[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 721
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- Date: Fri, 26 Jun 2015 07:29:44 +0200 (CEST)
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)
Numero 721 del 26 giugno 2015
In questo numero:
1. Preferiremmo non pensarci
2. In memoria di Aime' Cesaire
3. Lettera enciclica "Laudato si'" di papa Francesco sulla cura della casa comune. Capitolo quarto: Un'ecologia integrale
4. "La Stampa" presenta un estratto da "La conta dei salvati" di Anna Bravo (2013)
1. EDITORIALE. PREFERIREMMO NON PENSARCI
Preferiremmo non pensarci.
Al regime di apartheid nel nostro paese, in cui oltre cinque milioni di persone straniere regolarmente residenti, che producono ricchezza per il nostro paese, che pagano le tasse nel nostro paese, che rispettano le leggi del nostro paese, sono private di fondamentali diritti, come il diritto di partecipare alle decisioni pubbliche che le loro stesse vite riguardano.
Preferiremmo non pensarci, ma non pensarci e' impossibile.
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Preferiremmo non pensarci.
Al regime schiavista nei rapporti di lavoro, con forme di sfruttamento proterve, brutali, infami, fino alle piu' atroci disumanita' di cui innumerevoli donne ed uomini immigrati sono vittima nel nostro paese.
Preferiremmo non pensarci, ma non pensarci e' impossibile.
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Preferiremmo non pensarci.
A vessazioni cosi' perfide che sembrano incredibili, come quelle che negano ai bambini di poter vivere con i loro genitori solo perche' essi non sono ricchi.
Preferiremmo non pensarci, ma non pensarci e' impossibile.
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Preferiremmo non pensarci.
All'esistenza dei campi di concentramento in cui sono recluse per mesi e mesi e mesi persone di tutto innocenti. I campi di concentramento.
Preferiremmo non pensarci, ma non pensarci e' impossibile.
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Preferiremmo non pensarci.
Alla scellerata barbarie di riconsegnare le vittime innocenti negli artigli dei criminali persecutori cui erano sfuggite con la fuga nel nostro paese.
Preferiremmo non pensarci, ma non pensarci e' impossibile.
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Preferiremmo non pensarci.
All'omissione di soccorso nei confronti di persone innocenti in pericolo di morte. All'abbandono di persone innocenti nelle grinfie dei poteri criminali. Alle iniziative tese ad impedire a persone innocenti di salvare le proprie vite.
Preferiremmo non pensarci, ma non pensarci e' impossibile.
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Preferiremmo non pensarci.
Alle persecuzioni razziste propugnate ed eseguite da criminali neonazisti che dovrebbero essere arrestati per la continua istigazione a delinquere e gli altri reati che ostentatamente commettono e propagandano, e che invece siedono nelle istituzioni e sono blanditi e riveriti da mezzi d'informazione non meno criminali di loro.
Preferiremmo non pensarci, ma non pensarci e' impossibile.
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Deve essere il nostro primo pensiero ogni giorno: abolire il regime razzista nel nostro paese; far valere per tutte le persone che giungono, che transitano, che vivono in Italia tutti i diritti sanciti dalla Costituzione della Repubblica Italiana, tutti i diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani; far tornare l'Italia un paese civile che salva le vite e non le aggredisce e sopprime; far riconoscere il diritto di ogni essere umano ad entrare in modo legale e sicuro nel nostro paese e cosi' far cessare le stragi nel Mediterraneo; far valere il principio democratico "Una persona, un voto".
Dobbiamo pensarci.
Dobbiamo agire.
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Dobbiamo agire. Perche' ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Dobbiamo agire. Per la legalita' che salva le vite.
Dobbiamo agire. Per la democrazia che ogni essere umano riconosce e rispetta e protegge e sostiene.
Dobbiamo agire. Perche' il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Dobbiamo agire. Con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza.
Aprire gli occhi, salvare le vite.
