[Nonviolenza] Telegrammi. 2286
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- Date: Sun, 13 Mar 2016 00:50:34 +0100 (CET)
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2286 del 13 marzo 2016
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Da Viterbo contro la guerra
2. Anna Bravo: Gandhi, un maestro (parte prima)
3. Segnalazioni librarie
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'
1. INIZATIVE. DA VITERBO CONTRO LA GUERRA
In occasione della giornata di lotta contro la guerra che si e' svolta sabato 12 marzo 2016 in molte citta' italiane anche a Viterbo si e' tenuta una iniziativa di riflessione e testimonianza promossa dal "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani".
L'iniziativa si e' aperta con un minuto di silenzio in ricordo di tutte le vittime delle guerre e del terrorismo, del razzismo e dello schiavismo, del colonialismo e dell'imperialismo, del totalitarismo e del femminicidio.
Nel corso dell'incontro e' intervenuto il responsabile della struttura nonviolenta viterbese, Peppe Sini, che ha riassunto le ragioni dell'impegno per la pace, i diritti umani e la difesa dell'ambiente, e le ragionevoli e decisive proposte dei movimenti nonviolenti per la liberazione dell'umanita' da tutte le oppressioni.
2. REPETITA IUVANT. ANNA BRAVO: GANDHI, UN MAESTRO (PARTE PRIMA)
[Dal libro di Anna Bravo, La conta dei salvati. Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato, Laterza, Roma-Bari 2013, nuovamente riproponiamo il capitolo terzo "Un maestro" (pp. 53-89). Ringraziamo di cuore l'autrice.
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Tra le opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008; (con Federico Cereja), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, Torino 2011; La conta dei salvati, Laterza, Roma-Bari 2013; Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014.
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento (traduzione del fondamentale libro di Gandhi: Hind Swaraj; ora disponibile anche in nuova traduzione col titolo Vi spiego i mali della civilta' moderna, Gandhi Edizioni); La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recente libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori, e quello di Christine Jordis, Gandhi, Feltrinelli. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999. Tra le piu' recenti pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006]
Il gioco degli altri
E' a dir poco improbabile che i soldati di trincea che nella grande guerra concertavano tregue per risparmiare il sangue avessero sentito parlare di Gandhi - a parte, forse, qualcuno degli indiani inquadrati nell'esercito britannico. E Gandhi li avrebbe compresi, lui che nel 1918 stava cercando di reclutare volontari per sostenere lo sforzo finale del Regno Unito e che non sembrava molto colpito dalla fraternizzazione?(1)
Come i soldati "facitori di pace", molti protagonisti di lotte nonviolente ignoravano le idee di Gandhi, a volte neppure sapevano che esistesse. Ma alla base di ogni pratica, oltre che di ogni teoria, c'e' il suo pensiero e c'e' la sua vita. Nel loro intreccio si possono cogliere le tappe che portano alla nonviolenza come azione politica, come lotta dei forti anziche' dei deboli, come strumento per promuovere il conflitto, ma un conflitto governato dall'amore e dall'accettazione reciproca fra individui, fra religioni, fra culture.
Se Gandhi riesce a fondare questa nuova politica, e' perche' si e' reso conto - con cinquant'anni di anticipo sui movimenti di liberazione nazionale - che il grande inganno del colonialismo consiste nell'aver costruito una cultura in cui gli oppositori sono continuamente tentati di lottare all'interno delle regole del gioco fissate dai colonizzatori. Sempre pronto alla mediazione e al compromesso, Gandhi su questo punto e' intrattabile: piuttosto che un dissenziente "ornamentale", disposto a adattarsi al gioco altrui (2), meglio essere un nemico disprezzato e irriso, un corpo estraneo alla politica - ma ben incuneato nella politica. Averlo capito fa del suo pensiero un evento (3) che inaugura un diverso modo di raccontare l'India, e che lo rende unico nel suo tempo.
Ma la sua storia anticipa molte verita' comuni ad altre storie: che la nonviolenza di rado e' l'opzione iniziale; che per lo piu' e' il frutto di una crescita (un pellegrinaggio spirituale, lo definisce Martin Luther King) in cui il primo passo e' aver constatato l'inefficacia della violenza e il suo potere di contagio; che ha molti nemici interni; che deve misurarsi con forme di distruttivita' compresenti, e ha spesso in se' una particolare qualita' di violenza diretta a costringere l'avversario alla trattativa - e' la migliore conferma che la storia non e' il prodotto di forze impersonali, ma del fronteggiarsi fra natura, strutture, soggetti (e caso), dove i soggetti sono il fattore principe.
Non e' un terreno facile, l'India di Gandhi. La grande maggioranza della popolazione, che a dispetto degli stereotipi non e' affatto dolce e mite, e' sfruttata e stremata, ma alcuni hanno una dimestichezza con i britannici che li rende riluttanti a schierarsi contro di loro - il sahib bianco (e la memsahib) non sono sempre despoti. Il terrorismo si fa sentire, sia pure in modo sporadico, mentre il maggior partito nazionale, il Congresso, e' diviso fra un'ala pronta a governare insieme con la Gran Bretagna, e un'ala "nativista", che punta all'indipendenza esaltando le culture autoctone. Il potere coloniale, a volte spietato fino al massacro a volte paternalistico, offre floride carriere all'elite locale.
