[Nonviolenza] Ogni vittima ha il volto di Abele. 180
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- Date: Thu, 13 Oct 2016 07:12:25 +0200 (CEST)
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OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Numero 180 del 13 ottobre 2016
In questo numero:
1. 4 novembre 2016: non festa, ma lutto. A Trento gli "Stati generali della Difesa civile non armata e nonviolenta". Ogni vittima ha il volto di Abele
2. Pietro Ingrao ricorda Lelio Basso
3. Elena Paciotti ricorda Lelio Basso
4. Salvatore Senese ricorda Lelio Basso
5. Bruno Trentin ricorda Lelio Basso
6. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
7. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
8. Verso la "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne" del 25 novembre
9. Un appello nonviolento per il 4 dicembre: Un parlamento eletto dal popolo, uno stato di diritto, una democrazia costituzionale. Al referendum votiamo No al golpe
10. Una bozza di lettera da inviare ai parlamentari
1. APPELLI. 4 NOVEMBRE 2016: NON FESTA, MA LUTTO. A TRENTO GLI "STATI GENERALI DELLA DIFESA CIVILE NON ARMATA E NONVIOLENTA". OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE
4 novembre 2016: non festa, ma lutto
Cento anni dopo: basta guerre
Un'altra difesa e' possibile
A Trento gli "Stati generali della Difesa civile non armata e nonviolenta"
Il Movimento Nonviolento, PeaceLink, il Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo e l'Associazione Antimafie Rita Atria lanciano per il 4 novembre l'iniziativa "Ogni vittima ha il volto di Abele", affinche' in ogni citta' si svolgano commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre.
Ogni vittima ha il volto di Abele
Proponiamo che il 4 novembre si realizzino in tutte le citta' d'Italia commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze. Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.
Oltre cento anni dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, mentre e' tragicamente in corso la "terza guerra mondiale a pezzi", e' ora di dire basta.
Per questo sosteniamo la campagna "Un'altra difesa e' possibile" che ha depositato in Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare per l'istituzione e il finanziamento del Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta.
Obiettivo della campagna e' quello di organizzare la difesa civile, non armata e nonviolenta - ossia la difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; la preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; la difesa dell'integrita' della vita, dei beni e dell'ambiente dai danni che derivano dalle calamita' naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione dei beni comuni - anziche' finanziare cacciabombardieri, sommergibili, portaerei e missioni di guerra, che lasciano il Paese indifeso dalle vere minacce che lo colpiscono e lo rendono invece minaccioso agli occhi del mondo. La Campagna vuole aprire un confronto pubblico per ridefinire i concetti di difesa, sicurezza, minaccia, dando centralita' alla Costituzione che "ripudia la guerra" (art. 11), afferma la difesa dei diritti di cittadinanza ed affida ad ogni cittadino il "sacro dovere della difesa della patria" (art. 52).
Il 4 e 5 novembre a Trento i promotori della campagna "Un'altra difesa e' possibile" e il Forum Trentino per la Pace e i diritti umani hanno convocato gli "Stati generali della Difesa civile non armata e nonviolenta", un primo passo per coordinare e creare un confronto tra i diversi soggetti che gia' ora agiscono nel settore della difesa civile: le istituzioni preposte alla Difesa, alla Protezione civile, al Servizio Civile Nazionale, la ricerca sulla risoluzione nonviolenta dei conflitti, il Terzo Settore e le organizzazioni non governative che lavorano per la pace e il disarmo.
Tutti coloro che non potranno essere con noi fisicamente a Trento, si uniscano idealmente in una sorta di staffetta civile tra commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, ribadendo che il 4 novembre e' giorno di lutto e non di festa per la partecipazione all'inutile strage della prima guerra mondiale. Ovunque sia possibile, in ogni piazza d'Italia. Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente. Non devono dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; non devono essere in alcun modo ambigue o subalterne; non devono prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, devono essere rigorosamente nonviolente. Occorre quindi che si svolgano in orari distanti e assolutamente distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri armati, quei poteri che quelle vittime fecero morire. Ed occorre che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio. Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche' convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita' e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.
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Per informazioni sulla campagna "Un'altra difesa e' possibile"
vai al sito www.difesacivilenonviolenta.org
Segreteria della Campagna c/o il Movimento Nonviolento
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A tutte le persone amiche della nonviolenza chiediamo di diffondere questa proposta e contribuire a questa iniziativa. Contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni. Per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
Ogni vittima ha il volto di Abele. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
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Movimento Nonviolento
per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. e fax 0458009803
e-mail:an at nonviolenti.org, siti: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it
PeaceLink
per contatti: e-mail: info at peacelink.it, sito: www.peacelink.it
Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo
per contatti: e-mail: nbawac at tin.it, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Associazione Antimafie Rita Atria
per contatti: e-mail: abruzzo at ritaatria.it, sito: www.ritaatria.it
2. MAESTRI. PIETRO INGRAO RICORDA LELIO BASSO
[Dal sito www.leliobasso.it riprendiamo il seguente ricordo di Lelio Basso, tratto da Fondazione Internazionale Lelio Basso - Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco - Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli, Lelio Basso e le culture dei diritti, Atti del Convegno internazionale, Roma, 10-12 dicembre 1998, Roma, Carocci, 2000.
Pietro Ingrao (Lenola, 1915 - Roma, 2015), sin dagli anni quaranta aderisce al Partito comunista e partecipa alla lotta clandestina. Nel dopoguerra e' vicedirettore de "l'Unita'" e membro del Comitato centrale del Partito. Eletto deputato nel 1948 e' riconfermato per dieci legislature. Dagli anni cinquanta e' uno dei massimi dirigenti del Pci. Dal 1976 al 1979 e' presidente della Camera dei deputati. Negli anni novanta, contrario alla trasformazione del Pci in Pds, assume una posizione critica e indipendente]
[...] non riesco a sottrarmi alla passione del ricordo, a tornare [...] sulla battaglia di Lelio, su cio' che conobbi di lui e su cio' che da lui appresi. E non stupitevi se, ricordando quanto devo all'amico carissimo, cio' che prima di tutto mi piace ricordare e' quello che io e tanti in questo paese abbiamo avuto da Lelio come conquista della liberta'.
Io sono molto avanti negli anni (sono nato agli inizi del secolo) e posso dire che uno scrupolo grave mi prende se ripenso a cio' che ho vissuto, al secolo che ho attraversato; ed e' che noi che vivemmo quegli anni, noi figli di questo secolo, non abbiamo forse raccontato abbastanza la carneficina attraverso cui siamo passati, le cataste di morti, le citta' incendiate, la tortura elevata a scienza, i morti di Auschwitz e infine la paura folle che avemmo che Hitler potesse diventare il padrone del mondo.
Lelio e' stato un uomo che ci ha educato in quegli anni durissimi e ci ha aiutato a conquistare la liberta'; ci ha aiutato ed educato a resistere, a combattere anche quando davvero (posso dirvi: davvero), tutto sembrava ormai perduto... E ci ha aiutato a capire che la liberta' del nostro tempo non aveva nutrimento e contenuto vero se non penetrava la', nel luogo della modernita' prorompente, nella grande fabbrica capitalistica del '900.