2. MAESTRI. IN MEMORIA DI AIME' CESAIRE
Ricorre oggi, 26 giugno, l'anniversario della nascita di Aime' Cesaire, grande poeta, intellettuale, militante politico impegnato per la giustizia sociale, contro ogni potere oppressivo, per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
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Aime' Cesaire, poeta e combattente contro il razzismo e il colonialismo, nato a Basse-Pointe, in Martinica, il 26 giugno 1913, deceduto a Fort-de-France, sempre in Martinica, il 17 aprile 2008, studio' in Francia dove con Senghor e Damas fondo' la rivista "L'etudiant noir" e il movimento culturale della negritude. Insegnante in Martinica, avra' tra i suoi allievi Frantz Fanon. Poeta, drammaturgo, uomo politico, parlamentare e pubblico amministratore, e' una delle grandi figure della cultura del Novecento. Opere di Aime' Cesaire: in italiano un'utile antologia e' Poesie e negritude, Accademia, Milano 1969 (a cura e con un ampio saggio critico di Lylian Kesteloot); cfr. inoltre: Le armi miracolose, Guanda, Parma 1962; La tragedia del re Christophe, Einaudi, Torino 1968; Io, Laminaria, Bulzoni, Roma 1995; Una stagione nel Congo, Argo, Lecce 2003; Diario del ritorno al paese natale, Jaca Book, Milano 2004; Negro sono e negro restero'. Conversazioni con Françoise Verges, Citta' Aperta, Troina (Enna) 2006. Opere su Aime' Cesaire: per un avvio: Graziano Benelli, Aime' Cesaire, La nuova Italia, Firenze 1975: Graziano Benelli, La negritudine in Italia. A. Cesaire, L. G. Damas, L. S. Senghor (1950-1994), Bulzoni, Roma 1995.
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Ricordiamo ancora una volta "il nesso inscindibile che nell'opera di Aime' Cesaire lega la lotta nitida e intransigente contro il razzismo, contro il colonialismo, contro il fascismo, alla comprensione acutissima dei conflitti e delle loro dinamiche, delle contraddizioni reali e delle complesse dialettiche sociali ed esistenziali, politiche e culturali, interpersonali ed infrapsichiche, ed alla capacita' di tradurre tutto cio' in visioni poetiche, in soluzioni linguistiche e ritmiche e musicali, in movimenti drammatici e coreutici, in figurazioni di pensiero e narrazione ad un tempo mitica e rituale, ed epica e didattica, di indicibile bellezza e di stupefacente forza di verita': in un sinolo di verita' estetica e verita' morale e politica che fa della lettura della sua opera una autentica esperienza di colloquio corale, di demistificazione e coscientizzazione, di apocalissi e parenesi". Come e' stato detto due anni fa in occasione della celebrazione del centesimo anniversario, "Leggere Aime' Cesaire e' sentire una voce che esorta e convoca alla lotta contro tutte le violenze e le menzogne; e' un'esperienza di apertura, ed ascolto e scoperta e riconoscimento dell'altro e di quell'altro dell'altro che sei tu stesso; e' vedere e sentire il mondo e la storia - nel gorgo di caligini e frastuoni - con occhio limpido, respiro profondo ed orecchio musicale assoluto, cogliendo la verita' che impegna e che libera". A centodue anni dalla nascita, a sette anni dalla morte, con commozione e gratitudine lo ricordiamo ancora una volta "grande un testimone della dignita' umana, generoso un maestro della nonviolenza in cammino".
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Nel ricordo e alla scuola di Aime' Cesaire proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione da tutte le oppressioni.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
3. TESTI. LETTERA ENCICLICA "LAUDATO SI'" DI PAPA FRANCESCO SULLA CURA DELLA CASA COMUNE. CAPITOLO QUARTO: UN'ECOLOGIA INTEGRALE
[Dal sito http://w2.vatican.va riprendiamo il capitolo quarto (nn. 137-162) della versione italiana della lettera enciclica del 24 maggio 2015 "Laudato si'" di papa Bergoglio]
137. Dal momento che tutto e' intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali.
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I. Ecologia ambientale, economica e sociale
138. L'ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l'ambiente in cui si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una societa', con l'onesta' di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo. Non e' superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto e' connesso. Il tempo e lo spazio non sono tra loro indipendenti, e neppure gli atomi o le particelle subatomiche si possono considerare separatamente. Come i diversi componenti del pianeta - fisici, chimici e biologici - sono relazionati tra loro, cosi' anche le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere. Buona parte della nostra informazione genetica e' condivisa con molti esseri viventi. Per tale ragione, le conoscenze frammentarie e isolate possono diventare una forma d'ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una visione piu' ampia della realta'.
139. Quando parliamo di "ambiente" facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la societa' che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un'analisi del funzionamento della societa', della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realta'. Data l'ampiezza dei cambiamenti, non e' piu' possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. E' fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un'altra sociale, bensi' una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la poverta', per restituire la dignita' agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura.
