibbabba' si ferma nell'androne e Morizzietto e io su per le scale, buie e puzzolenti. Al terzo piano dice: Ce semo, mo' busso, preparete. Bussa, aspetta mezzo minuto, bussa un'altra volta, aspetta un altro mezzo minuto e poi apre con una spallata. Con la torcia trova l'interruttore, accende la luce. Nessuno, nessuno in tutto l'appartamento. "E' ffuggito l'ucelletto, ma tanto 'ndo vae che te chiappo, te lo metto io 'l sale su la cova, veggarae". Poi rivolto a me: "Se' tu l'esperto, trova quello che vale la pena, 'nsacca e 'nnamo". Roba di valore niente, ma in dieci minuti due pistole, un mezz'etto di fumo, due mazzette (una robusta tutta da cento euro e una un po' meno) erano saltati fuori. Meglio di niente. Ci prendemmo pure tutte le birre che trovammo e due stecche di sigarette, e per ricordo Morizzietto con un coltello sull'armadio (bello, antico, di legno massiccio) ci incise un cappio. "Cosi' 'l Gabbibbaccio capisce". Al ritorno prima di arrivare al paese ci fermammo e ci bevemmo tutte le birre e spartimmo le sigarette; tutto il resto andava al capoccia che poi decideva lui se ci scappava un regaletto, siccome per me era la prima volta mi permisi di dire che il regaletto se eravamo tutti d'accordo ce lo potevamo pure fare da soli subito, e tutti a ridere come matti. Poi Alibbabba' mi disse che una squadretta che una volta l'aveva fatto Cesarone non l'aveva ammazzati subito, no, prima l'aveva fatti lega', apri' e 'npicca' tutti e quattro, e mica impiccati per il collo, no, e era restato li' a guarda' quei quattro imbecilli nudi come vermi finche' a tutti e quattro gli si era staccato e l'aveva fatti mori' dissanguati (e chi c'era a guarda' pe' 'nparasse dice che con tutta la segatura che c'era per terra tanto le scarpe gli si erano tutte intinte di rosso che poi le aveva dovute butta'). E era verita', perche' poi aveva chiamato proprio Alibbabba' per portare via quella carne morta e farla sparire nel canile. Cosi' adesso sapete pure perche' Cesarone ci ha il canile.
*
Ma non era finita li'. Passa qualche giorno e io stavo ad aspettare che un cretino finisse la partita sua per giocarci io a flipper e si ripresenta Gnagnarella. "'Ndovina 'n po'?". "Ho capito, mo' ce vo', ma oggi t'ha detto male a te, nun sto a gioca' e 'l flippe n' te lo lasso". Arrivo da Cesarone e lui: "M'hae fatto propio ride, m'hae fatto". "De che?". "De volemme frega' ma mme". "Ma quanno?" "Nun ce prova', Lazzaro', nun ce prova' cco' mme". "Boh de che stae a ddi'". "Lo so io, lo so, e ce lo sae pure tu. 'Ntanto gnente regaletto, cosi' te 'mpari". "Boh de che stae a ddi'". "Stasera fatte trova ar solito posto a la solita ora". "Ciove'?". "Ciove' ar bar d'Agustaccio a le diecemmezzo, ch'ete d'anna' a fini' 'l lavoro". "Penzavo ch'evo finito". "E 'nvece none. Hae capito mo'?". "Ho ccapito". "Ma capito capito?". "Capito capito, sine". "Bravo, e riga dritto che sinno' lo sae come t'appicco, si'?". "Ce lo so, ce lo so". "E nun te scorda'". E chi se scordava.
