[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 720



 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Numero 720 del 25 giugno 2015

 

In questo numero:

1. In memoria di Ingeborg Bachmann

2. Lettera enciclica "Laudato si'" di papa Francesco sulla cura della casa comune. Capitolo terzo: La radice umana della crisi ecologica

3. La motivazione dell'attribuzione del Premio letterario "Della Resistenza" Citta' di Omegna 2013 a "La conta dei salvati" di Anna Bravo

4. La motivazione dell'attribuzione del Premio Sissco 2014 a "La conta dei salvati" di Anna Bravo

 

1. MAESTRE. IN MEMORIA DI INGEBORG BACHMANN

 

Ricorre oggi, 25 giugno, l'anniversario della nascita di Ingeborg Bachmann.

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Ingeborg Bachmann, scrittrice e poetessa austriaca (Klagenfurt, 25 giugno 1926 - Roma, 17 ottobre 1973) di straordinaria bellezza e profondita', maestra di pace e di verita'. Tra le opere di Ingeborg Bachmann: versi: Il tempo dilazionato; Invocazione all'Orsa Maggiore; Poesie. Racconti: Il trentesimo anno; Tre sentieri per il lago. Romanzi: Malina. Saggi: L'elaborazione critica della filosofia esistenzialista in Martin Heidegger; Ludwig Wittgenstein; Cio' che ho visto e udito a Roma; I passeggeri ciechi; Bizzarria della musica; Musica e poesia; La verita' e' accessibile all'uomo; Il luogo delle donne. Radiodrammi: Un affare di sogni; Le cicale; Il buon Dio di Manhattan. Saggi radiofonici: L'uomo senza qualita'; Il dicibile e l'indicibile. La filosofia di Ludwig Wittgenstein; La sventura e l'amore di Dio. Il cammino di Simone Weil; Il mondo di Marcel Proust. Sguardi in un pandemonio. Libretti: L'idiota; Il principe di Homburg; Il giovane Lord. Discorsi: Luogo eventuale; Letteratura come utopia. Prose liriche: Lettere a Felician. Opere complete: Werke, 4 voll., Piper, Muenchen-Zuerich. Interviste e colloqui: Interview und Gespraeche, Piper, Muenchen-Zuerich. In edizione italiana cfr. almeno: Poesie, Guanda, 1987, Tea, Milano 1996; Invocazione all'Orsa Maggiore, SE, Milano 1994, Mondadori, Milano 1999; Il dicibile e l'indicibile. Saggi radiofonici, Adelphi, Milano 1998; Il buon Dio di Manhattan, Adelphi, Milano 1991; Il trentesimo anno, Adelphi, Milano 1985, Feltrinelli, Milano 1999; Tre sentieri per il lago, Adelphi, Milano 1980, Bompiani, Milano 1989; Malina, Adelphi, Milano 1973; Il caso Franza, Adelphi, Milano 1988; La ricezione critica della filosofia di Martin Heidegger, Guida, Napoli 1992; In cerca di frasi vere, Laterza, Roma-Bari 1989; Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte, Adelphi, Milano 1993. Su Ingeborg Bachmann un'ampia bibliografia di base e' nell'apparato critico dell'edizione italiana di Invocazione all'Orsa Maggiore, cit.

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Anche nel ricordo di Ingeborg Bachmann proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione da tutte le oppressioni.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

2. TESTI. LETTERA ENCICLICA "LAUDATO SI'" DI PAPA FRANCESCO SULLA CURA DELLA CASA COMUNE. CAPITOLO TERZO: LA RADICE UMANA DELLA CRISI ECOLOGICA

[Dal sito http://w2.vatican.va riprendiamo il capitolo terzo (nn. 101-136) della versione italiana della lettera enciclica del 24 maggio 2015 "Laudato si'" di papa Bergoglio]

 

101. A nulla ci servira' descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi ecologica. Vi e' un modo di comprendere la vita e l'azione umana che e' deviato e che contraddice la realta' fino al punto di rovinarla. Perche' non possiamo fermarci a riflettere su questo? Propongo pertanto di concentrarci sul paradigma tecnocratico dominante e sul posto che vi occupano l'essere umano e la sua azione nel mondo.