140. A causa della quantita' e varieta' degli elementi di cui tenere conto, al momento di determinare l'impatto ambientale di una concreta attivita' d'impresa diventa indispensabile dare ai ricercatori un ruolo preminente e facilitare la loro interazione, con ampia liberta' accademica. Questa ricerca costante dovrebbe permettere di riconoscere anche come le diverse creature si relazionano, formando quelle unita' piu' grandi che oggi chiamiamo "ecosistemi". Non li prendiamo in considerazione solo per determinare quale sia il loro uso ragionevole, ma perche' possiedono un valore intrinseco indipendente da tale uso. Come ogni organismo e' buono e mirabile in se stesso per il fatto di essere una creatura di Dio, lo stesso accade con l'insieme armonico di organismi in uno spazio determinato, che funziona come un sistema. Anche se non ne abbiamo coscienza, dipendiamo da tale insieme per la nostra stessa esistenza. Occorre ricordare che gli ecosistemi intervengono nel sequestro dell'anidride carbonica, nella purificazione dell'acqua, nel contrasto di malattie e infestazioni, nella composizione del suolo, nella decomposizione dei rifiuti e in moltissimi altri servizi che dimentichiamo o ignoriamo. Quando si rendono conto di questo, molte persone prendono nuovamente coscienza del fatto che viviamo e agiamo a partire da una realta' che ci e' stata previamente donata, che e' anteriore alle nostre capacita' e alla nostra esistenza. Percio', quando si parla di "uso sostenibile" bisogna sempre introdurre una considerazione sulla capacita' di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori e aspetti.
141. D'altra parte, la crescita economica tende a produrre automatismi e ad omogeneizzare, al fine di semplificare i processi e ridurre i costi. Per questo e' necessaria un'ecologia economica, capace di indurre a considerare la realta' in maniera piu' ampia. Infatti, "la protezione dell'ambiente dovra' costituire parte integrante del processo di sviluppo e non potra' considerarsi in maniera isolata" (114). Ma nello stesso tempo diventa attuale la necessita' impellente dell'umanesimo, che fa appello ai diversi saperi, anche quello economico, per una visione piu' integrale e integrante. Oggi l'analisi dei problemi ambientali e' inseparabile dall'analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con se stessa, che genera un determinato modo di relazionarsi con gli altri e con l'ambiente. C'e' una interazione tra gli ecosistemi e tra i diversi mondi di riferimento sociale, e cosi' si dimostra ancora una volta che "il tutto e' superiore alla parte" (115).
142. Se tutto e' in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una societa' comporta conseguenze per l'ambiente e per la qualita' della vita umana: "Ogni lesione della solidarieta' e dell'amicizia civica provoca danni ambientali" (116). In tal senso, l'ecologia sociale e' necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, fino alla vita internazionale, passando per la comunita' locale e la Nazione. All'interno di ciascun livello sociale e tra di essi, si sviluppano le istituzioni che regolano le relazioni umane. Tutto cio' che le danneggia comporta effetti nocivi, come la perdita della liberta', l'ingiustizia e la violenza. Diversi Paesi sono governati da un sistema istituzionale precario, a costo delle sofferenze della popolazione e a beneficio di coloro che lucrano su questo stato di cose. Tanto all'interno dell'amministrazione dello Stato, quanto nelle diverse espressioni della societa' civile, o nelle relazioni degli abitanti tra loro, si registrano con eccessiva frequenza comportamenti illegali. Le leggi possono essere redatte in forma corretta, ma spesso rimangono come lettera morta. Si puo' dunque sperare che la legislazione e le normative relative all'ambiente siano realmente efficaci? Sappiamo, per esempio, che Paesi dotati di una legislazione chiara per la protezione delle foreste, continuano a rimanere testimoni muti della sua frequente violazione. Inoltre, cio' che accade in una regione esercita, direttamente o indirettamente, influenze sulle altre regioni. Cosi' per esempio, il consumo di droghe nelle societa' opulente provoca una costante o crescente domanda di prodotti che provengono da regioni impoverite, dove si corrompono i comportamenti, si distruggono vite e si finisce col degradare l'ambiente.
