[Nonviolenza] La domenica della nonviolenza. 333



 

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 333 del 23 agosto 2015

 

In questo numero:

1. Modelli di quattro lettere al Parlamento

2. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"

3. Enrico Peyretti presenta "Del male e di Dio" di Claudio Ciancio

4. In memoria di Ronald D. Laing, di Rosario Morales, di Nicola Sacco, di Bruno Trentin, di Bartolomeo Vanzetti

5. Segnalazioni librarie

 

1. REPETITA IUVANT. MODELLI DI QUATTRO LETTERE AL PARLAMENTO

 

Vi proponiamo i modelli (che naturalmente potrete adattare come meglio riterrete) di quattro lettere che potreste inviare ai parlamentari per proporre alcuni atti legislativi utili per contrastare il razzismo e per promuovere la democrazia, la solidarieta' e il rispetto dei diritti umani.

E precisamente:

1. un modello di lettera affinche' il Parlamento legiferi il diritto di voto nelle elezioni amministrative per tutte le persone residenti in Italia;

2. un modello di lettera affinche' il Parlamento legiferi l'abolizione dei Cie e di tutte le forme di detenzione di persone che non hanno commesso reati;

3. un modello di lettera affinche' il Parlamento abolisca tutte le misure palesemente razziste ed incostituzionali presenti nell'ordinamento;

4. un modello di lettera affinche' il Parlamento legiferi il riconoscimento del diritto di tutti gli esseri umani di giungere in modo legale e sicuro in Italia.

Suggeriamo di inviare le lettere ai parlamentari ed anche per conoscenza ai ministri (gli indirizzi di posta elettronica sono segnalati nei siti istituzionali della Camera, del Senato e del Governo), ma anche ai mezzi d'informazione locali e nazionali ed agli altri interlocutori che riterrete interessati a recepire e sostenere l'iniziativa.

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1. Modello di lettera affinche' il Parlamento legiferi il diritto di voto nelle elezioni amministrative per tutte le persone residenti in Italia

Alle ed ai parlamentari della Repubblica

Oggetto: richiesta che il Parlamento italiano legiferi il diritto di voto nelle elezioni amministrative per tutte le persone residenti in Italia

Egregie ed egregi parlamentari,

vi scriviamo affinche' il Parlamento italiano legiferi il riconoscimento del diritto di voto nelle elezioni amministrative per tutte le persone residenti in Italia.

Risiedono regolarmente in Italia oltre cinque milioni di persone straniere che con la loro presenza, la loro cultura, il loro lavoro, i loro tributi, la loro umanita', i loro figli che in Italia crescono e studiano, arricchiscono il nostro paese sotto tutti i punti di vista.

Ma a queste persone e' assurdamente negato il diritto di partecipare alle decisioni pubbliche che riguardano anche le loro vite; e' negato il diritto di voto finanche nelle elezioni amministrative. E con questo si nega il cardine stesso della democrazia, espresso nel classico motto "Una persona, un voto".

Ebbene, mentre per il riconoscimento del diritto di voto nelle elezioni politiche, essendo legato alla cittadinanza, occorrerebbe forse una modifica costituzionale, per quanto riguarda l'esercizio dell'elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali e regionali nulla osta all'approvazione di una legge ordinaria che lo riconosca sulla base del mero requisito della residenza.

Con questa lettera siamo quindi a pregarvi di volervi impegnare in tal senso, presentando una proposta di legge ad hoc e promuovendo l'impegno delle altre e degli altri parlamentari solleciti a un tempo del pubblico bene, della democrazia, della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani.

Ringraziandovi fin d'ora per l'attenzione, vogliate gradire distinti saluti,

FIRMA

LUOGO E DATA

RECAPITO POSTALE, TELEFONICO ED E-MAIL DEL MITTENTE

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2. Modello di lettera affinche' il Parlamento legiferi l'abolizione dei Cie e di tutte le forme di detenzione di persone che non hanno commesso reati

Alle deputate ed ai deputati

alle senatrici ed ai senatori

Oggetto: proposta che il Parlamento legiferi l'abolizione dei Cie e di tutte le forme di detenzione di persone che non hanno commesso reati

Gentili deputate e deputati, gentili senatrici e senatori,

sono ancora presenti in Italia campi di concentramento in cui sono detenute persone che non hanno commesso alcun delitto: i Centri di identificazione ed espulsione (in sigla: Cie).

E' sufficiente averne notizia per rendersi conto che essi sono incompatibili con lo stato di diritto, con la democrazia, con la civilta'.

Voi ne avete notizia. Voi siete le legislatrici ed i legislatori del nostro paese.

Fate cessare questa barbarie. Ne avete il potere, ne avete il dovere.

Grazie fin d'ora per il vostro impegno: che sia concreto, che sia efficace.

Distinti saluti,

FIRMA

LUOGO E DATA

RECAPITO POSTALE, TELEFONICO ED E-MAIL DEL MITTENTE

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3. Modello di lettera affinche' il Parlamento abolisca tutte le misure palesemente razziste ed incostituzionali presenti nell'ordinamento.