In primo piano, i due grandi mali dell'India: la contrapposizione fra induisti e musulmani e un sistema rigidissimo di caste, che sancisce l'intoccabilita' di quanti ne sono fuori.
Per la sua dignita' e felicita', il paese ha bisogno di una rivoluzione politica, di casta, di genere, di classe, di culture. Programma immenso e a rischio di isolamento, perche' le lotte anticoloniali erano ancora un'eccezione.
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Tre patrie
Gandhi, il piu' esotico dei leader novecenteschi, ha tre patrie. La prima e' l'India, dove nasce nel 1869 nel Gujarat, in una famiglia benestante della comunita' modh.
La seconda e' Londra, dove si sposta per seguire gli studi di legge. All'epoca, la capitale e' un crogiuolo dove si possono incontrare intellettuali di molti paesi e seguaci di molte fedi, socialisti in esilio, anarchici, vegetariani, difensori degli animali e della natura, femministe, omosessuali (quasi) militanti, nazionalisti. E le relative associazioni, come la Societa' teosofica, che appoggia caldamente la causa dell'India e dell'Irlanda.
E' una controcultura ante litteram (4), al cui interno il giovane Gandhi stringe conoscenze e amicizie e ritrova gli insegnamenti jainisti della madre - il rifiuto della violenza, la compassione per ogni essere senziente, la tolleranza, l'attenzione alle diete e al corpo. Scrive sulla piccola rivista "The Vegetarian", legge di tutto, e' folgorato dalla Baghavad Gita, un famoso testo della tradizione epica indiana. E, guardando le sue radici attraverso gli occhi dei nuovi interlocutori, ne scopre il valore - e' un meccanismo tutt'altro che raro.
Quando Gandhi torna in India, nel 1891, non e' piu' il ragazzo semi-ateo incline a trasgredire i precetti religiosi. E' un giovane uomo pieno di dubbi e di curiosita', avviato verso una transizione che prendera' forma in Sudafrica, la sua terza patria, il luogo del debutto in politica.
La svolta non e' programmata ne' immediata. Chiamato a patrocinare una causa da una ditta indiana con sede in Natal, Gandhi si trova di fronte alle condizioni di semi-schiavitu' in cui vivono i 150.000 connazionali emigrati per lavoro, subisce lui stesso il razzismo anti-indiano, ma condivide quello contro i neri. Nel 1903 fonda il Natal Indian Congress, nel 1904 il giornale "The Indian Opinion"; riesce a coagulare attenzione e solidarieta' intorno alle leggi discriminatorie, si avvicina al Partito indiano del Congresso. Guadagna notorieta'.
Ancora convinto che l'impero britannico "esista per il bene del mondo" (5), caldeggia la partecipazione degli indiani alla seconda guerra anglo-boera, e nel 1906 alla spedizione punitiva contro la ribellione degli zulu. Per questa via, pensa, gli indiani potranno ottenere maggiori diritti e dimostrare che, a dispetto dei pregiudizi, hanno coraggio e senso dell'onore. Fa due scoperte chiave. Per gli indiani in Sudafrica non c'e' alcun miglioramento - il governo ha mentito ventilandolo. Gli zulu sono per lo piu' contadini esasperati da una tassazione famelica - il governo ha mentito descrivendoli come belve.
Lo stesso anno 1906, in Transvaal viene promulgata una nuova legge per la registrazione - in realta' la schedatura - degli indiani residenti; scoppiano proteste di massa che si intensificano quando viene cancellato il riconoscimento legale ai matrimoni celebrati secondo la tradizione indu'. Gandhi, che da anni sta lavorando intorno all'idea della nonviolenza, fonda la Passive Resistance Society e propone per la prima volta il metodo della resistenza inerme, chiamando i suoi a sfidare la nuova legge e a subire le violenze senza restituirle.
Ne nasce una lotta che dura sette anni, lungo i quali migliaia di indiani (fra cui lo stesso Gandhi) e cinesi, sono imprigionati, frustati, uccisi per aver fatto sciopero, rifiutato di registrarsi o bruciato i relativi moduli. Finche', dopo una marcia delle donne guidata dalla moglie di Gandhi, Kasturbai, si arriva a un compromesso: i matrimoni induisti, musulmani e parsi sono resi nuovamente legali, si annulla la tassa prevista per la registrazione. E' stata decisiva la protesta dell'opinione pubblica per la ferocia della repressione. Ed e' stata decisiva la capacita' negoziale di Gandhi, sorretta dalla popolarita' che sta guadagnando (6).
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"Ahimsa" e "satyagraha"
Quelli del Sudafrica sono anni di scoperte intellettuali e spirituali, di letture (libri sacri dell'induismo e di altre religioni, Tolstoj, Ruskin, Thoreau, Carpenter), di nuove amicizie. Gli anni in cui Gandhi mette a fuoco il concetto di nonviolenza impiegando due parole distinte e interconnesse, ahimsa e satyagraha, legate al credo induista e fatte proprie dalla tradizione del jainismo e del buddhismo. Ahimsa indica il contrario della violenza, il non nuocere agli esseri senzienti umani e non umani e alla natura, la conquista dell'armonia, la ricomposizione della comunita'. Satyagraha, un termine coniato dallo stesso Gandhi, significa "forza della verita'", avvicinamento a dio, fedelta' al bene, amore come forza coesiva.
