[Nonviolenza] Telegrammi. 2049



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2049 del 19 luglio 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Associazione "Respirare": Nella ricorrenza del Nelson Mandela Day

2. Una proposta di azione contro il razzismo

3. Anna Bravo: La zona grigia (parte prima)

4. Segnalazioni librarie

5. La "Carta" del Movimento Nonviolento

6. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. ASSOCIAZIONE "RESPIRARE": NELLA RICORRENZA DEL NELSON MANDELA DAY

[Riceviamo e diffondiamo]

 

Nella ricorrenza del Nelson Mandela Day (l'anniversario della nascita di Nelson Mandela, anniversario che in tutto il mondo e' festeggiato come giorno d'impegno comune per i diritti umani) l'associazione "Respirare" chiama ogni persona di volonta' buona a proseguire la lotta contro il razzismo, per la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani, per la liberazione dell'umanita' da tutte le violenze.

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Ed in particolare qui ed ora invitiamo ogni cittadino italiano ad impegnarsi affinche' cessi in Italia l'orrore del razzismo e dello schiavismo; affinche' in Italia siano abolite le criminali e criminogene misure persecutrici e segregazioniste che governi antidemocratici e filomafiosi hanno imposto e mantenuto in flagrante violazione della Costituzione repubblicana; affinche' lo stato italiano finalmente riconosca e rispetti il diritto alla vita di ogni essere umano e quindi riconosca a tutte le persone il diritto di giungere in Italia in modo legale e sicuro, inveri il diritto d'asilo offrendo soccorso, accoglienza ed assistenza alle persone vittime di gravi violenze, alle persone in pericolo di morte.

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E' ignobile e scellerato che rappresentanti delle istituzioni incitino ai pogrom e addirittura li organizzino.

E' ignobile e scellerato che in Italia vi siano campi di concentramento.

E' ignobile e scellerato che governatori di Regioni, pubblici amministratori, parlamentari, istighino a violare le leggi che salvano le vite, istighino all'ideologia e alla pratica della violenza razzista, istighino a far torturare e morire degli innocenti.

E' ignobile e scellerato che il governo italiano impedisca ai profughi di giungere in Italia in modo legale e sicuro, impedisca che degli innocenti in fuga dall'orrore possano salvare la propria vita senza correre ulteriori rischi, impedisca la realizzazione necessaria e urgente di un piano di soccorso che attraverso un servizio di trasporto pubblico e gratuito metta in salvo gli esseri umani che stanno morendo vittime della fame, delle guerre, delle dittature, del terrore - fame, guerre, dittature e terrore di cui anche il nostro paese e' corresponsabile con la sua sciagurata politica di guerra e riarmo, di complicita' con poteri dittatoriali, rapinatori, criminali -.

E' ignobile e scellerato che delinquenti hitleriani possano propagandare su tutti i mass-media i loro criminali deliri senza essere perseguiti per le loro delittuose azioni.

E' ignobile e scellerato che cittadini ipnotizzati dalla retorica fascista profusa a piene mani da televisioni, giornali e social media desiderino che vittime innocenti siano perseguitate anche nel nostro paese, che sia loro negato un riparo ed i piu' elementari diritti umani, che siano scacciate deportandole e riconsegnandole negli artigli degli aguzzini cui erano sfuggite.

E' ignobile e scellerato che la generalita' della popolazione italiana accetti e quindi di fatto consenta il regime di effettuale apartheid che nega a cinque milioni di residenti in Italia il diritto di partecipare alle decisioni che anche le loro vite riguardano.

E' ignobile e scellerato che la generalita' della popolazione italiana accetti e quindi di fatto consenta il regime di effettuale schiavismo gestito dalla mafia e favoreggiato da governanti e pubblici amministratori cinici e brutali.

E' ignobile e scellerato negare l'umanita' di esseri umani inermi e indifesi.

Si torni alla legalita' costituzionale. Si torni alla civilta' umana.

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Nel giorno in cui si fa memoria di Nelson Mandela, si possa noi essere degni del suo lascito, del suo appello, della sua lotta: si sappia noi proseguirne l'azione, inverarne la speranza, realizzarne la proposta.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Il razzismo e lo schiavismo sono crimini contro l'umanita'.

Il primo dovere e' salvare le vite.

L'associazione "Respirare"

Viterbo, 18 luglio 2015

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Una breve notizia sull'associazione "Respirare"

L'associazione "Respirare" e' stata promossa da associazioni e movimenti ecopacifisti e nonviolenti, per il diritto alla salute e la difesa dell'ambiente.