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I. La tecnologia: creativita' e potere

102. L'umanita' e' entrata in una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci pone di fronte ad un bivio. Siamo gli eredi di due secoli di enormi ondate di cambiamento: la macchina a vapore, la ferrovia, il telegrafo, l'elettricita', l'automobile, l'aereo, le industrie chimiche, la medicina moderna, l'informatica e, piu' recentemente, la rivoluzione digitale, la robotica, le biotecnologie e le nanotecnologie. E' giusto rallegrarsi per questi progressi ed entusiasmarsi di fronte alle ampie possibilita' che ci aprono queste continue novita', perche' "la scienza e la tecnologia sono un prodotto meraviglioso della creativita' umana che e' un dono di Dio" (81). La trasformazione della natura a fini di utilita' e' una caratteristica del genere umano fin dai suoi inizi, e in tal modo la tecnica "esprime la tensione dell'animo umano verso il graduale superamento di certi condizionamenti materiali" (82). La tecnologia ha posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano e limitavano l'essere umano. Non possiamo non apprezzare e ringraziare per i progressi conseguiti, specialmente nella medicina, nell'ingegneria e nelle comunicazioni. E come non riconoscere tutti gli sforzi di molti scienziati e tecnici che hanno elaborato alternative per uno sviluppo sostenibile?

103. La tecnoscienza, ben orientata, e' in grado non solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualita' della vita dell'essere umano, a partire dagli oggetti di uso domestico fino ai grandi mezzi di trasporto, ai ponti, agli edifici, agli spazi pubblici. E' anche capace di produrre il bello e di far compiere all'essere umano, immerso nel mondo materiale, il "salto" nell'ambito della bellezza. Si puo' negare la bellezza di un aereo, o di alcuni grattacieli? Vi sono preziose opere pittoriche e musicali ottenute mediante il ricorso ai nuovi strumenti tecnici. In tal modo, nel desiderio di bellezza dell'artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana.

104. Tuttavia non possiamo ignorare che l'energia nucleare, la biotecnologia, l'informatica, la conoscenza del nostro stesso Dna e altre potenzialita' che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere. Anzi, danno a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull'insieme del genere umano e del mondo intero. Mai l'umanita' ha avuto tanto potere su se stessa e niente garantisce che lo utilizzera' bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo. Basta ricordare le bombe atomiche lanciate in pieno XX secolo, come il grande spiegamento di tecnologia ostentato dal nazismo, dal comunismo e da altri regimi totalitari al servizio dello sterminio di milioni di persone, senza dimenticare che oggi la guerra dispone di strumenti sempre piu' micidiali. In quali mani sta e in quali puo' giungere tanto potere? E' terribilmente rischioso che esso risieda in una piccola parte dell'umanita'.

105. Si tende a credere che "ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilita', di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori" (83), come se la realta', il bene e la verita' sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell'economia. Il fatto e' che "l'uomo moderno non e' stato educato al retto uso della potenza" (84), perche' l'immensa crescita tecnologica non e' stata accompagnata da uno sviluppo dell'essere umano per quanto riguarda la responsabilita', i valori e la coscienza. Ogni epoca tende a sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti. Per tale motivo e' possibile che oggi l'umanita' non avverta la serieta' delle sfide che le si presentano, e "la possibilita' dell'uomo di usare male della sua potenza e' in continuo aumento" quando "non esistono norme di liberta', ma solo pretese necessita' di utilita' e di sicurezza" (85). L'essere umano non e' pienamente autonomo. La sua liberta' si ammala quando si consegna alle forze cieche dell'inconscio, dei bisogni immediati, dell'egoismo, della violenza brutale. In tal senso, e' nudo ed esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per controllarlo. Puo' disporre di meccanismi superficiali, ma possiamo affermare che gli mancano un'etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualita' che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di se'.

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II. La globalizzazione del paradigma tecnocratico

106. Il problema fondamentale e' un altro, ancora piu' profondo: il modo in cui di fatto l'umanita' ha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme ad un paradigma omogeneo e unidimensionale. In tale paradigma risalta una concezione del soggetto che progressivamente, nel processo logico-razionale, comprende e in tal modo possiede l'oggetto che si trova all'esterno. Tale soggetto si esplica nello stabilire il metodo scientifico con la sua sperimentazione, che e' gia' esplicitamente una tecnica di possesso, dominio e trasformazione. E' come se il soggetto si trovasse di fronte alla realta' informe totalmente disponibile alla sua manipolazione. L'intervento dell'essere umano sulla natura si e' sempre verificato, ma per molto tempo ha avuto la caratteristica di accompagnare, di assecondare le possibilita' offerte dalle cose stesse. Si trattava di ricevere quello che la realta' naturale da se' permette, come tendendo la mano. Viceversa, ora cio' che interessa e' estrarre tutto quanto e' possibile dalle cose attraverso l'imposizione della mano umana, che tende ad ignorare o a dimenticare la realta' stessa di cio' che ha dinanzi. Per questo l'essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti. Da qui si passa facilmente all'idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Cio' suppone la menzogna circa la disponibilita' infinita dei beni del pianeta, che conduce a "spremerlo" fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che "esiste una quantita' illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione e' possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti" (86).