Il binomio ahimsa-satyagraha e' esposto nel 1909 in un breve libro, Hind Swaraj (7), che restera' la base del suo pensiero. E' uno sguardo del tutto nuovo, in primo luogo sulla questione coloniale: "Gli inglesi - dice a un interlocutore immaginario - non hanno conquistato l'India, siamo noi che gliel'abbiamo consegnata. Non sono qui per la loro forza, ma perche' ce li teniamo [...]. Ci piacciono i loro commerci, ci seducono con i loro modi gentili [...]. Incolparli per questo significa perpetuare il loro potere" (8). Gandhi non amava ne' il concetto di nemico, ne' quello di vittima - di qui sconcerto e animosita' da parte degli altri leader nazionalisti - e incitava i suoi a smettere di concentrarsi sui comportamenti dei "cattivi" per cominciare a agire loro stessi secondo giustizia, come soggetti responsabili in lotta per sopravvivere a proprio modo.
Ai colonizzatori si possono opporre "due tipi di forza. Una si esprime cosi': 'Vi arrecheremo danno finche' non ci darete cio' che chiediamo'. E' la forza delle armi". Ma "coloro che arriveranno al potere con l'assassinio non renderanno felice la nazione" (9).
Oppure, si puo' scegliere la "forza dell'amore e dell'anima". Ai britannici si puo' dire: "Se non accettate le nostre richieste, non ve ne faremo altre. Potete governarci fino a quando accettiamo di essere governati; ma da oggi in poi non avremo piu' nulla a che fare con voi" (10) - grazie a forme di lotta scelte accuratamente come la disobbedienza civile, il boicottaggio, lo sciopero, la non-collaborazione, il digiuno.
E' una rivoluzione spirituale, sociale, morale. Swaraj non vuol dire soltanto indipendenza politica, vuol dire capacita' di pensare e sentire autonomamente, grazie alla riscoperta (e in parte all'invenzione) del senso della cultura indiana e a "un continuo processo di autoeducazione" (11). Con il satyagrahi, l'attivista nonviolento, nasce un tipo di oppositore politico mai visto prima, che prende l'iniziativa e conquista i diritti attraverso la sofferenza personale, addirittura spingendo l'oppressore alla brutalita', ma senza farsene contagiare (12). E' il gioco di Gandhi. "Si dice: i mezzi in fin dei conti sono mezzi. Io dico: i mezzi in fin dei conti sono tutto" (13). "Non possiamo ottenere una rosa piantando un'erbaccia nociva" (14).
L'erbaccia e' la violenza, il mezzo di chi non sa dichiarare il suo amore, vale a dire del codardo. Anche la nonviolenza puo' esserlo, se nasce dalla paura e dalla rinuncia a lottare, anziche' dal coraggio e dalla convinzione (15).
I protagonisti devono essere i contadini poveri, cui bisogna restituire dignita' e una buona vita. Essere vicino a loro - scrive (16) - e' il suo desiderio del cuore, fare voto di poverta' un modo per realizzarlo. Vivra' lui stesso una vita semplice, "per permettere agli altri semplicemente di vivere". E vita semplice vuol dire ridurre al minimo i consumi, non accumulare beni e denaro, non mangiare carne, praticare attivita' manuale e tornare alla natura (17), rispettare le specie animali e vegetali (18), creare comunita' ugualitarie e il piu' possibile autosufficienti, rifiutare il dogma dello sviluppo come via al benessere. Negli ashram che ha fondato in Sudafrica e fondera' in India, sperimenta diete, digiuna, legge libri sul modo di lavare i vestiti e sui sistemi sanitari. Non c'e' attivita' umana di cui non si interessi. Compresa quella sessuale, ma per limitarla o bandirla, almeno per se stesso.
All'eta' di 36 anni Gandhi fa voto di castita', influenzato dalla filosofia del Brahmacharya - purezza spirituale e pratica - e dall'idea di autocontrollo appresa a Londra fra i vegetariani, spesso contrari alla limitazione delle nascite con sistemi artificiali. Nella rinuncia alla sessualita' vede un mezzo per avvicinarsi a dio, per conciliare la cura della famiglia e la cura degli interessi collettivi (e la politica), perche' non si puo' vivere assecondando allo stesso tempo lo spirito e la carne (19). Che lo tormenta con la potenza del suo richiamo (20).
E' una visione del mondo compiuta, ma non del tutto stabile. Gandhi, ricorda Pontara, si proclama fallibilista (21). "La vita di un uomo - scrivera' nel 1925 - non e' un'unica via diritta, ma un intrico di doveri molto spesso in contrasto tra loro. E si e' continuamente chiamati a scegliere tra un dovere e l'altro". Dopo aver fatto proprio l'imperativo "non uccidere", in seguito denuncera' chi lo ha trasformato in un cieco feticcio, riconoscendo che esistono situazioni in cui e' moralmente giustificato, anzi doveroso, resistere all'aggressione violenta con l'uccisione individuale o con la lotta armata (22).
Ogni interpretazione e' poi complicata dal fatto che Gandhi non e' un pensatore sistematico, ne' solo un pensatore; e' un politico, un giornalista, un avvocato, un organizzatore straordinario, un uomo profondamente religioso. Lungo la sua vita cambia idea su punti centrali, si contraddice, non lo nasconde, alla sua autobiografia da' il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. E scrive: "Il mio scopo non e' di essere coerente con quel che ho detto su una certa questione, e' essere coerente con la verita' come mi si presenta in un dato momento" (23).
