[Nonviolenza] Telegrammi. 2527
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 2527
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- Date: Tue, 8 Nov 2016 23:03:18 +0100 (CET)
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2527 del 9 novembre 2016
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
2. "La cultura della pace, la politica della nonviolenza". Un incontro di riflessione
3. Alcuni testi del mese di agosto 2016 (parte quinta)
4. Malvolio Straccani: La gente mormora
5. La politica dell'umanita'
6. Una bozza di lettera da inviare al governo
7. E chi muore in ogni guerra?
8. Malvolio Straccani: Un minuto di riposo
9. Segnalazioni librarie
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
1. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA
Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.
2. INCONTRI. "LA CULTURA DELLA PACE, LA POLITICA DELLA NONVIOLENZA". UN INCONTRO DI RIFLESSIONE
Si e' svolto la sera di martedi' 8 novembre 2016 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione sul tema: "La cultura della pace, la politica della nonviolenza".
All'incontro ha preso parte Paolo Arena.
*
Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato tre cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta. Cura il sito www.letterestrane.it
3. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI AGOSTO 2016 (PARTE QUINTA)
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di agosto 2016.
4. MALVOLIO STRACCANI: LA GENTE MORMORA
Perche' la gente mormora? Perche' il paese e' piccolo.
E ve lo voglio dimostrare.
Eravamo andati con Armandino e Palmiro all'osteria di Otello, e ridendo e scherzando era passato tutto il pomeriggio e s'era fatta sera. Bere, avevamo bevuto, altrimenti che ci eravamo andati a fare all'osteria, a cambiare aria? E avevamo giocato a carte, pure. E quando giochi a carte qualcuno perde per forza. E noi eravamo tutte e tre senza una lira in saccoccia. E Pippetto il biscazziere voleva i soldi. E si sa che Pippetto aspetta tre giorni e poi ti manda a cercare da Scrocchiallossi. E' sempre cosi', una cosa tira l'altra. Siccome ne' a me, ne' a Palmiro e neppure a Armandino ci piace che ci rompono l'ossa, usciti dall'osteria pensammo di levarci subito il pensiero e di andare a fare un affaruccio cosi' da pagare Pippetto la sera stessa. Il fatto e' che nel paese ci conoscono tutti, manco ciavessimo la peste, e il ramo delle estorsioni e' gia' occupato e se si sgarra 'l zi' Paradosso - che e' quello che mette ordine in paese, e per rispetto e gratitudine riceve il suo spicchio di ogni profitto - non ti manda Scrocchiallossi ma Bufalo Bille, che se si chiama Bufalo Bille si capisce che c'e' un motivo, e infatti si e' gia' fatto - dice lui - sette clienti, "senza contare i messicani" (che a lui gli pare una gran spiritosata, ma 'ndo li trovi qui i messicani? a Cinecitta'?).
Irre e orre, si decide di fare un appartamento. Anzi, una villetta. Ma qui in paese dove le trovi? Bisogna spostarsi. Io la macchina non ce l'ho e la patente me l'hanno levata, 'st'infami. Armandino farebbe un incidente pure col triciclo, e Palmiro di sera non ci vede. Per fortuna incontriamo quel trippone del Gattoroscio che cia' l'apetto. Pero' si spartisce in quattro. Per forza. E via.
Devo essere il meno ciucco oltre che il meno scemo della banda, perche' mentre andiamo verso Villa Santa Maria gli altri tre cantano a tutto volume La societa' dei magnaccioni almeno cento volte di seguito e invece a me mi viene in mente che se le cose si mettono male tentare la fuga con l'apetto del Gattoroscio significa che l'unica speranza e' che le guardie si mettono a ridere cosi' forte da pisciarsi sotto e dover rinunciare all'inseguimento per cambiarsi il pannolone. Provo a dire: "Rega', un momento", ma figurati tu se mi stanno a sentire. Comunque quando ci avviciniamo a Villa Santa Maria se non altro si azzittano. Occorre fare un piano. Le cose piu' semplici sono sempre le migliori, cosi' decidiamo che la prima villetta che vediamo con le luci spente sara' il nostro obiettivo. E come volevasi dimostrare tutte hanno le luci accese. Cominciamo a rastrellare tutte le strade con movimento bustrofedico (non ve l'aspettavate, eh, che sapevo le parole difficili? E se vi dicessi che da giovane sono stato in seminario che volevo farmi prete, eh? E guardate come sono finito).
Passiamo a un altro quartiere, e intanto si fa sempre piu' tardi. Chiedo al Gattoroscio se c'e' la miscela, che non voglio rischiare che sul piu' bello l'apetto si ferma. E il Gattoroscio mi fa vedere che ha una tanica piena, col tubo vicino che ancora sgocciola. E si ricomincia: una via all'insu', la traversa, e la parallela all'ingiu', la traversa, e la parallela all'insu', e cosi' via. Sara' l'una di notte, ma perche' 'sta gente non ci va a dormire, per fare dispetto a noi? O sara' passato Pippetto? Raccontano che una volta c'era uno che gli doveva dare un botto di soldi e che il penultimo giorno gli aveva detto che quella notte andava a farsi una casa, e allora Pippetto, solo per divertirsi, la sera fece passare uno con una macchina con l'altoparlante che avvisava tutte le famiglie del quartiere che quella notte si prevedevano furti e era meglio tenere le luci accese. Non lo so se la storia e' vera, so che a Mimmone, che era quello che gli doveva dare i soldi, poi gli mozzarono tre dita della mano sinistra per ricordargli che i debiti si pagano. O forse glieli mozzarono uno alla volta in tre diverse occasioni, o una volta gli mozzarono un dito e la seconda altri due, non mi ricordo piu'. Ma che Mimmone era senza tre dita sono sicuro. E' morto in galera, pace all'anima sua. Giocavamo a pallone insieme (ma qui al paese tutti giocavamo a pallone insieme).
Dopo esserci fermati a una fontanella per bere un po' d'acqua fresca in mancanza di meglio, torniamo a setacciare il primo quartiere. E ormai saranno le due. E finalmente qualche casa al buio c'e'. Ce ne sono tre di fila di villette al buio. Si fa quella in mezzo, passiamo prima all'ingiu', poi ripassiamo all'insu', poi ripassiamo all'ingiu', poi parcheggiamo l'apetto sulla terza traversa a scendere, bella buia. E a piedi zitti zitti piano piano ce ne torniamo verso la villa. Sul davanti c'e' una cancellata, ma sugli altri lati un muro di un paio di metri, e di sicuro sopra ci saranno i soliti cocci aguzzi di bottiglia. Quindi ci portiamo la coperta. Tiriamo su la coperta, poi mi issano su. Da sopra io tiro su Armandino e poi insieme tiriamo su Palmiro. Il Gattoroscio resta giu' a fare il palo, anche perche' per tirarlo su ci vorrebbe il carro attrezzi. Di la' dal muro il solito giardinetto e pure coi sette nani di gesso, che e' una cosa che non posso sopportare. Ma siccome siamo li' per lavoro stanotte non glieli scapoccio. Le finestre al pianterreno hanno le grate; questi imbecilli, cianno 'sta casa che pare un castello e ci vivono carcerati. Ma quelle del primo piano no, e siccome e' estate sono pure aperte. Tiriamo su Armandino che e' il piu' agile e da' uno sguardo dentro; ci dice bene che abbiamo trovato una finestra che non e' della camera da letto. Poi salgo io sulle spalle di Palmiro e Armandino mi tira su. Palmiro lo lasciamo di sotto, che di notte e' mezzo cieco, gli passeremo la roba man mano che troviamo qualcosa di buono.