Lelio spingeva a una lettura creativa della forza nuova della soggettivita' proletaria che ormai, nel nido della produttivita' novecentesca, veniva crescendo e dispiegandosi, facendo dure ma grandi esperienze. Non a caso l'autore di Lelio era Rosa, l'affascinante e sfortunata lettura che la Luxemburg faceva del movimento operaio in lotta contro la cappa delle burocrazie partitiche e, peggio ancora, contro lo stalinismo. Ricordo il titolo di un libro di Basso: Il principe senza scettro. Noi lo leggemmo con passione e anche in quel titolo c'era un'idea sua di liberazione di energie, una scommessa sul proletariato di cui andava indagando appassionatamente le culture, le esperienze, le innovazioni compiute sul campo e anche le dure sconfitte nei vari ambiti e paesi d'Europa; e tutto cio' con testarda convinzione internazionalista: poiche' questa fu in lui la coscienza delle dimensioni ormai trascinanti - globali, si dice oggi - che assumeva la societa' capitalistica, e i fondamenti umani che essa metteva in causa.
Devo confessare che io provo una certa esitazione e scrupolo nell'usare queste parole cosi' alte, cosi' impegnative, che sono il tema di questo convegno: i diritti umani. Il diritto e' parola antica ma anche vilipesa, e' l'affermazione di un titolo che esige esplicazione e tutela, domanda di realizzarsi, chiede un essere e rivendica un essere e un agire. I diritti riferiti alla condizione umana si puo' dire siano diritti a cio' che essa ha di specifico e di inalienabile; a cio' che richiede, prima di diventare una realta' - voi lo sapete meglio di me - una battaglia straordinaria e inflessibile. E diritto umano diventa anche, mi sembra, una invenzione, la costruzione cioe' di nuove condizioni di vita; piu' ancora: di nuovi termini di relazione fra esseri umani e fra sessi e fra popoli. E soprattutto - ci avrebbe ricordato subito Lelio - la' nel luogo del lavoro sociale, in quelle condizioni che oggi sono vilipese per milioni di creature di questo globo, per interi ceppi di popoli, si potrebbe dire, se solo guardiamo per un istante all'Africa: per un intero continente.
Qui interviene il mio dubbio su cosa sia, o possa essere, l'umano; e se l'uso stesso di questa parola per certe persone che pure chiamiamo cittadini, non suoni, oggi, purtroppo, come irrisione o come labile e fuggente sogno. Per stare solo all'attualita' delle gazzette, quali sono oggi, per esempio, se esistono, come li chiamiamo i diritti umani dei curdi?
Lelio Basso spese una vita per chiedere risposte concrete, per tentare risposte concrete a queste difficili domande sul diritto e sulla connessione con l'umano. Pur essendo sempre uomo di minoranza, cerco' l'unita' e la larghezza, ed era in cio' la sua felice irrequietezza, quel suo spingersi un passo piu' avanti anche dopo la sconfitta. Lelio conobbe anche sconfitte amare ed io ricordo bene quel suo socialismo, eretico ma di antiche radici, che credeva prima di tutto nella creativita' della classe e del mondo subalterno, il primo soggetto al quale egli affidava la scoperta delle nuove, complesse letture dell'umano a cui dare il volto e il potere del diritto.
E' bello che questa battaglia continui nella vostre opere, ora che i processi di globalizzazione del sistema capitalistico aprono questioni inedite di emancipazione e liberazione dal lavoro e noi, in questo turbinoso equivoco, alla fine del secolo, andiamo prendendo aspra coscienza delle nuove frontiere che i diritti qui evocati debbono raggiungere: avanzata coscienza dei mutamenti presentati dalla differenza femminile, dal lacerante rapporto di dominio dell'uomo sulla natura e infine dalle inquiete domande che si affacciano da quell'evento decisivo e fragile che e' il generare, il compiersi della vita umana.
Questo e' il compito con cui voi vi cimentate. E vorrei allora concludere con una proposta. Durante il dibattito che qui c'e' stato, uno degli amici studiosi presenti (mi scuso perche' non ne conosco il nome) ha chiesto un collegamento a livello europeo dei centri di studio e di ricerca sociale; e anche un'altra voce si e' alzata per invocare questo coordinamento e questo scambio nel cercare e nell'indagare. Anch'io sento molto questo bisogno: temo la dura frantumazione del nostro agire, proprio per l'intreccio che hanno gli eventi con i colpi recati all'unita' e alla forza del movimento di classe. Siamo oggi di fronte - e dobbiamo dircelo con franchezza - a un grave, disperante processo di dispersione che si compie in seno alle masse popolari, alla stessa classe operaia, con fenomeni persino di lontananza e di incomprensione.
Ritengo urgente una rimozione di questa distanza, di questa frantumazione che ci fa deboli. Certo, e' un lavoro che richiede una partenza analitica, una tematizzazione elaborata e quindi suppone un ragionamento che ancora non si e' depositato con chiarezza fra noi e su cui e' forse difficile una condivisione anticipata. Pero' attraverso un confronto metodico e prolungato io credo che potremmo vedere e misurare le differenze di schemi di lettura e di impianti teorici che ancora esistono fra noi.
Credo che questo sarebbe il modo migliore per ricordare l'amico Lelio. Ricordo il suo sorriso un po' scettico, quasi a smorzare continuamente l'enfasi, ma quel sorriso non cancellava la straordinaria carica di speranza che egli aveva e metteva in campo.
3. MAESTRI. ELENA PACIOTTI RICORDA LELIO BASSO
[Dal sito www.leliobasso.it riprendiamo il seguente ricordo di Lelio Basso, tratto da AA.VV., Socialismo e democrazia. Rileggendo Lelio Basso, Concorezzo, Gi. Ronchi Editore, 1992 che raccoglie le relazioni e gli interventi dell'omonimo convegno svoltosi a Milano nel 1988.
Elena Paciotti (Roma, 1941), magistrato, deputato al Parlamento europeo, Presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso - Issoco. Dal 1967 nella magistratura, svolge gran parte della sua attivita' presso il Tribunale di Milano come giudice civile e penale. Nel 1986 e' eletta membro del Consiglio superiore della magistratura. Per due volte presidente dell'Associazione nazionale magistrati nei bienni 1994-1995 e 1997-1998. Al Parlamento europeo dal giugno 1999 partecipa alla redazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea approvata a Nizza nel luglio 2000 e ai lavori della Convenzione per l'elaborazione della Costituzione europea]
La "scoperta" di Lelio Basso ha coinciso per me con la scoperta della ineliminabile politicita' del diritto e della giurisdizione, avvenuta allorche', nel 1967, sono entrata in magistratura (da poco erano state infatti ammesse anche le donne).
Subito aderii a Magistratura Democratica, un movimento di giudici progressisti, da poco fondato, che negli anni successivi della sua contrastata crescita vide spesso in Lelio Basso non solo un compagno di singole battaglie - come quella contro la legge Reale - ma anche l'ispiratore di grandi prospettive di valori democratici ed egualitari nel mondo del diritto.
Era ancora viva all'epoca l'eco delle polemiche suscitate dal conflitto ideale che aveva percorso e diviso il Congresso nazionale dei magistrati svoltosi a Gardone nel novembre del 1965: da un lato i sostenitori della tesi secondo la quale i giudici debbono essere interpreti e garanti dell'indirizzo politico fondamentale incorporato nella Costituzione (costituito da un insieme di valori- elevato a finalita' di tutto l'ordinamento e da un correlativo sistema di garanzie essenziali, che non puo' essere modificato dalle contingenti maggioranze di governo) e, dall'altro, i sostenitori della tradizionale visione del giudice come mero applicatore delle leggi esistenti (non importa se ispirate a sistemi di valori precostituzionali, come gran parte delle leggi e dei codici vigenti, emanati nel periodo fascista), di cui sarebbe vietata ogni interpretazione "evolutiva", pena lo sconfinamento nell'ambito riservato al potere politico.