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II. Ecologia culturale
143. Insieme al patrimonio naturale, vi e' un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. E' parte dell'identita' comune di un luogo e base per costruire una citta' abitabile. Non si tratta di distruggere e di creare nuove citta' ipoteticamente piu' ecologiche, dove non sempre risulta desiderabile vivere. Bisogna integrare la storia, la cultura e l'architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l'identita' originale. Percio' l'ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell'umanita' nel loro significato piu' ampio. In modo piu' diretto, chiede di prestare attenzione alle culture locali nel momento in cui si analizzano questioni legate all'ambiente, facendo dialogare il linguaggio tecnico-scientifico con il linguaggio popolare. E' la cultura non solo intesa come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo, che non si puo' escludere nel momento in cui si ripensa la relazione dell'essere umano con l'ambiente.
144. La visione consumistica dell'essere umano, favorita dagli ingranaggi dell'attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l'immensa varieta' culturale, che e' un tesoro dell'umanita'. Per tale ragione, pretendere di risolvere tutte le difficolta' mediante normative uniformi o con interventi tecnici, porta a trascurare la complessita' delle problematiche locali, che richiedono la partecipazione attiva degli abitanti. I nuovi processi in gestazione non possono sempre essere integrati entro modelli stabiliti dall'esterno, ma provenienti dalla stessa cultura locale. Cosi' come la vita e il mondo sono dinamici, la cura del mondo dev'essere flessibile e dinamica. Le soluzioni meramente tecniche corrono il rischio di prendere in considerazione sintomi che non corrispondono alle problematiche piu' profonde. E' necessario assumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture, e in tal modo comprendere che lo sviluppo di un gruppo sociale suppone un processo storico all'interno di un contesto culturale e richiede il costante protagonismo degli attori sociali locali a partire dalla loro propria cultura. Neppure la nozione di qualita' della vita si puo' imporre, ma dev'essere compresa all'interno del mondo di simboli e consuetudini propri di ciascun gruppo umano.
145. Molte forme di intenso sfruttamento e degrado dell'ambiente possono esaurire non solo i mezzi di sussistenza locali, ma anche le risorse sociali che hanno consentito un modo di vivere che per lungo tempo ha sostenuto un'identita' culturale e un senso dell'esistenza e del vivere insieme. La scomparsa di una cultura puo' essere grave come o piu' della scomparsa di una specie animale o vegetale. L'imposizione di uno stile egemonico di vita legato a un modo di produzione puo' essere tanto nocivo quanto l'alterazione degli ecosistemi.
146. In questo senso, e' indispensabile prestare speciale attenzione alle comunita' aborigene con le loro tradizioni culturali. Non sono una semplice minoranza tra le altre, ma piuttosto devono diventare i principali interlocutori, soprattutto nel momento in cui si procede con grandi progetti che interessano i loro spazi. Per loro, infatti, la terra non e' un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la loro identita' e i loro valori. Quando rimangono nei loro territori, sono quelli che meglio se ne prendono cura. Tuttavia, in diverse parti del mondo, sono oggetto di pressioni affinche' abbandonino le loro terre e le lascino libere per progetti estrattivi, agricoli o di allevamento che non prestano attenzione al degrado della natura e della cultura.
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III. Ecologia della vita quotidiana
147. Per poter parlare di autentico sviluppo, occorrera' verificare che si produca un miglioramento integrale nella qualita' della vita umana, e questo implica analizzare lo spazio in cui si svolge l'esistenza delle persone. Gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire. Al tempo stesso, nella nostra stanza, nella nostra casa, nel nostro luogo di lavoro e nel nostro quartiere facciamo uso dell'ambiente per esprimere la nostra identita'. Ci sforziamo di adattarci all'ambiente, e quando esso e' disordinato, caotico o saturo di inquinamento visivo e acustico, l'eccesso di stimoli mette alla prova i nostri tentativi di sviluppare un'identita' integrata e felice.
148. E' ammirevole la creativita' e la generosita' di persone e gruppi che sono capaci di ribaltare i limiti dell'ambiente, modificando gli effetti avversi dei condizionamenti, e imparando ad orientare la loro esistenza in mezzo al disordine e alla precarieta'. Per esempio, in alcuni luoghi, dove le facciate degli edifici sono molto deteriorate, vi sono persone che curano con molta dignita' l'interno delle loro abitazioni, o si sentono a loro agio per la cordialita' e l'amicizia della gente. La vita sociale positiva e benefica degli abitanti diffonde luce in un ambiente a prima vista invivibile. A volte e' encomiabile l'ecologia umana che riescono a sviluppare i poveri in mezzo a tante limitazioni. La sensazione di soffocamento prodotta dalle agglomerazioni residenziali e dagli spazi ad alta densita' abitativa, viene contrastata se si sviluppano relazioni umane di vicinanza e calore, se si creano comunita', se i limiti ambientali sono compensati nell'interiorita' di ciascuna persona, che si sente inserita in una rete di comunione e di appartenenza. In tal modo, qualsiasi luogo smette di essere un inferno e diventa il contesto di una vita degna.