Alle ed ai parlamentari

e per conoscenza alle ministre ed ai ministri

Oggetto: invito al Parlamento affinche' legiferi l'abolizione di tutte le misure palesemente razziste ed incostituzionali purtroppo tuttora presenti nell'ordinamento italiano

Gentili parlamentari,

gentili ministre e ministri,

da anni sono vigenti in Italia misure scandalosamente razziste e palesemente incostituzionali, misure che violano i diritti umani di persone perseguitate solo perche' straniere e povere.

Misure scandalosamente razziste e palesemente incostituzionali che favoreggiano i poteri criminali, la riduzione in schiavitu', violenze inaudite a vittime innocenti.

Queste misure criminali e criminogene vanno abolite.

Chiediamo al Parlamento di tornare al rispetto della Costituzione della Repubblica Italiana, al rispetto della Dichiarazione universale dei diritti umani, alla civilta', all'umanita'.

Vogliate gradire distinti saluti,

FIRMA

LUOGO E DATA

RECAPITO POSTALE, TELEFONICO ED E-MAIL DEL MITTENTE

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4. Modello di lettera affinche' il Parlamento legiferi il riconoscimento del diritto di tutti gli esseri umani di giungere in modo legale e sicuro in Italia

Alle ed ai parlamentari della Repubblica italiana

Oggetto: richiesta che il Parlamento legiferi il riconoscimento del diritto di tutti gli esseri umani di giungere in modo legale e sicuro in Italia

Gentilissime deputate e gentilissimi deputati,

gentilissime senatrici e gentilissimi senatori,

vi scriviamo per chiedervi una decisione impegnativa, una scelta di civilta'.

Voi sapete che i migranti che muoiono nel tentativo di giungere nel nostro paese e nel nostro continente in fuga dalla fame, dalle guerre, dai disastri e dagli orrori, hanno pieno diritto di cercar di salvare le loro vite, ed hanno pieno diritto d'asilo nel nostro paese ai sensi della Costituzione della Repubblica Italiana che all'articolo 10 inequivocabilmente afferma che "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica".

Voi sapete che nessuna di queste persone morirebbe lungo il viaggio se fosse loro consentito di giungere in modo legale e sicuro nel nostro paese.

Voi sapete che il primo dovere di ogni essere umano e' salvare le vite, ed a maggior ragione questo e' il primo dovere di ogni istituzione, di ogni stato di diritto, di ogni sistema democratico, di ogni paese civile.

Nel nostro paese voi siete i detentori del potere di fare le leggi, ed attraverso una semplice legge voi potere salvare le vite di tanti esseri umani innocenti.

Una semplice legge che riconosca il diritto di tutti gli esseri umani di giungere in modo legale e sicuro in Italia.

Una semplice legge della quale potrete essere orgogliosi per il resto dei vostri giorni.

Omettere questo atto di umanita' comporterebbe il perdurare di un iniquo, crudele, disumano stato di cose che condanna alla sofferenza e alla morte tante persone innocenti.

Siate saggi, siate umani. Sappiate essere legislatori. Fedeli alla Costituzione, fedeli all'umanita'.

Ringraziandovi per l'attenzione, confidando sul vostre retto intendimento e sulla vostra volonta' buona, vogliate gradire distinti saluti,

FIRMA

LUOGO E DATA

RECAPITO POSTALE, TELEFONICO ED E-MAIL DEL MITTENTE

 

2. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"

 

Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.

Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it

Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

 

3. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "DEL MALE E DI DIO" DI CLAUDIO CIANCIO

[Dal sito di Peacelink riprendiamo la seguente recensione del 2007 apparsa anche sulla rivista "Il foglio. Mensile di alcuni cristiani torinesi".

Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68.