*
I vecchiacci russavano. Siamo scesi al pianterreno e Armandino ha acceso la torcia e se l'e' messa in bocca: glielo avro' detto mille volte di non ficcarsi in bocca quel pezzo di ferro che sara' pieno di germi, ma lui l'ha visto in un film e non c'e' verso di far prevalere le ragioni della sanita' su quelle del divismo. Stanza dopo stanza l'unica cosa di facile asporto che troviamo e' un po' d'argenteria, poca roba ma meglio di niente. Di risalire al primo piano e arrischiare di entrare nella camera da letto dei vecchi non ci va, potremmo dare uno sguardo nelle altre camere ma ci siamo fatti l'idea che non ne valga la pena, magari torniamo un'altra volta attrezzati per portar via quadri e mobilia se i vecchi non ci sono. Quanto ad arrivare ai piani ancora superiori non ci sfiora neppure l'anticamera del cervello, e' come mettersi in trappola da soli. Si decide di prendere anche qualche bottiglia in cucina e di andarcene. Da una finestra attraverso la grata passiamo candelieri e posate e un paio di tovaglie per farci l'involto a Palmiro e gli diciamo di aspettare che andiamo in cucina a vedere se c'e' qualcosa di buono. In cucina troviamo certe credenzone piene di bendidio, e prendiamo non solo un bell'assortimento di bottiglie di vino e di liquori, ma un prosciutto pure quasi intero, pane e companatico vario e frutta a volonta'. Ci mettiamo di piu' a trasbordare la roba dalla cucina che tutto il resto, ma il prosciutto non c'e' verso di farlo passare attraverso la grata; bisogna che esca con noi. Andiamo alla porta d'ingresso ma notiamo subito in alto a destra una scatoletta con la sua lucetta rossa che di sicuro e' un antifurto. Torniamo indietro e senza perder tempo a vedere se c'e' una porta di servizio decidiamo di uscire da dove siamo entrati, cosi' ci apprestiamo a salire di nuovo al primo piano, col prosciutto che spande intorno a noi un odore paradisiaco, un profumo di vittoria. Ma mentre stiamo per cominciare a salire le scale si accende una luce sulla scalinata e vediamo qualcuno che scende dal secondo piano, si ferma al primo, resta un po' davanti alla porta della camera da letto dei vecchiacci o forse l'apre e mette dentro il naso, poi scende di sotto. Sono queste le storie che non mi piacciono.
*
Io e Armandino ci mettiamo i passamontagna. Ci portiamo sempre i passamontagna, ma a me il passamontagna non mi piace per niente. Intanto sono asmatico e ci respiro male; poi mi da' fastidio sulla pelle e penso sempre che e' pieno di germi visto che lo tengo nella saccoccia della giacca dove ci metto di tutto, poi ho paura che per sbaglio ce lo scambiamo e non mi va di prendermi i pidocchi degli altri, e la cosa peggiore di tutte e' che non ci sento bene (e siccome quando ci si mette il passamontagna si parla sottovoce e ci si deve capire al volo, questo e' un problema serio). Svelti svelti ci nascondiamo in un ripostiglio ricavato sotto la scalinata, sempre col prosciutto. Armandino spegne la torcia e restiamo immobili e in silenzio. Ma c'e' poco da fare, l'effluvio del prosciutto e' il magnete dei magneti, la porta del ripostiglio si apre, la luce viene accesa e una voce di giovane donna sussurra: "Armandi', ma che stai a ffa'?". E' Grazielletta, la ragazza di Armandino, e l'ha riconosciuto pure col passamontagna. Allora lui: "Ah Grazzielle', ma che stai a ffa' ttu qui?". E lei: "Come che sto a ffa', sto a ffa' la badante, ce lo sai". "Ne 'sta casa?". "E 'ndove senno?". "Ecco fatto, mo' ssi' che ssemo messi bene", concludo io.
"Semo venuti a ffa' 'n lavoretto", farfuglia Armandino.
"Armandi', ma che mi vuoi far finire in galera? Figurati se non mi condannano per favoreggiamento e concorso" (Grazielletta si' che sa parlare, mi e' sempre piaciuta - in senso platonico, sia chiaro, e' la ragazza di Armandino e tra amici certe cose non si fanno).
Insomma, in quattro e quattr'otto ci fa una lezione di diritto penale e ci spiega che ci tocca rimettere tutto a posto, e per fortuna che lo sa lei dove vanno rimesse le cose. Cominciamo dal prosciutto, che gia' ci avevo fatto la bocca e invece zero carbonella.
Poi mi affaccio alla solita finestra con la grata e dico a Palmiro di ripassarci la roba che gli abbiamo passato prima, e lui che si sta a scolare una bottiglia mi risponde: Ah Spartache', ma che te sei bevuto 'l cervello? Allora io: Aridamme la robba che c'e' Grazzielletta. E lui: Grazzielletta de Armando? E io: Eh, proprio essa. E lui: E 'nda do' scappa fora? E io: Ce lavora qui, cce lavora, e sse famo 'l lavoretto je' danno favoreggiamento e concorso. E lui: E allora che sse fa'? E io: Rimettemo a posto tutto e via. E lui: E come famo? E io, esasperato: Come 'll'antichi, che magnavano la scorza e buttavano i fichi. E allora lui: E nun se po' ffa', pperche' la robba l'ho ggia' passata al Gattoroscio. E come hai fatto? Io nun ho ffatto gnente, e' stato lui che ha trovato che nel muro del giardino propio dietro a la casa c'era un cancelletto che pp'aprillo bastava 'n pezzetto de findiferro e siccome s'annoiava ha aperto e e' entrato, e visto che ormai c'era ha pensato de da' 'na mano e s'e' caricato 'l primo fagotto 'co la robba d'argento. Mo' dovrebbe riveni'.
Ecco come vanno le cose quando non ci attiene ai piani e non si rispettano i ruoli. Quel grassone doveva solo starsene a fare il palo che sarebbe capace pure una statua, invece no, gioca a fare Arsenio Lupin. Visto che ero l'unico maschietto col cervello (ed anche l'unico che non fosse ubriaco come una cucuzza) dovevo prendere in mano la situazione. Dissi a Palmiro di andare incontro al Gattoroscio, di spiegargli il cambiamento di programma e di riportare la roba. Palmiro parti'. Intanto Grazielletta e Armandino tornano dalla cucina dove avevano rimesso a posto il prosciutto. Mi chiedono che succede e perche' Palmiro non c'e'. Spiego quello che e' successo, e intanto Palmiro ritorna trafelato. Ha trovato il cancelletto che diceva il Gattoroscio, ma era chiuso e il Gattoroscio non c'era. Dovevo fare l'indovino, dovevo fare, le cose vanno sempre come pensavo io, ogni volta mi dico fermati, fermati, lascia perdere, chi te lo fa fare, qui c'e' puzza di guai, e poi ci casco tutte le volte. Il Gattoroscio lo sanno tutti che e' ladro e spia, e che e' alcolizzato ed e' capace che pure mentre piscia si scorda quello che sta facendo. Magari stara' a dormire dentro l'apetto e se passa un vigilante se lo beve. Siccome mi sento responsabile, sono sempre stato il capo, elaboro al volo il nuovo piano e do' le disposizioni necessarie. Saliamo al primo piano, piazzo Grazielletta a sorvegliare la porta dei vecchiacci, io calo Armandino sulle spalle di Palmiro, tornano al muro dove abbiamo lasciato la coperta, Palmiro tira su Armandino che salta dall'altra parte alla ricerca del Gattoroscio che gli pigli un colpo a lui e a tutta la razzaccia sua. Ma dopo un po' si sente battere sulle sbarre del cancelletto dietro la casa, Palmiro va la' e Armandino gli dice che non c'e' traccia ne' del Gattoroscio ne' dell'apetto, che lui continuera' a cercare e che intanto Palmiro mi faccia segno di scendere cosi' mi ripassa attraverso la grata la roba che era ancora li'. Palmiro torna sotto la finestra dove sto io e mi fa segno di scendere, io faccio per scavalcare ma mi soffia che no, che devo restare dentro la casa e scendere al pianterreno alla finestra con la grata. Passo davanti a Grazielletta e le faccio segno di restare dove sta che poi le spiego e scendo, arrivato alla finestra con la grata Palmiro mi dice le ultime novita' e comincia a passarmi la roba (quella che restava, perche' almeno due bottiglie erano andate e pure il mezzo salame e un bel tocco della pagnotta del pane, e per terra s'intravedevano pure due o tre torsoli). Intanto Grazielletta e' scesa (ci fosse mai uno che resta al posto suo), la aggiorno e poi riportiamo in cucina quel che resta, lei si ferma in cucina a rimettere a posto ed io torno alla grata, che mi pare di essere un prete nel confessionale (ve l'ho mai detto che da giovane volevo fare il prete? e in seminario sono diventato comunista, ditemi voi se non ne succedono di cose buffe). "Novita'?", dico io. E Palmiro che si e' fatto pure lui spiritoso: "E mica ce po' esse 'na novita' ogni du' minuti". Torno da Grazielletta. "C'e' un'uscita di servizio?". E lei: "Si'". E io: "E tu hai la chiave". E lei: "Si'". E io: "E hai la chiave pure del cancelletto dietro?". E lei "Si'". E io: "Annamo". Certe volte si fanno le cose difficili quando si potrebbero fare facili, e si perde una marea di tempo. Lo avete letto il "De brevitate vitae" di Seneca? Ve lo consiglio. Se questo racconto non sara' servito ad altro, almeno sara' servito a darvi un buon consiglio. Ma andiamo avanti.