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Una breve notizia su Nelson Mandela

Nelson Mandela e' stato uno dei piu' grandi eroi della lotta contro il razzismo, per la dignita' di ogni essere umano; nato nel 1918, tra i leader principali dell'African National Congress, nel 1964 e' condannato all'ergastolo dal regime razzista sudafricano; nel corso dei decenni la sua figura diventa una leggenda e un punto di riferimento in tutto il mondo; uscira' dal carcere l'11 febbraio 1990 come un eroe vittorioso; premio Nobel per la pace nel 1993, primo presidente del Sudafrica finalmente democratico compira' il miracolo della riconciliazione; e' deceduto nel 2013.

Opere di Nelson Mandela: fondamentale e' l'autobiografia Lungo cammino verso la liberta', Feltrinelli, Milano 1995; tra le raccolte di scritti ed interventi pubblicate prima della liberazione cfr. La lotta e' la mia vita, Comune di Reggio Emilia, 1985; La non facile strada della liberta', Edizioni Lavoro, Roma 1986; tra le raccolte pubblicate successivamente alla liberazione: Tre discorsi, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1991; Contro ogni razzismo, Mondadori, Milano 1996; Mai piu' schiavi, Mondadori, Milano 1996 (il volume contiene un intervento di Nelson Mandela ed uno di Fidel Castro); Io, Nelson Mandela, Sperling & Kupfer, Milano 2010, 2013; Bisogna essere capaci di sognare, Rcs, Milano 2013.

Opere su Nelson Mandela: Mary Benson, Nelson Mandela: biografia, Agalev, Bologna 1988; François Soudan, Mandela l'indomabile, Edizioni Associate, Roma 1988; Jean Guiloineau, Nelson Mandela, Mondadori, Milano 1990; John Vail, I Mandela, Targa Italiana, Milano 1990; Fatima Meer, Il cielo della speranza, Sugarco, Milano 1990; John Carlin, Mandela. Ritratto di un sognatore, Sperling & Kupfer, Milano 2013; Christo Brand, Mandela. L'uomo che ha cambiato il mondo, Newton Compton, Roma 2014. Si veda anche: Winnie Mandela, Finche' il mio popolo non sara' libero, Sugarco, Milano 1986; Nancy Harrison, Winnie Mandela, Jaca Book, Milano 1987; ed ancora: Desmond Tutu, Anch'io ho il diritto di esistere, Queriniana, Brescia 1985; Desmond Tutu, Non c'e' futuro senza perdono, Feltrinelli, Milano 2001; Desmond Tutu, Anche Dio ha un sogno, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2004; ed anche: Nadine Gordimer, Vivere nell'interregno, Feltrinelli, Milano 1990; ed ancora almeno: Marcello Flores (a cura di), Verita' senza vendetta. L'esperienza della Commissione sudafricana per la verita' e la riconciliazione, Manifestolibri, Roma 1999.

 

2. INIZIATIVE. UNA PROPOSTA DI AZIONE CONTRO IL RAZZISMO

 

E' necessario e urgente un impegno contro il razzismo in Italia. Ed invero vi sono gia' molte iniziative in corso. Quella che vorremmo proporre potrebbe essere agevole da condurre e produrre qualche risultato.

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Un ragionamento

Due sono gli obiettivi: il primo: ottenere, se possibile, risultati limitati ma concreti che vadano nella direzione del riconoscimento dei diritti fondamentali per il maggior numero possibile di esseri umani almeno nel nostro paese; il secondo: contrastare con le nostre voci e la nostra azione il discorso e la prassi dominanti, che sono il discorso e la prassi dei dominatori razzisti e schiavisti, dei signori della guerra e della barbarie.

L'idea e' di provare ad attivare alcune risorse istituzionali per contrastare il razzismo istituzionale.

La proposta e' di premere sui Comuni e sul Parlamento con una progressione degli obiettivi.

Alcuni provvedimenti - quelli che proponiamo ai Comuni - sono agevolmente ottenibili se si creano localmente dei gruppi (persone, associazioni, rappresentanze istituzionali...) capaci di premere nonviolentemente in modo adeguato e con la necessaria empatia e perseveranza; e sono agevolmente ottenibili perche' molti Comuni d'Italia li hanno gia' deliberati e realizzati, e quindi nulla osta in via di principio al fatto che altri Comuni li adottino a loro volta.

Le cose che chiediamo al Parlamento sono meno facilmente ottenibili, ma la nostra voce puo' comunque contribuire se non altro a suscitare una riflessione, a promuovere la coscientizzazione, a spostare i rapporti di forza, ad opporsi a ulteriori violenze smascherando la disumanita' delle scelte razziste e indicando cio' che invece sarebbe bene fare.

