[Nonviolenza] Telegrammi. 2044



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2044 del 14 luglio 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. "Ricerca sociale e azione nonviolenta". Un incontro di riflessione a Viterbo

2. Una proposta di azione contro il razzismo

3. Stefano Bartezzaghi e Domenico Scarpa presentano "Una telefonata con Primo Levi" di Stefano Bartezzaghi (2012) (parte prima)

4. Segnalazioni librarie

5. La "Carta" del Movimento Nonviolento

6. Per saperne di piu'

 

1. INCONTRI. "RICERCA SOCIALE E AZIONE NONVIOLENTA". UN INCONTRO DI RIFLESSIONE A VITERBO

 

Si e' svolto lunedi' 13 luglio 2015 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione sul tema: "Ricerca sociale e azione nonviolenta".

All'incontro ha preso parte Marco Graziotti.

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Marco Graziotti e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Paolo Arena ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Laureato in Scienze della comunicazione, e' autore di un apprezzato lavoro su "Nuove tecnologie e controllo sociale nella ricerca di David Lyon"; recentemente ha realizzato una rilevante ricerca su "Riflessi nella letteratura e nel cinema della boxe come realta' complessa e specchio della societa' della solitudine di massa e della sopraffazione e mercificazione universale", interpretando con adeguate categorie desunte dalle scienze umane e filologiche numerose opere letterarie e cinematografiche; piu' recentemente ancora ha realizzato una ricerca sulle istituzioni e le politiche finanziarie europee facendo specifico riferimento alle analisi di Luciano Gallino e di Francuccio Gesualdi.

 

2. INIZIATIVE. UNA PROPOSTA DI AZIONE CONTRO IL RAZZISMO

 

E' necessario e urgente un impegno contro il razzismo in Italia. Ed invero vi sono gia' molte iniziative in corso. Quella che vorremmo proporre potrebbe essere agevole da condurre e produrre qualche risultato.

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Un ragionamento

Due sono gli obiettivi: il primo: ottenere, se possibile, risultati limitati ma concreti che vadano nella direzione del riconoscimento dei diritti fondamentali per il maggior numero possibile di esseri umani almeno nel nostro paese; il secondo: contrastare con le nostre voci e la nostra azione il discorso e la prassi dominanti, che sono il discorso e la prassi dei dominatori razzisti e schiavisti, dei signori della guerra e della barbarie.

L'idea e' di provare ad attivare alcune risorse istituzionali per contrastare il razzismo istituzionale.

La proposta e' di premere sui Comuni e sul Parlamento con una progressione degli obiettivi.

Alcuni provvedimenti - quelli che proponiamo ai Comuni - sono agevolmente ottenibili se si creano localmente dei gruppi (persone, associazioni, rappresentanze istituzionali...) capaci di premere nonviolentemente in modo adeguato e con la necessaria empatia e perseveranza; e sono agevolmente ottenibili perche' molti Comuni d'Italia li hanno gia' deliberati e realizzati, e quindi nulla osta in via di principio al fatto che altri Comuni li adottino a loro volta.

Le cose che chiediamo al Parlamento sono meno facilmente ottenibili, ma la nostra voce puo' comunque contribuire se non altro a suscitare una riflessione, a promuovere la coscientizzazione, a spostare i rapporti di forza, ad opporsi a ulteriori violenze smascherando la disumanita' delle scelte razziste e indicando cio' che invece sarebbe bene fare.

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Un metodo

Noi suggeriremmo a chi ci legge e condivide questa proposta di cominciare scrivendo di persona agli amministratori comunali ed ai parlamentari; poi proponendo ad altre persone di fare altrettanto; poi se possibile coinvolgendo anche associazioni e media ed attraverso essi sensibilizzando e coinvolgendo altre persone ancora; poi chiedendo incontri con i rappresentanti istituzionali; e perseverando.

Non vediamo bene un'iniziativa piramidale con un "coordinamento nazionale" e le modalita' burocratiche che ne conseguono. Preferiremmo un'iniziativa policentrica, in cui ogni persona possa agire da se', e meglio ancora con le persone con cui sente un'affinita', e meglio ancora se si riesce ad organizzare un coordinamento locale, ma tra pari e senza deleghe ed in cui le decisioni si prendono con la tecnica nonviolenta del metodo del consenso.

Una sola condizione poniamo come preliminare e ineludibile: la scelta della nonviolenza.

Proponiamo di cominciare e vedere cosa viene fuori. Comunque non sara' tempo sprecato.