Su Claudio Ciancio dal sito dell'Universita' degli Studi del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro" riprendiamo la seguente scheda: "Nato nel 1946 a Torino, si e' qui laureato in filosofia nel 1970 sotto la guida di Luigi Pareyson. La sua formazione scientifica si e' svolta presso l'Universita' di Torino e presso la Schelling-Kommission della Accademia delle scienze di Monaco di Baviera. Ricercatore presso l'Universita' di Torino dal 1981 al 1988. Professore straordinario di Filosofia teoretica dal 1989, prima presso la Facolta' di Magistero dell'Universita' di Lecce e poi, dal 1991, presso la Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' degli Studi del Piemonte Orientale. Dal 1992 professore ordinario. E' Presidente del "Centro Studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson" (Torino). E' Direttore dell'"Annuario filosofico" ed e' membro del comitato scientifico del "Giornale di metafisica". Ambiti di ricerca e principali pubblicazioni: le sue ricerche spaziano dalla filosofia classica tedesca (con particolare attenzione al primo romanticismo e al pensiero dell'ultimo Schelling) all'ontologia ermeneutica, che viene svolta con particolare riguardo ai temi della liberta' come  principio, dell'alterita', del male, dell'esperienza religiosa e dell'immagine. Libri: (coautori: U. Perone, A. Perone, G. Ferretti), Storia del pensiero filosofico, Torino, Sei, 1974-75; Il dialogo polemico tra Schelling e Jacobi, Torino, Edizioni di "Filosofia", 1975; Friedrich Schlegel. Crisi della filosofia e rivelazione, Milano, Mursia, 1984; (coautori G. Ferretti, A. Pastore, U. Perone), In lotta con l'angelo, Torino, Sei, 1989; (coautore U. Perone) Cartesio o Pascal? Un dialogo sulla modernita', Torino, Rosenberg & Sellier, 1995; Il paradosso della verita', Torino, Rosenberg & Sellier, 1999; Del male e di Dio, Brescia, Morcelliana, 2006; Liberta' e dono dell'essere, Genova-Milano, Marietti, 2009; Percorsi della liberta', Milano-Udine, Mimesis, 2012. Articoli e saggi piu' recenti: Filosofia come ermeneutica dell'esperienza religiosa cristiana, in G. Ferretti (a cura di), Identita' cristiana e filosofia, Torino, Rosenberg & Sellier, 2002, pp. 19-36; Sofferenza, in P.P. Portinaro (a cura di), I concetti del male, Torino, Einaudi, 2002, pp. 325-337; Hermeneutik und Philosophie der Freiheit, in T. Eggensperger, U. Engel, U. Perone (a cura di), Italienische Philosophie der Gegenwart, Muenchen, Karl Alber, 2004, pp. 19-33; Essere e liberta' nell'ultimo Schelling, in "Giornale di metafisica", XXVI (2004), pp. 69-90; Riconoscimento dell'altro e alterita' della liberta', in "Giornale di metafisica", XXVII (2005), pp. 45-62; Differenza e liberta', in L. Bottani, Memoria, cultura e differenza, II, pp. 101-112, Vercelli, Edizioni Mercurio, 2007; Verso un'ontologia dell'immagine, in "Giornale di Metafisica", vol. XXX, 2008, pp. 281-289; Blaise Pascal, in G. Riconda, M. Ravera, C. Ciancio, G. Cuozzo, Il peccato originale nel pensiero moderno, pp. 239-254, Brescia, Morcelliana, 2009; Filosofia e teologia. Dal conflitto alla convergenza, in AA.VV.. Teologia e filosofia. p. 21-44, Milano, Glossa, 2008; Poverta' del relativismo e universalita' della ragione ermeneutica in L. Savarino, Laicita' della ragione, razionalita' della fede?. pp. 171-183, Torino, Claudiana, 2008; Pareyson e l'ultimo Schelling, in "Annuario Filosofico", vol. 24, 2008, pp. 231-242; From the Truth of Facts to the Truth beyond Objectification, in "Iris", vol. I, 2, 2009, pp. 581-586; Schelling: de la reminiscence a' l'extase de la raison, in P. Tortonese,  Le Platonisme romantique, pp. 9-18, Chambery, Universite' de Savoie, 2009; Thinking the Origin, Awaiting Salvation, in S. Benso - B. Schroeder. Between Nihilism and Politics. The Hermeneutics of Gianni Vattimo, Albany, Suny, 2010, pp. 121-134"]

 

Claudio Ciancio, Del male e di Dio, Morcelliana, Brescia 2006, pp. 136, euro 12.

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Stendo alcune note di lettura di questo libro, il cui tema e' della massima importanza per chi vuole interrogarsi e pensare sul senso delle cose. Per chi vuole. Infatti, la prima tradizionale reazione della filosofia e della religione e' la rimozione del male, nei vari modi che Ciancio esamina nel primo capitolo, e, per gli ultimi due secoli (esaminati nel secondo capitolo), ne e' sia rimozione che riconoscimento, e questo, a sua volta, in vari modi e forme.

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Contraddizione infinita

Il male (cap. terzo), che sia rimosso o razionalizzato, e' spiegato come errore, come sofferenza, come sventura, quindi appartenente inevitabilmente alla finitezza; oppure puo' essere visto come "contraddizione infinita", come "cio' che e' ma non doveva essere". Questa interpretazione fa risalire il male a una libera responsabilita', quindi a una colpa. Anche la sofferenza e persino l'errore, se sono realta' davvero inaccettabili e inspiegabili, devono provenire in qualche modo dalla rottura inaccettabile di un ordine spiegabile, percio' da una colpa. Il male e' scandaloso non perche' sarebbe un'insufficienza, ma solo in quanto "ribellione e volonta' di distruzione dell'essere e della verita'" (pp. 39-40). E se fosse invece, il male, segno di un "disordine" iniziale: il caos da cui esce faticosamente il cosmo, o un ordine non equo?

Se e' colpa, e' colpa dell'uomo o addirittura di Dio? Ciancio non rifiuta la domanda. Sappiamo che Bobbio, nelle riflessioni morali degli ultimi anni, si interrogava non sul male commesso da Caino ma su quello patito da Giobbe, innocente, e chiedeva: "Chi ha fatto un mondo cosi' atroce?" (Norberto Bobbio, Gli dei che hanno fallito, in Elogio della mitezza e altri scritti morali, Pratiche editrice 1998, p. 193). Ciancio dice che, se il male e' colpa, e' qualcosa di infinito: non e' un non-essere, ma "un essere che doveva non essere". Cosi', "il male produce altro male" come sofferenza e come seduzione; e' qualcosa di "piu' che umano"; non solo trasgredisce la legge ma la distrugge; e' qualcosa di universale, in cui siamo coinvolti, sicche' siamo tutti colpevoli, e tutti colpevoli di tutto (Dostoevskij, in I Fratelli Karamazov). Nel cristianesimo la colpa e' "personale e sovrapersonale" (pp. 42-47).