La sera al bar come l'altra volta. "L'hai preso il caffe'?", "Si', ssi' che l'ho preso, annamo". Poi in macchina: "'L Gabbibbaccio 'nfame s'e' nascosto da Ciartruta la fata, ma mmo' lo vede che j'arriv'addosso quanno meno se l'aspetta". Io 'sta Ciartruta la fata nu' la conoscevo, 'l Gabbibbaccio 'nvece l'evo sentito di', che spacciava pe' Cesarone. Stavolta il viaggio fu piu' lungo, fino in citta'. A me la citta' mi piace, perche' non e' come il paese, a parole non lo so spiegare ma si sente che non e' come il paese, e' la citta', ecco. Pero' non e' che noi andavamo proprio nel centro, dove c'era la vita, la vita vera, ma in periferia, tutti casermoni che sembrava un film de fantascienza. A un certo punto se parcheggia e se scenne tutt'e qquattro, e se fa n'antro mezzo chilometro appiede. Rivamo a 'n'antro palazzone uguale a tutti ll'artri. 'Na spallata e 'l portone se apre. Stavolta salimo le scale tutt'e qquattro. Sul pianerottolo Morizzietto me fa: "A te nun te conosce Ciartruta, allora bussi tu e te fai apri', poi: irruzione de massa ed esecuzione e saccheggio, e pure divertimento assicurato". "E che je dico quann'ho bussato?". "Dije che sse' 'n criente, no?". "'N criente de che?". "Ah Lazzaro', e fforza, ancora nu' lo sae qual e' 'r mestiere piu' antico der monno?". "Ah, mo' ho capito". "Bonasera". Insomma busso. E da dentro: "Chi ade'?". "Sora Ciartru', so' 'n criente". "E cchi sse', fijo bello, che la voce tua nun me pare d'ariconoscela?". So' uno novo". "E chi te l'ha detto da veni' qui a scoccia' le bbrave perzone?". "Me l'ha detto uno che cc'e' ggia' stato". "Me sa cche sse' 'no sbirro, me sa". "Ma no, macche' dite". "Me sa che nun te apro, me sa". "Eh, penzavo che se mettessimo d'accordo". "D'accordo de che?". "Sur prezzo de la prestazione". "Aho', nun di' zzozzerie, eh". "No, nno, cche dite. Pero' pago bbene". "Me sa che guasi guasi mo' t'apro". "Sarebbe ora". "Pero' me sa che nun me va d'apritte". "E cco' cento euro?". "P'apri'?". "Pe' ffa' ttutto". "Eh, me sa che nun basteno fijo bello". "E cco' ducento?". "Pe' ffa' cche'?". "'Ntanto aprite che poi vedemo". "Me sa che mica te apro, mica me piace come che parle". "Perche', ch'ho da di'?". "Hae da di' du' cose carine, aho', io so' 'na signora. Eppoi me sa che ttu nun m'hae visto mai". "Apposta te vojo veda". "In cartolina!", e ride.
A 'sto punto Morizzietto pija la rincorsa, 'na spallata e la porta s'apre. Entramo tutt'e qquattro, e Morizzietto e Ciampicone e Alibbabba' ceveno gia' 'l ferro in mano, io vedo Ciartruta e mo' ho capito perche' la chiamaveno la fata, e resto li' a bocca aperta che chi l'eva mae vista 'na donna bella 'n quel mo'? Ma l'artri tre gia' ereno entrate 'n tutte le stanze e ggia' se sentiva la voce de uno che ddiceva "Nu' sparate, nu' sparate, Morizzie', nu' sparate che sso' disarmato". "E chi te spara, risponneva Morizzietto, t'emo da cattura' vvivo, che 'l trattamento completo te lo vole fa' Cesarone de perzona". E tutti a rride, meno 'l Gabbibbaccio, Ciartruta la fata e io ch'ero restato 'ncantato a fissalla.