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Ed ecco le proposte:

1. Quattro richieste ai Comuni:

1.1. affinche' il sindaco - qualora non lo abbia gia' fatto - informi, inviando loro una lettera, tutte le persone straniere diciottenni residenti o domiciliate nel territorio del Comune che siano nate in Italia ed in Italia legalmente residenti senza interruzioni fino al compimento del diciottesimo anno di eta', che la vigente legislazione prevede che nel lasso di tempo tra il compimento del diciottesimo ed il compimento del diciannovesimo anno di eta' hanno la possibilita' di ottenere la cittadinanza italiana facendone richiesta davanti all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di residenza con una procedura alquanto piu' semplice, rapida e meno dispendiosa di quella ordinaria per tutte le altre persone aventi diritto;

1.2. affinche' il Comune - qualora non lo abbia gia' fatto - attribuisca la cittadinanza onoraria alle bambine e ai bambini non cittadine e cittadini italiani con cui la comunita' locale ha una relazione significativa e quindi impegnativa (ovvero a) tutte le bambine e tutti i bambini nate e nati nel territorio comunale da genitori non cittadini italiani; b) tutte le bambine e tutti i bambini non cittadine e cittadini italiani che vivono nel territorio comunale; c) tutte le bambine e tutti i bambini i cui genitori non cittadini italiani vivono nel territorio comunale ed intendono ricongiungere le famiglie affinche' alle bambine ed ai bambini sia riconosciuto il diritto all'affetto ed alla protezione della propria famiglia, ed affinche' i genitori possano adeguatamente adempiere ai doveri del mantenimento e dell'educazione delle figlie e dei figli);

1.3. affinche' il Comune - qualora non lo abbia gia' fatto - istituisca la "Consulta comunale delle persone straniere residenti nel Comune";

1.4. affinche' il Comune - qualora non lo abbia gia' fatto - istituisca la presenza in Consiglio Comunale dei "consiglieri comunali stranieri aggiunti".

2. Quattro richieste al Parlamento:

2.1. affinche' legiferi il diritto di voto nelle elezioni amministrative per tutte le persone residenti;

2.2. affinche' legiferi l'abolizione dei Cie e di tutte le forme di detenzione di persone che non hanno commesso reati;

2.3. affinche' legiferi l'abolizione di tutte le ulteriori misure palesemente razziste ed incostituzionali purtroppo tuttora presenti nell'ordinamento;

2.4. affinche' legiferi il riconoscimento del diritto di tutti gli esseri umani di giungere in modo legale e sicuro in Italia.

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Naturalmente

Sono naturalmente disponibili alcuni modelli di lettera (e molti materiali di riferimento) per ognuno di questi punti, che chi vuole prender parte all'iniziativa puo' riprodurre e adattare.

 

3. LIBRI. STEFANO BARTEZZAGHI E DOMENICO SCARPA PRESENTANO "UNA TELEFONATA CON PRIMO LEVI" DI STEFANO BARTEZZAGHI (2012) (PARTE PRIMA)

[Dal sito del Centro Internazionale di Studi Primo Levi (www.primolevi.it) riprendiamo la seguente presentazione di "Una telefonata con Primo Levi" di Stefano Bartezzaghi. In occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino, l'11 maggio 2012 e' stato presentato Una telefonata con Primo Levi, il volume di Stefano Bartezzaghi tratto dalla terza Lezione Primo Levi e pubblicato da Einaudi in edizione bilingue italiano/inglese. Di seguito proponiamo il testo dell'incontro.

Stefano Bartezzaghi (Milano, 20 luglio 1962) e' un giornalista e scrittore italiano. Si e' laureato al Dams (Discipline delle Arti, Musica e Spettacolo della Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' di Bologna) con Umberto Eco. e' figlio di Piero Bartezzaghi, famoso enigmista, e fratello di Alessandro Bartezzaghi, condirettore della "Settimana Enigmistica", e di Paolo, redattore della "Gazzetta dello Sport". Dal 1987 ha tenuto rubriche sui giochi, sui libri, sul linguaggio; collabora con il quotidiano "La Repubblica", per il quale pubblica le rubriche "Lessico e Nuvole", "Lapsus", "Fuori di Testo", e con il settimanale "l'Espresso", con la rubrica di critica linguistica "Come dire". Dal 2010 e' docente a contratto presso la Iulm - Libera Universita' di Lingue e Comunicazione di Milano, dove insegna "Teorie della creativita'" e "Semiotica". Al tema della creativita' ha dedicato il libro Il falo' delle novita', nel quale prende in esame il rapporto tra creativita', linguaggio e nuovi media. Svolge altre varie attivita'. Tra le opere di Stefano Bartezzaghi: Come risolvere facilmente i giochi enigmistici in versi, De Vecchi, 1984; Come risolvere i cruciverba, De Vecchi, 1985; Accavallavacca, Bompiani, 1992; Anno Sabbatico, Bompiani, 1995; Sfiga all'Ok Corral, Einaudi, 1998; Lezioni di enigmistica, Einaudi, 2001; Incontri con la Sfinge, Einaudi, 2004; Non ne ho la piu' squallida idea, Mondadori, 2006; La posta in gioco, Einaudi, 2007; L'orizzonte verticale, Einaudi, 2007; L'elmo di Don Chisciotte, Laterza, 2009; Il libro dei giochi per le vacanze, Mondadori, 2009; Scrittori giocatori, Einaudi, 2010; Non se ne puo' piu'. Il libro dei tormentoni, Mondadori, 2010; Sedia a sdraio, Salani, 2011; Come dire. Galateo della comunicazione, Mondadori, 2011; Una telefonata con Primo Levi, Einaudi, 2012; Dando buca a Godot, Einaudi, 2012; Il teatro della Sfinge e altri mitodrammi. Variazioni sul mito, scritture per la scena (con Monica Centanni e Daniela Sacco), Libreria Editrice Cafoscarina, 2013; Il falo delle novita'. La creativita' al tempo dei cellulari intelligenti, Utet, 2013; M. Una metronovela, Einaudi, 2015.