A rimanere costante e' la denuncia della societa' industriale. Felicita' e benessere consistono in un uso appropriato di mani e piedi, ma presto "l'uomo non ne avra' piu' bisogno. Si premera' un bottone e gli abiti saranno a portata di mano. Si premera' un altro bottone e arrivera' il giornale. [...] tutto sara' fatto da macchinari" (24). "Mi oppongo alla follia delle macchine, non alla macchina come tale. La follia riguarda le macchine risparmiatrici di lavoro. L'impulso non e' risparmiare lavoro per amore degli uomini, ma avidita'" (25). Ferrovie, grandi citta', grandi fabbriche, grandi commerci, hanno distrutto la civilta' rurale, il lavoro artigiano e l'economia delle comunita'; le ferrovie impediscono al viaggiatore l'esperienza di scoprire i luoghi che attraversa; la smania della velocita' fa sembrare i londinesi mezzi matti. Non soltanto inutili, ma dannosi, sono i medici, gli ospedali, l'istruzione imposta a tutti, gli avvocati - "se la gente risolvesse da sola le proprie controversie, non sarebbe possibile per una terza parte esercitare l'autorita'".
"Questa civilta' e' tale che con un po' di pazienza si distruggera' da sola" (26). Siamo nel 1909, in tempi di culto del progresso, sistema industriale trionfante, sviluppo della medicina, societa' di massa. La preveggenza di Gandhi fa quasi paura.
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Piu' donna che uomo
La nonviolenza non cambia solo la politica, cambia i modelli di mascolinita' e femminilita' esportati dalla cultura coloniale. Come potrebbe Gandhi, oppositore tutt'altro che ornamentale, riconoscersi nei dualismi forte-debole, universale-particolare, coraggio-codardia, agire-astenersi dall'agire, che pretendono di legittimare il dominio dei colonizzatori sui colonizzati e del maschile sul femminile? e che con la loro rigidezza affliggono tutte le parti in causa. Il fardello della donna bianca, che alcuni autori assimilano al colonizzato, e' la mancanza di diritti e il marchio di inferiorita' che le ricade addosso. Il fardello dell'uomo bianco consiste (anche) nella paura di perdere la forza se perde l'attivismo e la capacita' della violenza (27).
Liberando l'iniziativa e il coraggio da questo vincolo, Gandhi compie una doppia inversione. Fa incontrare la virilita' con la mitezza, l'energia combattiva con la femminilita', specie con la maternita'; teorizza l'esistenza di due forme di potere: quello maschile si fonda sulla effimera forza materiale, quello femminile sulla forza permanente dello spirito, su un infinito amore e capacita' di soffrire. "Chi se non la donna, la madre dell'uomo, mostra questa capacita' nella misura piu' grande? La donna e' l'incarnazione dell'ahimsa" (28).
Ad essere superiore dunque e' l'essenza femminile. Che pero' non e' chiusa in se stessa e separata. Appoggiandosi alle piccole e grandi tradizioni della santita' indu', che a differenza dei monoteismi comprende deita' maschili, femminili e androgine, Gandhi giudica che "la mascolinita' e la femminilita' hanno pari dignita', ma la capacita' di trascendere la dicotomia uomo-donna e' superiore a entrambe, poiche' e' un indice di qualita' proprie della divinita' e della santita'" (29). Che danno all'uomo l'accesso al potente e magicamente protettivo principio materno del cosmo.
E' quel che Gandhi cerca. Spera che le donne lo riconoscano come "uno di loro", vorrebbe diventarlo nello spirito. Rappresenta se stesso come una "femmina", svolge compiti femminili, si fa ritrarre mentre siede davanti al charkha, il tradizionale filatoio a mano, filando pazientemente il cotone che serve a tessere la stoffa per il khadi; vanta i pregi di questa pratica silenziosa e lenta come preparazione di uomini e donne al satyagraha. A chi lo accusa di sprecare l'energia della nazione chiedendo agli uomini di filare come le donne, risponde: "E' contrario all'esperienza dire che qualsiasi vocazione sia riservata a un solo sesso. Le donne cucinano in casa, la cucina su larga scala e' fatta da uomini in tutto il mondo" (30).
E' una sfida all'ordine coloniale e una rottura clamorosa sul piano dell'iconografia politica - all'epoca in Occidente domina il timore della svirilizzazione, negli Stati Uniti persino i riformatori religiosi insistono sulla vigoria e ruvidezza di Cristo contro la sua immagine di dolcezza accogliente; il presidente eletto nel 1904, l'intellettuale harvardiano Theodore Roosevelt, si e' "costruito" una nuova figura pubblica, scegliendo fra i suoi modelli la mascolinita' plebea dei militanti politici e quella western alla Pat Garrett e Billy The Kid. Ma sostenere che non esiste vocazione esclusiva di un sesso rovescia anche - assoluta novita' - le interpretazioni correnti allora (e oggi?) sulla divisione sessuale del lavoro, in cui ci si concentra sempre sull'attitudine delle donne a lavori considerati maschili, mai sull'attitudine degli uomini a lavori considerati femminili.