Quel fesso del Gabbibbaccio, 'nteso che non l'ammazzavano subito, pensa che po' prova' a scappa', ma era propio fesso perche' ce lo doveva sape' che dinanzi al tentativo di fuga era autorizzata l'esecuzione sommaria. Da' 'no spintone a Morizzietto per aprirsi la strada verso la porta de le scale, ma Alibbabba' je fa subbito la cianchetta e appena e' giu' steso per terra Ciampicone gli schiaccia la testa sul pavimento con un colpo col sotto dello scarpone con tutta la forza della zampa e il peso del corpo suo sopra de cencinquanta chili almeno, e se sente la testa del Gabbibbaccio che scrocchia e subito s'allarga sotto la macchia de sangue. Allora Morizzietto guarda Ciartruta e je dice: "Mo' ch'emo cominciato ce tocca da fini', me dispiace Ciartru'". Io me sentivo male, e so' annato de corza a vomita' ar cesso che pero' nun l'ho trovato in tempo e allora ho vomitato nel lavandino de la cucina. E intanto sentivo scrocchia' l'ossa der Gabbibbaccio che oramai eva da esse gia' morto ma Ciampicone continuava a sartaje sopra appieppari e 'ntanto diceva "Mo' te fo senti' du' mosse de Ulcoca, te fo ssenti' Taison, te spiano io, te spiano". E Morizzietto diceva a Ciartrute: "Ah Ciartru', sse cce fae ride, capace che campi 'na mezz'ora de ppiu', eh? che diche?". E lei: "Cesarone lo sa?". "E' Cesarone che cia' mannato e cia' ddetto de fa' piazza pulita e de portasse via tutto. Tu sse' ggia' de li cani, Ciartru'". Io ero frastornato ma cerchai di intervenire: "Un momento, un momento, lei nun c'entra, l'emo da lassa' sta'". E Alibbabba': "E cche ne sae tu, Lazzaro'?". E io: "Lo so pperche' lo dico io". E tutti e tre a rride. Giuro su ddio che manco cio' penzato, ho ttirato fora la rivortella e ho cominciato a sparaje, a tutt'e ttre. E' la bellezza che t'incanta. Ho smesso solo quando ho finito tutti e tre i caricatori, ma loro li avevo gia' ammazzati col primo caricatore, che avevo mirato al cuore e in mezzo alla fronte e da militare ero tiratore scelto. Lei mi guardava e pareva paralizzata. Io non sapevo che dire. Lei non diceva niente. Per fare qualche cosa raccolsi le rivoltelle loro e me le misi in saccoccia. Lei non diceva niente. Allora dissi: "Te voleveno ammazza'". Lei fece segno di si' con la testa. Io ripetei: "Te voleveno ammazza'". Ma lei non si muoveva piu'. Allora dissi: "Adesso serve un piano". Ma lei restava immobile, cosi' le dissi: "Mi senti? Mi capisci?". Allora fece di nuovo segno di si' con la testa. "Potremmo dire che c'e' stato uno scontro a fuoco. Che l'ha ammazzati 'l Gabbibbaccio". Allora lei parlo': "Nun di' fesserie. Qui se po' solo fuggi'. E dde corsa, che co' tutte 'ste schioppettate fra du' minuti arriva la polizia e pure l'esercito. E al piu' ttardi domattina Cesarone sa ppe' ffilo e ppe' ssegno ch'e' successo e allora se' morto pure tu. Se po' ssolo che da fuggia, e dde corza". Aveva ragione. Ed era cosi' bella.
"Dove fuggiamo?", chiesi. "Ognuno per conto suo, rispose, io co' uno matto com'a tte nun ce fuggio manco se mme corre appresso Dragula". Sentivo il cuore che mi si spezzava. "Ti ho salvato la vita", dissi. E lei: "Guarda che affarone ch'hae fatto". E io: "T'ho salvato la vita". E lei: "Vedi d'annattene che io devo cerca' de pija' quattro stracci e 'na valiggia e poi via col vento". Io camminavo verso la porta e dicevo ancora: "T'ho salvato la vita", ma non credo che lei m'ascoltasse piu'.
Scesi le scale come un automa, fuori dal palazzone non c'era nessuno. Mi fermo li', non avevo la minima idea. Dopo due minuti vedo lei che esce, neppure mi guarda, sale su una macchina li' vicino e sparisce.