Domenico Scarpa (1965) e' consulente letterario-editoriale del Centro studi Primo Levi di Torino. Ha pubblicato Italo Calvino (Bruno Mondadori, 1999), Storie avventurose di libri necessari (Gaffi, 2010), Natalia Ginzburg. Pour un portrait de la tribu (Cahiers de l'Hotel de Galliffet, 2010), Uno. Doppio ritratto di Franco Lucentini (:duepunti, 2011) e, con Ann Goldstein, In un'altra lingua (Lezioni Primo Levi - Einaudi, 2015). Ha curato il terzo volume della Grande Opera Atlante della letteratura italiana. Dal Romanticismo a oggi, edito da Einaudi (2012).

Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi: fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994; Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Anna Bravo, Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014; Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992; Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997; Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1976. Cfr. anche il sito del Centro Internazionale di Studi Primo Levi (www.primolevi.it)]

 

- Domenico Scarpa: E' la terza volta, il terzo anno consecutivo, che mi trovo in una sala del Salone del Libro a salutare studenti venuti ad ascoltare questi dialoghi dopo aver seguito, qualche mese prima, le nostre Lezioni Primo Levi. Questo qui e' un anno particolare, e' un anniversario: e' il venticinquesimo dalla scomparsa di Levi. Si sa come di solito, particolarmente in Italia, vengono celebrati gli anniversari: con molte, molte parole, che volano in maniera troppo, troppo leggera. Noi del Centro abbiamo preferito muoverci in maniera un po' diversa, cioe' evitando di produrre un'abbondanza di parole, ma offrendo invece alcuni studi approfonditi sulle parole di Levi. Puo' darsi che saremo stati a nostra volta verbosi, ma il punto e' che questo lavoro sta andando avanti, e parleremo oggi del lavoro di Stefano Bartezzaghi con Stefano Bartezzaghi, che e' qui con noi per dialogare sulla sua Telefonata con Primo Levi.

Studi approfonditi, dicevo. Beh, soltanto quest'anno, soltanto negli ultimi due mesi, tramite il Centro Studi Primo Levi e' uscito da Einaudi un commento, un'edizione commentata della principale opera di Primo Levi, la piu' conosciuta: Se questo e' un uomo. Il commento e' firmato da Alberto Cavaglion ed e' il frutto di una ventina d'anni di studio, studio non esclusivo e non continuativo, che sarebbe un eccesso, ma studio appassionato certamente: un lavoro di insistenza, di stratificazione sulle parole di Primo Levi.

Qualche giorno fa, il sei maggio, c'e' stato alla Comunita' Ebraica un incontro (ed era sempre un incontro di studio), un Limmud sulla figura di Primo Levi in occasione del quale si e' stampata una piccola plaquette. Il testo e' di Bianca Guidetti Serra, che e' stata un'amica di Primo Levi sin dagli anni della giovinezza, anzi una delle persone alle quali lui indirizzava lettere, cartoline di fortuna durante la deportazione, durante il suo viaggio di ritorno da Auschwitz all'Italia attraverso la Russia e l'Europa intera. Sono lettere e cartoline straordinarie. E questo testo bellissimo, Primo Levi, l'amico, e' stato raccolto in un piccolo volante volumetto stampato dall'editore Silvio Zamorani.

Noi invece ci troviamo qui per parlare con Stefano Bartezzaghi della sua lezione Primo Levi, che e' stata la terza dopo quelle di Robert Gordon e di Massimo Bucciantini. Scegliere Stefano Bartezzaghi credo che non sia stato un gesto banale, per diverse ragioni. Apparentemente, Stefano non e' uno studioso di letteratura o non lo e' in prima battuta. E a noi interessava per questo, ci interessava perche' la sua competenza e' un incrocio di piu' competenze; perche' questa sua attenzione al linguaggio ci insegnava a stare, a soffermarci sulle parole di Primo Levi. Ci insegnava soprattutto ad andare al di la' di questo libro, al di la' di Se questo e' un uomo, che pure e' un libro importantissimo, fondamentale per il Novecento, ma che ha intorno a se' tutta una galassia di testi, di universi linguistici. Ogni volta che Levi pensa a un libro, ogni volta che mette la penna sulla carta, anzi prima ancora di mettercela, immagina dei veri e propri universi linguistici l'uno diverso dall'altro, che vanno scoperti come in un viaggio di avventura. E questa e' una cosa che agli studenti dovrebbe abbastanza interessare.

