[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 848



 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Numero 848 del 13 agosto 2016

 

In questo numero:

1. E chi muore in ogni guerra?

2. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia

3. Malvolio Straccani: Un minuto di riposo

 

1. SCORCIATOIE. E CHI MUORE IN OGNI GUERRA?

 

Persone, persone come me, come te.

Persone muoiono in ogni guerra.

Uccise da altre persone: persone come loro, come noi, ma di loro e di noi piu' stolte e disperate.

*

A tutte le guerre, a tutte le uccisioni tu opponiti.

Solo la pace salva le vite.

Solo il disarmo ferma il massacro.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

 

2. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

 

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.

Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

 

3. RACCONTI PER L'ESTATE. MALVOLIO STRACCANI: UN MINUTO DI RIPOSO

[Dall'amico Malvolio Straccani riceviamo e pubblichiamo questo nuovo racconto]

 

Era la prima volta che andavo in quella citta': il cavalier Rinaldo Biancoferri, che credo di poter definire il mio miglior amico, aveva avuto un incidente automobilistico piuttosto grave, lo avevano soccorso con l'elitrasporto, e lo avevano portato nell'ospedale provinciale di li'.

Io detesto muovermi da casa da quando sono in pensione, e anche prima non mi allontanavo mai dalla citta' in cui abito, che e' una piccola citta' ma per le mie esigenze c'e' tutto. Non mi piace il chiasso, e non mi piacciono i forestieri. Ho le mie abitudini. Anche Kant era cosi'. Ho fatto per tutta la vita il professore al liceo e credo di poter dire con onore e decoro. Sono una persona all'antica, di sani principii. Non mi sono mai sposato, ho dedicato l'intera mia vita alla filologia classica e alla missione educativa, Atene e Roma sono stati e restano i fari del mondo. Insieme alla religione cattolica apostolica romana, certo; cosa sarebbe il mondo senza la religione? Dio, patria e famiglia, e "il resto e' silenzio" come diceva quel barbaro non privo d'ingegno. La mia famiglia e' stata la scuola, e' la missione educativa: l'avete letto l'Emilio di Rousseau?

Il cavalier Biancoferri era vedovo e senza figli, in pensione anche lui; ci siamo conosciuti al circolo scacchistico, dove ogni giorno dal lunedi' al venerdi' passavamo gran parte del pomeriggio. Al circolo siamo i piu' anziani, ed anche se non siamo tra i migliori giocatori (vi sono infatti alcuni giovani invero promettenti), siamo rispettati da tutti; c'e' anche qualche mio ex-allievo del liceo, che si e' fatto strada nella vita, non dico per vantarmi.

E' stato al circolo che mi hanno detto dell'incidente. Ho telefonato all'ospedale della nostra citta' e mi hanno detto che non era li'. Ho saputo dove era il mio egregio amico dalla signora Amalia, che e' - come dire - la sua governante. Allora ho telefonato la', ed ho saputo che la situazione clinica era grave. Per quanto io ne sappia, e per quanto ne sappia la signora Amalia, il cavaliere aveva solo un fratello piu' grande morto da piu' di dieci anni; forse ha dei nipoti ma so per certo che non si frequentavano. Absit iniuria verbis. Per farla breve, non potevo esimermi dall'andare a visitarlo. E per farlo bisognava fare un viaggio di due ore di treno (due ore all'andata  e due ore al ritorno, senza contare che dovevo fare un cambio e putacaso saltasse una coincidenza il lasso di tempo si sarebbe protratto in imprevedibile misura; ma per un amico questo ed altro, chi ha letto i classici sa quale sia il suo dovere). Pianificai tutto, come e' mia saggia abitudine; mi piace essere preciso ed evitare le sorprese e le situazioni imbarazzanti. In tutta la mia vita adulta non sono mai uscito di casa senza indossare giacca e cravatta ed avere le scarpe ben lucidate. Sono stato professore al liceo, ci tengo a mantenere l'onore e il decoro. Lo dicevo sempre ai ragazzi: lo stile e' l'uomo.

Bene, seppi quale fosse l'orario delle visite in quel dolente asilo e trovai un treno che mi consentisse di arrivare con sufficiente anticipo (il reparto era accessibile dalle 16 alle 17, il treno che avevo scelto mi consentiva di arrivare alle 15: anche ammettendo un certo ritardo (si sa che i treni non arrivano piu' in orario da quando c'e' la repubblica, i sindacati, eccetera) sarei arrivato in tempo per dedicare l'intera ora alla proba incombenza di assistere il mio buon sodale d'innumevoli partite spagnole e difese siciliane in si' penoso frangente, e dargli il conforto di una parola amica. Partii la mattina successiva dopo un'ultima telefonata alla caposala per sapere quale fosse il quadro clinico ("stazionario, ma potrebbe precipitare da un momento all'altro, venga subito", rispose. "Volo", dissi).