Usciamo dalla porta di servizio, arriviamo da Palmiro che quasi gli prende un colpo dalla paura, poi tutti e tre al cancelletto, lasciamo Grazielletta li' e io e Palmiro usciamo per cercare Armandino che stara' nelle vicinanze in cerca del Gattoroscio. Dico a Palmiro che ci si rivede al cancelletto in ogni caso tra cinque minuti, e andiamo io da una parte e lui dall'altra. Io non trovo nessuno ma lui trova Armandino, cosi' quando torno al cancelletto ci trovo Palmiro che mi aspetta con la chiave, Grazielletta e Armandino sono tornati nella casa. Chiudiamo il cancelletto e rientriamo pure noi dalla porta di servizio. E' piuttosto buio perche' la torcia ce l'ha Armandino ma la luce delle scale che e' restata accesa, anche se fioca e' sufficiente a vederci. Arriviamo ai piedi delle scale dove ci sono Grazielletta e Armandino che si stanno a sbaciucchiare, e mi verrebbe voglia di prenderli a schiaffi.
Armandino mi dice che il Gattoroscio e' sparito. "E adesso che si fa?", conclude.
Adesso devo dire una cosa che e' sempre imbarazzante dirla, ma che e' vera: nelle situazioni critiche io do' il meglio di me stesso, d'improvviso mi sento calmo e lucido, e non so perche' ma le persone che mi stanno intorno se ne accorgono e si affidano a me senza nessuna riluttanza o esitazione. La gente e' proprio strana.
Mi tolgo il passamontagna ed ecco il discorsetto che faccio.
Primo: qualunque cosa sia successa a quel disgraziato del Gattoroscio, ormai l'argenteria e' andata e indietro non si torna. Secondo: bisogna agire in fretta perche' non possiamo neppure sapere se la madama e' gia' allertata. Terzo: poiche' il furto e' gia' avvenuto e noi siamo ancora a mani vuote, vediamo di arraffare non due salsicce e una sambuca ma quel che c'e' veramente di valore, poi ce ne andiamo di corsa lasciando un'abbondante traccia di effrazioni che possa allontanare ogni sospetto da Grazielletta, che dira' che dormiva nella stanza sua al secondo piano e non si e' accorta di niente. Quarto: stanotte ci rifugiamo a casa di Torquato che abita qui vicino e mi deve un favore grosso. Quinto: domani troviamo il Gattoroscio, recuperiamo stoviglie, posate e candelabri se li ha ancora, lo torturiamo e se ha tradito lo leviamo da questa valle di lacrime. Sesto: poi cerchiamo Pippetto e saldiamo il debito. Settimo: troviamo un ricettatore e concludiamo la partita. Ottavo e ultimo: se va bene questa, smettiamo di fare i coglioni, viene il giorno che bisogna crescere. Era meglio se erano dieci, dice Palmiro. Che?, dico io. Era meglio se invece di otto erano dieci, come i dieci comandamenti, spiega lui. E questa e' la gente con cui mi tocca lavorare.
Ora, dico rivolto a Grazielletta, dove stanno i soldi e i gioielli?
Nella camera da letto dei signori, dice lei.
Dei padroni, dico io.
Si', dice lei.
Ci sara' da scassinare qualcosa?, dico io.
Si', dice lei, c'e' una cassaforte dietro un quadro, e li' ci tengono i soldi e i titoli; i gioielli invece stanno un po' in uno scrignetto sul como' e un po' in un cassetto del como' sotto i fazzoletti da naso.
I fazzoletti da naso, s'intromette quell'imbecille di Palmiro, lo diceva sempre pure mia madre.
E io: se non ti stai zitto te lo taglio, il naso. Poi continuo rivolto a Grazielletta: La cassaforte ha una chiave o una combinazione?
Lei: Una chiave.
Io: Dov'e'?
Lei: La tiene attaccata alla catenina il signor Erasmo.
Io: Il padrone.
Lei: Si', il padrone.
Io: dov'e' l'interruttore della luce nella stanza?
Lei: Appena entrati a sinistra.
Io: Allora questo e' il piano. Armandino in cucina prendi tre coltelli belli grossi, qualche straccio e un po' di spago che ci sara' sicuramente. Grazzielletta torna in camera tua e buonanotte, e spegni la luce delle scale. Noi tre ognuno col suo bel passamontagna e con la sua lama assetata di sangue si entra nella stanza del tesoro. Accendiamo la luce e svegliamo Nonno Erasmo e Madamina, li leghiamo e li imbavagliamo, poi facciamo finta di cercare qua e la', ovviamente troviamo subito la sorpresa nello scrigno, poi passiamo a tutti i cassetti e gli sportelli e nel cassetto giusto preleviamo quel che c'e' da prelevare, poi leviamo tutti i quadri dal muro, vediamo la comare, e chiediamo dov'e' la chiave. Diciamo alla vecchia signora che se non ce lo dice affettiamo il suo maturo ganzo. Se lei non molla ripetiamo la mossa col vecchietto. Se non funziona cerchiamo prima in tutte le tasche, proviamo tutte le chiavi che troviamo, alla fine gli strappo la canottiera o quel che ha, e sogghigno e dico "Guarda, guarda". Poi Palmiro resta a sorvegliarli, io e Armandino scendiamo di sotto e lasciamo aperti tutti i cassetti che troviamo. La regola d'oro e': nessuno dice una parola per nessun motivo, parlo solo io. Tutto chiaro?
E Palmiro: Me sa' che mme so' scordato a casa 'l passamontagna.
Sono queste le cose che mi fanno disperare, lo giuro.
Dico a Grazielletta: c'e' in cucina una busta del pane, una borsa di nylon della spesa, qualcosa che si possa fargli due buchi per gli occhi e metterla in testa a Einstein qui?
Si', fa lei.
E Palmiro: Bisogna fa' ppure 'n buco pe' la bocca.
Certe volte non so proprio come faccio a tenermi dal fare un macello.
Ripeto ancora: Tutto chiaro?
Poi rivolto a Grazielletta: Ah Grazzielle', c'e' qualch'antra cosa che cio' da sape'?
Lei fa segno di no, e si comincia.
Lei e Armandino vanno in cucina e tornano con i tre coltelli, gli stracci, lo spago e la busta del pane che prima scrolliamo per far cadere le molliche, poi la mettiamo in testa a Palmiro e personalmente gli strappo la carta per fargli i buchi per gli occhi, e mentre lo faccio mi dico che invece di fare i buchi alla busta dovrei cavare gli occhi a quell'imbecille.