Lelio Basso, intervenuto nel dibattito per appoggiare la prima tesi - con quella sua straordinaria capacita' di rendere comprensibili a tutti, con semplici riferimenti alla realta' dei fatti, anche concezioni teoricamente complesse - dopo aver ricordato il suo contributo alla formulazione degli artt. 3 e 49 della Costituzione, nei quali si introducono principi metagiuridici che debbono guidare l'interpretazione delle leggi, e dopo essersi soffermato sul peso esercitato dalla giurisprudenza nell'attuazione o non attuazione dell'indirizzo politico costituzionale, fece esplicito riferimento critico all'interpretazione della legge sull'amnistia in senso favorevole ai collaborazionisti e sfavorevole ai partigiani, alla forzatura delle norme costituzionali per asserire la liceita' della serrata, alle assoluzioni di mafiosi accusati dell'uccisione di sindacalisti.
Gli esempi, calzanti, furono sentiti come una sferzata da una platea di magistrati che in grandissima parte erano di formazione precostituzionale, abituati ad ossequi formali e insofferenti d'ogni critica. Invano tentarono di impedire a Basso di parlare. Egli concluse fra gli applausi e, alla fine, il Congresso approvo' per acclamazione una mozione nella quale si dichiarava "decisamente contrario alla concezione che pretende di ridurre l'interpretazione ad un'attivita' puramente formalistica, indifferente al contenuto ed all'incidenza concreta della norma nella vita del paese. Il giudice, all'opposto, deve essere consapevole della portata politico-costituzionale della propria funzione di garanzia, cosi' da assicurare, pur negli invalicabili confini della sua subordinazione alla legge, un'applicazione della norma conforme alle finalita' fondamentali volute dalla Costituzione".
Quel lontano, emblematico episodio e' rimasto a lungo nella memoria dei giudici democratici. In una nota di Marco Ramat, pubblicata recentemente, si legge: "che io sappia e ricordi, ci fu soltanto una grande figura della sinistra a cogliere, in quegli anni, il senso progressista, democratico, della lotta per l'indipendenza della magistratura: Lelio Basso. Il quale non ebbe ritegno, l'ho gia' ricordato, a sostenere con Maranini, avanti la Corte Costituzionale, le ragioni del Consiglio Superiore della Magistratura contro il Ministro; neppure fu un caso che si ritrovarono insieme, al Congresso di Gardone, a sfidare la Vandea... Basso ne provoco' le urla di protesta perche' nel suo intervento indico' come esempio di non indipendenza i processi fatti e non fatti contro la mafia. Urla che salirono al cielo... Presiedeva la seduta Nicola Serra, sfingeo, contrastato tra il desiderio di mettersi coi suoi e quindi di zittire Basso, e la necessita' di tener conto dell'altra parte, che gridava 'parli, parli' e che alla fine prevalse con un grande applauso all'oratore".
Ma ben altro, e di ben altra portata, e' stato il contributo che Lelio Basso ha fornito ai giuristi progressisti, e in particolare ai magistrati democratici: in molti restammo affascinati dalle potenzialita' evolutive introdotte nel sistema dal "suo" art. 3, capoverso, della Costituzione, nel quale si impone di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Ci sembrava che questa potente denuncia del sistema esistente, contenuta nella carta costituzionale - la rivoluzione promessa di cui parlava Calamandrei - fosse uno strumento di reale legittimazione sia dei nostri tentativi di introdurre nell'attivita' giudiziaria contenuti di maggiore democrazia sia delle nostre critiche alla legislazione e alla giurisprudenza prevalenti, che ignoravano il modello di societa' prefigurata dalla Costituzione. E apprezzavamo, comprendendole appieno, le parole di Basso: "La ragione per cui ho tenuto ad inserire questo articolo era proprio questa: che esso smentisce tutte le affermazioni della Costituzione che danno per realizzato quello che e' ancora da realizzare (la democrazia, l'uguaglianza ecc.), mette a nudo il valore puramente ideologico di certe affermazioni e tende a demistificarle".
Su questi temi ci confrontammo nel successivo Congresso nazionale dei magistrati svoltosi a Trieste nel settembre 1970 (in cui tenni la relazione per conto di Magistratura Democratica), presente Lelio Basso, che condivise le nostre critiche alla funzione repressiva delle lotte sindacali attribuita in quegli anni alla magistratura. Illuminante e di grande spessore fu poi la relazione conclusiva di Lelio Basso al convegno sul tema "Giustizia e Potere" tenutosi a Chianciano nell'ottobre del 1971. In essa sono analizzati, dal punto di vista dello studioso del marxismo, gli errori commessi dal movimento operaio nel sottovalutare i problemi istituzionali e di ordinamento giuridico, cosi' da trascurare, all'indomani della Resistenza, "una revisione abbastanza radicale e profonda della legislazione fascista", limitandosi "a ritocchi dei codici assolutamente insignificanti". "Mi sono domandato allora e mi domando ora - osservo' Basso, e in seguito piu' volte mi e' tornato in mente in altri contesti questo interrogativo - se questo atteggiamento fosse dovuto ad un marxismo piuttosto rozzo che tendeva a sottovalutare i fenomeni sovrastrutturali o se fosse invece dovuto ad un ottimismo che portava a sopravvalutare le possibilita' future della sinistra". Ricordando l'impegno di Marx in favore delle conquiste legali, in Inghilterra, dell'estensione del diritto di voto e della legislazione sulle fabbriche, non tanto perche' queste leggi miglioravano la condizione dei lavoratori quanto perche' introducevano una logica nuova, la "logica socializzatrice della classe operaia" all'interno del vecchio sistema di leggi, Basso esalto', contro ogni massimalismo e ogni empirismo, il ruolo progressista della battaglia per un nuovo diritto. Sottolineando la funzione ideologica dell'ordinamento giuridico ("cioe' quella di far credere ai cittadini che essi sono tutti uguali di fronte alla legge, mentre nella realta', nel substrato che si cerca di nascondere, i cittadini sono profondamente disuguali"), osservo': "Se noi ci limitassimo, quando leggiamo 'La legge e' uguale per tutti' a dire 'non e' vero'... se noi in queste frasi... vedessimo solo delle bugie e non anche la forza che se ne puo' trarre, avremmo commesso lo stesso errore. Attraverso questi principi generali che sono, ripeto, in contraddizione con la realta'... noi abbiamo gia' una prima strada di inserimento per il futuro mondo che su questi principi sara' basato, e che viene preannunciato gia' all'interno della vecchia societa' dalla loro semplice proclamazione".
Non e' difficile immaginare l'interesse con il quale queste riflessioni vennero accolte da quei magistrati progressisti contro i quali allora e negli anni seguenti fu condotta una vera e propria crociata, affinche' fossero espulsi dalla magistratura. Puo' far sorridere oggi ricordare le parole pronunciate dal Procuratore generale di Firenze, Mario Calamari, all'inaugurazione dell'anno giudiziario 1973: "Ma ora il fiore del male e' sbocciato nel nostro campo, dove alcuni, scarsi di numero, ma estremamente combattivi, hanno disorientato la pubblica opinione per avere abbandonato quella veste di riserbo e di rigorosa imparzialita' che rappresenta il connotato tipico della figura tradizionale del buon giudice...". A quei tempi ironizzavamo bensi' su queste frasi, ma eravamo consapevoli che non restavano senza effetti, in termini di procedimenti disciplinari, limitazioni di carriera, diffamazioni. E ci era di conforto trovare nelle parole di Lelio Basso, pronunciate a conclusione del convegno di Chianciano, conferma dell'utilita' della nostra scomoda battaglia: "Credo che ... si siano gia' fatti in Italia passi notevoli rispetto al passato, per merito principalmente di Magistratura Democratica ... Certo questi giudici sono una minoranza. Le loro decisioni possono essere riformate o cassate. Tuttavia cio', a mio giudizio, non diminuisce il significato del fenomeno... E' un lavoro lento, paziente, per trasformare e modificare i valori culturali. Si tratta di trovare in queste brecce, in queste contraddizioni, lo strumento per un'interpretazione alternativa. Non c'e' bisogno di gesti vistosi e di frasi ad effetto ... Noi che magistrati non siamo abbiamo il dovere di comprendere e assecondare questo sforzo".