Allora, per cominciare l'avventura dentro il libro di Stefano, Una telefonata con Primo Levi, io partirei dal fondo. Abbiamo detto: c'e' un libro principale, un libro piu' conosciuto di altri che e' Se questo e' un uomo e poi ce ne sono altri tutt'attorno, scritti nel corso di circa quarant'anni. Stefano conclude il suo libro immaginando, inventando una conversazione che un po' si riesce ad ascoltare e un po' no, che un poco arriva e un poco si interrompe o si perde, fra Levi e un altro grande scrittore contemporaneo americano anche lui scomparso, David Foster Wallace. Dopo questa conversazione c'e' un capitolo - l'ultimo, molto breve - intitolato Primo Levi, ancora: ed e' una sorta di congedo provvisorio dal libro, dove si parla di un qualcosa che a me interessa molto. In Primo Levi, ancora si parla delle "idee accessorie" di Primo Levi.

L'impressione, Stefano, e' che, posto che questo libro, Se questo e' un uomo, sia sicuramente il libro principale di Primo Levi, uno dei motivi, se non il motivo principale per cui noi continuiamo a interrogare le parole di Levi, sia proprio le "idee accessorie" che si accompagnano a qualsiasi cosa lui dica: i retroscena, le derivazioni, i sottofondi. Non so se e' giusto, ma sulle "idee accessorie" vorrei ascoltarti. Che sono?

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- Stefano Bartezzaghi: Grazie. E' un ottimo punto di partenza per quello che mi riguarda anche perche' io all'universita' ho studiato una materia che si chiama Semiotica e che, appunto, e' un tentativo di descrizione del funzionamento della lingua e di tutte le altre forme di significazione, il modo che abbiamo per riferirci al mondo e per comunicare l'uno con l'altro. E questa disciplina, a partire dal suo stesso nome, viene spesso accusata, e' stata spesso accusata di inventare delle parole molto ostiche, no?, come "sintagma", "paradigma". C'e' tutto un umorismo legato alla terminologia tecnica della Semiotica, tant'e' vero che la Semiotica fatica anche a definirsi come filosofia o come scienza, e' qualcosa che fa parte di entrambi i grandi settori. E il bello di Primo Levi e' che, appunto, lui parlava spessissimo di linguaggio, era ritenuto un linguista dai linguisti, insomma, un linguista dilettante - e, beh, nel mio libro parlo poi anche della parola "dilettante" che e' una parola molto importante, insomma, da non prendere in maniera ingenua, piena di "idee accessorie".

Ecco, una delle prime cose che mi ha colpito quando molti anni fa mi hanno proposto di lavorare su Primo Levi - fu il nostro amico comune, Marco Belpoliti - e' proprio il fatto che lui chiamava "idee accessorie", nella descrizione del linguaggio e delle parole, qualcosa che in Semiotica si chiama "connotazione" e che ha gia' un significato piu' ostico. Levi riesce a parlare del linguaggio in un modo che arriva molto semplicemente, molto facilmente; non ha bisogno di inventare dei termini che facciano finta di essere complicati, perche' "idee accessorie" e' un modo di dire che rende il tutto molto chiaro: a ogni parola e' collegata un'idea, diciamo cosi', ma non una sola, ce ne sono anche altre che stanno attorno. Per questo i linguaggi sono difficilmente traducibili, le lingue sono difficilmente traducibili, e non lo sono mai perfettamente; perche' abbiamo le parole per dire le stesse cose, ma queste parole in ogni lingua portano con se' delle "idee accessorie".

Tra l'altro, leggendo e rileggendo dopo tanti anni George Orwell, mi sono reso conto che "idee accessorie", ovviamente nella traduzione italiana, e' un termine che ricorre nei saggi sulla "neolingua" che Orwell ha poi allegato al suo romanzo 1984. E ho pensato - io sono un po' polemico contro la ricerca delle fonti: quando si va a leggere uno scrittore per vedere se e' stato influenzato da Balzac o da... e' un esercizio che un po' mi annoia, sinceramente, perche' penso che certe cose possono succedere anche per caso. Pero' ogni tanto sogno che Primo Levi l'abbia letto li', abbia ritenuto li' questa espressione, l'abbia trovata efficace nella traduzione da Orwell, e mi piace, ovviamente, che possa venire da un capolavoro della letteratura antiutopica, un libro che contiene anche un'anti-utopia della lingua, una lingua che non serve piu' per comunicare ma serve per nascondere.