Eppure e' proprio nel rapporto con le donne che Gandhi rivela le maggiori ambiguita'. Approva i "satyagraha familiari" - una donna che digiuna contro il marito per farlo dimettere da un impiego statale, un figlio che si scontra con il padre sergente di polizia (31) - in cui vede una premessa per la ribellione all'autorita' britannica (32); la campagna contro il monopolio del sale, un elemento indispensabile per la vita quotidiana e dunque di primario interesse femminile, segna uno spartiacque nella partecipazione delle donne. Ma per il resto, il dominio patriarcale non viene sfidato - sarebbe una rottura con la cultura indiana, non solo britannica. Anche se con la nonviolenza Gandhi "femminilizza" la politica e porta una quantita' di donne nella sfera pubblica, l'attivismo femminile e' vincolato all'obiettivo dell'indipendenza. A scontro finito, le "madri dell'India" torneranno per lo piu' alla domesticita' (33).
Si circonda sia di amiche indiane sia di occidentali emancipate, si rallegra di averle accanto, inventa per loro nuovi nomi, le inizia alla spiritualita', le tratta con tenerezza - lo si potrebbe definire una specie unica di homme a' femmes. Ma l'affetto convive con la pretesa di trasformarle in madri e sorelle per controllare l'angoscia della sessualita'.
Si appoggia a figure mitologiche come Sita, Draupadi, Savitri facendone simboli nazionali, ma le destoricizza, piegandone i significati alla lotta (34).
In qualche caso, sembra identificare il valore della vita femminile con la purezza fisica. Pensando a situazioni in cui e' ammesso uccidere, scrive: "Si supponga, per esempio, che io trovi che mia figlia - il cui desiderio in tale momento non sono in grado di accertare - stia per essere violentata e non ci sia modo in cui io possa salvarla". Ci si aspetterebbe un gesto contro l'aggressore. Invece, "in tal caso toglierle la vita ed arrendermi alla furia dell'acceso ruffiano sarebbe da parte mia il piu' puro atto di ahimsa" (35).
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Il gioco di Gandhi
"Possiamo considerare Gandhi un idealista, un fanatico, o un rivoluzionario. Ma [i contadini] vedono in lui il loro liberatore, e gli attribuiscono poteri straordinari. Se ne va in giro per i villaggi esortandoli a presentare le loro lagnanze, e trasfigura l'immaginazione di masse di uomini ignoranti mediante la visione di un'imminente rigenerazione millenaristica. Ho fatto presente questo pericolo a Mr. Gandhi, e lui mi ha assicurato che le sue parole sono vagliate con tanta cura che non si puo' interpretarle come un incitamento alla rivolta" (36). Cosi' scrive W. A. Lewis, funzionario dell'Indian Civil Service nel 1917.
Da dove nasce la rapidita' con cui Gandhi si impone nella vita dell'India? Nel 1915, quando torna in patria, la conosce ancora poco, e in piccola parte. L'esperienza del Sudafrica lo aiuta a capire una prima verita'. A far soffrire la maggioranza della popolazione non e' solo lo sfruttamento, e' l'umiliazione di sentirsi trattati da inferiori (37), di dipendere totalmente dall'interesse, dalla benevolenza o dal capriccio dei britannici, della nobilta' locale, dei proprietari terrieri, dei funzionari statali. Nei loro bei vestiti, nelle loro belle case, con il loro bell'inglese, i leader del Congresso stentano ad afferrare la portata di quella sofferenza.
Gandhi si rende invece conto che chi e' stato umiliato ha un bisogno vitale di riscattarsi in prima persona, o attraverso una figura capace di rappresentarlo. Lui lo e': vive poveramente, indossa il dothi, l'abito tradizionale di cotone bianco, parla con semplicita' - e' la sua prima regola del gioco. E ha "qualcosa", su cui si sono interrogati studiosi, politici, religiosi, indiani e non: anche se arriva dall'esterno, Gandhi sembra emergere letteralmente dalla massa (38). Per questo non si scandalizza che ai poveri del mondo "dio possa apparire solo come pane e burro" (39).
Nel '17 i contadini affittuari della provincia del Bihar sono in miseria e in fermento. Costretti nell'Ottocento a coltivare indaco per l'industria inglese, poi all'inizio del Novecento a ridurre la produzione dopo la scoperta delle tinte sintetiche, ora, visto che la grande guerra ostacola la disponibilita' dei prodotti chimici tedeschi, si pretende che aumentino di nuovo le coltivazioni, senza incentivi, anzi con il peso di nuove tasse. Gandhi comincia subito a organizzare i contadini, raccoglie le loro deposizioni sulle condizioni di vita, mette in piedi un gruppo di avvocati, apre una quantita' di cause.
Quando si formano folle che lo seguono ovunque, la polizia lo invita a lasciare il distretto. Gandhi rifiuta. Come ha scritto in Hind Swaraj e ripete ai contadini, "il dovere di obbedire alle leggi [...] e' una nozione del tutto nuova. Non esisteva niente di simile prima. Il popolo non osservava quelle leggi che non condivideva e sopportava le pene per averle infrante. E' contrario alla nostra umanita' l'obbedire a leggi che ripugnano alla nostra coscienza, [...] e' contrario alla religione e significa schiavitu'" (40). E' la seconda regola.