Saliamo le scale, noi ci fermiamo al primo piano, Grazielletta arriva al secondo e spegne la luce delle scale. Armandino accende la torcia e se la mette un'altra volta in bocca, e un giorno o l'altro bisogna che glielo dico a Grazielletta che lo facesse smettere se non vuole prendersi qualche infezione pure lei. Apro la porta e trovo subito l'interruttore. Accendo la luce. La vecchia neppure si sveglia. Il vecchio e' intontito e imbavagliarlo e legargli le mani e i piedi e' questione di mezzo minuto. Poi imbavagliamo e leghiamo pure la vecchia, che mi sembra neppure si accorga di niente. Entro nella parte: dico al vecchio che e' una rapina e che non intendiamo fare del male alle loro persone, e se staranno tranquilli in dieci minuti e' tutto finito e alla loro eta' e con quella bella casetta non dubito che sono assicurati. Lui accenna con la testa una specie di si' e noi cominciamo la perquisizione: lo scrigno e ullalla', poi i cassetti e gli sportelli, mobile per mobile dall'alto in basso e da destra a sinistra, e nel cassetto dei fazzoletti bingo. Poi passiamo ai quadri (che sono solo due). Ed ecco che compare il piccolo Fort Knox. Visto che la sora padrona sembra che continui a dormire mi predispongo a recitare il monologo al vecchiaccio quando la vecchiaccia si gira con tutto il corpo verso il lato esterno del letto e con le mani legate prende una peretta e si sente suonare un campanello al secondo piano.
Ci fosse una volta che ti dicono tutto. D'altronde ci dovevo pensare, se hanno una badante dovranno pure avere un modo per chiamarla.
Messer Matusalemme comincia a muovere la testa e ad emettere una specie di sommessi mugolii e mi guarda come se volesse parlarmi. Decido di togliergli il bavaglio e lui subito: "Abbiamo una badante, adesso arriva, non fatele del male, per favore".
Ecco, ci mancava solo questa, anche senza voltarmi lo so che Armandino ha gia' i lucciconi agli occhi.
Rimetto il bavaglio al vecchio, faccio segno a tutti di tacere, accosto la porta e spengo la luce. E spero che Grazielletta abbia il cervello che dovrebbe avere. E per fortuna si'. Si sente scendere le scale, apre la porta e mentre entra sussurra "Dica, signora". Armandino la afferra alle spalle. Io accendo la luce. Le faccio vedere il coltello e le dico scandendo bene le parole: "Non una parola, signora, o ammazzo lei e i due qui nel letto. Sono stato chiaro?". Lei sgrana gli occhi e annuisce con la testa. Afferro uno scialle che e' li' intorno e dico a Palmiro "Imbavagliala". Poi Armando le lega le mani e la facciamo sedere sul letto, e le leghiamo pure i piedi. Poi mi rivolgo al vecchiaccio: "C'e' altra gente in casa?". Lui scuote la testa da un lato all'altro. Rivolgo la stessa domanda a Grazielletta e anche lei scuote la testa da destra a sinistra e viceversa. Guardo in faccia la vecchia ma mi sembra talmente intontita che e' inutile parlarle, magari sara' pure rimbambita. Torno a guardare il vecchio: "Vuol dirmi dov'e' la chiave della cassaforte?". E lui fa segno di si' con la testa. Capita raramente, ma qualche volta ci si trova tra persone civili. Gli tolgo il bavaglio e lui mi dice che la chiave e' attaccata alla catenina che ha al collo insieme alla medaglietta di San Cristoforo. Per fortuna la catenina e' abbastanza lunga che riesco a sfilargliela facilmente sopra la testa. Nella cassaforte c'e' qualche altro gioiello, bot, e un po' di contanti. Fino a qui tutto bene.
Dico ad Armando, che chiamo "numero uno" per darci un tono, di restare li' con i nostri ospiti mentre io e "numero due" andiamo a perlustrare il resto della casa.
E fu a questo punto che la porta si apri' ed entro' il Gattoroscio, senza neppure un fazzoletto a coprirgli quella boccaccia bavosa. E tanto per guadagnarsi il Nobel della stupidita' fa: "Ah Grazzielle', e che cce stai a ffa' qui?". Ero sicuro.
*
Trascino l'idiota fuori della porta, ma ormai la frittata e' fatta. Gli dico di non dire piu' una parola senno' lo scanno li' per li' come un porco, e di mettersi un fazzoletto sulla faccia, ma lui mi fa vedere che ha solo un fazzoletto sporco di non so che schifezze. Cosicche' sono costretto a rientrare dentro, prendere una federa, tornare sul pianerottolo, ficcargliela su quella testaccia di so io cosa e dirgli di stare fermo che gli faccio i buchi per gli occhi e se si muove non ci sara' piu' bisogno di fare i buchi. Quando serve sono una scheggia, ma come rientro c'e' gia' Grazielletta che singhiozza e piange come una fontana. E adesso veramente bisogna tirar fuori non solo il coniglio dal cilindro, ma il cilindro dal coniglio.
Tolgo il bavaglio a Grazielletta e le dico brutalmente: "Lo avete riconosciuto?". Lei annuisce e continua a piangere. Allora io: "Le ho tolto il bavaglio, risponda con chiarezza, conoscete questo imbecille?". E lei: "Si'".
Allora io: Si rende conto che adesso lei e' una testimone che puo' farci condannare?
E lei, che veramente e' troppo intelligente per quel babbeo di Armandino: Si', si'.
Io: Ha riconosciuto qualcun altro di noi?
Lei: No.
Io: Numero uno, fuori dalla stanza con me, gli altri restino tutti fermi e nessuno dica una parola o comincia a scorrere il sangue.
Esco sul pianerottolo con Armandino e gli dico che la situazione si e' fatta difficile ma ne possiamo ancora uscire bene se tutti faranno quello che dico.
Rientriamo.
Io: Bene, numero due, fuori con me.
E naturalmente quell'altro cretino di Palmiro dice: "Io?". "Si', tu, e non dire piu' una parola dentro questa stanza o ti taglio la lingua e te la faccio mangiare".
Sul pianerottolo gli faccio lo stesso discorsetto e gli dico di nuovo che non deve piu' aprire bocca.
Rientriamo.
Io: "Numero tre, fuori con me". Non so per quale miracolo il panzone capisce che dico a lui ed esce, appena sul pianerottolo comincia a frignare. Gli dico di stare zitto e andiamo in un'altra stanza, li' gli dico che e' il campione del mondo degli imbecilli e che ci ha messo in una situazione tale che per uscirne ci vuole un miracolo e che forse posso farlo, ma se lui fa un'altra mossa sbagliata gli pianto trenta centimetri di lama tra le costole e poi gli sego mezzo collo e poi mi metto seduto sulla sua trippa a guardarlo mentre si dissangua e alla fine gli do' fuoco.
Sono stato chiaro?
E lui: Si'.
Non una parola, capito?
Si'.
E che sia si' o com'e' vero Iddio ti castro.
Rientriamo.
Qual e' il suo nome?, dico rivolto a Grazielletta.
Come?, risponde lei.
- Le ho chiesto come si chiama.
- Perche'?
- Risponda e basta, sta rischiando la sua vita.
- Come mi chiamo io?
- Si', come si chiama lei.
- Beccalossi Graziella.
- Bene, Beccalossi Graziella, vuole vivere?
- Come?
- Come sarebbe a dire come? Risponda se vuole vivere si' o no.
- Si'.
- E allora lei dimentichera' di aver visto quell'idiota che la conosce. Perche' se non lo dimentichera' immediatamente e per sempre le garantisco che lei e tutti i suoi parenti, suo marito se ne ha uno, i suoi figli se ne ha, i suoi genitori, fratelli e sorelle e cognati e cognate e suoceri e zii e nipoti, giuro che morirete tutti uno per uno, e prima di morire sperimenterete quanto sia vero che ci sono sofferenze in confronto alle quali morire e' una benedizione. Ha capito cosa ho detto?
- Si'.
- Fara' quello che ho detto?
- Si'.