Ecco allora che l'idea di "idee accessorie" si puo' applicare anche proprio all'opera di Levi per tutte le cose che sono gia' state dette qua, e aggiungo la mia che e' la quarta versione: Primo Levi non puo' essere letto, non puo' essere ridotto, non si capisce Se questo e' un uomo - infatti non fu capito Se questo e' un uomo, sostanzialmente, al momento della sua scrittura e anche al momento della sua prima pubblicazione - se non si tiene conto di tutto il resto, perche' e' un libro in effetti molto strano. Per noi lo e' meno perche' e' una delle prime letture che si fanno a scuola e quindi non risalta sullo sfondo degli altri libri. Soltanto dopo ci rendiamo conto di quanto Se questo e' un uomo sia un libro diverso dai libri della letteratura italiana e non solo italiana. Questo perche' appunto Primo Levi non era solo un chimico, non era solo un testimone - anche li', anche per quello che racconta in Se questo e' un uomo - aveva, proprio al momento dell'esperienza della deportazione, l'ha vissuta in un modo diverso dagli altri. E in questo modo in cui continuamente... c'e' la cosa, c'e' l'esperienza e c'e' la riflessione sull'esperienza; in ogni frase, quasi, Primo Levi ci dice una cosa e la commenta. E molto spesso la commenta da due punti di vista diversi. Proprio cambia idea, in un modo molto fluido, molto lineare, a volte non ce ne si accorge, ci si deve fermare a leggere e dici: "Ma qui sta dicendo un'altra cosa!". E questo, appunto, dato che io amo molto poi anche David Foster Wallace - i due non si sono mai incontrati, forse Wallace ha letto Levi, ma questo non lo sappiamo, non l'ha mai detto - e, appunto, leggendo uno e leggendo l'altro continuavo a trovare dei rimandi, dei rinvii e mi sono, appunto, inventato questa conversazione tra i due, sentendomi autorizzato a farlo dal fatto che Primo Levi, nei suoi racconti di quella che viene chiamata fantascienza - ma e' "fanta-qualcosa", si immagina l'esistenza di un parco nell'Aldila' - evidentemente - in cui vanno a vivere i personaggi dei romanzi, i personaggi letterari: insomma, in cui Renzo Tramaglino puo' vivere nello stesso chalet di Cleopatra. E, quindi, essendo loro due personaggi dei loro romanzi, delle loro opere, sia Primo Levi che Wallace, ho pensato che si potrebbero incontrare in un parco che io mi sono immaginato come un Lungo Po, il Lungo Po in cui Primo Levi davvero portava i suoi interlocutori a fare passeggiate e lunghe conversazioni. Ho avuto la fortuna di conoscere qualcuno degli interlocutori di Primo Levi e mi hanno descritto questa sua abitudine.

La passeggiata con Wallace e' la fine del mio libro. Ho voluto aggiungere un'appendice che e' un'analisi di una pagina di Primo Levi, una pagina di Primo Levi di quelle proprio piu' che minori, perche' e' la risposta a un'inchiesta di "Stampa Sera". "Stampa Sera" aveva chiesto, immagino a piu' persone, che rapporto avessero con la vecchiaia e lui - esce come una sorta di intervista, ma evidentemente e' un testo scritto da lui, perche' riconosciamo proprio le caratteristiche della sua scrittura - fornisce un brevissimo testo in cui esordisce dicendo: "Vecchio io?". E sembra, appunto, il protagonista di Taxi Driver quando fa la famosa scena allo specchio "Ce l'hai con me?", "Vecchio io?". Incomincia subito con l'interlocuzione nei confronti del lettore e dell'intervistatore, e costruisce un piccolo spettacolino autobiografico che finisce con un'attenzione sul linguaggio. Anche in un testo minore - ci avra' messo tre quarti d'ora al massimo, per scriverlo, secondo me - troviamo una sintesi ottima di moltissime qualita' della scrittura di Levi.

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- Domenico Scarpa: Lo leggo! Lo leggo un secondo.

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- Stefano Bartezzaghi: Dai!

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- Domenico Scarpa: "Vecchio io? In assoluto, si': lo dicono l'anagrafe, la presbiopia, le chiome grige, i figli ormai adulti. Proprio la settimana scorsa, per la prima volta, mi hanno ceduto il posto in tram e mi ha fatto un effetto singolare.

Soggettivamente, di regola non mi sento vecchio. Non ho perso la curiosita' per il mondo attorno a me, ne' l'interesse per il mio prossimo, ne' il gusto di competere, di giocare e di risolvere problemi.

La natura mi piace ancora, mi da' gioia percepirla attraverso i cinque sensi, studiarla, descriverla in parole pronunciate o scritte.

Organi, membra, memoria e fantasia mi servono ancora bene. Tuttavia sono acutamente consapevole del suono grave di questa parola che ho appena scritto qui due volte: 'ancora'".