Convocato in tribunale, da dove potrebbe essere trasferito direttamente in carcere, passa la notte precedente pensando a come far proseguire il movimento e scrivendo lettere alla stampa e agli amici - la pubblicizzazione degli eventi e' una sua cura costante. Non verra' arrestato, e con la trattativa otterra' per i contadini l'abolizione di alcune pratiche ingiuste e un risarcimento parziale delle somme estorte dai proprietari - non la totalita', perche' rifiuta di "umiliare l'avversario, specie se e' indebolito" (41). Questa e' la terza regola.
Sulla via del ritorno, si ferma a Ahmedabad, dove gli operai tessili in agitazione chiedono un aumento pari al 50% del salario. Consiglia loro di scioperare, e ogni giorno, sotto un albero di acacia vicino al fiume Sabarmati tiene discorsi in cui li invita alla disciplina e al sacrificio. Ma vedendoli allo stremo e temendo che la lotta fallisca, adotta per la prima volta in India il digiuno come "arma" politica. L'eco e' ampia, e produttiva: gli operai ottengono il 35% in piu' di stipendio, Gandhi il riconoscimento della sua tattica eterodossa e del suo doppio azzardo: ha sfidato l'orgoglio dei proprietari con lo sciopero e con il digiuno, ha sfidato il risentimento dei lavoratori con una soluzione capace di "dare alla controparte il coraggio di cambiare" (42). E' la via della persuasione, la quarta regola del gioco. Le costanti sono formulate, ma non tutte.
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Contro la violenza degli oppressi
Dopo un infelice tentativo nel 1918 di reclutare volontari per l'esercito imperiale, l'anno dopo Gandhi vede crollare la sua speranza che combattere a fianco dei britannici fosse un buon modo per guadagnare lo swaraj. Niente cambia, anzi il governo coloniale promulga il Rowlatt Act, che per controllare le tensioni politiche prolunga le limitazioni alle liberta' civili introdotte con la guerra.
Gandhi lancia allora l'har'tal, lo sciopero generale, con la chiusura di tutti i luoghi di lavoro per un giorno, da dedicare al digiuno e alla preghiera. Si tengono cortei e manifestazioni pacifiche in tutta l'India, ma frammiste a attacchi contro cittadini britannici e disordini repressi ferocemente. Gandhi deve prendere atto che i suoi inviti all'opposizione nonviolenta possono sconfinare nel loro contrario - e ancora non sa della strage di Amritsar, dove la polizia ha sparato sulla folla uccidendo 379 persone.
Interrompe la protesta, dichiarando il satyagraha contro la propria gente per le violenze che ha commesso. I disordini finiscono, il Rowlatt Act viene revocato, ma Gandhi giudica un "errore di proporzioni himalayane" (43) essersi rivolto alla popolazione prima di averla preparata a restare fedele alla nonviolenza anche di fronte alle peggiori atrocita'. Si impongono cosi' altri due principi del conflitto gandhiano: il primo e' la necessita' di formare gli attivisti, il secondo - a volte contraddetto - e' l'impegno a non creare situazioni che potrebbero mettere in pericolo i dimostranti.
Gandhi e' ormai il Mahatma, "baba Gandhi", "bapu". Ed e' il leader assoluto del Congresso, trasformato da movimento di elite a partito di massa e dotato nel 1921 di una nuova Costituzione che include l'indipendenza; l'ala estremista, che in qualche caso tollera gli atti di terrorismo, per il momento e' messa ai margini. La linea di Gandhi - ne' subire ne' colpire, ne' vittime ne' carnefici - ha vinto, e si fa progetto sociale.
Nasce cosi' la Swadeshi policy, che prevede il boicottaggio delle merci estere, principalmente britanniche, e lo sviluppo dell'artigianato tessile, semidistrutto dalla pratica di trasferire il cotone indiano nelle fabbriche d'oltremare, per la produzione di indumenti soggetti a monopolio. E' il movimento Khadi, la filatura e tessitura casalinga, lanciato anche per coinvolgere le donne, fino allora escluse dai pregiudizi sulla loro incompatibilita' con la politica.
La partecipazione popolare e' impressionante. Si boicottano le istituzioni britanniche, le scuole e i tribunali, si restituiscono le onorificenze, si lasciano gli impieghi governativi. Moltissime donne di tutte le classi si fanno la stoffa da se'. L'India comincia a riprendersi il suo cotone.
Ma un nuovo scoppio di violenza nel febbraio del 1922 spinge Gandhi a sospendere la campagna, che gli costa comunque una condanna a sei anni di prigione. Ne scontera' due, e al suo ritorno in liberta' prende le distanze dalla politica istituzionale. Non promuovera' una agitazione di ampio respiro se non dopo otto anni.
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Integrare lavoro, societa', poteri
Fra il '24 e il '28, l'impegno principale di Gandhi e' il Programma costruttivo, dedicato alla qualita' della vita nei villaggi - che significa lottare contro l'alcol, le droghe, le superstizioni, la sporcizia endemica, contro pratiche come i matrimoni infantili, l'immolazione delle vedove sul rogo dei mariti, il marchio dell'intoccabilita' impresso sui senza casta. Gli strumenti sono l'istruzione di base, il miglioramento dell'igiene, la promozione del movimento Khadi; il piu' potente e' l'esempio.