- Noi sappiamo chi e' lei, il qui presente numero tre la conosce, e stanotte stessa mi dira' tutto quello che mi servira' di sapere. La vita sua e dei suoi cari e' nelle mie mani. Ha capito cosa ho detto?
- Si'.
- Brava: e adesso, siete parenti con i due vecchi?
- Con chi?
- Con questi due vecchi legati nel letto.
- No.
- E perche' vive con loro.
- Sono la dama di compagnia della signora.
- La serva.
- Mi prendo anche cura della casa.
- La signora e' rimbambita, vero?
- No, la signora ha una grave disabilita' ma...
- Quindi e' rimbambita. Il vecchietto invece e' arzillo.
- Il signore sta molto bene per la sua eta'.
- Quindi lei fa la serva e la badante della vecchia.
- Sono espressioni offensive e ingiuste, mi prendo cura della casa ed aiuto la signora.
- Ho capito, adesso di grazia chiudi il becco, Beccalossi Graziella. Numero uno, le rimetta il bavaglio e lo tolga al vecchio.
Poi mi rivolsi al vecchio.
- Caro signore, adesso dobbiamo scambiare due parole tra noi, da uomo a uomo. E' abbastanza sveglio, ha bisogno di qualcosa, deve andare in bagno, vuole un bicchier d'acqua, deve prendere qualche medicina?
- Sto bene cosi', grazie.
- Ha capito la situazione?
- Credo di si'.
- E cosa crede di aver capito?
- Che lei e' indeciso se ucciderci tutti dal momento che la signorina ha riconosciuto il suo complice. Sta valutando cosa le convenga di piu'. Un triplice omicidio e' un reato cosi' grave che verranno fatte indagini accurate e lei non sa se i suoi complici abbiano lasciato delle tracce attraverso cui sia agevole individuarvi, ed e' probabile di si'. Se invece ci lascia vivere il reato e' piu' lieve, e forse sta anche pensando di chiedermi di rinunciare a sporgere denuncia in cambio della vita mia, di mia moglie e della signorina e di raggiungere un accordo. Pero' pensa anche che io o la signorina anche se adesso accettassimo qualunque cosa lei ci proponesse poiche' e' l'unico modo per salvare le nostre vite, un domani potremmo cambiare idea, e la rapina e' gia' un reato abbastanza grave e suppongo che non sia l'unico che lei e i suoi amici abbiate commesso. Quindi e' piuttosto difficile prendere una decisione.
- Mi creda, se lei fosse un po' piu' giovane, le proporrei di metterci in societa'.
- La ringrazio, ma ne' ringiovaniro' ne' credo che potrei essere interessato alle sue proposte d'affari.
- Comunque quella proposta gliela faccio: sarebbe disposto a non sporgere denuncia?
- In verita' temo di no, perche' mi avete sottratto praticamente tutte le mie ricchezze in liquidi e valori e per poter beneficiare dell'assicurazione che le copre la denuncia sono costretto a farla. Pero' potrei darle la mia parola d'onore che adesso le lascerei il tempo necessario a cancellare tutte le tracce lasciate dai suoi maldestri amici, concorderei con la signorina che ne' lei ne' io (mia moglie, come avete gia' visto, ormai non parla piu') diremmo di aver riconosciuto nessuno di voi, ed a tal fine potrei darle una garanzia che lei sicuramente apprezzerebbe.
- Quale?
- Sia io che la signorina potremmo sottoscrivere una dichiarazione che lei conserverebbe nella quale ci dichiareremmo complici del furto al fine di truffare l'assicurazione. Cosicche' sarebbe poi anche nostro interesse che lei e i suoi amici la facciate franca.
- Caro signore, la trovata e' ingegnosa ma lei sa che non e' una vera garanzia, poiche' e' chiaro che nell'attuale frangente voi potreste giurare qualunque cosa, anche di essere marziani, giacche' qui si tratta di salvare la vita.
- Effettivamente e' cosi'. E quindi e' lei che deve decidere. Le suggerirei di farlo con una certa celerita', perche' se la mia sveglia funziona a dovere si sta avvicinando l'alba. Se vuole consultarsi liberamente con i suoi amici posso prometterle che noi resteremo qui immobili e silenti fino al vostro ritorno in attesa della vostra comune decisione.
- I miei amici si fidano di me.
- Me ne compiaccio, spero che la sua decisione sia saggia.
- Signori numero uno, numero due e numero tre, certamente in qualche bagno o in cucina troverete dei guanti di gomma, indossateli, munitevi di stracci e ripassate su tutti i percorsi fatti ed ovunque possano essersi posate le vostre manacce strofinate vigorosamente. Spero non abbiate lasciato mozziconi di sigaretta in giro e credo che non abbiate usato i servizi igienici. Quindici minuti da ora per far brillare come uno specchio tutte le parti di questa casa che avete visitato, giardino compreso. Tutto chiaro? Io restero' qui con questa amabile compagnia.
- E se non troviamo i guanti per tutti?, disse la voce dell'imbecille sotto la federa che pareva uno del Ku Klux Klan.
- Troverete in cucina delle borse di plastica della spesa, usate quelle come guanti, sospirai.
- Io ho mal di schiena, piagnucolo' il cretino con la testa nella busta del pane.
Certe volte vorrei proprio non essere mai nato.
*
Restati soli io, il sor Erasmo, la povera Grazzielletta e la povera signora, il primo a parlare fu Erasmo.
- Pensa di dovermi mettere di nuovo il bavaglio?
- Non credo che serva.
- Forse potrebbe togliere il bavaglio anche a mia moglie ed alla signorina, respirerebbero meglio.
- Meglio di no.
- E' lei che decide.
- Infatti.
- Posso farle una domanda personale?
- Sentiamo.
- Perche' fa il rapinatore?
- Mi dispiace, lei e' indiscreto.
- Mi scusi, e' che mi sembra che lei qui si trovi, come posso dire, fuori posto.
- Lo penso anch'io, in fede mia.
- E mi sembra anche che lei sia tutt'altro che un illetterato.
- Temo che si sbagli di grosso, ma la ringrazio comunque.
- Non le chiedero' se ha gia' ucciso qualcuno, ma le diro' che credo di no.
- Creda pure quel che vuole.
- Forse lei pensera' che la vita di mia moglie non valga la pena di essere vissuta, invece e' ancora una vita piena, e - con gli ovvi suoi limiti - bella. Glielo dico perche' non vorrei che nella sua valutazione della situazione lei pensasse che sopprimerla sarebbe un atto pietoso.
- Quanto a questo stia tranquillo.
- Grazie. Se preferisce che io taccia cosicche' lei possa meglio seguire il corso dei suoi pensieri me lo dica ed ottemperero' alla sua volonta'.
- No, non mi dispiace che lei parli, e non mi disturba.
- Bene, allora avrei un'altra proposta da farle, in via subordinata.
- In via subordinata rispetto a cosa?
- Alla sua decisione di ucciderci tutti.
- Pensa che sara' questa la mia decisione.
- Temo che lei possa pensare di non avere altra scelta. Ma un'altra scelta c'e'.
- Lasciarvi vivere.
- No, capisco che il rischio per lei e' troppo alto, e sebbene mi sembri evidente che i suoi colleghi sarebbero tutti favorevoli a concludere questa notte senza vittime, lei imporra' la sua decisione e loro la accetteranno, anche perche' lei non deleghera' ad altri l'esecuzione... si', l'esecuzione.
- E quindi quale sarebbe la sua proposta in via subordinata?