Negli anni successivi partecipai con entusiasmo alle attivita' di sostegno e diffusione dell'opera del secondo Tribunale Russell contro la repressione in America Latina: ma di questa straordinaria espressione della creativita' e dell'entusiasmo di Lelio Basso e della sua capacita' di scoprire, suscitare e diffondere simili doti negli altri, non spetta a me parlare, avendo partecipato marginalmente a questa grande impresa, che coinvolse centinaia di persone in diverse parti del mondo. Dal mio punto di vista non si tratto' soltanto di un'opera di grande valore politico e morale, di denuncia e di condanna di regimi dittatoriali inumani, ma anche di un'elaborazione culturale tesa al superamento di concezioni meramente individualistiche del diritto, alla legittimazione come soggetti del diritto internazionale dei popoli anziche' degli Stati. Un'elaborazione che culmino' con la formulazione, nel 1976, della "Dichiarazione universale dei diritti dei popoli", la Carta di Algeri.
Gli "anni di piombo" che ci separano da quella stagione attenuano il ricordo del fervore di solidarieta' e della tensione morale e ideale che animo' tanti. Ora quell'opera e' proseguita, in altre forme, da pochi. Ma forse e' giunto il momento di tornare a riflettere su quei temi, di raccogliere l'eredita' di Lelio Basso, quella felice sintesi di passione politica e di originale ricerca intellettuale che egli ha saputo esprimere anche sui temi del rapporto dialettico fra societa' e diritto, fra lotta politica e presenza istituzionale, fra popoli e stati.
In un mondo sempre piu' dominato da spietate logiche mercantili, nel quale le risorse naturali e i beni essenziali sono rapidamente distrutti a momentaneo beneficio di pochi e a permanente danno di tutti, ma nel quale sta sorgendo una diversa coscienza della necessita' di difendere la vita, la pace, l'ambiente al di la' degli egoismi distruttivi, l'insegnamento che si trae dall'opera di Lelio Basso e' un'eredita' preziosa.
Egli ci ha insegnato a pensare e costruire un mondo diverso dentro il mondo presente, in tensione costante con questo, superando schemi mentali radicati ma falsi, che nascondono la realta' anziche' interpretarla. Il suo modo di approccio ai problemi collettivi, appassionato ma privo di pregiudizi, puo' rivelarsi attuale in molti campi nei quali si e' esercitato il suo impegno di studioso e di uomo di azione: nella lotta contro i risorgenti razzismi, nel confronto col mondo cattolico, nei rapporti con culture e religioni diverse.
Anche ai movimenti delle donne Lelio Basso dedico' attenzione e interesse.
In questi ultimi anni, dopo la sua scomparsa, i movimenti femministi hanno denunciato con forza la falsa universalita' dei modelli culturali maschili, la falsa uguaglianza che e' riconoscimento di parita' soltanto a coloro che sono simili, omologabili al proprio modello: lo stesso inganno per cui si e' chiamato suffragio "universale" l'estensione del voto a tutti i maschi maggiorenni.
Quando taluno stenta a comprendere la semplice verita' di questi assunti mi piace ripetere quanto con semplice efficacia usava ricordare Lelio Basso: che fra quanti il 4 luglio 1776 approvarono la Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti e la relativa Dichiarazione dei diritti dell'uomo, secondo cui "tutti gli uomini nascono liberi e uguali", vi erano proprietari di schiavi!
4. MAESTRI. SALVATORE SENESE RICORDA LELIO BASSO
[Dal sito www.leliobasso.it riprendiamo il seguente ricordo di Lelio Basso, tratto da Fondazione Internazionale Lelio Basso - Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco - Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli, Lelio Basso e le culture dei diritti, Atti del Convegno internazionale, Roma, 10-12 dicembre 1998, Roma, Carocci, 2000.
Salvatore Senese (Tarsia, 1935), magistrato. Deputato nell'XI legislatura e senatore nelle legislature XII e XIII. Membro di varie commissioni parlamentari. E' stato presidente della Fondazione internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli e presiede l'Associazione per la storia e le memorie della Repubblica. Si occupa di politica della giustizia]
[...] Basso fu fin nel profondo "uomo di sinistra", al di la' delle apparenti contraddizioni di una personalita' estremamente ricca. Poche personalita' politiche ebbero cosi' forte il senso della laicita' come Lelio Basso, una laicita' nei confronti degli schemi consolidati, delle vulgate di scuola o di partito, delle dottrine politiche; egli fu portatore di una inquietudine intellettuale di fondo che gli impedi' sempre di rimanere intrappolato entro gabbie concettuali.
Fu certamente uno dei piu' profondi conoscitori del marxismo, ma delle cui categorie seppe avvalersi in particolare per rompere quegli schemi concettuali sclerotizzati che assai spesso pretendevano di legittimarsi con il richiamo al marxismo. Il marxismo per lui fu soprattutto una lezione di metodo, una grammatica della concretezza per calare entro i processi storici reali l'istanza di liberazione del soggetto umano. Basso dunque maestro di concretezza? Ecco una prima provocazione che lancio agli illustri ospiti della nostra tavola rotonda. Questa istanza di liberazione lo accompagno' per tutta la vita e fu il contrassegno piu' profondo del suo essere di sinistra, un'istanza etico-politica che attraverso il marxismo si depurava dalle impazienze e dai massimalismi. Egli sapeva cogliere e valorizzare i risultati parziali, di cui scorgeva le potenzialita' non solo sul terreno economico-sociale, ma anche su quello istituzionale, culturale, artistico-scientifico, del costume; sempre fedele all'idea, certamente di derivazione marxiana, della formazione economico-sociale come totalita' che, sono sue parole: "abbraccia non soltanto il processo economico nei suoi diversi momenti, ma tutti gli elementi della societa' e l'intera vita sociale, comprese le forme giuridiche, politiche e culturali".
Una totalita' non monolitica ne' indifferenziata, nella quale i vari momenti non solo non perdono la loro relativa autonomia, ma rappresentano altrettanti terreni sui quali si gioca la partita della liberazione del soggetto, via via che se ne presentano le condizioni, e dunque la possibilita'. Ecco un altro tema che propongo [...]: il concetto di liberazione come possibilita' e non come fatalita', non come necessita' storica. Questo fu uno dei capisaldi della concezione storico-politica di Basso, rifiutare cioe' ogni beota fiducia in una sorta di immancabile radioso futuro dell'umanita' e al tempo stesso ogni disarmante rassegnazione dinanzi all'esistente. La "possibilita'" di liberazione fondava in lui la speranza, altro contrassegno del suo pensiero politico, e insieme la tensione dell'intelligenza per individuare le condizioni di un intervento cosciente e volontario, anche in vista di risultati parziali che egli insegno' a non disprezzare mai, raccomandando solo che essi si accompagnassero alla presenza cosciente dello scopo finale nel quale inquadrarli. Ed e' proprio in questa cornice che si colloca quella valorizzazione del ruolo del diritto propria della migliore cultura di tradizione marxista e troppo a lungo sacrificata dalle varie vulgate che riducevano il diritto a meccanismo puramente sovrastrutturale, senza indagare le possibilita' che esso presenta e le sfide che esso propone. Lelio vedeva il trasferimento della struttura contraddittoria della societa' nelle istituzioni e nel diritto, ed egli insegno' che questo era un terreno su cui impegnarsi anche per valorizzare la logica contraddittoria che sempre pervade la totalita'.