149. E' provato inoltre che l'estrema penuria che si vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezza e possibilita' d'integrazione, facilita il sorgere di comportamenti disumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali. Per gli abitanti di quartieri periferici molto precari, l'esperienza quotidiana di passare dall'affollamento all'anonimato sociale che si vive nelle grandi citta', puo' provocare una sensazione di sradicamento che favorisce comportamenti antisociali e violenza. Tuttavia mi preme ribadire che l'amore e' piu' forte. Tante persone, in queste condizioni, sono capaci di tessere legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l'affollamento in un'esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell'io e si superano le barriere dell'egoismo. Questa esperienza di salvezza comunitaria e' cio' che spesso suscita reazioni creative per migliorare un edificio o un quartiere (117).
150. Data l'interrelazione tra gli spazi urbani e il comportamento umano, coloro che progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e citta', hanno bisogno del contributo di diverse discipline che permettano di comprendere i processi, il simbolismo e i comportamenti delle persone. Non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perche' ha ancora piu' valore servire un altro tipo di bellezza: la qualita' della vita delle persone, la loro armonia con l'ambiente, l'incontro e l'aiuto reciproco. Anche per questo e' tanto importante che il punto di vista degli abitanti del luogo contribuisca sempre all'analisi della pianificazione urbanistica.
151. E' necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso si appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro "sentirci a casa" all'interno della citta' che ci contiene e ci unisce. E' importante che le diverse parti di una citta' siano ben integrate e che gli abitanti possano avere una visione d'insieme invece di rinchiudersi in un quartiere, rinunciando a vivere la citta' intera come uno spazio proprio condiviso con gli altri. Ogni intervento nel paesaggio urbano o rurale dovrebbe considerare come i diversi elementi del luogo formino un tutto che e' percepito dagli abitanti come un quadro coerente con la sua ricchezza di significati. In tal modo gli altri cessano di essere estranei e li si puo' percepire come parte di un "noi" che costruiamo insieme. Per questa stessa ragione, sia nell'ambiente urbano sia in quello rurale, e' opportuno preservare alcuni spazi nei quali si evitino interventi umani che li modifichino continuamente.
152. La mancanza di alloggi e' grave in molte parti del mondo, tanto nelle zone rurali quanto nelle grandi citta', anche perche' i bilanci statali di solito coprono solo una piccola parte della domanda. Non soltanto i poveri, ma una gran parte della societa' incontra serie difficolta' ad avere una casa propria. La proprieta' della casa ha molta importanza per la dignita' delle persone e per lo sviluppo delle famiglie. Si tratta di una questione centrale dell'ecologia umana. Se in un determinato luogo si sono gia' sviluppati agglomerati caotici di case precarie, si tratta anzitutto di urbanizzare tali quartieri, non di sradicarne ed espellerne gli abitanti. Quando i poveri vivono in sobborghi inquinati o in agglomerati pericolosi, "nel caso si debba procedere al loro trasferimento e per non aggiungere sofferenza a sofferenza, e' necessario fornire un'adeguata e previa informazione, offrire alternative di alloggi dignitosi e coinvolgere direttamente gli interessati" (118). Nello stesso tempo, la creativita' dovrebbe portare ad integrare i quartieri disagiati all'interno di una citta' accogliente. "Come sono belle le citta' che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le citta' che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell'altro!" (119).
153. La qualita' della vita nelle citta' e' legata in larga parte ai trasporti, che sono spesso causa di grandi sofferenze per gli abitanti. Nelle citta' circolano molte automobili utilizzate da una o due persone, per cui il traffico diventa intenso, si alza il livello d'inquinamento, si consumano enormi quantita' di energia non rinnovabile e diventa necessaria la costruzione di piu' strade e parcheggi, che danneggiano il tessuto urbano. Molti specialisti concordano sulla necessita' di dare priorita' al trasporto pubblico. Tuttavia alcune misure necessarie difficilmente saranno accettate in modo pacifico dalla societa' senza un miglioramento sostanziale di tale trasporto, che in molte citta' comporta un trattamento indegno delle persone a causa dell'affollamento, della scomodita' o della scarsa frequenza dei servizi e dell'insicurezza.