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Un metodo

Noi suggeriremmo a chi ci legge e condivide questa proposta di cominciare scrivendo di persona agli amministratori comunali ed ai parlamentari; poi proponendo ad altre persone di fare altrettanto; poi se possibile coinvolgendo anche associazioni e media ed attraverso essi sensibilizzando e coinvolgendo altre persone ancora; poi chiedendo incontri con i rappresentanti istituzionali; e perseverando.

Non vediamo bene un'iniziativa piramidale con un "coordinamento nazionale" e le modalita' burocratiche che ne conseguono. Preferiremmo un'iniziativa policentrica, in cui ogni persona possa agire da se', e meglio ancora con le persone con cui sente un'affinita', e meglio ancora se si riesce ad organizzare un coordinamento locale, ma tra pari e senza deleghe ed in cui le decisioni si prendono con la tecnica nonviolenta del metodo del consenso.

Una sola condizione poniamo come preliminare e ineludibile: la scelta della nonviolenza.

Proponiamo di cominciare e vedere cosa viene fuori. Comunque non sara' tempo sprecato.

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Ed ecco le proposte:

1. Quattro richieste ai Comuni:

1.1. affinche' il sindaco - qualora non lo abbia gia' fatto - informi, inviando loro una lettera, tutte le persone straniere diciottenni residenti o domiciliate nel territorio del Comune che siano nate in Italia ed in Italia legalmente residenti senza interruzioni fino al compimento del diciottesimo anno di eta', che la vigente legislazione prevede che nel lasso di tempo tra il compimento del diciottesimo ed il compimento del diciannovesimo anno di eta' hanno la possibilita' di ottenere la cittadinanza italiana facendone richiesta davanti all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di residenza con una procedura alquanto piu' semplice, rapida e meno dispendiosa di quella ordinaria per tutte le altre persone aventi diritto;

1.2. affinche' il Comune - qualora non lo abbia gia' fatto - attribuisca la cittadinanza onoraria alle bambine e ai bambini non cittadine e cittadini italiani con cui la comunita' locale ha una relazione significativa e quindi impegnativa (ovvero a) tutte le bambine e tutti i bambini nate e nati nel territorio comunale da genitori non cittadini italiani; b) tutte le bambine e tutti i bambini non cittadine e cittadini italiani che vivono nel territorio comunale; c) tutte le bambine e tutti i bambini i cui genitori non cittadini italiani vivono nel territorio comunale ed intendono ricongiungere le famiglie affinche' alle bambine ed ai bambini sia riconosciuto il diritto all'affetto ed alla protezione della propria famiglia, ed affinche' i genitori possano adeguatamente adempiere ai doveri del mantenimento e dell'educazione delle figlie e dei figli);

1.3. affinche' il Comune - qualora non lo abbia gia' fatto - istituisca la "Consulta comunale delle persone straniere residenti nel Comune";

1.4. affinche' il Comune - qualora non lo abbia gia' fatto - istituisca la presenza in Consiglio Comunale dei "consiglieri comunali stranieri aggiunti".

2. Quattro richieste al Parlamento:

2.1. affinche' legiferi il diritto di voto nelle elezioni amministrative per tutte le persone residenti;

2.2. affinche' legiferi l'abolizione dei Cie e di tutte le forme di detenzione di persone che non hanno commesso reati;

2.3. affinche' legiferi l'abolizione di tutte le ulteriori misure palesemente razziste ed incostituzionali purtroppo tuttora presenti nell'ordinamento;

2.4. affinche' legiferi il riconoscimento del diritto di tutti gli esseri umani di giungere in modo legale e sicuro in Italia.

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Naturalmente

Sono naturalmente disponibili alcuni modelli di lettera (e molti materiali di riferimento) per ognuno di questi punti, che chi vuole prender parte all'iniziativa puo' riprodurre e adattare.

 

3. RIFLESSIONE. ANNA BRAVO: LA ZONA GRIGIA (PARTE PRIMA)

[Dal libro di Anna Bravo, Raccontare per la storia / Narratives for History, Einaudi, Torino 2014, riportiamo il capitolo secondo "La zona grigia" nel solo testo italiano (pp. 29-85). Ringraziamo di cuore l'autrice.

Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Tra le opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia,  Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008; (con Federico Cereja), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, Torino 2011; La conta dei salvati, Laterza, Roma-Bari 2013; Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014.

Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi: fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994; Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Anna Bravo, Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014; Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992; Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997; Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1976. Cfr. anche il sito del Centro Internazionale di Studi Primo Levi (www.primolevi.it)]

 

"Zona grigia" e' una delle espressioni piu' fortunate di questi decenni, e una delle piu' distorte. Non casualmente. Che il male possa contagiare chi lo subisce e' una verita' semplice, addirittura ovvia. Ma non indolore. Amiamo profondamente l'idea che gli oppressi sappiano resistere, che siano solidali fra loro. Ci rassicura pensare che la contaminazione diminuisca quanto piu' e' dura la violenza inflitta, fino a sparire in situazioni estreme. Nel Lager non ci sono colpevoli, recita il titolo del fondamentale libro di Varlam Salamov (17).

Con benefico coraggio, Levi scrive invece che "E' ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema infero, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada, le assimila a se', e cio' tanto piu' quanto piu' esse sono disponibili, bianche, prive di un'ossatura politica o morale" (18). E documenta questo contagio con un'analisi al cui centro sta, insieme alla responsabilita' verso i propri simili, il rapporto con il potere: non un potere genericamente inteso che a Levi, credo, non sarebbe interessato, ma con il dominio totalitario nella forma compiuta che si realizza in Lager (19).

Fra i tratti che lo caratterizzano, ne spiccano due: l'ambiguita' "che irradia dai regimi fondati sul terrore e sull'ossequio" (20); l'uso di una parte dei prigionieri nella manutenzione e amministrazione dei campi. Il che consente di ridurre al minimo il personale tedesco, e di istituire una gerarchia interna ai deportati, compromettendo chi svolge quelle funzioni e ne riceve in cambio vantaggi a volte minimi, a volte impensabilmente grandi. Simile in questo alle "istituzioni totali" studiate dal grande sociologo Erving Goffman (21), l'ordine concentrazionario si regge infatti su un sistema di punizioni e privilegi che presuppone l'assenso, la tolleranza o la protezione di una guardia, o di un altro prigioniero collocato piu' in alto nella gerarchia dei deportati, in qualche caso di un comandante - il termine, yiddish e polacco, per indicare il privilegio era protekcja. Un meccanismo simile vige nel Gulag ed e' stato descritto, fra gli altri, da Varlam Salamov e Aleksandr Solzenicyn (22).

Nella definizione di Levi, la zona grigia e' una realta' ambigua, "dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi", abitata dalla "classe ibrida dei prigionieri-funzionari" (23). Eppure ambiguita', ibridismo, confini incerti, non vogliono affatto dire vaghezza.

Levi precisa e distingue. Non applica pero' le categorie della ricerca sociale e psicologica - classe, ceto, cultura, pulsioni, legame con la politica e le credenze religiose - che pure considera significative e che altri autori hanno impiegato. Le fa piuttosto interagire con la distinzione primaria fra i privilegiati e i non privilegiati, che coglie partendo dall'interno, dall'analisi minuziosa della vita e morte in Lager. Da qui prende forma il concetto di zona grigia.

Il discrimine fondamentale e' il rapporto con il sistema concentrazionario: l'importanza della funzione svolta, il potere sugli altri prigionieri che ne deriva. Una cosa sono i funzionari di basso rango - scopini, lavamarmitte, guardie notturne, controllori di pidocchi e di scabbia, portaordini, interpreti, aiutanti degli aiutanti: "una fauna pittoresca" fatta di "poveri diavoli [...] che lavoravano a pieno orario come tutti gli altri, ma che per mezzo litro di zuppa in piu' si adattavano a svolgere queste ed altre funzioni 'terziarie'" (24). O addirittura, come gli stiratori di cuccette, inventavano una mansione facendo leva sulla passione maniacale per l'ordine diffusa fra le guardie. Si tratta di lavori "innocui, talvolta utili", che non causano danni ai compagni.

Altra cosa sono i detentori di posizioni di comando, una sorta di elite: i Kapos alla testa "delle squadre di lavoro, i capibaracca, gli scritturali", fino agli addetti a varie attivita' "talvolta delicatissime, presso gli uffici del campo, la Sezione Politica (di fatto, una sezione della Gestapo), gli archivi, il Servizio del Lavoro, le celle di punizione" (25). I prigionieri "funzionari", che garantiscono la continuita' amministrativa, possono manipolare disposizioni e documenti, per esempio spostando un prigioniero da un Kommando di lavoro all'altro, o ottenendo dalle guardie un trattamento meno duro per qualcuno. I Kapos delle squadre di lavoro, che assicurano la produzione per il Terzo Reich e l'ordine nel campo, hanno tutti, anche quelli di basso grado, un potere "sostanzialmente illimitato" sulla vita degli altri prigionieri; possono "commettere sui loro sottoposti le peggiori atrocita', a titolo di punizione per qualsiasi loro trasgressione, o anche senza motivo alcuno": fino a tutto il 1943, l'anno in cui il bisogno di mano d'opera si sarebbe fatto piu' acuto, "non era raro che un prigioniero fosse ucciso a botte da un Kapo, senza che questo avesse da temere alcuna sanzione" (26).