[...] Dall'attenzione per gli obiettivi parziali deriva anche il suo insistere perche' non ci si estraniasse dai processi che si sviluppano all'interno della societa' capitalistica e ci si sforzasse, invece, di cogliere all'interno di tali processi i segni di una logica antagonista che la contraddizione immanente tra sviluppo delle forze produttive e carattere dei rapporti di produzione fatalmente genera. Da queste premesse nasce il suo rifiuto di accogliere la distinzione, all'epoca ancora molto in voga nella sinistra, tra riformisti e rivoluzionari, e anche l'individuazione di terreni d'impegno apparentemente eccentrici o addirittura estranei all'orizzonte della sinistra del tempo. Ne voglio citare soltanto alcuni. Uno di questi e' il terreno dei diritti umani.
La storia dei diritti umani in questa seconda meta' del secolo e' una storia che andrebbe studiata con grande attenzione in un momento in cui tutti si affannano, e specialmente oggi che ricorre il cinquantenario della dichiarazione universale, a rivendicarne la bandiera. A un primo sguardo storico bisogna dire che la Dichiarazione universale dei diritti umani nasce soprattutto per volonta' delle potenze occidentali e si fonda, all'inizio, su di una innegabile ipocrisia: presente gia' nella Carta dell'ONU, dalla quale la Dichiarazione deriva per il dettato degli articoli 55 e 56, che afferma i diritti dell'uomo e al tempo stesso lascia sussistere gli imperi coloniali. Il superamento degli imperi coloniali non e' infatti visto nella Carta delle Nazioni Unite come un imperativo cogente ma soltanto come una meta lontana, come qualcosa che dovra' raggiungersi a conclusione di un processo, mentre la Dichiarazione universale pone con carattere di cogenza la tutela e la difesa dei diritti umani. Cio' ha fatto si' che per qualche decennio i diritti umani siano stati la bandiera di una delle parti del mondo diviso in due blocchi, una bandiera alla quale l'altra parte rispondeva agitando il vessillo del diritto dei popoli. Ancora alla meta' degli anni settanta uno studioso attento come Antonio Cassese poteva scrivere che se si da' uno sguardo all'insieme del mondo questo appare diviso in due meta': l'una che innalza il vessillo dei diritti umani e l'altra che innalza, sull'altra barricata, il vessillo dei diritti dei popoli.
Lelio Basso ruppe assai precocemente tanto l'ipocrisia quanto la dicotomia. Agli inizi degli anni settanta egli si fece promotore del Tribunale Russell America Latina con cui, attraverso un approccio induttivo, lanciando la denuncia delle gravissime violazioni dei diritti umani, al tempo stesso legava queste violazioni ai processi storici piu' ampi che negavano i diritti dei popoli. Diritti umani e diritti dei popoli venivano cosi' mostrando come gli uni non possano sussistere senza gli altri. Quando inauguro' il Tribunale Russell sull'America Latina egli lancio' una sorta di appello in cui motivava l'iniziativa con la necessita' di colmare il vuoto istituzionale esistente nella societa' internazionale circa la protezione dei diritti umani, ma al tempo stesso sollecitava la coscienza delle donne e degli uomini a una mobilitazione che desse concretezza a quegli stessi diritti umani, costringendo la societa' internazionale a uscire fuori dai suoi schemi classici ancora legati a quelli di Westfalia.
Sono passati venticinque anni e oggi vediamo Pinochet perseguito per violazione dei diritti umani su una sfera transnazionale. C'e' stato un cambiamento nel paradigma giuridico e nel paradigma politico, e cio' e' avvenuto proprio sotto la spinta della coscienza di milioni di donne e di uomini, quella stessa coscienza che faceva arricciare il naso ai marxisti ortodossi allorche' Lelio la evocava come fattore di cambiamento, come fatto reale, come elemento del processo storico che, unito agli altri elementi, puo' andare avanti. Su tutto cio' credo valga la pena riflettere.
Mi sovviene poi il tema dell'ambiente, oggi persino scontato, ma nel 1973 non era cosi', quando Lelio denunciava per la prima volta il saccheggio dell'Amazzonia e metteva in guardia contro i gravissimi disastri che, proprio per i diritti degli uomini e per i diritti dei popoli, ne sarebbero derivati.
Potrei citare la questione del debito estero, che egli con grande lungimiranza addito' come una delle cause dello squilibrio mondiale; e ancora la visione lucida dell'interdipendenza, che in qualche modo anticipava l'attuale scenario di globalizzazione.
Tutti quei punti si trovano poi mirabilmente racchiusi nella Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, proclamata ad Algeri il 4 luglio del 1976. E sono espressi in formule normative che ancora oggi, anzi oggi piu' che mai, hanno una loro validita', direi anche euristica: una serie di punti in cui il disordine mondiale emerge come fattore di sollecitazione e trova delle risposte.
Prendiamo, per esempio, il tema dell'autodeterminazione, che tante volte in questi anni e' divenuto vessillo di posizioni assolutistiche, retrive, passatistiche. Nel testo della Dichiarazione di Algeri l'autodeterminazione, che pure viene affermata come un diritto fondamentale, incontra il limite dell'altrui diritto all'autodeterminazione e piu' in generale della necessaria coesistenza di sfere diverse, individuali e collettive. Un limite, quello della interdipendenza, che scorgiamo in tutti i diritti fondamentali elencati nel testo.
A proposito di Basso si e' parlato di un'ispirazione libertaria-umanistica, e cio' e' vero, ma questa ispirazione e' svincolata da momenti di astrattezza.
[...] vorrei terminare con una domanda che ci riporta all'oggi: si e' spesso scritto che Lelio fu un isolato (ricordo che, forse dieci anni fa, Stefano Rodota' ebbe a rispondere con garbo e brio che se la sua fu solitudine, mai solitudine fu cosi' affollata di allievi, di persone desiderose di entrare in contatto con lui e di recepirne gli stimoli e gli insegnamenti) e certamente lui, che fu uomo di partito, che senti' profondamente il partito, visse gli ultimi anni della sua vita fuori da ogni partito. A cosa e' dovuto questo? Cosa indica, quali spiegazioni, quali chiarimenti possiamo dare? Non e' forse questo la spia di una crisi piu' generale per affrontare la quale abbiamo bisogno delle categorie teoriche e soprattutto di uno sguardo distaccato dall'immediato contingente quale Lelio ci ha insegnato ad avere?
5. MAESTRI. BRUNO TRENTIN RICORDA LELIO BASSO
[Dal sito www.leliobasso.it riprendiamo il seguente ricordo di Lelio Basso, tratto da Fondazione Internazionale Lelio Basso - Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco - Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli, Lelio Basso e le culture dei diritti, Atti del Convegno internazionale, Roma, 10-12 dicembre 1998, Roma, Carocci, 2000.