Allora ho capito che era tutto finito (ma tutto cosa?) e torno alla macchina di Ciampicone, apro col trucco del ferretto, strappo i fili e metto in moto, e via. Non conoscevo le strade ma seguendo la segnaletica uscii dalla citta' e mi fermai al primo autogrill. Avevo una fame da lupi. Mi sembrava che piano piano il cervello ricominciava a funzionare. Dovevo decidere che fare, e la cosa che li' per li' mi parve l'unica possibile fu di tornare al paese e andare da Cesarone e raccontargli della sparatoria e che 'l Gabbibbaccio aveva ammazzato tutti gli altri e io avevo ammazzato lui. Cosi' feci.
Cesarone aveva casa sopra il negozio, si affaccio' alla finestra e mi fece segno di salire. "Cesaro', e' successo un casino, il finimondo e' successo". "Ah si'?". "Coso, 'l Gabbibbaccio, ceva 'na rivoltella e come entramo comincia a spara' dapertutto, mezzoggiorno de foco". "Ah si'?". "Eh, finche' l'ammazzo a forza de botte, a forza de botte l'ho ammazzato, ma esso aveva ammazzato gia' a Morizzietto, a Campicone e a Alibbabba'". "Ah si'?". Quella notte nun disse altro che "ah si'?", nun me disse manco d'anna' a casa, a 'n certo punto s'alzo' dal divano, se giro' verso n'antra stanza e me lasso' lli' e io capii che era ora che me ne andavo.
*
Il giorno dopo sui giornali nun c'era gnente. Ma ggia' la sera era pure su la televisione, e 'l giorno dopo ancora era su tutti i ggiornali d'Itaja. E diceveno dell'efferata strage, e facevano veda pure 'na fotografia di Ciartruta, 'na foto segnaletica che nun j'assomijava manco tanto. E tutti dicevano che il primo a morire era stato calpestato a morte da uno degli altri tre, che poi erano stati ammazzati da qualcuno che poi s'era dato e forse era la donna, o forse era qualcun altro che poi era scappato con la donna. Ero fritto, ero. Ma non riuscii a decidermi a scappare, e per andare dove, poi? Dovevo riscuotere qualcosa da due o tre ricettatori, ma se sparivo ciao core. Liquidi a casa ciavevo poco e gnente. E' strano come in certi momenti in cui sai che devi sbrigarti a svignartela ti prende invece un torpore e stai li' che ti guardi e ti dici: ma che stae a ffa'? ma perche' nun te la squaji? ma nu la senti la sora morte che gia' te sta' a fiata' addosso? E resti li', imbambolato, sciroccato.
Passano tre giorni e niente succede, poi un pomeriggio che stavo come sempre al bar del sor Augusto e che guardavo che giocavano a ramino arriva Gnagnarella e mi dice: "C'e' uno che te cerca". "Mo'?". "Mo'". "E vabbe'".
Come che entro nel negozio Cesarone me fa: "Guarda guarda chi se vede, il nostro eroe de' du' monni". "Che voi, Cesaro'?". "Vedette, no? Anzi: mo' sse 'nnamo a ffa' 'n giretto". "E si nun m'annasse?". "Te va, te va".
Su la machina de Cesarone c'ero io e lui sul sedile de dietro, e du' scagnozzi sui sedili davanti. Vestiti come i gangster dei telefilm americani. Un quarto d'ora e arrivamo al deposito dove Cesarone tene le merci, grosso piu' dde du' campi de pallone. Scendiamo dalla macchina. "E 'mmo' perche' semo venuti qqui?". "Perche' tte vojo fa' veda 'na cosa, 'na cosa bbella, che tte piace de sicuro, Lazzaro'".
Entriamo: era veramente il paese della cuccagna. Mobbili, machine, quadri e statue a mucchi, crocefissi de legno pitturati grossi quante tre cristiani, angioloni d'oro, robba da magna' e dda bbeva a vagonate, cataste de televisioni, de lavatrici, de frigoriferi, vestiti, stoviglie, fucili e mitra, bombammano, e scatoloni de sigarette de tutti i tipi. La cuccagna, la cuccagna.