Altra cosa ancora gli uomini inquadrati nei Sonderkommando, cui era affidata la gestione materiale dei crematori (e dei prigionieri destinati alle camere a gas). Sempre cosi' parco di toni estremi, Levi definisce la creazione di queste Squadre "il delitto piu' demoniaco del nazionalsocialismo" (27), e ne fa un vettore dell'analisi.

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Zona grigia e memoria

In un sistema fondato sul meccanismo punizioni/privilegi resistere non e' da tutti, solo dei martiri e dei "filosofi stoici" (28) (pochi e presto scomparsi), perche' la speranza di un piccolo, spesso effimero vantaggio non puo' non dominare i comportamenti.

Con una chiarezza fino ad allora mai raggiunta negli studi sulla Shoah, Levi introduce una doppia connessione: fra privilegio e memoria, fra privilegio e sopravvivenza. Lo fa chiamando in causa se stesso e i suoi compagni, e in un orizzonte culturale piu' complesso e variegato rispetto ai primi anni del dopoguerra.

Da un lato, il lungo disimpegno diffuso fra gli storici, specie italiani, aveva fatto ricadere sulla memoria dei testimoni un ruolo di supplenza. Dall'altro, testimoniare non significava piu' riempire un vuoto, significava fare i conti con un pieno di immagini che venivano da libri, da film, da serie tv, da vecchi e nuovi "automatismi mentali" e da nuove o similnuove teorie filosofico-storiografiche.

Mentre - sulla scia del famoso sceneggiato televisivo Holocaust (1978) - si diffondono versioni semplificatrici o melodrammatiche, continuano a circolare le tesi negazioniste, secondo cui non esisterebbe prova alcuna dell'uso omicida delle camere a gas - il che equivale a irridere i morti che non possono testimoniare la propria morte (29). Nel frattempo si avviano nuove forme di revisionismo storico, che con argomentazioni meno drastiche (e piu' insinuanti) puntano a "relativizzare" lo sterminio fino a farne una variante - di spicco, ma una fra le altre - dell'imbarbarimento europeo nella prima meta' del Novecento (30). Si aggiunge, e non e' affatto innocuo, un nuovo corso soggettivista, che fa leva sul rapporto sempre problematico fra la realta' e le sue rappresentazioni per negare ogni autonomia al documento, ridotto a materiale inerte utilizzabile indifferentemente per l'una o l'altra costruzione storica. Con il risultato che vero e falso perdono il loro senso proprio, per trasformarsi in opzioni inconfrontabili, come se la realta' non esistesse. E che, di fronte a posizioni alla Faurisson (31), si esprime si' un rifiuto morale e intellettuale, ma si esita a definirle per quel che sono: semplicemente menzogne (32). Sconsolante esempio di come, in omaggio alla liberta' di espressione altrui, la si nega a se stessi rinunciando a chiamare le cose con il loro nome.

Verrebbe spontaneo reagire con una difesa di principio della memoria. Levi la vuole invece piu' solida e piu' forte - il che rende vitale dedicarle uno sguardo solidale ma critico.

Il suo primo interrogativo in quegli anni e' se la parola dei salvati sia in grado di rappresentare l'universo della prigionia (33). Per lui come per Elie Wiesel, il testimone "vero", "integrale", e' il sommerso, il musulmano, l'unico soggetto che ha conosciuto il campo dal punto piu' basso. "La demolizione condotta a termine, l'opera compiuta, non l'ha raccontata nessuno, come nessuno e' mai tornato a raccontare la sua morte. I sommersi, anche se avessero avuto carta e penna, non avrebbero testimoniato, perche' la loro morte era cominciata prima di quella corporale" (34). La testimonianza dei sommersi e' il non poter testimoniare, il salvato lo fa per loro, "per conto terzi".

Ma la gran parte dei sopravvissuti (grazie alla buona sorte, o a un minimo privilegio imparagonabile a quelli dei deportati/funzionari) e' composta da prigionieri anonimi, che guardano il campo da un angolo visuale ristretto, parziale, frammentario - vale in particolare per gli italiani, collocati agli ultimi posti nella gerarchia concentrazionaria. Non rischia, un osservatorio cosi' limitato, di risultare poco utile come strumento conoscitivo? Si', secondo Levi. Tanto sarebbe vero, che a farsi storici sono stati finora i privilegiati prigionieri/funzionari, e fra questi i politici, i soli che avessero la possibilita' di arrivare a una rappresentazione piu' ampia e piu' attendibile.