154. Il riconoscimento della peculiare dignita' dell'essere umano molte volte contrasta con la vita caotica che devono condurre le persone nelle nostre citta'. Questo pero' non dovrebbe far dimenticare lo stato di abbandono e trascuratezza che soffrono anche alcuni abitanti delle zone rurali, dove non arrivano i servizi essenziali e ci sono lavoratori ridotti in condizione di schiavitu', senza diritti ne' aspettative di una vita piu' dignitosa.
155. L'ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell'essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura, relazione indispensabile per poter creare un ambiente piu' dignitoso. Affermava Benedetto XVI che esiste una "ecologia dell'uomo" perche' "anche l'uomo possiede una natura che deve rispettare e che non puo' manipolare a piacere" ([120). In questa linea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l'ambiente e con gli altri esseri viventi. L'accettazione del proprio corpo come dono di Dio e' necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati e' essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilita' o mascolinita' e' necessario per poter riconoscere se stessi nell'incontro con l'altro diverso da se'. In tal modo e' possibile accettare con gioia il dono specifico dell'altro o dell'altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non e' sano un atteggiamento che pretenda di "cancellare la differenza sessuale perche' non sa piu' confrontarsi con essa" (121).
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IV. Il principio del bene comune
156. L'ecologia umana e' inseparabile dalla nozione di bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell'etica sociale. E' "l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione piu' pienamente e piu' speditamente" (122).
157. Il bene comune presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i dispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi intermedi, applicando il principio di sussidiarieta'. Tra questi risalta specialmente la famiglia, come cellula primaria della societa'. Infine, il bene comune richiede la pace sociale, vale a dire la stabilita' e la sicurezza di un determinato ordine, che non si realizza senza un'attenzione particolare alla giustizia distributiva, la cui violazione genera sempre violenza. Tutta la societaì - e in essa specialmente lo Stato - ha l'obbligo di difendere e promuovere il bene comune.
158. Nelle condizioni attuali della societa' mondiale, dove si riscontrano tante inequita' e sono sempre piu' numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarieta' e in una opzione preferenziale per i piu' poveri. Questa opzione richiede di trarre le conseguenze della destinazione comune dei beni della terra, ma, come ho cercato di mostrare nell'Esortazione apostolica Evangelii gaudium (123), esige di contemplare prima di tutto l'immensa dignita' del povero alla luce delle piu' profonde convinzioni di fede. Basta osservare la realta' per comprendere che oggi questa opzione e' un'esigenza etica fondamentale per l'effettiva realizzazione del bene comune.
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V. La giustizia tra le generazioni
159. La nozione di bene comune coinvolge anche le generazioni future. Le crisi economiche internazionali hanno mostrato con crudezza gli effetti nocivi che porta con se' il disconoscimento di un destino comune, dal quale non possono essere esclusi coloro che verranno dopo di noi. Ormai non si puo' parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarieta' fra le generazioni. Quando pensiamo alla situazione in cui si lascia il pianeta alle future generazioni, entriamo in un'altra logica, quella del dono gratuito che riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci e' donata, non possiamo piu' pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttivita' per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensi' di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno. I Vescovi del Portogallo hanno esortato ad assumere questo dovere di giustizia: "L'ambiente si situa nella logica del ricevere. E' un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva" (124). Un'ecologia integrale possiede tale visione ampia.
160. Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l'ambiente in modo isolato, perche' non si puo' porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti. Ma se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: a che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perche' questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta piu' dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c'e' in gioco e' la dignita' di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l'umanita' che verra' dopo di noi. E' un dramma per noi stessi, perche' cio' chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra.
161. Le previsioni catastrofiche ormai non si possono piu' guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell'ambiente ha superato le possibilita' del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, puo' sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta gia' avvenendo periodicamente in diverse regioni. L'attenuazione degli effetti dell'attuale squilibrio dipende da cio' che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla responsabilita' che ci attribuiranno coloro che dovranno sopportare le peggiori conseguenze.