Solidali nella colpa siamo tutti solidali nella sofferenza (cap. quarto). La sofferenza e' riflesso della colpa. Bisogna pensare, qui, che l'Autore intenda la colpa collettiva dell'umanita', e non la colpa personale, alla quale non si puo' imputare ogni sofferenza, anche se la colpa personale non puo' dare felicita' ed anzi "diffonde sofferenza su tutta l'umanita'", anche sugli innocenti (pp. 51-52).

Ciancio cita Sergio Quinzio (un autore che spesso lo ispira) sul "primato della sofferenza": nasciamo condannati a morte, in un mondo regolato dalla violenza, nel quale la virtu' generosa e' un eroismo paradossale, che non ha senso richiedere all'uomo. Io non riesco a comprendere del tutto questo pensiero quinziano, che mi sembra solo apparentemente profondo, e a sua volta non generoso verso la realta' intera, non incoraggiante l'impegno, anche considerando tutto l'immenso dolore del mondo: la vita e' piu' del dolore.

Ciancio sottolinea con ragione che l'esperienza cristiana del male capisce che la sofferenza tocca anche Dio: "Le domande e accuse a Dio riguardo alla sofferenza dei piu' deboli e innocenti non hanno altra risposta (che non e' una spiegazione) se non quella della sofferenza divina" e cita il suo maestro Pareyson: "La tragedia dell'uomo diventa tragedia divina" (Luigi Pareyson, Ontologia della liberta', Einaudi, Torino 1995, p. 220). Le varie teodicee non hanno mai pensato che "la sofferenza di Dio e' l'unico argomento capace di difendere Dio", ma questo e' un nuovo inspiegabile paradosso e una suprema ingiustizia (pp. 53-54).

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Il secolo della sofferenza

Il Novecento e' il secolo della sofferenza, per le sue immani tragedie, per la caduta delle tradizionali spiegazioni, per le promesse e le delusioni della tecnica sviluppatissima, che rendono sempre meno accettabile la sofferenza. Cosi' siamo incapaci di reggerla o tendiamo a rimuoverla, con "effetti devastanti", anche perche' i legami sociali e familiari indeboliti ci lasciano piu' soli e muti, davanti a quella "impasse della vita e dell'essere" (Emmanuel Levinas, La souffrance inutile, in "Giornale di metafisica", IV, 1982, pp. 13-15), a cui si aggiunge il silenzio di Dio, cosicche' il rischio e' "la dissoluzione del senso, il precipitare nell'assurdo" (pp. 55-58).

Impasse della vita, o annuncio di altro? Anche il dolore che viene dalla natura suscita interrogazione sul perche' e da chi (abbiamo sentito la domanda di Bobbio): qualche "altro" deve aver posto mano in questa interruzione, e noi non lo conosciamo se non attraverso il varco penoso della sofferenza, fuori dalle sicurezze abituali. Siamo in vera relazione con gli altri non nella fusione, ne' nel dominio (quando l'io si espande senza riconoscere l'altro), ma nella sofferenza condivisa. Il dolore dell'amore e' amore, possiamo aggiungere, mentre ricordiamo un detto di Ceronetti: "I corpi li unisce il piacere, le anime la pena".

Non basta, per trasformare la sofferenza, vederla come un passaggio necessario: "Durch Leiden Freude", diceva Beethoven, e il Corano 94,5-6: "Con l'avversita' viene la gioia". Basta la com-passione? Ciancio ricorda la famosa critica di Schopenhauer, che ne vede l'ambiguita': in essa si perderebbero identita' e alterita', fino al compiacimento masochista e sadico, che ha anche non rare forme religiose. Ma se il patire insieme e' relazione con un'alterita', anzi, se si sta biblicamente "di fronte" al sofferente (Isaia 53,3), allora si mantiene la insopportabilita' della sofferenza e la personalita' del sofferente con quella di chi patisce con lui (pp. 60-63).

Guai a chi identifica la sofferenza delle vittime con la giustizia divina: questo e' "sadismo teologico che vuole intendere Dio come colui che tormenta" (Dorothee Soelle, Sofferenza, Queriniana 1976, p. 51). Sono i riprovevoli amici di Giobbe che vogliono per forza dare un senso al suo dolore. Anche alleviata, la sofferenza resta scandalo. Ne' troppe parole facili e insensate, ne' un silenzio che l'abbandona all'assurdo sono l'atteggiamento giusto, ma quello che da' almeno una possibile speranza. E la sofferenza inutile dei bambini, dei dementi, e anche degli animali? Per Pareyson mantiene un senso solo se portata in Dio, assunta nella croce di Cristo (cosi' diceva anche don Gnocchi, il prete dei mutilatini). La salvezza cristiana da' senso alla sofferenza senza cancellarne la inaccettabilita'. Ma non e' il male fatto a Cristo che produce bene: quel male non e' giustificato, ne' necessario. Il bene e' liberta' che scarta il male possibile, senza bisogno di affrontare e negare un male reale. Cosi' nell'uomo come in Dio. Ma l'uomo ha peccato e il bene della redenzione affronta questo male reale, che e' l'occasione, ma non necessaria, del male fatto a Cristo (pp. 65-69).