- E' semplice: mia moglie nulla ha compreso e nulla saprebbe riferire di quanto accaduto, quindi non e' testimone di nulla, ergo puo' lasciarla vivere senza alcun pericolo. Il pericolo per lei siamo io e la signorina: la signorina perche' conosce il suo - mi scusi - complice, ed io perche' so che la signorina sa. La proposta e' questa: lei lascia vivere mia moglie e la signorina, mi accompagna in bagno, io mi sistemo nella vasca, apro l'acqua calda e mi recido le vene. E' un suicidio e non un omicidio. La signorina e mia moglie restano qui, legate. Domattina alle nove arriva il mio segretario, suona e non risponde nessuno, ha la chiave ed entra in casa, sale al primo piano, trova mia moglie e la signorina vive, poi insieme trovano me morto. La signorina e' giovane e ha una vita davanti, non dira' mai di aver riconosciuto uno dei rapinatori. Mia moglie avra' la reversibilita' della pensione e l'ammontare della mia assicurazione sulla vita. Le bastera' per vivere dignitosamente gli ultimi suoi anni con una persona che l'assista affettuosamente e mi farebbe piacere che fosse ancora la signorina. Lei si assicurera' che i suoi amici avranno cancellato ogni traccia compromettente e li portera' via da qui incolumi malgrado la loro palese improntitudine. Se posso darle un suggerimento, li persuada a cambiar vita, e' evidente che non sono tagliati per il crimine; del resto, se dovessi esprimere per intero il mio parere, ebbene, credo che nessun essere umano sia tagliato per il crimine. Con il guadagno di questa notte potreste iniziare qualche attivita' legale, e lei magari riprendere i suoi studi.
- In breve, la sua proposta e' questa: che lei si suicida ed io risparmio sua moglie e la signorina.
- Si'. E mi pare una proposta ragionevole.
- Caro signore, qual e' il suo nome?
- Erasmo degli Albizzi, per servirla.
- Mi perdoni se adesso devo metterle di nuovo il suo bavaglio e devo pregare sia lei che la signorina di restare al vostro posto, ho alcune cose da sistemare.
*
Scesi le scale di volata: presi il nostro fantasmino per una spalla.
- Che fine ha fatto la roba che avevi preso?
- E' ancora nell'apetto.
- E l'apetto dov'e'?
- L'ho riportato qua. Prima ero andato a cercare un bar aperto per comprare un pacchetto di sigarette, le avevo finite.
- Va' con Armandino a prendere la roba e portala qua.
- Perche'?
- Perche' si'. Subito, che il tempo e' poco. E tu. Palmiro, va' di sopra a tenere d'occhio i nostri ospiti. E non una parola o ti mozzo le orecchie.
Tre minuti e Armandino e Gattoroscio erano di ritorno, e con l'involto dell'argenteria.
Lasciamo l'involto nel bel mezzo del salone, saliamo le scale, entriamo tutti nella camera.
E qui devi dimostrare che non e' stato tempo perso leggere i classici.
Dissi questo. Il qui presente signor Erasmo mi ha fatto una proposta: era disposto a suicidarsi se avessi lasciato vive sua moglie e la signorina. Non lo mettero' alla prova, e' sufficiente che lo abbia detto. Gli do' partita vinta. Tutto il bottino e' ancora in casa. Se qualcuno ha messo qualcosa in tasca le svuoti. Abbiamo mangiato ed abbiamo bevuto qualcosa della sua mensa, ci consideri suoi ospiti. Lasciamo un bel disordine, finga di aver dimenticato le finestre aperte e che un temporale abbia visitato la sua magione: non sara' gran fatica per la signorina Beccalossi Graziella rassettare. Adesso vi sciogliamo e ce ne andiamo. Nessuno si e' ancora fatto male e nessuno se ne fara' per questa notte che volge ormai al termine.
Questo dissi, e quegli imbecilli dei miei compari cominciarono a singhiozzare, e stavano gia' per tirarsi via il passamontagna, la federa e la busta del pane, e li dovetti fermare e spingerli fuori dalla stanza sul pianerottolo. Cosi' mi tocco' a me sbavagliare e slegare i vecchi e la giovane.
Dissi al vecchio: Caro signor Erasmo, ci dia il tempo di andarcene, e non si affacci alla finestra prima che ci siamo allontanati.
E quello: Ci conti, caro amico, e se posso permettermi, giacche' lei sa il mio nome e siamo in procinto di salutarci e credo proprio che non ci rivedremo mai piu', mi dica il suo affinche' io ricordandomi in futuro di questa notte scespiriana possa chiamarla con un nome, naturalmente va bene anche uno fittizio.
Tommaso Moro, dissi. E ci stringemmo la mano. Grazielletta per fortuna piangeva a dirotto cosi' mi risparmiai l'imbarazzo di salutarla.
Chiusi la porta della stanza e quegli imbecilli che mi aspettavano sul pianerottolo che fanno? Scoppiano in un applauso, e il Gattoroscio strilla: "Evviva Spartachetto nostro" che l'avra' sentito tutto il quartiere, e questa e' la gente con cui ho a che fare ogni giorno. Non dico niente, mi tolgo il passamontagna e lo metto in saccoccia. Usciamo, e' ancora buio per fortuna e gente in giro ce ne e' poca e va di fretta. Domani mi tocchera' fare i conti con Pippetto.
5. LA POLITICA DELL'UMANITA'
Non uccidere. Salvare le vite.
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
E' la politica dell'umanita'.
6. UNA BOZZA DI LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO
Al/alla Ministro/a ...
Oggetto: proposta di un impegno suo personale, ovvero collegiale nell'ambito del Consiglio dei Ministri di cui fa parte, per la promozione e l'adozione di un atto normativo che disponga la formazione di tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'addestramento all'uso delle risorse teoriche e pratiche della nonviolenza
Gentile ministro/a ...,
le scriviamo per formularle la richiesta di un atto legislativo ovvero regolamentare che disponga la formazione di tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'addestramento all'uso delle risorse teoriche e pratiche della nonviolenza.
Non vi e' bisogno di sottolineare la grande utilita' di tale formazione e addestramento, dovendo le forze dell'ordine intervenire anche in situazioni assai critiche, in cui le risorse della nonviolenza possono essere di insostituibile utilita'.
Distinti saluti,
FIRMA
LUOGO, DATA
INDIRIZZO COMPLETO DEL MITTENTE
7. E CHI MUORE IN OGNI GUERRA?
Persone, persone come me, come te.
Persone muoiono in ogni guerra.
Uccise da altre persone: persone come loro, come noi, ma di loro e di noi piu' stolte e disperate.
*
A tutte le guerre, a tutte le uccisioni tu opponiti.
Solo la pace salva le vite.
Solo il disarmo ferma il massacro.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
8. MALVOLIO STRACCANI: UN MINUTO DI RIPOSO
Era la prima volta che andavo in quella citta': il cavalier Rinaldo Biancoferri, che credo di poter definire il mio miglior amico, aveva avuto un incidente automobilistico piuttosto grave, lo avevano soccorso con l'elitrasporto, e lo avevano portato nell'ospedale provinciale di li'.
Io detesto muovermi da casa da quando sono in pensione, e anche prima non mi allontanavo mai dalla citta' in cui abito, che e' una piccola citta' ma per le mie esigenze c'e' tutto. Non mi piace il chiasso, e non mi piacciono i forestieri. Ho le mie abitudini. Anche Kant era cosi'. Ho fatto per tutta la vita il professore al liceo e credo di poter dire con onore e decoro. Sono una persona all'antica, di sani principii. Non mi sono mai sposato, ho dedicato l'intera mia vita alla filologia classica e alla missione educativa, Atene e Roma sono stati e restano i fari del mondo. Insieme alla religione cattolica apostolica romana, certo; cosa sarebbe il mondo senza la religione? Dio, patria e famiglia, e "il resto e' silenzio" come diceva quel barbaro non privo d'ingegno. La mia famiglia e' stata la scuola, e' la missione educativa: l'avete letto l'Emilio di Rousseau?
Il cavalier Biancoferri era vedovo e senza figli, in pensione anche lui; ci siamo conosciuti al circolo scacchistico, dove ogni giorno dal lunedi' al venerdi' passavamo gran parte del pomeriggio. Al circolo siamo i piu' anziani, ed anche se non siamo tra i migliori giocatori (vi sono infatti alcuni giovani invero promettenti), siamo rispettati da tutti; c'e' anche qualche mio ex-allievo del liceo, che si e' fatto strada nella vita, non dico per vantarmi.