Come avevo supposto giunsi alla stazione di arrivo alle 15,08 e subito chiesi a un agente di polizia ferroviaria col dovuto ossequio ma anche con il tono distinto e dignitoso che mi e' proprio - sono pur sempre un professore di liceo sebbene in quiescenza, e rappresento quindi la cultura e le istituzioni del nostro beneamato e infelice paese - dove si trovasse l'ospedale. Il pubblico ufficiale mi rese edotto che l'ospedale era nelle vicinanze, una passeggiata di dieci minuti. Mi recai a un bar e presi un caffe', pessimo come tutti i prodotti che vengono spacciati nelle mescite site dei dintorni delle stazioni, l'Italia non cambiera' mai, povera Italia.

Mi diressi verso l'ospedale, che non era affatto a dieci minuti di cammino, ma ad almeno venti. Quod erat demonstrandum. Dinanzi all'ingresso vi era un piccolo giardino con delle panchine che sembravano abbastanza pulite. Erano le 15,40. Poiche' mi ero stancato per la lunga marcia sotto la calura estiva (trattandosi del mese di luglio il solleone era del tutto appropriato, e cionondimeno alquanto fastidioso) mi sedetti su una panchina a riposarmi un attimo, non volevo presentarmi nella stanza del mio amico accaldato e ansimante. All'uopo reco sempre meco una di quelle confezioni di fazzolettini di carta, col quale diedi una sommaria strofinata all'area della panchina su cui mi sarei seduto, il fazzolettino poi deposi in un cestino li' nei pressi (ho sempre detestato chi getta in terra cartacce, mozziconi di sigaretta ed altre materie ancora: la civilta' comincia dalla propria condotta corretta e rispettosa del pubblico bene: sono sempre stato un difensore dell'ambiente, mi fanno ridere questi pretesi, sedicenti ecologisti che poi altro non sono che i vecchi estremisti atei e materialisti che dopo il fallimento del loro sciagurato, demoniaco ideale di facinorosi e degenerati hanno pensato bene di convertirsi in - di camuffarsi da, si dovrebbe dire in omaggio al vero - paladini della natura, ma per favore! Comunisti erano e comunisti restano. Ma la forza pubblica non interviene... Passiamo oltre, passiamo oltre. Povera Italia. Quanto s'illudeva il povero professor Gentile, massimo filosofo del secolo, e non poteva che morire da martire, da eroe, per la piu' grande Italia. Ogni anno dedicavo alla sua figura la prolusione del mio corso, ed all'idea sua somma: lo stato etico che invera la liberta'; c'era sempre qualche allievo che alle veementi mie parole di elevazione spirituale rompeva in lacrime - e si assicurava cosi' la promozione poiche' quand'anche zoppicasse nell'una o nell'altre delle lingue che io chiamo vive, vivissime, giammai morte, con quelle sante lacrime dimostrava il suo amore per la patria, e dove c'e' un patriota... Ma io divago.

Ebbene, sedendo su quella panchina pensavo di ricompormi e riposarmi cinque minuti e poi entrare nel nosocomio. Avevo ancora in tasca il "Corriere della Sera", ed ogni professore di liceo dovrebbe leggere il "Corriere della Sera" (anche se va pur detto, e con non mentita afflizione, che da anni ormai anch'esso e' stato invaso dal culturame modernista, sinistrorso e giudaizzante), lo estrassi, lo dispiegai ed impresi a sfogliarlo. Gli articoli che mi interessavano li avevo gia' letti in treno, ma sfogliare il giornale era il modo migliore per ingannare il tempo quei cinque minuti sulla panchina nel giardino prospiciente il presidio sanitario di quella citta' che non avevo mai visitato ma che naturalmente conoscevo quanto basta perche' sono una persona di cultura.