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Paradosso della redenzione

La sofferenza liberamente assunta arresta il processo di diffusione del male, perche' ne assorbe le conseguenze e le risparmia agli altri: e' l'espiazione per amore, tutt'altra cosa dal masochismo. Non puo' essere l'uomo ad espiare e redimere perche' la sua sofferenza non puo' mai essere pura, ma solo Dio. Il paradosso cristiano e' che Dio non solo soffre, ma si rende colpevole del male (Paolo, 2 Corinti 5,21). Percio' Cristo "tollit peccata mundi" nel senso che "prende su di se'" i peccati del mondo, facendosene responsabile, non li cancella con un colpo di spugna. Che Cristo debba soffrire dimostra l'enormita' del male "che intacca la creazione". Ma che in questo ci sia anche l'ira divina io non posso crederlo: se Dio si assume il male, la sua giusta ira si e' ormai mutata in amore per l'umanita' e pena condivisa con essa. Assunta da Dio, la sofferenza viene "trasposta" da noi a lui, e ogni sofferenza comincia ad avere un senso di redenzione. Cessa lo scandalo, ma la sofferenza di Dio, che lo fa cessare, e' scandalo, e piu' gravi si rivelano gli effetti scandalosi del male, se colpiscono Dio (pp. 73-78).

Sembra di poter capire dall'Autore: il sacrificio per i nostri peccati sacrifica Dio. La redenzione cristiana non toglie tutto il male ma addirittura lo accresce, perche' il male arriva a colpire Dio. Pero', direi, ne' noi offriamo Cristo in sacrificio, ne' il Padre sacrifica il Figlio, ma Dio nel Figlio si offre a noi, assumendo per noi la colpa e le pene: il male e' assunto e sofferto in Cristo, in sostituzione per noi, ma cosi' e' davvero un male tramutato in bene, per atto forte di amore, quindi resta una sofferenza fisica e morale inflitta a Cristo, ma non c'e' piu' il male ontologico, ora perdonato.

La sua entrata nella vita risorta, sopra la morte e il male, e' davvero l'inizio di quella "reintegrazione dell'essere" che a Ciancio non sembra garantita dalla redenzione della Croce. Sembra a lui addirittura che, se la redenzione trasforma profondamente la nostra vita, cioe' "l'identita' e la storia personale di ciascuno", essa cosi' "distrugge" la stessa liberta' e identita', sostituendole ma non risanandole. E il male sarebbe incancellabile e non redimibile. La redenzione riparerebbe in parte gli effetti del peccato, ma non muterebbe "il cuore dei peccatori". Diremo dunque con Lutero: Simul iustus et peccator? Nel giudizio finale - prosegue l'Autore - "non tutto si salva e forse non tutti si salvano". E' possibile una resistenza "anche al Dio redentore": e' l'idea dell'inferno (pp. 79-81).

Certo, resistere all'amore che salva e' possibile, restare nel male e' possibile, finire nella morte che rimane morte, cioe' nel nulla, per rifiuto della vita eterna, e' possibile (e questa mi pare l'unica possibile maniera cristiana di pensare l'inferno, non assolutamente la pena eterna ribadita da papa Ratzinger): c'e' infatti questa potenza della liberta'. Non sarebbe perdono quello dato senza liberta' che lo accolga.

Per Ciancio la salvezza e' un paradosso, sintesi senza mediazione di due contrari: l'enormita' del male, la radicalita' della redenzione.

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Il tragico cristiano

La forma autentica di cristianesimo, per l'Autore, e' il "cristianesimo tragico" (cap. quinto), in cui "il male e Dio si implicano reciprocamente". Il male e' tragedia inconciliabile. Non si tratta della tragedia antica (contrasto tra la volonta' dell'uomo e degli dei), ne' della tragedia moderna (conflitti tra individui, societa', potere, e conflitti interiori). La tragedia suppone un'unita' originaria, o come dover essere, o come essere reale. La tragedia classica o moderna tende alla conciliazione (fato, catarsi, razionalita' del reale). Nel nichilismo contemporaneo, perduta ogni unita' originaria, semplicemente "la tragedia si dissolve" (pp. 83-94).

Come hanno capito solo pochi pensatori cristiani, il cristianesimo comprende piu' radicalmente il tragico inconciliabile: la condizione dell'uomo in Pascal, il rischio assoluto della fede in Kierkegaard, la contraddizione in Dostoevskij tra la redenzione e la sofferenza assunta dal giusto, neppure sempre efficace. Cosi', "questo e' precisamente il tragico: che l'opera della redenzione esiga un aggravio spaventoso del male dell'universo (...) la colpa del piu' santo e la sofferenza del piu' innocente". La fede tiene insieme la contraddizione, ma non la supera. E' questo il pensiero tragico di Pareyson (pp. 95-101).