E intanto cammina cammina in mezzo a tutto quel ben di dio arriviamo a un punto che c'e' Ciartruta legata a 'na sedia. "Hae visto che bellezza, eh, Lazzaro'?". "E allora?". "Allora, allora l'usignolo qui, la nostra bella Gertrude la fata ha cantato, Lazzaro', ha cantato co' ttutti i sentimenti, e mmo' te se' fatto 'n ovo ar tegamino, Lazzaro'". Io la guardavo: era cosi' bella che mi levava il fiato. "E che mmae t'avra' detto, Cesaro'". "Ce lo sae ch'ha detto, ce lo sae, nun fa 'l regazzino, su, ch'e' brutta figura fa ffinta de esse piu' scemo de quanto uno e' scemo davero". "Nun me piace 'sto gioco". "E chi t'ha detto che stamo a ggioca'?". "E allora che voi?". "Che vojo? te vojo aiuta', Lazzaro'; te vojo veni' 'ncontro. Che se te se' fatto que' tre buzzurri quarche qualita' nascosta ce ll'hai da ave' ppure tu, nun pare ma cce ll'hae da ave'". "E allora?". "E allora te sarvo la vita. Ma ppe' sarvatte la vita tocca che tu mme fa' veda che sse' veramente tosto e cche quell'apocalissnau nun t'e' venuta pe' ccaso ma perche' lo sae fa'". "Nun te sto a ccapi'". "Mo' mme capisci, tranquillo. Mo' ttu m'ammazzi 'sta zozzona che tt'ha pure tradito pure a tte, co' ttutto che j'evi sarvato la pelle". "E ccome l'ammazzo? Co' lo sputo?". "No, cco' qque'". E mi mette in mano una rivoltella, poi mi afferra il braccio e mi accosta la mano con la rivoltella alla tempia de Ciartruta. "Mo' ttu je spare, eppoi ne riparlamo".
"Nu' lo pozzo fa', Cesaro', e' ttroppo bbella". "E cche vor' di'?". "Che nun ce la cavo, che non ce la pozzo fa', Cesaro'". "Ma allora nun hae capito, si ttu nu le spare, io te sparo a tte. O mmore lei o mmori tu". "Tanto dopo m'ammazze lo stesso". "E pperche'? Sse' ll'unico superstite de la scuadretta de Morizzietto, sarebbe 'no spreco. E' la selezzione de la spece, nu' la sae la legge de l'evoluzzione che sopravvive 'l ppiu' fforte? Se quel branco de 'mbecille se so' fatti ammazza' e' corpa loro, mica tua". "'Nzomma nun m'ammazzi?". "Se ttu ammazzi a essa, no". Fu allora che tentai l'ultimo azzardo, puntai la pistola contro di lui e sparai. Era scarica. E lui scoppia a ridere, e pure lei scoppia a ridere, e pure i guardaspalle, pero' con qualche secondo di ritardo. "Se' forte, Lazzaro'. Ah Ciartru', hae fatto 'na conquista, hae fatto. Ah Lazzaro', e seconno te te davo n'antra vorta 'na pistola carica doppo che m'hae sterminato la Deltaforze? Se' forte, Lazzaro'". E pure lei rideva e rideva e rideva.
"Mo' ppero' bbasta ride. Tie', que' ade' carica davero. Puntala giusta e spara a 'sta bagascia. Prova a ffa' 'na mossa sbajata e lo senti si' 'sto cerchietto freddo su la tempiaccia tua de testa di cavolo, ce lo senti'? Te furmino prima che dichi a".
*
Ti mettono in mano una pistola, ti puntano un'altra pistola alla tempia e ti dicono di sparare alla testa di una legata che ti guarda con occhi atterriti ed e' la donna piu' bella del mondo e se tu non spari a quell'apparizione celestiale sparano a te e amen. Vi e' mai capitato? Se vi e' capitato e siete ancora vivi e' chiaro che avete sparato. Anche a me e' capitato. Chi non ci si e' mai trovato si astenga da ogni commento, grazie.
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)
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Numero 217 del 21 novembre 2016
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