Mentre ero li' si fa da presso un giovanotto in bicicletta, e trovo disdicevole che si vada in bicicletta dinanzi a un ospedale, ci vuole un po' di decoro, un po' di rispetto per un luogo di sofferenza e di umana carita'. Alzo gli occhi e vedo che mi guarda, poi da' un colpo di pedale e si allontana ma fa un breve giro e torna, si ferma ancora, poi riparte e subito torna. Io levo di nuovo lo sguardo al suo volto e costui atteggia la bocca a un'enigmatica smorfia, poi una nuova pedalata, un nuovo giro, torna, scede dalla bicicletta che abbandona su una siepe e viene a sedersi sulla mia stessa panchina e senza guardarmi a bassa voce chiede: "Ah nonno, che ci hai il fumo?". Sono una persona educata e sono un uomo di mondo, ho insegnato greco e latino per tanti anni al liceo ed e' solo per restare nella mia citta' (ed assistere la mia povera mamma buonanima fino alla fine dei suoi giorni, ed e' il massimo vanto della mia anima) che non ho voluto intraprendere una carriera universitaria in una delle grandi capitali della cultura, non sono uno sprovveduto, perbacco, "nihil admirari" e' uno dei miei motti preferiti e i miei allievi lo sanno, ma l'offesa era davvero intollerabile. Mi alzo in piedi e squadrando il giovane teppista, scandendo bene le parole (ho una eccellente dizione, lungamente esercitata), lo apostrofo: "Giovanotto, crede davvero che la droga possa essere una soluzione ai suoi problemi? Ed ignora che ne e' illecito ogni commercio? Pensi alla sua salute, si cerchi un lavoro e non disturbi i galantuomini per la pubblica via, massime davanti ad un luogo di sofferenza e di cura come il nosocomio cui questo giardino e prospiciente". Una lezione di vita, chiunque ne converra'. E quel cafone drogato e sovversivo cosa fa? "Ah nonne', ma come parli?", dice con quel tono da cantilena, con quel ritmo strascicato che se ne sentivo far uso dai miei discepoli solo per quello gli mettevo quattro. E forse abbozza anche un gesto sconcio, sebbene io non ne possa esser certo. Infine si alza, afferra la sua bicicletta, mi guarda ancora in tralice con aria di sfida e dopo una squillante quanto incongrua e volgarissima scampanellata si allontana pedalando con movenze che non esiterei a definire oscene. O tempora, o mores.

Frattanto si sono fatte le 15,50 e prevedendo che qualche minuto occorrera' per trovare il reparto e la stanza in cui giaceva il mio ottimo amico cav. Biancoferri, mi alzo in piedi, piego e ripongo il giornale nella tasca della giacca, mi spazzolo con la nuda mano la giacca e mi appresto a muovere verso la struttura sanitaria, quando sento alle mie spalle una voce che dice: "Mi scusi se la disturbo"; mi giro e dietro la panchina su cui ero seduto c'e' un altro giovine, vestito da tennista e con una borsa sportiva da cui spunta il manico di una racchetta. Sorride educatamente. Io sorrido a mia volta, fa sempre piacere vedere un giovane beneducato. Mens sana in corpore sano, penso. "Non vorrei averla disturbata", aggiunge. "Sebbene io abbia una certa premura, lei non mi ha affatto disturbato, dica pure", rispondo affabile ed autorevole. "Vengo spesso qui - dice allora, abbassando la voce e lo sguardo, certo per modestia - ma e' la prima volta che la vedo". Io apprezzo sempre la modestia nei giovani, significa che hanno il sentimento e il valore morale della gerarchia. "In effetti, caro giovine, e' la prima volta che vengo qui". "E' un bene", e mentre dice queste parole mi sembra che strizzi un occhio. "Direi piuttosto un dovere, diciamo di amicizia", rispondo. Lui strizza di nuovo l'occhio, forse ha un tic nervoso, e sempre sorridendo con voce calda e profonda fa: "Possiamo essere amici, si'". Trovo l'espressione piuttosto sorprendente, e temendo un fraintendimento preciso: "Mi duole osservare, buon giovine, che purtroppo non ci conosciamo affatto, e quantunque stringere relazioni amicali sia sempre un bene e nessuno piu' di me ne sia persuaso assertore, e' incontrovertibile che nella presente circostanza non ve ne sia il tempo", infatti saranno ormai le 16 ed stara' quindi principiando l'orario di visita agli infermi, e il dovere mi chiama. E quello: "Il tempo e' sempre poco, ma puo' bastare comunque. Allora, si va?". E io: "Dove, scusi". E lui: "Dove possiamo farci quattro coccole in pace, no?". Sia chiaro, io non sono un bacchettone, ma ho le mie idee, i miei valori, la mia cultura. Ho letto e commentato piu' e piu' volte in classe il Simposio di Platone e non ho mai nascosto nulla ai miei allievi di quanto un'interpretazione filologicamente adeguata comporta. Non ho sciocchi pregiudizi, e come so che esistono delle - diciamo - mondane, so che esiste anche un equivalente maschile. Ma sono anche un educatore, e un educatore sa quando e' il momento in cui deve dare un esempio. Cosi' giro attorno alla panchina, mi avvicino a quel ripugnante depravato e gli dispenso due ceffoni invero ben assestati. Ecco dove siamo finiti con la cosiddetta democrazia, che poi in verita' altro non e' che demagogia, in quale letamaio, in quale degenerazione. Anche persone di mediocre ingegno capiscono che deve esserci un ordine e una morale. Ubi maior, minor cessat.