Bruno Trentin (Pavie, 1926 - Roma, 2007), partecipa ai movimenti di resistenza contro il nazi-fascismo in Francia e in Italia. Nel dopoguerra milita nel Partito d'Azione e, dal 1950, nel Partito comunista italiano. Eletto deputato nel 1962 e poi nel 1966. Nel sindacato della Cgil sin dal 1948, nel 1958 e' eletto vicesegretario, nel 1962 segretario generale della Fiom, nel 1977 segretario confederale. Dal 1988 al 1994 e' segretario generale della Cgil. Nel 1999 e' eletto al Parlamento europeo]
[...] Quando sono arrivato a Roma ero un giovane di sinistra senza partito e la prima rivista in cui ebbi l'opportunita' di scrivere fu proprio "Quarto Stato", diretta da Lelio Basso nel 1949-'50. Il rapporto con Basso mi offri' moltissime altre opportunita', non solo riguardo alle questioni che sono state dibattute: partecipai, per esempio, alla grande battaglia guidata da Lelio sul fronte dei diritti umani, dei diritti civili, dei diritti politici, attraverso il Tribunale Russell e in modo particolare quello sull'America Latina, in cui ho avuto l'occasione e l'onore di collaborare direttamente con lui. Sono stato quindi diviso tra molte tentazioni e ho finito poi per scegliere l'impegno nel sindacato.
Non credo sia casuale la coincidenza [...] per la quale ho anch'io riletto il contributo di Lelio al convegno sulle tendenze del capitalismo europeo del 1965, dove ho ritrovato, in nuce, nonostante tutte le incrostazioni che ancora sopravvivevano nel suo pensiero, cio' che a me sembra il tratto essenziale della sua ricerca: liberarsi continuamente da quelli che a lui apparivano dei cascami dogmatici e ideologici, confrontandosi sempre con una cultura acquisita e costruita.
Se oggi fosse vivo Basso non direbbe mai: "io non so cos'e' il marxismo-leninismo" perche', pur non essendo stato un marxista-leninista, egli si e' dolorosamente e duramente confrontato con questa costruzione ideologica al servizio di una strategia di partito. Il particolare interesse che riveste quell'intervento di Basso deriva anche dal fatto che esso si presentava in polemica con un altro intervento, quello di Giorgio Amendola, che appariva, singolarmente, in quel dibattito, come l'espressione di una volonta' unitaria nei confronti della sinistra intera. Amendola aveva proposto in quel convegno l'obiettivo del partito unico della sinistra ma, come cerchero' di dire, a partire da una analisi e da un tipo di proposta che era agli antipodi di quella che Basso cercava di sviluppare.
La relazione di Basso si regge su un punto centrale che sottolinea, proprio riferendosi a Rosa Luxemburg, la grande difficolta' con la quale si deve misurare un movimento socialista, quella cioe' di operare giorno per giorno all'interno della societa' presente con l'intento pero' di superarla; poggiare fermamente i piedi nella realta' quotidiana ma avere la testa bene al di fuori per spaziare lontano con lo sguardo; insomma, esser presenti nell'oggi capitalistico e insieme nel domani socialista. Dicendo questo, Basso poneva dei terribili problemi a un movimento operaio, a una forza di sinistra; tanto piu' nelle condizioni del capitalismo moderno. Siamo appunto negli anni sessanta, nel momento in cui il fordismo e' al suo apogeo, almeno in Europa, e il movimento operaio - scrive Basso - "corre il pericolo di perdere il legame fra l'azione quotidiana e lo scopo finale, di dividersi fra un oggi capitalista in cui esso e' impegnato in tutta una serie di rivendicazioni e un domani socialista che rimane confinato nei discorsi domenicali, con il rischio che fra l'uno e l'altro vi sia magari una contraddizione, come accade quando le rivendicazioni quotidiane sono piu' espressioni di malcontento che di lotta socialista, quando si difendono posizioni superate e condannate dallo sviluppo storico". Mi vengono in mente, per esempio, le recenti rivendicazioni dei tassisti romani, quando cioe' le lotte sono frutto di un compromesso con la classe avversaria che ne rafforza la posizione.
In questo senso c'e' un esempio classico che Basso fa nei confronti della socialdemocrazia, secondo me ingeneroso perche' potrebbe assolutamente coinvolgere l'intero arco delle forze di sinistra in Italia e in Europa in quel periodo, quando cioe' lui parla della "teoria della compensazione", secondo la quale i socialdemocratici sono disposti a negoziare miglioramenti immediati nelle condizioni di vita in cambio di concessioni in termini di potere.
Ho fatto questa citazione perche' mi sembra che qui sia il cuore della riflessione sofferta di Lelio Basso, e delle sue evoluzioni che non mancheranno di manifestarsi anche dopo quell'intervento; qui c'e' l'immagine di una trasformazione che muove dall'esperienza quotidiana, come egli diceva, e che costruisce nel presente un progetto socialista, la condizione per poter poi delineare, prefigurare una societa' diversa che non puo' essere mai immaginata a priori e tanto meno esportata. Qui c'e' veramente la rottura con alcuni dati fondamentali del dogma marxista-leninista, se vogliamo ricorrere a questa terminologia, e ritroviamo una salda continuita' non solo con tutto un filone del pensiero di Rosa Luxemburg - per esempio con i contributi degli austromarxisti che Basso conosceva molto bene; mi vengono in mente le tante Bastiglie da abbattere, da conquistare nella societa' civile di cui parlava Otto Bauer - ma anche con una concezione della formazione economico-sociale (ne ha parlato Senese) come dato fondante della forma di Stato e non viceversa. Su questo Basso insiste ripetutamente, anche nella relazione a cui ho fatto riferimento: non e' lo Stato che poggia su una societa' e il potere del capitalismo non deriva dal controllo dello Stato, ma deriva dal controllo della societa' civile. Cio' vuol dire rovesciare cio' che era diventato un dato di senso comune, e che secondo me sopravvive ancora oggi in molte forme, vuol dire cioe' rovesciare i rapporti che si erano costruiti nella dottrina socialista e comunista tra Stato e societa' civile (da Kelsen a Stalin starei per dire): lo Stato come creatore di societa', come fonte dei diritti della societa' civile. Vuol dire anche, naturalmente, mettere in discussione la funzione dell'avanguardia rispetto alla massa, per usare termini che allora erano assolutamente correnti, una massa che e' piu' o meno consapevole ma che trova il proprio riscatto soltanto nell'azione illuminata di un'avanguardia che si separa, percio', dai problemi quotidiani della classe operaia o della massa, diventati soltanto funzionali alla conquista del potere. Vuol dire, infine, rompere con quella concezione che ha rappresentato un articolo di fede per il movimento socialista, quella che io chiamo la "storia a tappe", e cioe' una transizione rigorosamente distinta dall'obiettivo finale, una transizione immune dalle illusioni che potranno soltanto tradursi nella conquista del potere.
Ritrovo, invece, nelle obiezioni avanzate da Giorgio Amendola, quando oppone all'intervento di Basso una classe operaia che sa farsi carico degli interessi della nazione - quasi mettendo fra parentesi non le sue resistenze corporative ma i suoi problemi fondanti proprio di classe consapevole della trasformazione - una conferma che siamo in presenza di un dibattito di fondo che interessera' la storia della sinistra nel suo insieme.