E' stato al circolo che mi hanno detto dell'incidente. Ho telefonato all'ospedale della nostra citta' e mi hanno detto che non era li'. Ho saputo dove era il mio egregio amico dalla signora Amalia, che e' - come dire - la sua governante. Allora ho telefonato la', ed ho saputo che la situazione clinica era grave. Per quanto io ne sappia, e per quanto ne sappia la signora Amalia, il cavaliere aveva solo un fratello piu' grande morto da piu' di dieci anni; forse ha dei nipoti ma so per certo che non si frequentavano. Absit iniuria verbis. Per farla breve, non potevo esimermi dall'andare a visitarlo. E per farlo bisognava fare un viaggio di due ore di treno (due ore all'andata e due ore al ritorno, senza contare che dovevo fare un cambio e putacaso saltasse una coincidenza il lasso di tempo si sarebbe protratto in imprevedibile misura; ma per un amico questo ed altro, chi ha letto i classici sa quale sia il suo dovere). Pianificai tutto, come e' mia saggia abitudine; mi piace essere preciso ed evitare le sorprese e le situazioni imbarazzanti. In tutta la mia vita adulta non sono mai uscito di casa senza indossare giacca e cravatta ed avere le scarpe ben lucidate. Sono stato professore al liceo, ci tengo a mantenere l'onore e il decoro. Lo dicevo sempre ai ragazzi: lo stile e' l'uomo.
Bene, seppi quale fosse l'orario delle visite in quel dolente asilo e trovai un treno che mi consentisse di arrivare con sufficiente anticipo (il reparto era accessibile dalle 16 alle 17, il treno che avevo scelto mi consentiva di arrivare alle 15: anche ammettendo un certo ritardo (si sa che i treni non arrivano piu' in orario da quando c'e' la repubblica, i sindacati, eccetera) sarei arrivato in tempo per dedicare l'intera ora alla proba incombenza di assistere il mio buon sodale d'innumevoli partite spagnole e difese siciliane in si' penoso frangente, e dargli il conforto di una parola amica. Partii la mattina successiva dopo un'ultima telefonata alla caposala per sapere quale fosse il quadro clinico ("stazionario, ma potrebbe precipitare da un momento all'altro, venga subito", rispose. "Volo", dissi).
Come avevo supposto giunsi alla stazione di arrivo alle 15,08 e subito chiesi a un agente di polizia ferroviaria col dovuto ossequio ma anche con il tono distinto e dignitoso che mi e' proprio - sono pur sempre un professore di liceo sebbene in quiescenza, e rappresento quindi la cultura e le istituzioni del nostro beneamato e infelice paese - dove si trovasse l'ospedale. Il pubblico ufficiale mi rese edotto che l'ospedale era nelle vicinanze, una passeggiata di dieci minuti. Mi recai a un bar e presi un caffe', pessimo come tutti i prodotti che vengono spacciati nelle mescite site dei dintorni delle stazioni, l'Italia non cambiera' mai, povera Italia.
Mi diressi verso l'ospedale, che non era affatto a dieci minuti di cammino, ma ad almeno venti. Quod erat demonstrandum. Dinanzi all'ingresso vi era un piccolo giardino con delle panchine che sembravano abbastanza pulite. Erano le 15,40. Poiche' mi ero stancato per la lunga marcia sotto la calura estiva (trattandosi del mese di luglio il solleone era del tutto appropriato, e cionondimeno alquanto fastidioso) mi sedetti su una panchina a riposarmi un attimo, non volevo presentarmi nella stanza del mio amico accaldato e ansimante. All'uopo reco sempre meco una di quelle confezioni di fazzolettini di carta, col quale diedi una sommaria strofinata all'area della panchina su cui mi sarei seduto, il fazzolettino poi deposi in un cestino li' nei pressi (ho sempre detestato chi getta in terra cartacce, mozziconi di sigaretta ed altre materie ancora: la civilta' comincia dalla propria condotta corretta e rispettosa del pubblico bene: sono sempre stato un difensore dell'ambiente, mi fanno ridere questi pretesi, sedicenti ecologisti che poi altro non sono che i vecchi estremisti atei e materialisti che dopo il fallimento del loro sciagurato, demoniaco ideale di facinorosi e degenerati hanno pensato bene di convertirsi in - di camuffarsi da, si dovrebbe dire in omaggio al vero - paladini della natura, ma per favore! Comunisti erano e comunisti restano. Ma la forza pubblica non interviene... Passiamo oltre, passiamo oltre. Povera Italia. Quanto s'illudeva il povero professor Gentile, massimo filosofo del secolo, e non poteva che morire da martire, da eroe, per la piu' grande Italia. Ogni anno dedicavo alla sua figura la prolusione del mio corso, ed all'idea sua somma: lo stato etico che invera la liberta'; c'era sempre qualche allievo che alle veementi mie parole di elevazione spirituale rompeva in lacrime - e si assicurava cosi' la promozione poiche' quand'anche zoppicasse nell'una o nell'altre delle lingue che io chiamo vive, vivissime, giammai morte, con quelle sante lacrime dimostrava il suo amore per la patria, e dove c'e' un patriota... Ma io divago.
Ebbene, sedendo su quella panchina pensavo di ricompormi e riposarmi cinque minuti e poi entrare nel nosocomio. Avevo ancora in tasca il "Corriere della Sera", ed ogni professore di liceo dovrebbe leggere il "Corriere della Sera" (anche se va pur detto, e con non mentita afflizione, che da anni ormai anch'esso e' stato invaso dal culturame modernista, sinistrorso e giudaizzante), lo estrassi, lo dispiegai ed impresi a sfogliarlo. Gli articoli che mi interessavano li avevo gia' letti in treno, ma sfogliare il giornale era il modo migliore per ingannare il tempo quei cinque minuti sulla panchina nel giardino prospiciente il presidio sanitario di quella citta' che non avevo mai visitato ma che naturalmente conoscevo quanto basta perche' sono una persona di cultura.
Mentre ero li' si fa da presso un giovanotto in bicicletta, e trovo disdicevole che si vada in bicicletta dinanzi a un ospedale, ci vuole un po' di decoro, un po' di rispetto per un luogo di sofferenza e di umana carita'. Alzo gli occhi e vedo che mi guarda, poi da' un colpo di pedale e si allontana ma fa un breve giro e torna, si ferma ancora, poi riparte e subito torna. Io levo di nuovo lo sguardo al suo volto e costui atteggia la bocca a un'enigmatica smorfia, poi una nuova pedalata, un nuovo giro, torna, scede dalla bicicletta che abbandona su una siepe e viene a sedersi sulla mia stessa panchina e senza guardarmi a bassa voce chiede: "Ah nonno, che ci hai il fumo?". Sono una persona educata e sono un uomo di mondo, ho insegnato greco e latino per tanti anni al liceo ed e' solo per restare nella mia citta' (ed assistere la mia povera mamma buonanima fino alla fine dei suoi giorni, ed e' il massimo vanto della mia anima) che non ho voluto intraprendere una carriera universitaria in una delle grandi capitali della cultura, non sono uno sprovveduto, perbacco, "nihil admirari" e' uno dei miei motti preferiti e i miei allievi lo sanno, ma l'offesa era davvero intollerabile. Mi alzo in piedi e squadrando il giovane teppista, scandendo bene le parole (ho una eccellente dizione, lungamente esercitata), lo apostrofo: "Giovanotto, crede davvero che la droga possa essere una soluzione ai suoi problemi? Ed ignora che ne e' illecito ogni commercio? Pensi alla sua salute, si cerchi un lavoro e non disturbi i galantuomini per la pubblica via, massime davanti ad un luogo di sofferenza e di cura come il nosocomio cui questo giardino e prospiciente". Una lezione di vita, chiunque ne converra'. E quel cafone drogato e sovversivo cosa fa? "Ah nonne', ma come parli?", dice con quel tono da cantilena, con quel ritmo strascicato che se ne sentivo far uso dai miei discepoli solo per quello gli mettevo quattro. E forse abbozza anche un gesto sconcio, sebbene io non ne possa esser certo. Infine si alza, afferra la sua bicicletta, mi guarda ancora in tralice con aria di sfida e dopo una squillante quanto incongrua e volgarissima scampanellata si allontana pedalando con movenze che non esiterei a definire oscene. O tempora, o mores.