Non e' richiesto concordare. Il fascino del pensiero di Levi sta nel suo presentarsi come una segnaletica dei problemi, non come spartiacque fra giusto e sbagliato, o come formulario di quel che si deve sapere per non apparire "retrodatati" - timore che corre sottotraccia nella nostra ansiosa cultura periferica.

Alla fiducia di Levi nella lucidita' degli internati politici si puo' rispondere con il giudizio di Bruno Bettelheim, ex deportato, grande psicoanalista, scrittore: "l'elite dei prigionieri (fatta eccezione per alcuni criminali) era raramente immune da un senso di colpa per i vantaggi di cui godeva. Ma [...] il massimo al quale di solito essi arrivavano era un maggior bisogno di autogiustificarsi. Ed essi si autogiustificavano come per secoli ha sempre fatto ogni membro delle classi dominanti, cioe' sottolineando la propria importanza per la societa' (maggiore di quella delle persone comuni), il proprio potere di influire sulla realta' circostante, la propria istruzione e la propria cultura". Eugen Kogon, che aveva il ruolo di segretario personale del medico capo di Buchenwald, racconta "con un certo orgoglio che nella quiete della notte godeva della lettura di Platone e di Galsworthy, mentre nella stanza adiacente i prigionieri comuni appestavano l'aria col loro puzzo e russavano spiacevolmente. Egli sembra incapace di rendersi conto che [...] poteva leggere perche' non tremava dal freddo, non moriva di fame, non era istupidito dall'esaurimento" (35).

Ai dubbi di Levi sulle testimonianze dei prigionieri anonimi si potrebbe rispondere cosi': se la frammentazione propria di qualsiasi esperienza e' spinta in Lager al suo estremo, e' attraverso questo estremo che bisogna passare per avvicinarsi alla comprensione. Se si capovolge il punto di osservazione, lo spiraglio attraverso cui i deportati hanno visto il campo aiuta a immaginare lo spaesamento, l'impoverimento mentale e sensoriale.

Aiuta anche quando l'attenzione si sposta alla ricerca dei dati "oggettivi". Levi riflette sulle derive e sui rischi della memoria, sul sovrapporsi di esperienze e racconti altrui, sull'impoverirsi del linguaggio esposto all'invadenza delle formule celebrative. Sullo scorrere del tempo che di per se' appannerebbe il ricordo. Sugli irrigidimenti favoriti dalla ripetizione: le testimonianze dei deportati non sfuggono al meccanismo principe del registro narrativo, secondo cui l'atto del raccontare modifica quel che si sta raccontando (36).

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Levi e i suoi compagni

Sebbene il tempo non sia necessariamente la variabile principale, lo scarto fra la testimonianza per cosi' dire coeva e quella resa a distanza di anni, a volte di decenni, puo' essere vistoso. Chi lavora con fonti orali sa che incertezze, errori, sovrapposizioni sono indizi preziosi per capire le culture, le ideologie, i sogni di chi racconta, la vita che poteva essere, la vita che ancora si spera per se' e per gli altri. Comunicare a chi racconta questo interesse verso i "vizi di forma" della memoria e' il modo piu' diretto per sdrammatizzare lo scoglio della cosiddetta verita' oggettiva.

Ma come applicare il medesimo criterio a una memoria che si forma contro il progetto nazista di cancellare ogni traccia, che fin dagli esordi si e' data l'obiettivo di contribuire alla storia - e che teme, a ragione, l'incredulita'? Per quale via fronteggiare quello scoglio, se la volonta' di chi parla o scrive e' precisamente documentare "come sono andate le cose"?

L'invito di Levi ad astenersi dall'uso di categorie nate nella e per la normalita' qui si prolunga in un ammonimento contro l'assolutismo metodologico. Compreso il suo lessico: da tempo nella storia orale si e' sostituito il concetto di "testimone" con quello di "narratore" - per segnalare che la memoria non e' la fotocopia del passato, e' una sua interpretazione. Ma che senso avrebbe applicare il nuovo termine se chi parla lo fa proprio in quanto testimone?

Agli ex deportati Levi vuol suggerire come usare al meglio quel che ciascuno ha visto o intravisto dal suo spiraglio. Li invita a distinguere fra quel che hanno vissuto e quel che hanno sentito dire all'epoca o in seguito, insiste sulla necessita' di sottoporre il ricordo al vaglio delicato (e all'apparenza impietoso) che la certificazione della verita', sia pure circoscritta, impone al testimone. Li sollecita, in breve, a prendersi cura della memoria, come lui stesso (37) ha scrupolosamente fatto. I sommersi e i salvati e', anche, lo sforzo di costruire un'etica e una grammatica della testimonianza.