Eppure, si puo' pensare - mi sembra - che la redenzione salva perche' il male, nel tentativo di trionfare sul giusto, nella sua pretesa massima di distruggere il bene vivente, di ucciderlo sulla croce - pretesa alla cui sfida il bene si sottopone col coraggio della fede piena - viene esso vinto, assorbito, ingannato, trasformato, certamente solo in via incoativa e potenziale, sicche' la croce da segno di morte diventa segno di vita.

Il pensiero tragico - continua Ciancio - non e' pessimismo ne' ottimismo, due soluzioni unidirezionali, ma pensa la lacerazione e il paradosso, custodisce l'esperienza del male, sa sopportare la contraddizione, a differenza del nichilismo che banalizza il male, o della religiosita' consolatoria e tranquillizzante. Il senso tragico mantiene l'esigenza di lotta implacabile contro il male, che altrimenti e' accettato o tollerato. I segni di ferocia, di distruzione e autodistruzione del nostro tempo, che percorrono l'Occidente e sono esportati nel mondo, dimostrano che le strategie di riduzione del male non fanno che prepararne il dilagare. "Questa tragedia dell'inconsapevolezza della tragedia e dell'incapacita' di riconoscerla e sostenerla, questa tragedia alla seconda potenza, e' la conferma della dialettica del tragico, anche se ormai non piu' nella sua forma cristiana" (pp. 102-103).

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Dal male a Dio

Puo' sorprendere il titolo del sesto capitolo: "Il male come 'prova' dell'esistenza di Dio". Ciancio non intende una prova come passaggio automatico, ma vuol dire che "male e Dio non possono essere riconosciuti l'uno separatamente dall'altro, ma soltanto insieme, tanto e' vero che, quando vengono separati, finiscono per negarsi entrambi" (p. 130). Solo nella fede nel Dio cristiano e' riconosciuta la profondita' del male, e "solo passando per l'esperienza del male si giunge alla fede nel Dio dei cristiani" (p. 105). Qui penso che dalla reazione al male viene la ricerca del bene e del vero, cosi' come dall'orrore della violenza inizia la riflessione sulla nonviolenza e sulla pace.

Esaminato il rapporto tra religione e filosofia in alcuni maggiori filosofi contemporanei, l'Autore riconosce che "la filosofia e' prevenuta dalla verita'", dalla "coscienza di una verita' piu' originariamente esperita", e afferma che cio' non infirma la criticita' della filosofia, perche' e' criticita' proprio "il riconoscimento che la ragione fa dei suoi limiti e della sua provenienza". Pero', la filosofia non e' solo una giustificazione, bensi' una radicale liberta' critica, cosicche' essa "presuppone l'esistenza e le sue convinzioni, ma sempre di nuovo le mette in discussione, fino ai suoi fondamenti ultimi"; essa e' anche "sospensione e valutazione delle convinzioni ultime" per certificarle dopo averle poste "nella loro pura possibilita'" (pp. 109-112).

Le prove tradizionali dell'esistenza di Dio sbagliavano nel non vedere che il passaggio dal finito all'infinito puo' essere solo esistenziale, e solo dopo puo' diventare razionale. Inoltre non riconoscono che la condizione di peccato interrompe e occulta la relazione del finito con Dio. Capovolgendo l'argomento del male come ostacolo all'esistenza di Dio, Tommaso d'Aquino affermava: "Se c'e' il male, Dio esiste", ma questo passaggio dal male a Dio dipendeva dal concepire il male come semplice privazione di bene. Ma se il male, scrive Ciancio, si presenta in forme piu' potenti e radicali che la semplice privazione "finisce per travolgere anche Dio". Se questa minaccia viene sterilizzata, resta sterilizzato Dio stesso. Cosi' l'ateismo e indifferentismo contemporanei, effetto di una risposta insoddisfacente alla relazione tra il male e Dio, negano sia Dio sia il male (pp. 113-116).

Leggendo l'argomento di Tommaso annotavo: il bene assume rilievo dal male non perche' il male sia un vuoto nel bene, ma perche' il bene e' il criterio, il valore, il metro di giudizio, la realta' che misura e qualifica il male come male. Senza quel criterio, il male sarebbe... normale, ne' problema ne' scandalo. Un bene consistente appare nell'atto di giudicare e sfidare il male consistente (non solo una carenza di bene), persino quando il male schiaccia il bene (come nella croce di Cristo). Proprio in cio' si dichiara ed e' dichiarato e giudicato come male attivo e potente, si', eppure in questo atto stesso giudicato, vinto, superato. Infatti, l'offesa fatta alla vittima non toglie il suo diritto, la sua dignita', la sua verita', ma persino li esalta nel tentativo di eliminarli. C'e' anche una impotenza del male. Nel caso del supremo innocente, Cristo, egli persiste nell'essere, nella vita superiore, perche' vede e conosce il male, lo affronta e lo assume, lo avvolge e lo abbraccia e persino lo ama, per ricuperarlo. Il male, invece, odiando e offendendo il bene, si autogiudica e si autodistrugge, non senza imporre al bene che lo ama, sofferenza e dolore, i quali non sono il male, ma la sua ombra, impronta, ferita, cicatrice, prezzo della amorosa vittoria del bene.