Mi ero agitato, non posso nasconderlo, e mentre quel sozzo individuo si allontanava, diedi un'occhiata al mio orologio (da tasca, la cui aurea catena attraversa il panciotto con nobile curva, naturalmente) e mi certificai che l'orario delle visite effettivamente era ormai iniziato, cosicche' mi spolverai di bel nuovo il vestito (non ce ne era bisogno, ma non si sa mai, le panchine pubbliche, si sa...) e m'incamminai verso l'ingresso di quel tempio della sofferenza e della solidarieta', ma faccio in tempo a muovere due passi, non di piu', che mi si para innanzi un giovanissimo carabiniere, imberbe e brufoloso, con due baffetti da topo, e mi dice: "E' lei che ha aggredito questo giovanotto?", ed accenna al turpe individuo che lo segue annuendo e - incredibile dictu - lacrimando, la faccia tutta rossa e su di essa ancora ben stampigliata l'impronta del palmo e del dorso della mia mano destra. E' ben vero che e' scritto "Oportet ut scandala eveniat", ma qui siamo al grottesco, all'assurdo: quella sentina di ogni sozzura ha l'impudenza di importunare un agente dela forza pubblica, e l'adolescente in divisa cosa fa? Invece di arrestarlo porge orecchio alle sue viscide, luride, eversive querimonie e pretende inquisire un cittadino morigerato che ad un tempo ha difeso la pudicizia, la pubblica morale, il civile convivere e dato una salutare lezione a un degenerato! Non credo ai miei occhi.

"Favorisca i documenti, prego". "Come dice, agente?". "I documenti, per favore". "I miei documenti?". "Si', favorisca i suoi documenti, prego". "Ed a qual pro?". "Come?". "A qual fine, intendo". "Non capisco, favorisca i documenti, prego". "Le sto chiedendo perche' devo darle i miei documenti, perdiana!". "Si calmi, per favore". "Sono calmissimo, ma lei mi sta facendo perdere tempo ed io devo recarmi immantinente in quel nosocomio...". "Si sente male?". "Ma no, sono in visita". "Allora non c'e' fretta. Favorisca i documenti, per cortesia". "Ma quali documenti, ma quale cortesia. Ma mi lasci in pace e piuttosto porti in guardina l'ignobile individuo alle sue spalle".

"Moderi il linguaggio, sa", interloquisce in falsetto il farabutto ridicolissimamente abbigliato da tennista. "Taccia lei, pervertito", lo apostrofo gelidamente. "Documenti, per favore", ripete il petulante baffetti-di-topo che disonora la divisa della benemerita. "Non ho tempo da perdere, desistete dall'importunarmi o passerete un bel guaio", dico io. La mezzacartuccia biancovestita continua a frignare, il coscritto invece ha la levata d'ingegno di alzare la voce: "Signore, si fermi per favore, non mi costringa...". Ed io, allora: "Costringa a che? costringa a che? Ma con chi crede di parlare? Lei non sa chi sono io! E se non avessi cosi' fretta le assicuro che le farei passare un bel guaio con i suoi superiori, proprio un bel guaio! E adesso fate luogo che il dovere mi chiama".

E quell'idiota calzato e vestito che fa allora? "La dichiaro in arresto, mi segua in caserma", dice. Proprio cosi'. Roba da non credersi. E intanto fa cenno a un collega che sornione si godeva lo spettacolo da una macchina di servizio che si trovava non piu' lungi di dieci metri alle mie spalle.

Non voglio dir altro. Non solo non feci in tempo a tornare prima della fine dell'orario di visita, ma persi anche l'ultimo treno per casa cosicche' fu giocoforza prendere una stanza d'albergo (ed io detesto dormire in lenzuola di dubbia pulizia) e fermarmi anche il giorno successivo, e quando finalmente misi piede nel presidio sanitario il mio indimenticabile amico era gia' morto.

Il funerale del cav. Biancoferri si e' svolto a mie spese, ed e' stato un vero salasso. E fra tre mesi ci sara' l'udienza per lesioni personali, ingiurie, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale.

Detesto muovermi da casa. Povera Italia.

 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

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Numero 848 del 13 agosto 2016

 

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