Inoltre, in quello stesso discorso di Basso si avverte gia', nella raffigurazione di una classe operaia che costruisce nella sua esperienza, nella quotidianita' un'idea di societa' diversa, la presenza dei temi del potere e dei diritti. C'e' quasi una trascuratezza nel descrivere, in modo qualche volta un po' apocalittico, gli sviluppi delle societa' capitalistiche, una trascuratezza degli aspetti, come dire, della miseria: l'elemento centrale per lui e' il rapporto di dominio nello Stato, nella societa', nel luogo di lavoro; qui si ripropone appunto, respingendo l'idea di una storia a tappe, l'attualita' irriducibile e per lui mai posponibile dei diritti, dei diritti delle persone, dei diritti delle collettivita' e delle associazioni. C'e' anche, non sempre esplicitata, una concezione della politica che trae i suoi fondamenti dall'emersione nella societa' di una domanda di diritto e di potere che va ben oltre Marx, il Marx delle liberta' e dei diritti formali per forza di cose fondati sulla legittimazione della diseguaglianza, che naturalmente va ben oltre Lenin e lo stesso Gramsci, va ben oltre la possibilita' di immaginare un "rendere la liberta'", che sara' soltanto realizzata in ultima istanza al momento della fine della storia. Per Basso, invece, i diritti e le liberta' hanno delle frontiere estremamente mutevoli, nascono nella storia, ma il primo confine della liberta' va oltrepassato "qui ed ora", subito, e' un'esigenza non posponibile. In questo senso si intreccia, mi sembra, l'acutezza dell'analisi che Lelio ha potuto fare in molti suoi scritti proprio sulla storia delle societa' civili e dei diritti civili con una forte, radicale componente etica che io [...] non definirei volontarista o attivista. Basso ha infatti ben presente la storicita' dei diritti, senonche' pensa che questa sia la questione sulla quale cominciare a costruire una societa' diversa in questa societa' e non certamente posponibile a un'altra epoca, addirittura all'epoca in cui finisce la storia. Viene il dubbio, anche vedendo i molti esempi che Basso fa in quella relazione, e in tutti i suoi scritti successivi, su quanto rimanga ancora valida, alla luce di una analisi di questo tipo, la distinzione che ci portiamo dietro fra diritti politici, diritti civili e diritti sociali; quando, invece, e' necessario rivisitare queste categorie sapendo distinguere quelle che possono essere delle conquiste importanti di carattere sociale ma legate certamente sia a un momento di storicita' sia alla contingenza del conflitto sociale, da quelli che diventano invece dei diritti universali che e' assurdo dividere da diritti di cittadinanza che hanno titolo nella polis politica.
Cos'e' il diritto al controllo di cui parla sempre Basso? Cos'e' il diritto allo studio, alla formazione? Possiamo dire che non e' divenuto un diritto di cittadinanza ed e' un diritto sociale distinguibile dal diritto di associazione, dal diritto di voto senza discriminazione, senza censo?
Mi sembra dunque che dalla riflessione, da tutto il lavoro portato avanti da Basso vengano queste suggestioni che ci inducono davvero a ripensare una categoria come quella dei diritti sociali, che tende a trasformare questi diritti indiscriminatamente come diritti a geometria variabile, funzione delle risorse e delle opportunita' che ogni singolo Stato, ogni singola collettivita' puo' disporre.
E' molto importante vedere come su questo tipo di analisi Basso svolge, in quello scritto, una polemica durissima contro le posizioni massimaliste che esistevano nel movimento operaio, contro la tesi delle rivendicazioni o delle riforme che devono essere incompatibili e irrecuperabili altrimenti rischiano di essere delle fonti di integrazione del movimento operaio. Basso ironizza contro queste concezioni, concede che la conquista di alcuni diritti e di alcune riforme anche fondamentali abbiano consentito al capitalismo di mutare, di assorbire queste riforme, con la differenza, pero', che in questo modo il capitalismo si e' trasformato esso stesso. Qui egli e' molto acuto [...] nel criticare i ritardi, i limiti ricorrenti della sinistra di fronte alle grandi prove alla quale e' stata sottoposta dalle trasformazioni dell'economia e della societa' civile all'indomani della prima guerra mondiale e all'indomani della seconda guerra mondiale. Basso portava un contributo decisivo a quello che resta in definitiva un grosso limite, un grosso tarlo della cultura delle sinistre; la sua polemica e' contro la rivoluzione dall'alto, e' contro la concezione teorizzata da Stalin, ma che non era solo di Stalin, secondo la quale la conquista del potere, la conquista dello Stato e' necessariamente un prius rispetto a qualsiasi trasformazione possibile della societa' civile. Una critica profonda a una cultura che concepisce la politica come una scienza autonoma o, meglio, come scienza della conquista dello Stato e del governo dello Stato.
Molto e' cambiato dall'epoca in cui Lelio scriveva e combatteva, in cui viveva la sua singolare solitudine che era al tempo stesso ricca di attenzioni e di partecipazione, ma il fondo della sua riflessione critica e' estremamente attuale anche oggi, quando l'idea che, in definitiva, tutto comincia dal controllo della stanza dei bottoni, l'idea che ancora concepisce lo Stato come fondatore di una societa' civile, mi pare rimanga ancora un grande limite delle culture politiche della sinistra europea, in tutte le sue articolazioni.
Limiti che hanno delle conseguenze pesanti se ancora oggi pensiamo che un progetto di trasformazione in questa societa' debba diventare un mezzo rispetto all'obiettivo prioritario della conquista del potere, una specie di pranzo a' la carte, direbbero i francesi, in rapporto ai desideri contingenti e mutevoli del cliente, nel caso di un ristorante, dell'alleato, di questo o di quel gruppo sociale, di quel pacchetto di voti che magari puo' assicurare un successo momentaneo. Una cultura che privilegia ancora l'autoreferenzialita', l'autodifesa delle funzioni autarchiche di mediazione dei partiti o dei sindacati, che giustifica la difesa della diversita', che giustifica l'esemplare frase di Craxi, ma anche qui non era e non e' solo di Craxi, "prima esistere, poi filosofare".
Basso ci diceva: bisogna prima sapere dove si vuole andare, bisogna prima filosofare e solo il filosofare puo' dare ragione della nostra esistenza.
6. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
[L'associazione e centro antiviolenza "Erinna" e' un luogo di comunicazione, solidarieta' e iniziativa tra donne per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza fisica e psichica e lo stupro, reati specifici contro la persona perche' ledono l'inviolabilita' del corpo femminile (art. 1 dello Statuto). Fa progettazione e realizzazione di percorsi formativi ed informativi delle operatrici e di quanti/e, per ruolo professionale e/o istituzionale, vengono a contatto con il fenomeno della violenza. E' un luogo di elaborazione culturale sul genere femminile, di organizzazione di seminari, gruppi di studio, eventi e di interventi nelle scuole. Offre una struttura di riferimento alle donne in stato di disagio per cause di violenze e/o maltrattamenti in famiglia. Erinna e' un'associazione di donne contro la violenza alle donne. Ha come scopo principale la lotta alla violenza di genere per costruire cultura e spazi di liberta' per le donne. Il centro mette a disposizione: segreteria attiva 24 ore su 24; colloqui; consulenza legale e possibilita' di assistenza legale in gratuito patrocinio; attivita' culturali, formazione e percorsi di autodeterminazione. La violenza contro le donne e' ancora oggi un problema sociale di proporzioni mondiali e le donne che si impegnano perche' in Italia e in ogni Paese la violenza venga sconfitta lo fanno nella convinzione che le donne rappresentano una grande risorsa sociale allorquando vengono rispettati i loro diritti e la loro dignita': solo i Paesi che combattono la violenza contro le donne figurano di diritto tra le societa' piu' avanzate. L'intento e' di fare di ogni donna una persona valorizzata, autorevole, economicamente indipendente, ricca di dignita' e saggezza. Una donna che conosca il valore della differenza di genere e operi in solidarieta' con altre donne. La solidarieta' fra donne e' fondamentale per contrastare la violenza]
Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it, facebook: associazioneerinna1998
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.
7. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA
Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.