Andando a trattare con i rappresentanti inglesi vestito di uno scialle di cotone rattoppato, Gandhi aveva portato con se' nei palazzi la miseria contadina. Ora, facendo volontariamente azioni considerate degradanti, come raccogliere i rifiuti umani e vivere con gli intoccabili, guadagna il diritto di chiedere lo stesso agli altri in nome di un nuovo concetto di purezza. Propone un'organizzazione di volontari per una campagna di pulizia e per la costruzione di scuole e di ospedali, con l'obiettivo di trasferire alcune competenze dal governo alla comunita'. Compreso l'ordine pubblico, da affidare a una forza a livello di base capace di prevenire le tensioni, e, se scoppiavano, di interporsi fisicamente. Cerca di spostare la produzione nei villaggi per favorire l'occupazione femminile, e soprattutto per riannodare il legame fra lavoro e societa' spezzato dallo sviluppo industriale. Contro il dominio delle "macchine morte", il progetto (il sogno) e' un'economia compatibile, decentrata, autosufficiente, fondata su "tecnologie intermedie", che come il charka incarnano "la scienza ridotta in termini di masse" (44).
Prende cosi' corpo un'idea di rivoluzione alternativa al modello marxista-leninista, in cui si dispiegano tutte le implicazioni della nonviolenza: l'economia di villaggio contro i piani quinquennali, la priorita' della trasformazione interiore contro il primato delle strutture, il culto della tradizione contro il culto del progresso, la conversione del nemico contro il suo annichilimento, il decentramento contro il centralismo, il "potere di tutti" (45) contro il potere di un'elite autoproclamata. Alla base, il mito di un'antica societa' coesa e solidale, che Gandhi tradurra' in seguito nella visione di uno Stato indiano formato dal "cerchio oceanico" dei suoi 700.000 villaggi.
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Note
1. Lo fa notare Domenico Losurdo, La non-violenza. Una storia fuori dal mito, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 82-83.
2. Ashis Nandy, The Intimate Enemy: Loss and Recovery of Self under Colonialism, Oxford University Press, Delhi 1983, cap. "The Psychology of Colonialism", pp. 1-63. Si tratta del piu' influente studio indiano di questo taglio, scritto dal direttore del Centro che ha inaugurato la ricerca sulle alternative ai modelli occidentali.
3. Edward Said, The World, the Text and the Critic, Faber and Faber, London 1984, p. 4.
4. L'espressione e' di Gianni Sofri, Gandhi fra Oriente e Occidente, in Pier Cesare Bori e Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj. Un carteggio e dintorni, il Mulino, Bologna 1985, p. 22. Di Sofri si veda anche Gandhi e l'India, Giunti, Firenze 1995.
5. Mohandas Karamchand Gandhi, An Autobiography. The Story of My Experiments with Truth, trad. inglese, Beacon Press, Boston 1993, p. 172 (trad. it., La mia vita per la liberta', Newton Compton, Roma 1983).
6. La piu' recente e ampia analisi degli anni in Sudafrica si trova in Joseph Lelyveld, Great Soul. Mahatma Gandhi and His Struggle with India, Alfred A. Knopf, New York 2011, alla parte I, pp. 3-133.
7. Mahatma Gandhi, Vi spiego i mali della civilta' moderna. Hind Swaraj, trad. it., a cura di Rocco Altieri, Quaderni Satyagraha, Pisa 2009.
8. Gandhi, Hind Swaraj cit., p. 55-57. Gandhi e' il primo politico (e l'unico all'epoca) a fare propria questa tesi di Tolstoj.
9. Ivi, p. 84.
10. Ivi, pp. 88-89.
11. Raghavan N. Iyer (a cura di), The Moral and Political Writings of Mahatma Gandhi, Clarendon Press, Oxford 1987, p. 354.
12. Cfr. Dennis Dalton, Mahatma Gandhi: Nonviolent Power in Action, Columbia University Press, New York 2000, p. 38.
13. M. K. Gandhi, Antiche come le montagne, trad. it., a cura di S. Sadakirshnan, Mondadori, Milano 1987, pp. 115-116.
14. Gandhi, Hind Swaraj cit., p. 86.
15. Il disprezzo per la codardia viene sia dall'eredita' britannica sia dall'indiana kapurusatva, in sanscrito la perdita della mascolinita'. Gandhi, che insistera' sempre sulla distinzione fra nonviolenza dei forti e dei vili, abbandona il termine resistenza passiva proprio perche' gli sembra legato alla seconda accezione. Pontara sottolinea invece l'eroismo di lotte che nascono da situazioni pratiche piuttosto che dalla fede nella nonviolenza; cfr. Giuliano Pontara, L'antibarbarie, La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2006, pp. 79 e sgg.
16. Dalton, Mahatma Gandhi cit., p. 20.
17. Gli ispiratori sono Tolstoj e Unto This Last di John Ruskin (trad. it., Fino all'ultimo. Quattro saggi di socialismo cristiano, Marco Valerio, Torino 2010), della cui magica forza Gandhi parla in An Autobiography cit., al cap. "The Magic Spell of a Book", pp. 297-299.
18. Per Capitini, il meno antropocentrico dei filosofi italiani, bisogna accostarsi con reverenza a ogni creatura vivente, astenendosi dal maltrattare anche piante e fiori, cfr. Aldo Capitini, Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 123.
19. Gandhi, Hind Swaraj cit., p. 106; An Autobiography cit., pp. 204-210 e 316.
20. In An Autobiography cit., al cap. "My Father's Death and My Double Shame", pp. 29-31, Gandhi racconta come a causa del suo desiderio sessuale per la moglie non sia stato presente alla morte del padre.