Frattanto si sono fatte le 15,50 e prevedendo che qualche minuto occorrera' per trovare il reparto e la stanza in cui giaceva il mio ottimo amico cav. Biancoferri, mi alzo in piedi, piego e ripongo il giornale nella tasca della giacca, mi spazzolo con la nuda mano la giacca e mi appresto a muovere verso la struttura sanitaria, quando sento alle mie spalle una voce che dice: "Mi scusi se la disturbo"; mi giro e dietro la panchina su cui ero seduto c'e' un altro giovine, vestito da tennista e con una borsa sportiva da cui spunta il manico di una racchetta. Sorride educatamente. Io sorrido a mia volta, fa sempre piacere vedere un giovane beneducato. Mens sana in corpore sano, penso. "Non vorrei averla disturbata", aggiunge. "Sebbene io abbia una certa premura, lei non mi ha affatto disturbato, dica pure", rispondo affabile ed autorevole. "Vengo spesso qui - dice allora, abbassando la voce e lo sguardo, certo per modestia - ma e' la prima volta che la vedo". Io apprezzo sempre la modestia nei giovani, significa che hanno il sentimento e il valore morale della gerarchia. "In effetti, caro giovine, e' la prima volta che vengo qui". "E' un bene", e mentre dice queste parole mi sembra che strizzi un occhio. "Direi piuttosto un dovere, diciamo di amicizia", rispondo. Lui strizza di nuovo l'occhio, forse ha un tic nervoso, e sempre sorridendo con voce calda e profonda fa: "Possiamo essere amici, si'". Trovo l'espressione piuttosto sorprendente, e temendo un fraintendimento preciso: "Mi duole osservare, buon giovine, che purtroppo non ci conosciamo affatto, e quantunque stringere relazioni amicali sia sempre un bene e nessuno piu' di me ne sia persuaso assertore, e' incontrovertibile che nella presente circostanza non ve ne sia il tempo", infatti saranno ormai le 16 ed stara' quindi principiando l'orario di visita agli infermi, e il dovere mi chiama. E quello: "Il tempo e' sempre poco, ma puo' bastare comunque. Allora, si va?". E io: "Dove, scusi". E lui: "Dove possiamo farci quattro coccole in pace, no?". Sia chiaro, io non sono un bacchettone, ma ho le mie idee, i miei valori, la mia cultura. Ho letto e commentato piu' e piu' volte in classe il Simposio di Platone e non ho mai nascosto nulla ai miei allievi di quanto un'interpretazione filologicamente adeguata comporta. Non ho sciocchi pregiudizi, e come so che esistono delle - diciamo - mondane, so che esiste anche un equivalente maschile. Ma sono anche un educatore, e un educatore sa quando e' il momento in cui deve dare un esempio. Cosi' giro attorno alla panchina, mi avvicino a quel ripugnante depravato e gli dispenso due ceffoni invero ben assestati. Ecco dove siamo finiti con la cosiddetta democrazia, che poi in verita' altro non e' che demagogia, in quale letamaio, in quale degenerazione. Anche persone di mediocre ingegno capiscono che deve esserci un ordine e una morale. Ubi maior, minor cessat.
Mi ero agitato, non posso nasconderlo, e mentre quel sozzo individuo si allontanava, diedi un'occhiata al mio orologio (da tasca, la cui aurea catena attraversa il panciotto con nobile curva, naturalmente) e mi certificai che l'orario delle visite effettivamente era ormai iniziato, cosicche' mi spolverai di bel nuovo il vestito (non ce ne era bisogno, ma non si sa mai, le panchine pubbliche, si sa...) e m'incamminai verso l'ingresso di quel tempio della sofferenza e della solidarieta', ma faccio in tempo a muovere due passi, non di piu', che mi si para innanzi un giovanissimo carabiniere, imberbe e brufoloso, con due baffetti da topo, e mi dice: "E' lei che ha aggredito questo giovanotto?", ed accenna al turpe individuo che lo segue annuendo e - incredibile dictu - lacrimando, la faccia tutta rossa e su di essa ancora ben stampigliata l'impronta del palmo e del dorso della mia mano destra. E' ben vero che e' scritto "Oportet ut scandala eveniat", ma qui siamo al grottesco, all'assurdo: quella sentina di ogni sozzura ha l'impudenza di importunare un agente dela forza pubblica, e l'adolescente in divisa cosa fa? Invece di arrestarlo porge orecchio alle sue viscide, luride, eversive querimonie e pretende inquisire un cittadino morigerato che ad un tempo ha difeso la pudicizia, la pubblica morale, il civile convivere e dato una salutare lezione a un degenerato! Non credo ai miei occhi.
"Favorisca i documenti, prego". "Come dice, agente?". "I documenti, per favore". "I miei documenti?". "Si', favorisca i suoi documenti, prego". "Ed a qual pro?". "Come?". "A qual fine, intendo". "Non capisco, favorisca i documenti, prego". "Le sto chiedendo perche' devo darle i miei documenti, perdiana!". "Si calmi, per favore". "Sono calmissimo, ma lei mi sta facendo perdere tempo ed io devo recarmi immantinente in quel nosocomio...". "Si sente male?". "Ma no, sono in visita". "Allora non c'e' fretta. Favorisca i documenti, per cortesia". "Ma quali documenti, ma quale cortesia. Ma mi lasci in pace e piuttosto porti in guardina l'ignobile individuo alle sue spalle".
"Moderi il linguaggio, sa", interloquisce in falsetto il farabutto ridicolissimamente abbigliato da tennista. "Taccia lei, pervertito", lo apostrofo gelidamente. "Documenti, per favore", ripete il petulante baffetti-di-topo che disonora la divisa della benemerita. "Non ho tempo da perdere, desistete dall'importunarmi o passerete un bel guaio", dico io. La mezzacartuccia biancovestita continua a frignare, il coscritto invece ha la levata d'ingegno di alzare la voce: "Signore, si fermi per favore, non mi costringa...". Ed io, allora: "Costringa a che? costringa a che? Ma con chi crede di parlare? Lei non sa chi sono io! E se non avessi cosi' fretta le assicuro che le farei passare un bel guaio con i suoi superiori, proprio un bel guaio! E adesso fate luogo che il dovere mi chiama".
E quell'idiota calzato e vestito che fa allora? "La dichiaro in arresto, mi segua in caserma", dice. Proprio cosi'. Roba da non credersi. E intanto fa cenno a un collega che sornione si godeva lo spettacolo da una macchina di servizio che si trovava non piu' lungi di dieci metri alle mie spalle.
Non voglio dir altro. Non solo non feci in tempo a tornare prima della fine dell'orario di visita, ma persi anche l'ultimo treno per casa cosicche' fu giocoforza prendere una stanza d'albergo (ed io detesto dormire in lenzuola di dubbia pulizia) e fermarmi anche il giorno successivo, e quando finalmente misi piede nel presidio sanitario il mio indimenticabile amico era gia' morto.
Il funerale del cav. Biancoferri si e' svolto a mie spese, ed e' stato un vero salasso. E fra tre mesi ci sara' l'udienza per lesioni personali, ingiurie, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale.
Detesto muovermi da casa. Povera Italia.
9. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- AA. VV., La Costituzione e i suoi disegni, Il Fatto Quotidiano, 2016, pp. 160, euro 6,50.
*
Riedizioni
- Lucrezio, La natura delle cose, Rcs, Milano 1990, 2016, pp. 640, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
11. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2527 del 9 novembre 2016
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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