162. La difficolta' a prendere sul serio questa sfida e' legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico. L'uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio permanente di diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali attuali sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficolta' a riconoscere l'altro. Molte volte si e' di fronte ad un consumo eccessivo e miope dei genitori che danneggia i figli, che trovano sempre piu' difficolta' ad acquistare una casa propria e a fondare una famiglia. Inoltre, questa incapacita' di pensare seriamente alle future generazioni e' legata alla nostra incapacita' di ampliare l'orizzonte delle nostre preoccupazioni e pensare a quanti rimangono esclusi dallo sviluppo. Non perdiamoci a immaginare i poveri del futuro, e' sufficiente che ricordiamo i poveri di oggi, che hanno pochi anni da vivere su questa terra e non possono continuare ad aspettare. Percio', "oltre alla leale solidarieta' intergenerazionale, occorre reiterare l'urgente necessita' morale di una rinnovata solidarieta' intragenerazionale" (125).
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Note
114. Dichiarazione di Rio sull'ambiente e lo sviluppo (14 giugno 1992), Principio 4.
115. Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 237: AAS 105 (2013), 1116.
116. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 51: AAS 101 (2009), 687.
117. Alcuni autori hanno mostrato i valori che spesso si vivono, per esempio, nelle villas, chabolas o favelas dell'America Latina: cfr Juan Carlos Scannone, S.J., "La irrupcion del pobre y la logica de la gratitud", en Juan Carlos Scannone y Marcelo Perine (edd.), Irrupcion del pobre y quehacer filosofico. Hacia una nueva racionalidad, Buenos Aires 1993, 225-230.
118. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 482.
119. Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 210: AAS 105 (2013), 1107.
120. Discorso al Deutscher Bundestag, Berlino (22 settembre 2011): AAS 103 (2011), 668.
121. Catechesi (15 aprile 2015): L'Osservatore Romano, 16 aprile 2015, p. 8.
122. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 26.
123. Cfr nn. 186-201: AAS 105 (2013), 1098-1105.
124. Conferenza Episcopale Portoghese, Lettera pastorale Responsabilidade solidaria pelo bem comum (15 settembre 2003), 20.
125. Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 8: AAS 102 (2010), 45.
4. LIBRI. "LA STAMPA" PRESENTA UN ESTRATTO DA "LA CONTA DEI SALVATI" DI ANNA BRAVO (2013)
[Dal sito del Centro studi "Sereno Regis" di Torino (http://serenoregis.org) riprendiamo il seguente estratto-segnalazione del libro apparso sul quotidiano "La Stampa" il 31 maggio 2013 col titolo "La nonviolenza non e' fatta per le anime belle".
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Tra le opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008; (con Federico Cereja), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, Torino 2011; La conta dei salvati, Laterza, Roma-Bari 2013; Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014]
Una pratica sulla quale si addensano gli stereotipi. Forse si capisce meglio precisando cio' che non e' e non fa. Si scrive molto di guerre, eccidi e violenze. E' il racconto del sangue versato. Ma c'e' anche chi ha lavorato per risparmiare il sangue. Come quei soldati della Grande guerra che concordavano tregue fra le trincee opposte. O quei danesi che nel loro Paese occupato dai nazisti misero in salvo i concittadini ebrei. O quegli italiani che, dopo l'8 settembre 1943, nascosero e protessero migliaia di militari sbandati e di prigionieri di guerra alleati. Senza dimenticare che non sempre le diplomazie e i governi tramano la guerra, in qualche caso possono anche tramare la pace. A queste e altre vicende e' dedicato un libro della storica Anna Bravo in uscita per Laterza, titolo La conta dei salvati, sottotitolo Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato. Anticipiamo qui uno stralcio dal primo capitolo, "Violenza, nonviolenza, storia".
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La nonviolenza ha una storia complessa, vari filoni, radici eterogenee, dal cristianesimo delle origini al buddismo, dall'induismo al pensiero mistico. Nella modernita' ha una parentela con i socialisti detti utopisti, e capostipiti come Thoreau e Tolstoj. Non la si puo' identificare con il pacifismo, che ne e' piuttosto un'espressione, e che a sua volta copre realta' diverse. Nell'Ottocento e nel primo Novecento ha lavorato per il disarmo e l'arbitrato internazionale. Durante la guerra fredda ha lottato contro la logica dei blocchi e il nucleare, anche se spesso in modo sbilanciato (per esempio, no a nuove basi americane in Europa occidentale, silenzio o quasi su quelle sovietiche nell'Europa orientale). Piuttosto che un pacifista, il nonviolento e' un "facitore di pace".