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- Stefano Bartezzaghi: Eh, qui ce n'e'... a parte che il finale e' paradossale, no?, perche' lui dice "ho scritto due volte la parola 'ancora'" e questa e' la terza volta, quindi l'ha scritta ancora, ha scritto "ancora" ancora!

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- Domenico Scarpa: E sono quattro!

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- Stefano Bartezzaghi: E queste sono le cose che piacciono a me! Ma questo brano, secondo me, dovrebbe essere studiato dalle scuole di scrittura - soprattutto per il modo in cui sono costruiti gli elenchi - e' un brano tutto pieno di elenchi. Sembrano cose buttate li' e in realta', quando dice "organi, membra, memoria e fantasia mi servono ancora", questo e' gia' un disegno di una funzione del corpo e dell'intelletto umano.

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- Domenico Scarpa: Si' si', e' un Vesalio radiografico, e' una tavola di Vesalio, certo!

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- Stefano Bartezzaghi: Oppure "il gusto di competere, di giocare, di risolvere problemi": capite che qui, appunto, l'enigmista si entusiasma. E c'e' anche il gioco di cambiare il punto di vista, perche' lui dice: "Vecchio io? In assoluto, si'". E gia' ci sentiamo subito arrivare... non e', come diciamo oggi molto spesso, "assolutamente si'", "assolutamente no", perche' non siamo piu' capaci di dire, come il Vangelo ci insegnerebbe, si' quando e' si' e no quando e' no. Lui dice "in assoluto, si'" e in realta' sta dicendo "relativamente, si'". Cioe', in assoluto, dal punto di vista oggettivo, io sono vecchio, lo dicono l'anagrafe e via dicendo - elenco sempre accurato e preciso. Ma soggettivamente, ecco che ha cambiato punto di vista: si puo' essere vecchi fuori ma, diciamo, giovani dentro! Il che magari puo' sembrare una banalita' ma non lo e' affatto.

Ora pero', per parlare appunto di queste forme che possiamo chiamare anche "contraddizioni" se ci intendiamo sulla fecondita' e la legittimita' delle contraddizioni. C'e' qualcosa che riguarda, appunto, il titolo. Ovviamente io mi sono un po' messo nei guai con questo titolo, Una telefonata con Primo Levi, perche' alcuni capiscono che io abbia telefonato con Primo Levi, il che purtroppo non mi e' mai capitato. In realta' la telefonata e' lui che la fa a tutti noi perche' in un'intervista radiofonica lui - appunto, la radio lo affascinava, c'era la questione della voce, e lo affascinava anche il telefono, questo strumento un po' strano - in un'intervista radiofonica lui dice: "Il testo scritto dev'essere un telefono che funziona". Che e' una stranissima cosa se ci pensate, perche', appunto, il telefono e' orale e invece lui sta parlando proprio del testo scritto e questa e' una delle frasi in cui lui parla della chiarezza, che e' stata proprio una sua battaglia, una delle poche polemiche culturali che lui ha fatto, oltre a quelle, ovviamente, contro i negazionisti e contro un revisionismo storico un po' troppo spinto. Lui ha fatto delle polemiche proprio sulla chiarezza, sul fatto che la scrittura ha il dovere di dire quello che ha da dire e di dirlo in maniera chiara e sul fatto che tutto si possa dire, anche se forse non bisogna dire proprio tutto, ma si potrebbe dire tutto. Quindi la negazione dell'incomunicabilita', la polemica contro i paroloni difficili, i discorsi che non vanno da nessuna parte. E, appunto, lui diceva: "Io quando scrivo sento di avere il mio lettore vicino". E io mi ricordo che Giampaolo Dossena, appunto studioso di giochi e, diciamo, conoscente di Primo Levi - non usiamo la parola "amico" che forse e' anche un po'... pero' insomma conoscente, si stavano simpatici, ecco - Dossena una volta aveva scritto: "Io vi vedo" ai lettori, mentre scriveva, "io vi vedo tra le grate della scrittura". Ecco, questa forma di scrittura, che tiene sempre conto dell'interlocutore, e' un'altra grandissima lezione.