Ciancio cita Berdjaev: "L'esperienza del male orienta l'uomo verso un altro mondo e provoca una santa insoddisfazione di questo"; Pareyson: "Non c'e' indizio piu' sicuro della divinita' che la realta' stessa del male, e l'esperienza del male e' il miglior accesso a Dio"; Levinas: il male e' "eccesso", "rottura della normalita'", "una mostruosita'", ma, in questo senso, una trascendenza (pp. 117-118).

Puo' trattarsi solo, in questi pensieri, del rinvio ad un altro mondo inutilmente desiderato? Oppure, nell'impatto col male scatta anche una luce presente, che mostra il male come male, cioe' come rovescio del diritto, falsificazione del vero? Viene in mente quel pensiero ripetuto da Simone Weil: quando un essere umano (e perche' no, anche un animale) grida "Perche' mi vien fatto del male?", puo' sbagliare sulle cause e i soggetti, "ma il grido e' infallibile". L'offesa porta alla verita'.

"La trascendenza guadagnata attraverso il male - torniamo a leggere Ciancio - si puo' legittimamente definire come Dio, almeno in quanto si puo' chiamare Dio quell'assolutamente positivo di fronte al quale il male appare come cio' che non doveva essere". Poi riconosce che e' possibile ritrovare tracce di infinitezza nel finito, che rinviano in modo immediato all'infinito, ma bisogna dire che "la trascendenza non e' veramente incontrabile se non si attraversa la frattura che separa il finito dall'infinito, la frattura prodotta dal male". Non abbiamo altra esperienza della trascendenza che questa, "non solo della differenza, ma anche della separazione ed anzi della lacerazione". "Le esperienze del divino che ne prescindono finiscono per immanentizzarlo e dunque per perdere la trascendenza", come accade in varie forme di religiosita' contemporanea. Nel non riconoscere il male, quindi nel dimenticare l'assoluta differenza nella somiglianza dell'uomo con Dio - in cio' e' consistito il peccato originale - sta la radice del possibile oblio della trascendenza (pp. 119-123).

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Il circolo male-Dio

"Se Dio e' guadagnato attraverso il male, allora si puo' anche pensare" che esso "entri in qualche relazione con l'essere divino". Dio "si pone in relazione, anche se soltanto negativa, con il male", come esprimono i simboli cristiani dell'incarnazione e crocifissione. "La liberta', anche quella divina, non si puo' pensare senza la posizione della possibilita' del male", una possibilita' che "non e' estranea a Dio". Nei simboli cristiani Dio e' coinvolto nel male, e cio' rivela un altro suo aspetto: "non piu' soltanto l'infinita' della sua potenza, e neanche soltanto l'infinita' della sua liberta', ma anzitutto l'infinita' del suo amore. Forse solo un Dio come questo puo' ancora dire qualcosa all'uomo di oggi". Dio ha senso solo come senso del mondo, che pero' ha perduto il proprio senso, ma cosi' Dio non si riferisce piu' a nulla, diventa un concetto vuoto. "A Dio possiamo assegnare un significato reale solo come negazione del male e della frattura, o meglio come domanda, interna al mondo, che la frattura sia superata". Ma allora le rappresentazioni di Dio non devono pretendere di coglierne l'essenza, quanto significare "l'opzione esistenziale per la liberta' e per il bene", "l'assunzione di responsabilita' nei confronti del male e per la possibilita' della salvezza". I concetti teologici hanno questo senso solo se strettamente legati a simboli, come quelli cristiani, che esprimono la contraddizione "fra il negativo del mondo e l'aspirazione alla salvezza che da quella negativita' si leva, come inestinguibile protesta contro questo stato di cose e come domanda incessante che vi sia e si manifesti un senso" (pp. 124-126).

Il Dio che possiamo conoscere e' un Dio che lotta contro il male, ma cosi' il male si aggrava perche' colpisce Dio. Lo scandalo "non e' che Dio permetta il male, ma che il male venga redento attraverso la sofferenza divina; nonche' risolverla, il cristianesimo aggrava, contrariamente a quel che sembra, la questione del male". Questa e' l'idea centrale del libro di Ciancio. "Il rapporto male-Dio si chiude come in un circolo (...): il passaggio dal male a Dio si converte in un passaggio da Dio al male", ad un male aggravato. "Se il male appare come cio' che non doveva essere, che non puo' essere ne' giustificato ne' tollerato ne' mediato, e' perche' e' negazione di Dio. Solo di fronte a Dio il male e' male, ed e' percio' comprensibile che l'altra soluzione principale della contraddizione introdotta dal male - dopo quella che consiste nella sua riduzione - sia la negazione di Dio (e' la soluzione di Ivan Karamazov e poi di Nietzsche)".