Sembra semplice. Ma a dispetto dei chiarimenti teorici e dei database, sulla nonviolenza si addensano gli equivoci. Il primo e' la sfiducia: non puo' durare, non puo' vincere; l'ultimo e' la pretesa del "tutto e subito": dove ha avuto successo (a questo punto l'esempio d'obbligo e' il Sudafrica) non e' riuscita a risolvere le questioni di fondo - come se ogni nuovo corso non si trovasse di fronte al medesimo problema.
Fra scetticismo e aspettative palingenetiche, c'e' una catena cosi' fitta di stereotipi che forse la nonviolenza si capisce meglio precisando quello che non e' e non fa.
Non si limita a rigettare le armi proprie e improprie, sa rifiutare l'odio e cerca di trasmettere al nemico questo talento.
Non rinuncia ai conflitti, li apre, ma prova ad affrontarli in modo evoluto, con soluzioni in cui nessuno sia danneggiato, umiliato, battuto, soluzioni "win-win", come insegna la teoria dei giochi. Non vive negli interstizi lasciati liberi dal potere: lo sfida. Non dipende dalla sua benevolenza, lo costringe semmai a essere piu' benevolo. Molti pensano che Gandhi potesse agire perche' il governo britannico glielo consentiva; certo la Gran Bretagna non e' il Terzo Reich, ma se approda a una certa tolleranza e' perche' il movimento non le lascia scelta fra il massacro e la trattativa.
Non e' solo una pratica politica: e' un modello per le relazioni fra gruppi e fra singoli. Non e' equidistante di fronte alle disparita' sociali. Gandhi avversava il sistema delle caste, e se caldeggiava l'adozione di un unico tipo di abito per gli indiani, lo faceva sia per boicottare i tessuti inglesi sia per testimoniare l'uguaglianza di tutti. A Memphis, dove viene ucciso nel '68, Martin Luther King era andato a sostenere la lotta degli spazzini per salari migliori e per i diritti sindacali, e a promuovere la Poor People Campaign.
Non e' un dogma: visto che qualsiasi attivita' umana comporta una sia pur minima distruzione di vita, l'obiettivo, constata Gandhi, e' limitare quanto piu' possibile la violenza nel mondo; lo stesso principio del non uccidere prevede delle eccezioni se uccidere e' l'unico modo di salvare gli indifesi da un pericolo mortale.
Non e' pavidita' ne' remissivita': richiede pazienza, mitezza, e coraggio davanti alla ferocia altrui - esiste una combattivita' nonviolenta molto temuta da chi e' al potere. Non e' spontaneismo ingenuo: inventa tattiche nuove.
Non e' una pratica per anime belle, capeggiata da esotici visionari, riservata a realta' con tasso minimo di tensioni interne. L'India era un paese gremito di contraddizioni, e Gandhi un leader sperimentato, abile nel negoziare e nell'organizzare grandi scene di teatro politico da esporre agli occhi del mondo. Quanto alla tipologia degli Stati, si da' vita a lotte nonviolente persino nell'Europa sotto dominio nazista.
Non e' un'esclusiva delle fedi religiose, anche se puo' trarne una forza straordinaria.
Non e' "cosa da donne", e' universale, anzi ridefinisce i modelli di genere, valorizzando la compassione negli uomini, e nelle donne la fiducia in se stesse. Ma e' vero che tra nonviolenza e femminismo c'e' un'affinita': tutte e due riscrivono la storia, implicano una rivoluzione interiore, valorizzano le mediazioni, si richiamano alla pazienza, al senso del limite, alla sobrieta', alla cura delle cose piccole e gracili, che il prometeismo maschile-militar-tecnonologico si e' diligentemente impegnato a distruggere. E per le donne i risultati piu' duraturi sono storicamente legati al tempo di pace, o quantomeno a forme di lotta poco militarizzate.
Peccato che per anni nonviolenza e femminismo si siano frequentati poco. Il pensiero nonviolento non ha in genere riconosciuto nella disparita' uomo-donna la prima radice dell'oppressione. Il neofemminismo si e' misurato con Hegel, Marx, Nietzsche, Freud, Lacan, gli strutturalisti, gli studi post-coloniali, molto meno con la nonviolenza. In compenso ha messo a fuoco la radice maschile dei meccanismi che ratificano la guerra, le sue leggi, i suoi simboli; e ha teorizzato la differenza tra il conflitto, una forma delle relazioni con l'Altro, e la guerra che lo vuole annientare.
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 721 del 26 giugno 2015
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