E poi, pero', cosa succede? Vedete dove puo' arrivare l'onesta' intellettuale... Levi viene a contatto con una strana opera dello scrittore francese Raymond Queneau, che e' la Piccola cosmogonia portatile, un poemetto che parla della fondazione, cioe' che parla del mondo, di come si e' sviluppato il cosmo, in un linguaggio spettacolarmente pieno di giochi di parole e anche allusioni cifrate, tanto che Italo Calvino chiede a Primo Levi una consulenza per spiegargli alcuni dettagli - Italo Calvino doveva scrivere un commento a questo poemetto e non capiva molte cose e quindi si rivolgeva a Primo Levi in quanto scrittore e, soprattutto, in quanto esperto di scienza, oltre alla chimica, che era il primo mestiere di Primo Levi, ma era anche, appunto, un appassionato di scienze in genere. E Primo Levi si mette a studiare queste cose, a cercare di capire cosa volesse dire Queneau e alla fine, quando esce finalmente il libro, scrive un articolo per "La Stampa" in cui dice: io sono sempre stato convinto che lo scrittore debba parlare in maniera chiara, pero', guardate un po', adesso che ho letto Queneau sto anche pensando che forse... Io sono contento di scrivere come scrivo, pero' mi piacerebbe scrivere come lui, mi piacerebbe anche essere oscuro come e' oscuro Queneau, perche' e' reso oscuro dai suoi giochi, dal suo gusto per gli enigmi, e io devo dire che, in effetti, mi piacerebbe essere uno scrittore come Queneau.

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- Domenico Scarpa: Beh, ma allora, il bello e' che Levi quella polemica sullo scrivere chiaro e lo scrivere oscuro l'aveva fatta con uno scrittore che si chiama Giorgio Manganelli. Lo dico soprattutto per i ragazzi, perche' gli arrivi questo nome. E Manganelli il bello e' che ha scritto delle pagine divertentissime, da morire dalle risate davvero, sui telefoni che non funzionano, sui qui pro quo che possono capitare con le linee telefoniche.

Allora, immaginiamo questo Primo Levi che vorrebbe scrivere in un'altra maniera: ci sono alcuni scrittori rispetto ai quali lui - scrittore chiaro - ha invidiato lo scrivere oscuro, ha invidiato lo scrivere stratificato. Uno e' Queneau, un altro e' François Rabelais, un altro ancora e' Stefano D'Arrigo, quindi scrittori molto diversi l'uno dall'altro. E questo mi porta a un'altra domanda che sta sempre al centro del libro di Stefano, Una telefonata con Primo Levi. Intanto io mi domando - non e' questa la domanda, ma e' una considerazione -, mi domando questo: ma noi, noi ci vediamo a telefonare veramente a Primo Levi? Primo Levi era uno al quale era naturale, era facile telefonare? Lo dico perche' c'e' stato uno scrittore nel nostro secondo Novecento, famosissimo, il quale, anzi, era come se incoraggiasse gli amici (ma anche i seccatori) a telefonargli: era Alberto Moravia. Moravia lavorava dalle otto alle dodici di mattina invariabilmente, si faceva fotografare negli anni Ottanta con una scrivania completamente sgombra sulla quale aveva la sua macchina da scrivere, non c'erano ancora i computer, e sulla quale campeggiava il telefono, e lui diceva che amava essere interrotto. Non so se Primo Levi lo vediamo cosi', come uno raggiungibile; io vedo piuttosto Levi come uno che ci raggiunge, non tanto che si faccia raggiungere.

Ma la domanda era sullo scrittore chiaro - come Primo Levi - che apprezza scrittori che invece chiari non sono, che immagina di poter scrivere in un'altra maniera, che immagina di voler scrivere in un'altra maniera, quindi uno scrittore potenziale. L'aggettivo "potenziale"... tu a un certo punto dici, all'inizio del tuo libro, che scrivere Se questo e' un uomo come primo libro ha liberato in Primo Levi lo scrittore potenziale che era in lui. Che e' una bellissima idea ed e', tra l'altro, completamente opposta a quanto si dice di solito, cioe' che questo libro abbia chiuso alcune strade piuttosto che aprirle. Ma "potenziale", Primo Levi potenziale, che significa?

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- Stefano Bartezzaghi: Mah, io penso che sia una cosa, insomma, anche storicamente, diciamo, accertabile; io la do per accertata, insomma, per quanto si possa essere certi di cose del genere. Abbiamo molte testimonianze biografiche su Primo Levi prima di Auschwitz e sui suoi interessi letterari, lui ci dice di avere scritto alcune cose, ci sono dei testi di Primo Levi che sono datati, per esempio, 1943, come la poesia Crescenzago. C'e' la storia di questi amici, questa piccola colonia in parte torinese, trapiantata a Milano, appunto negli anni gia' della guerra, non prima della guerra, sono i primi anni di guerra, sono dei giovani che si incontrano e scrivono poesiole, fanno anche, appunto... sono i giovani che, come diceva prima Ernesto Ferrero, dicevano che "Primo sa tutto", perche' lui era un po' un leader intellettuale di questa compagnia. E quindi c'era una letteratura - ed e' interessante - vissuta come si vive da giovani, come gioco collettivo, ecco, come divertimento. E poi, lui, quando dicevo prima che ha vissuto l'esperienza della deportazione in modo diverso dagli altri, eh, secondo me l'ha vissuta proprio da scrittore e non e' una cosa tanto lontana da farmi pensare che e' stata anche una delle ragioni della sopravvivenza, no?, il fatto di avere... lui lo dice in un paio di punti quantomeno, sono tutte cose che io dico, appunto, basandomi su delle testimonianze che lui da' su se stesso e, ovviamente, prendendole per sincere e veritiere. E c'e' stato proprio un vivere l'esperienza gia' con la mentalita' di chi la dovra' raccontare: lui dice che scriveva nell'aria, scriveva dovendo poi buttare via, dovendo disfarsi di questi appunti perché si poteva rischiare la vita, semplicemente detenendo un pezzo di carta scritto, ma, evidentemente, c'e' una funzione della scrittura, la funzione di cui parla poi Maurizio Ferraris, la scrittura non come comunicazione, ma come registrazione, innanzitutto, che e' fondamentale - tante volte anche noi ci scriviamo delle cose, non so, almeno a me capita, delle cose che poi non vado piu' a consultare ma era importante averle scritte li' perche' la scrittura da' forma, non e' soltanto una trascrizione del pensiero come se il pensiero fosse legato all'oralita'. No, ecco, la scrittura e' una forma in se'. E lui, tramite questo, poi, e' diventato uno scrittore in atto, ecco, quindi attuale. Ma lo era gia', lo era gia' per formazione, per forma mentis, per chissa' come si diventa, si nasce o si diventa, scrittori potenziali.