Se denunciando la stilizzazione retorica dei discorsi celebrativi Levi da' voce all'insofferenza di molti compagni, altra cosa e' chiedere loro quell'impegno faticoso - e difficile. Ad alcuni suonera' come un attentato alla propria credibilita', il preludio di una gerarchia delle memorie che escluderebbe le piu' fragili. E' comprensibile. Levi garantisce solo per se' e per i propri standard critici - cosi' farebbe chiunque.

Il punto e' che Levi non e' chiunque, ne' lo e' la sua memoria, elaborata da subito con il sostegno di una cultura aperta al dubbio e fiduciosa nella razionalita', accolta da un ambiente solidale anche se circoscritto, poi riconosciuta a larghissimo raggio (38). Il rischio e' allora che il suo percorso finisca per apparire un modello obbligato, e irraggiungibile.

Per esporsi cosi' al giudizio dei compagni ci vuole uno straordinario attaccamento alla verita' e un rifiuto radicale del paternalismo. Che suggerirebbe una lettura compiacente, se non addirittura un'astensione programmatica dalla critica. Come prescrive, a partire dal dopoguerra, il modello progressista del rapporto fra intellettuali e operai, contadini, proletari - il mondo in cui molti ex deportati rientrano di diritto.

Ma Levi e' lontanissimo sia dalle mitizzazioni ingenue del popolo, sia dalla sua elezione strumentale a guida etico-politica. Sa che a una testimonianza resa sotto dolore e sotto sforzo non si addicono sconti storiografici e palpiti sentimentali, solo il rispetto. Per questo, credo, chiede alla memoria di uscire da se stessa, di misurarsi con i criteri di precisione, consapevolezza della parzialita', discernimento che dovrebbero essere propri della costruzione storica.

Resteranno testimonianze parziali, certo, come lo e' del resto la sua. Ma agli occhi di Levi, anche del Levi piu' sfiduciato de I sommersi e i salvati, un discorso parziale e' meglio che nessun discorso.

*

Note

17. E' apparso presso Theoria, Roma-Napoli 1992. In seguito sara' pubblicato da altri editori con titoli diversi.

18. Primo Levi, I sommersi e i salvati [1986], in Opere cit., vol. II, p. 1020.

19. "Finche' tutti gli uomini non sono resi egualmente superflui - il che finora e' avvenuto solo nei campi di concentramento - l'ideale del dominio totale non e' raggiunto", scrive Hannah Arendt: Le origini del totalitarismo [The Origins of Totalitarianism, 1951], Edizioni di Comunita', Milano 1996, p. 626.

20. P. Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 1034.

21. Erving Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza [Asylums. Essays on the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates, 1961], Einaudi, Torino 1968.

22. Cfr. fra gli altri testi, di Aleksandr Solzenicyn, Arcipelago Gulag 1918-1956. Saggio di inchiesta narrativa [Arkipelag GULAG, 1973], 2 voll., Mondadori, Milano 1974-'75, che a questa sua prima apparizione ebbe poche recensioni e poca eco, e di Varlam Salamov, I racconti di Kolyma [Kolymskie rasskazy, 1973], edizione integrale a cura di Irina P. Sirotinskaja, Einaudi, Torino 1999. Di Salamov era gia' uscito nel 1976, accolto anch'esso con scarso interesse, Kolyma: trenta racconti dai Lager staliniani (Savelli, Roma, a cura di Piero Sinatti), e nel 1992 Nel Lager non ci sono colpevoli: gli ultimi racconti della Kolyma (Theoria, Roma-Napoli, a cura di Laura Salmon); I racconti di Kolyma (Sellerio, Palermo 1992); I racconti della Kolyma (Adelphi, Milano 1995).

23. P. Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 1022.

24. Ibid., pp. 1023-24.

25. Ibid., p. 1024.

26. Ibid., p. 1025.

27. Ibid., p. 1031.

28. Ibid., p. 1028.

29. Lyotard aveva paragonato la Shoah a un terremoto cosi' forte da distruggere, insieme a persone e cose, gli stessi strumenti per misurare la sua intensita': cfr. Jean-Francois Lyotard, Il dissidio [Le Differend, 1983], Feltrinelli, Milano 1985, pp. 81-82.

30. Pierre Vidal-Naquet, Gli assassini della memoria. Saggi sul revisionismo e la Shoah [Les Assassins de la memoire. "Un Eichmann de papier" et autres essais sur le revisionnisme, 1987], Viella, Roma 2008.

31. Robert Faurisson, gia' docente di letteratura all'Universita' di Lione, e' considerato un capostipite del negazionismo.