8. REPETITA IUVANT. VERSO LA "GIORNATA INTERNAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE" DEL 25 NOVEMBRE
Si svolge il 25 novembre la "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne".
Ovunque si realizzino iniziative.
Ovunque si contrasti la violenza maschilista e patriarcale.
Ovunque si sostengano i centri antiviolenza delle donne.
Ovunque si educhi e si lotti per sconfiggere la violenza maschilista e patriarcale, prima radice di tutte le altre violenze.
9. REPETITA IUVANT. UN APPELLO NONVIOLENTO PER Il 4 DICEMBRE: UN PARLAMENTO ELETTO DAL POPOLO, UNO STATO DI DIRITTO, UNA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE. AL REFERENDUM VOTIAMO NO AL GOLPE
Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.
No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.
Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.
Senza odio, senza violenza, senza paura.
*
Il Parlamento, l'istituzione democratica che fa le leggi, deve essere eletto dal popolo, e deve rappresentare tutti i cittadini con criterio proporzionale.
Ma con la sua riforma costituzionale il governo vorrebbe ridurre il senato a una comitiva in gita aziendale, e con la sua legge elettorale (il cosiddetto Italicum) vorrebbe consentire a un solo partito di prendersi la maggioranza assoluta dei membri della camera dei deputati anche se ha il consenso di una risibile minoranza degli elettori, e con il "combinato disposto" della riforma costituzionale e della legge elettorale il governo, che e' gia' detentore del potere esecutivo, vorrebbe appropriarsi di fatto anche del potere legislativo, rompendo cosi' quella separazione e quell'equilibrio dei poteri che e' la base dello stato di diritto.
Se prevalessero le riforme volute dal governo sarebbe massacrata la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista, sarebbe rovesciata la democrazia, sarebbe negata la separazione dei poteri e quindi lo stato di diritto.
*
Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.
No al golpe, no al fascismo, no alla barbarie.
Al referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo votiamo No.
Senza odio, senza violenza, senza paura.
10. REPETITA IUVANT. UNA BOZZA DI LETTERA DA INVIARE AI PARLAMENTARI
Al/alla parlamentare ...
Oggetto: proposta di un impegno suo personale affinche' al piu' presto si addivenga alla discussione nelle competenti Commissioni parlamentari dei vari disegni di legge per la formazione alla nonviolenza delle forze dell'ordine
Gentile parlamentare ...,
le scriviamo per formularle la richiesta di un suo personale impegno affinche' al piu' presto si addivenga alla discussione nelle competenti Commissioni parlamentari dei vari disegni di legge per la formazione alla nonviolenza delle forze dell'ordine.
Come gia' sapra', dal 2014 sono state presentati sia al Senato che alla Camera vari disegni di legge che propongono la formazione delle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza. Al Senato il disegno di legge n. 1515 recante "Norme di principio e di indirizzo per l'istruzione, la formazione e l'aggiornamento del personale delle Forze di polizia" presentato in data 10 giugno 2014 ed annunciato nella seduta pomeridiana n. 258 del 10 giugno 2014; il disegno di legge n. 1526 recante "Norme per l'inclusione della conoscenza e dell'addestramento all'uso delle risorse della nonviolenza nell'ambito dei percorsi didattici per l'istruzione, la formazione e l'aggiornamento del personale delle forze di polizia" presentato in data 16 giugno 2014 ed annunciato nella seduta pomeridiana n. 263 del 17 giugno 2014; il disegno di legge n. 1565 recante "Norme per l'inclusione della nonviolenza nei percorsi formativi del personale delle forze di polizia" presentato in data 14 luglio 2014 ed annunciato nella seduta pomeridiana n. 279 del 15 luglio 2014; disegni di legge sottoscritti da numerosi senatori di varie forze politiche: Loredana De Petris, Luigi Manconi, Rita Ghedini, Valeria Fedeli, Paolo Corsini, Silvana Amati, Sergio Lo Giudice, Daniela Valentini, Rosa Maria Di Giorgi, Miguel Gotor, Elena Ferrara, Marco Scibona, Adele Gambaro, Marino Germano Mastrangeli, Daniele Gaetano Borioli, Maria Spilabotte, Erica D'Adda, Monica Cirinna', Manuela Serra, Francesca Puglisi, Pasquale Sollo, Francesco Giacobbe. Ed alla Camera il disegno di legge recante "Norme per l'inclusione della conoscenza e dell'addestramento all'uso delle risorse della nonviolenza nell'ambito dei percorsi didattici per l'istruzione, la formazione e l'aggiornamento del personale delle Forze di polizia" (atto Camera 2698) presentato il 4 novembre 2014; e il disegno di legge recante "Norme di principio e di indirizzo per l'istruzione, la formazione e l'aggiornamento del personale delle Forze di polizia" (atto Camera 2706) presentato il 5 novembre 2014; disegni di legge sottoscritti da deputati di varie forze politiche: Arturo Scotto, Celeste Costantino, Donatella Duranti, Giulio Marcon, Michele Piras, Stefano Quaranta, Massimiliano Bernini.
Ricordera' anche che gia' nel 2001 fu presentato al medesimo fine di istituire la formazione delle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza un disegno di legge sottoscritto da decine di senatori di tutte le forze politiche (ed in particolare i senatori Occhetto, Acciarini, Baratella, Battafarano, Battaglia, Bonfietti, Boco, Calvi, Chiusoli, Cortiana, Coviello, Crema, Dalla Chiesa, D'Ambrosio, Dato, De Paoli, De Petris, De Zulueta, Donati, Falomi, Fassone, Filippini, Formisano, Liguori, Longhi, Malabarba, Marini, Martone, Murineddu, Pascarella, Petruccioli, Ripamonti, Salvi, Tessitore, Turroni, Veraldi, Vicini, Viserta, Zancan), sostenuto anche dall'attenzione e dall'apprezzamento di deputati e parlamentari europei (tra cui i deputati: Bandoli, Bimbi, Bolognesi, Cento, Cima, Deiana, De Simone, Grandi, Grillini, Luca', Lucidi, Panattoni, Pecoraro Scanio, Pinotti, Pisapia, Preda, Realacci, Rognoni, Russo Spena, Ruzzante, Siniscalchi, Tolotti, Valpiana, Violante; tra i parlamentari europei: Imbeni, Di Lello, Fava, Morgantini e Pittella); ma allora quel disegno di legge non giunse ad essere esaminato nelle competenti Commissioni parlamentari.
Le segnaliamo anche che vari altri senatori e deputati hanno espresso il loro sostegno all'iniziativa legislativa per la formazione delle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza; e che, sempre nel 2014, la stessa Presidente della Camera dei Deputati, on. Laura Boldrini, trasmise alla competente Commissione Parlamentare, "affinche' i deputati che ne fanno parte possano prenderne visione", la documentazione a tal fine predisposta dal "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" che dal 2000 ha proposto al Parlamento di legiferare in tal senso.
Non vi e' bisogno di ripetere ancora una volta quanto sia opportuno che nel proprio percorso formativo e conseguentemente nella propria operativita' gli appartenenti alle forze dell'ordine possano disporre anche delle straordinarie risorse che la nonviolenza mette a disposizione di tutti gli attori sociali impegnati in situazione critiche per la sicurezza comune e la difesa dei diritti di tutti.
Con questa lettera vorremmo sollecitare il suo personale impegno affinche' quei disegni di legge giungano al piu' presto all'esame delle competenti Commissioni parlamentari e possano avere esito in un disegno di legge unificato ampiamente meditato e condiviso che possa divenire nel piu' breve tempo possibile legge dello stato.
Distinti saluti,
Firma, luogo e data, recapito del mittente
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OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)
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