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Dio e' nella resistenza

La voce di Dio non si ode piu' nella natura diventata lontana e indecifrabile, ne' nella storia che ha esaurito ogni spinta progressiva, ma solo "la' dove la morte e soprattutto la morte dell'innocente continua ad apparire come ingiustificata e inconciliabile, inaccettabile e inconsolabile". "La presenza di Dio si manifesta nella presa di posizione, senza compromessi, di fronte a questo male, nel lasciarsi toccare dal suo orrore e dire no, in una resistenza morale". La quale e' molto debole perche' puo' arginare gli effetti piu' devastanti del male, ma non presume di poterlo distruggere "se non in virtu' di un miracolo"; ed e' molto forte perche' e' intransigente e ferma, ma soprattutto perche' "poggia sulla promessa del regno di Dio, sull'attesa, intransigente e incontentabile, della salvezza", senza di che sarebbe "resistenza disperata e tentata di venire a patti con il male". "Il riconoscimento di Dio non avverrebbe se Dio non fosse gia' all'origine del riconoscimento del male, se non fosse gia' il principio della protesta", che "lo rivela e lo esalta come male". "Quando l'esplicitazione dell'esistenza di Dio e della nostra relazione con lui resta bloccata, allora si finisce per dissolvere anche il male"; allora "il male diventa natura (mostruosita' metamorfica) oppure fatto plumbeo e implacabile, che finisce paradossalmente per coincidere con Dio: padre lontano, severo e senza amore, Dio coincide con un male senza Dio. Ma in questo modo anche il male non e' piu' male, perche' e' elevato a principio supremo di un ordine cosmico, che, per quanto insensato, non puo' che essere accettato, dal momento che manca un'altra istanza ontologica a cui appellarsi".

La filosofia non puo' provare ne' convincere, puo' solo mostrare il circolo male-Dio, e far vedere qual e' la posta in gioco: "Nella negazione di Dio sono messi in gioco il riconoscimento del male e la resistenza ad esso; nella negazione del male sono messi in gioco il riconoscimento di Dio e la fede in lui" (pp. 126-131).

 

4. ANNIVERSARI. IN MEMORIA DI RONALD D. LAING, DI ROSARIO MORALES, DI NICOLA SACCO, DI BRUNO TRENTIN, DI BARTOLOMEO VANZETTI

 

Ricorre oggi, 23 agosto, l'anniversario della scomparsa di Ronald David Laing (Glasgow, 7 ottobre 1927 - Saint-Tropez, 23 agosto 1989), della nascita di Rosario Morales (New York, 23 agosto 1930 - Cambridge, Massachusetts, 23 marzo 2011), dell'uccisione di Nicola Sacco (Torremaggiore, 22 aprile 1891 - Charlestown, 23 agosto 1927), della scomparsa di Bruno Trentin (Pavie, 9 dicembre 1926 - Roma, 23 agosto 2007), dell'uccisione di Bartolomeo Vanzetti (Villafalletto, 11 giugno 1888 - Charlestown, 23 agosto 1927).

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Anche nel ricordo di Ronald D. Laing, di Rosario Morales, di Nicola Sacco, di Bruno Trentin, di Bartolomeo Vanzetti, proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

 

5. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Ludwig Feuerbach, Il primo Feuerbach. La ragione, una, universale, infinita. Xenien, Edizioni Ebe, Roma 1990, 1991, pp. 166.

- Ludwig Feuerbach, La morte e l'immortalita', Lanciano, 1916, Fratelli Melita Editori, La Spezia 1990, pp. IV + 136.

- Ludwig Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1960, 1975, pp. 296.

- Ludwig Feuerbach, L'essenza della religione, Einaudi, Torino 1972, 1976, pp. L + 156.

- Ludwig Feuerbach, L'essenza della religione, Newton Compton, Roma 1994, pp. 98.

- Ludwig Feuerbach, Principi della filosofia dell'avvenire, Einaudi, Torino 1946, 1979, pp. XII + 148.

- Ludwig Feuerbach, Rime sulla morte, Marcos y Marcos, Milano 1985, pp. 48.

- Ludwig Feuerbach, Scritti filosofici, Laterza, Roma-Bari 1976, pp. XXVI + 324.

- Ludwig Feuerbach, L'essenza del cristianesimo. Essenza della religione. Spiritualismo e materialismo specialmente in relazione alla liberta' del volere, Laterza, Roma-Bari, Mondadori, Milano 2009, pp. XL + 662.

- Henri Arvon, Che cosa ha veramente detto Feuerbach, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1972, pp. 106.

- Leonardo Casini, Storia e Umanesimo in Feuerbach, Il Mulino, Bologna 1974, pp. 344.

- Claudio Cesa, Introduzione a Feuerbach, Laterza, Roma-Bari 1978, pp. VI + 200.

- Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, Editori Riuniti, Roma 1950, 1976, pp. 96.

- Leopoldo Sandona' (a cura di), Feuerbach, Rcs, Milano 2015, pp. 168.

- Giulio Severino, Origine e figure del processo teogonico in Feuerbach, Mursia, Milano 1972, pp. 268.

 

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 333 del 23 agosto 2015

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