21. Giuliano Pontara, Introduzione, in M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, trad. it., Einaudi, Torino 1973 (ora 2006), p. CXXXVII.
22. Vedi l'analisi sul tema e sulle diverse accezioni di violenza in Pontara, Introduzione cit., e in Riflessioni sparse su Gandhi: tra etica e politica, in corso di stampa in italiano e in inglese presso le case editrici Apes e Routledge.
23. Pontara, Introduzione cit., p. XV.
24. Gandhi, Hind Swaraj cit., pp. 76 e 52.
25. Id., Antiche come le montagne cit., p. 171.
26. Id., Hind Swaraj cit., p. 71 e 53.
27. E' anche in questo senso che Gandhi vuole liberare i britannici non meno che gli indiani cfr. Nandy, The Intimate Enemy cit., al cap. "The Psychology of Colonialism", pp. 1-63.
28. M. K. Gandhi, Women and Social Injustice, Navjivan Publishing House, Ahmedabad 1954, pp. 26-27, citato in Radha H. Kumar, The History of Doing: An Illustrated Account of Movements for Women's Rights and Feminism in India, 1800-1990, Verso, London 1993, p. 82 (nel testo straordinarie fotografie delle indiane in lotta). Gandhi diceva: "Se fossi nato donna, mi ribellerei contro qualsiasi pretesa da parte dell'uomo che la donna sia nata per essere il suo giocattolo", cfr. Mahatma Gandhi, All Men Are Brothers: Life and Thoughts of Mahatma Gandhi as Told in His Own Words, Unesco, Paris 1958, p. 161. Gandhi specificava anche di parlare per esperienza, avendo avuto come maestra di nonviolenza Kasturba.
29. Nandy, The Intimate Enemy cit., pp. 52-53. Il principio femminile e' pero' anche piu' pericoloso e incontrollabile.
30. Gandhi, in "Young India", June 11, 1925, citato in Ketu H. Katrak, Politics of the Female Body: Postcolonial Women Writers of the Third World, Rutgers University Press, New Brunswick, NY 2006, p. 87.
31. Krishnalal Shridharani, War without Violence: A Study of Gandhi's Method and Its Accomplishments, Harcourt, Brace and Company, New York 1939, pp. 110-111. Si tratta della prima analisi sociologica dei metodi gandhiani.
32. Katrak, Politics of the Female Body cit., pp. 84 e sgg.
33. Ma nei movimenti di liberazione, anche piu' vicini a noi, il ritorno a casa e' quasi la norma.
34. Ivi, pp. 86 e sgg.
35. Gandhi, in "Young India", October 4, 1928, citato in Pontara, Riflessioni sparse su Gandhi cit., p. 77.
36. B. R. Nanda, Mahatma Gandhi, George Allen & Unwin, London 1989, p. 159, citato in Yogesh Chadha, Gandhi. Il rivoluzionario disarmato, trad. it., Mondadori, Milano 1998, p. 222.
37. Gandhi, ou l'eveil des humilies, e' il titolo della bella biografia di Jacques Attali, Fayard, Paris 2007 (trad. it., Gandhi. Il risveglio degli umiliati, Fazi, Roma 2011).
38. L'espressione e' di Jawaharlal Nehru, citato in Pontara, Introduzione cit., p. XXI.
39. Gandhi, in "Young India", November 15, 1931.
40. Id., Hind Swaraj cit., p. 93.
41. Cfr. Attali, Gandhi cit., pp. 201-202. Sulla vanita' della vittoria e contro i dogmi militaristi cfr. Enrico Peyretti, Dov'e' la vittoria? Piccola antologia aperta sulla miseria e la fallacia del vincere, Il Segno dei Gabrielli, Negarine di S. Pietro in Cariano 2005.
42. Anthony R. Deluca, Gandhi, Mao, Mandela, and Gorbachev: Studies in Personality, Power, and Politics, Praeger, Westport 2000, p.11; Erik H. Erikson, Gandhi's Truth. On the Origins of Militant Nonviolence, Norton, New York 1993, pp. 434-435.
43. Gandhi, An Autobiography cit., p. 470.
44. Gandhi, in "Harijan", September 29, 1934, citato in Nanni Salio, Il talismano di Gandhi, postfazione a Gandhi, Hind Swaraj cit., p. 125, dove l'autore discute anche il rapporto fra Gandhi e il concetto di modello di difesa nonviolenta. Di Salio vedi anche Elementi di economia nonviolenta, Movimento Nonviolento, Verona 2001.
45. L'espressione e' di Capitini, Il potere cit.
(Parte prima - segue)
3. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Filippo La Porta, Giuseppe Leonelli, Dizionario della critica militante. Letteratura e mondo contemporaneo, Bompiani, Milano 2007, pp. 272.
- Giuseppe Leonelli, La critica letteraria in Italia (1945-1994), Garzanti, Milano 1994, pp. 264.
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Riedizioni
- Thomas De Quincey, Il vendicatore, Passigli, Firenze-Antella 2006, Il sole 24 ore, Milano 2016, pp. 80, euro 0,50 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore").
- Theophile Gautier, Hashish, Passigli, Firenze-Antella 2007, Il sole 24 ore, Milano 2016, pp. 80, euro 0,50 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore").
4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
5. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2286 del 13 marzo 2016
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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