Peraltro, ovviamente, abbiamo parlato di Queneau, Domenico Scarpa e' citato nel libro per la sua mirabile tesi di dottorato sui rapporti tra Perec e Levi, rapporti peraltro inesistenti, nel senso che sicuramente Perec avra' letto Levi...

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- Domenico Scarpa: Assolutamente no! Il bello e' che non si sono ne' letti ne' conosciuti, quindi e' un esercizio di trapezio sul vuoto! [risa]

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Stefano Bartezzaghi: Ecco, benissimo, benissimo. Un'altra telefonata con Primo Levi...

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- Domenico Scarpa: Si', si', bisogna ritelefonargli! [risa]

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- Stefano Bartezzaghi: Eh, appunto, rapporti potenziali, quindi. Perec e Queneau, assieme a Italo Calvino, erano due fra i principali esponenti di quel gruppo Oulipo intitolato alla letteratura potenziale, un gruppo che faceva giochi letterari - anzi, li fa ancora perche' il gruppo esiste ancora - ma giochi abbastanza seri, in realta', sono sempre con questa cosa semiseria, di un'attitudine ridanciana, e che lavorano sul concetto della letteratura prima della letteratura, cioe' che non e' ancora letteratura. Il fatto che la rima, per esempio, come forma letteraria precede le parole e quando uno stabilisce una regola come quella della rima e' come se avesse stabilito una regola di un gioco che poi ci si mette a giocare. E questo appunto e' qualcosa che fa di Primo Levi un compagno di strada del gruppo dell'Oulipo, perche' negli stessi anni, all'insaputa gli uni degli altri, fa dei racconti, fa delle opere che sono basate su dei vincoli e questi vincoli molto spesso sono vincoli di gioco, fino ad arrivare a dei giochi linguistici veri e propri come i suoi palindromi o i suoi rebus. I palindromi li aveva pubblicati in un racconto, dei rebus ne ha parlato soltanto in un'intervista proprio a Gianpaolo Dossena chiedendogli, pero', di non fare il suo nome, quindi usci' una stranissima intervista a uno scrittore anonimo che era poi alla fine abbastanza riconoscibile.

Pero' c'era questo aspetto per il quale quando Levi arriva fino al gioco vero e proprio poteva anche provare un po' di pudore perche', insomma, allora non usava che persone di cinquant'anni giocassero, specie persone serie, notoriamente serie, come Primo Levi. Ricordiamoci che poi quando Primo Levi ha scritto il primo libro non legato alla sua esperienza di deportato e di prigioniero, con il ritorno in Italia, ha scritto un libro di racconti, alcuni anche umoristici, e l'ha pubblicato con uno pseudonimo perche', insomma, gli sembrava, quantomeno, che fosse l'opera di un altro scrittore, ecco no?, come usa nei... Per esempio, appunto, Stephen King che ha i suoi... Nel mondo anglosassone, spesso, ci sono degli pseudonimi che non sono poi tanto segreti, ma servono per dire, questa e' come l'opera di uno scrittore diverso, e' un'altra linea di produzione: e' stato il caso di Stephen King.

(Parte prima - segue)

 

4. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Simone de Beauvoir, Le deuxieme sexe, Gallimard, Paris 1949, 1976, 1989, 2 voll. per complessive pp. 416 + 672.

- Virginia Woolf, Le tre ghinee, La Tartaruga, Milano 1975, Feltrinelli, Milano 1987, pp. 256.

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Riedizioni

- Georges Simenon, Il porto delle nebbie, Adelphi, Milano 1994, Rcs, Milano 2015, pp. 182, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

 

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

6. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2044 del 14 luglio 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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