32. Carlo Ginzburg, "Unus testis". Lo sterminio degli ebrei e il principio di realta', in "Quaderni storici", n.s., XXVII (agosto 1992), n. 80, pp. 529-48, ora in Id., Il filo e le tracce. Vero falso finto, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 205-224. Il saggio e' dedicato a Primo Levi. Vale la pena ricordare che il linguista americano di estrema sinistra Noam Chomsky difendera' Faurisson in nome della liberta' di espressione e firmera' la prefazione alla sua Memoire en defense. Contre ceux qui m'accusent de falsifier l'histoire. La question des chambres a gaz (La Vieille Taupe, Paris 1980).

33. Non posso non ricordare qui la critica ferma (ma affettuosa) di Bruno Vasari, amico di Levi e vicepresidente dell'Associazione nazionale ex deportati, che rivendica l'autorevolezza del testimone, riprendendola in vari testi, vedi per es.: Enrico Mattioda (a cura di), La prevalenza della ragione sul sentimento nella testimonianza di Primo Levi, in Al di qua del bene e del male. La visione del mondo di Primo Levi, Atti del convegno internazionale, Torino 15-16 dicembre 1999, Angeli, Milano 2000, pp. 195-201.

34. P. Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 1056. Il brano fa parte del capitolo "La vergogna".

35. B. Bettelheim, Il prezzo della vita, cit. L'opera ha ora, anche in italiano, un titolo corrispondente a quello originale: Il cuore vigile (Adelphi, Milano 1988). Le due citazioni provengono dal capitolo 5, "Comportamento in situazioni estreme: le difese", pp. 213-14. Grazie al suo ruolo, Eugen Kogon potra' testimoniare a Norimberga contro i medici nazisti; ma nel suo saggio Der SS-Staat: das System der deutschen Konzentrationslager [1946], arriva a scrivere che "Complicazioni psicologiche significative si avevano soltanto negli individui di una certa levatura o in coloro che erano appartenuti a gruppi o classi superiori"; il brano e' riportato da Bettelheim a p. 214; il volume di Kogon non e' mai stato tradotto in italiano. Secondo Kogon (e' sempre Bettelheim a riferirlo), "Le classi colte [...] non erano, dopo tutto, preparate per la vita nei campi di concentramento". Dalle sue parole, scrive Bettelheim, "sembrerebbe di poter inferire che i prigionieri comuni, invece, erano adatti a vivere in un campo di concentramento, oppure che essi non soffrivano di alcuna complicazione psicologica" (ibid.).

36. Cfr. Lawrence L. Langer, Interpreting Survivor Testimony, in Berel Lang (a cura di), Writing and the Holocaust, Holmes & Meier, New York - London 1988, p. 26.

37. P. Levi, I sommersi e i salvati, cit., in particolare il capitolo "La memoria dell'offesa", pp. 1006-16. Levi crea, scrive David Bidussa, una lingua capace di esprimere "qualcosa che non e' solo vicenda, ma ventaglio di strumenti"; cfr. Marco Neirotti, "Ma adesso noi storici dobbiamo uscire dall'atteggiamento etico", intervista a David Bidussa, in "La Stampa", 26 gennaio 2010, p. 35. Di Bidussa vedi l'introduzione a I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 2003. Sul ruolo crescente della testimonianza nella trasmissione dell'esperienza e sull'"americanizzazione" della Shoah, vedi Annette Wieviorka, L'Ere du temoin, Plon, Paris 1998; trad. it. L'era del testimone, Cortina, Milano 1999.

38. L'ambiente e' quello di Giustizia e Liberta'. Ma parlando di posizione pubblica, va detto che Levi non e' una voce dominante nell'establishment culturale, e non fa molto per diventarlo: non e', a differenza di molti altri intellettuali, un "compagno di strada" del partito comunista, tanto meno un iscritto; non e' un sodale dei maggiori autori di Einaudi: le sue prime amicizie in campo letterario sono Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern, che non sono a loro volta figure centrali nel dibattito culturale italiano. Cfr. Robert S.C. Gordon, The Holocaust in Italian Culture, 1944-2010, Stanford University Press, Stanford (Cal.) 2012, pp. 67-68; trad. it. Scolpitelo nei cuori. L'Olocausto nella cultura italiana (1944-2010), Bollati Boringhieri, Torino 2013, pp. 99-101.

(parte prima - segue)

 

4. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Armanda Guiducci, La mela e il serpente, Rizzoli, Milano 1974, 1988; pp. 312.

- Armanda Guiducci, Donna e serva, Rizzoli, Milano 1983, pp. 296.

*

Strumenti

- Ernesto Irace, Codice della sicurezza sul lavoro, Italia Oggi, Milano 2015, pp. 576, euro 10,90.

 

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

6. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2049 del 19 luglio 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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