107. Possiamo percio' affermare che all'origine di molte difficolta' del mondo attuale vi e' anzitutto la tendenza, non sempre cosciente, a impostare la metodologia e gli obiettivi della tecnoscienza secondo un paradigma di comprensione che condiziona la vita delle persone e il funzionamento della societa'. Gli effetti dell'applicazione di questo modello a tutta la realta', umana e sociale, si constatano nel degrado dell'ambiente, ma questo e' solo un segno del riduzionismo che colpisce la vita umana e la societa' in tutte le loro dimensioni. Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica non sono neutri, perche' creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilita' sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere. Certe scelte che sembrano puramente strumentali, in realta' sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si intende sviluppare.

108. Non si puo' pensare di sostenere un altro paradigma culturale e servirsi della tecnica come di un mero strumento, perche' oggi il paradigma tecnocratico e' diventato cosi' dominante, che e' molto difficile prescindere dalle sue risorse, e ancora piu' difficile e' utilizzare le sue risorse senza essere dominati dalla sua logica. E' diventato contro-culturale scegliere uno stile di vita con obiettivi che almeno in parte possano essere indipendenti dalla tecnica, dai suoi costi e dal suo potere globalizzante e massificante. Di fatto la tecnica ha una tendenza a far si' che nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica, e "l'uomo che ne e' il protagonista sa che, in ultima analisi, non si tratta ne' di utilita', ne' di benessere, ma di dominio; dominio nel senso estremo della parola" (87). Per questo "cerca di afferrare gli elementi della natura ed insieme quelli dell'esistenza umana" (88). Si riducono cosi' la capacita' di decisione, la liberta' piu' autentica e lo spazio per la creativita' alternativa degli individui.

109. Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull'economia e sulla politica. L'economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l'essere umano. La finanza soffoca l'economia reale. Non si e' imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale. In alcuni circoli si sostiene che l'economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui si afferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. Non e' una questione di teorie economiche, che forse nessuno oggi osa difendere, bensi' del loro insediamento nello sviluppo fattuale dell'economia. Coloro che non lo affermano con le parole lo sostengono con i fatti, quando non sembrano preoccuparsi per un giusto livello della produzione, una migliore distribuzione della ricchezza, una cura responsabile dell'ambiente o i diritti delle generazioni future. Con il loro comportamento affermano che l'obiettivo della massimizzazione dei profitti e' sufficiente. Il mercato da solo pero' non garantisce lo sviluppo umano integrale e l'inclusione sociale (89). Nel frattempo, abbiamo una "sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria disumanizzante" (90), mentre non si mettono a punto con sufficiente celerita' istituzioni economiche e programmi sociali che permettano ai piu' poveri di accedere in modo regolare alle risorse di base. Non ci si rende conto a sufficienza di quali sono le radici piu' profonde degli squilibri attuali, che hanno a che vedere con l'orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescita tecnologica ed economica.

110. La specializzazione propria della tecnologia implica una notevole difficolta' ad avere uno sguardo d'insieme. La frammentazione del sapere assolve la propria funzione nel momento di ottenere applicazioni concrete, ma spesso conduce a perdere il senso della totalita', delle relazioni che esistono tra le cose, dell'orizzonte ampio, senso che diventa irrilevante. Questo stesso fatto impedisce di individuare vie adeguate per risolvere i problemi piu' complessi del mondo attuale, soprattutto quelli dell'ambiente e dei poveri, che non si possono affrontare a partire da un solo punto di vista o da un solo tipo di interessi. Una scienza che pretenda di offrire soluzioni alle grandi questioni, dovrebbe necessariamente tener conto di tutto cio' che la conoscenza ha prodotto nelle altre aree del sapere, comprese la filosofia e l'etica sociale. Ma questo e' un modo di agire difficile da portare avanti oggi. Percio' non si possono nemmeno riconoscere dei veri orizzonti etici di riferimento. La vita diventa un abbandonarsi alle circostanze condizionate dalla tecnica, intesa come la principale risorsa per interpretare l'esistenza. Nella realta' concreta che ci interpella, appaiono diversi sintomi che mostrano l'errore, come il degrado ambientale, l'ansia, la perdita del senso della vita e del vivere insieme. Si dimostra cosi' ancora una volta che "la realta' e' superiore all'idea" (91).

111. La cultura ecologica non si puo' ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all'esaurimento delle riserve naturali e all'inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualita' che diano forma ad una resistenza di fronte all'avanzare del paradigma tecnocratico. Diversamente, anche le migliori iniziative ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa logica globalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realta' sono connesse, e nascondere i veri e piu' profondi problemi del sistema mondiale.

112. E' possibile, tuttavia, allargare nuovamente lo sguardo, e la liberta' umana e' capace di limitare la tecnica, di orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, piu' sano, piu' umano, piu' sociale e piu' integrale. La liberazione dal paradigma tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Per esempio, quando comunita' di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicita' e di convivialita' non consumistico. O quando la tecnica si orienta prioritariamente a risolvere i problemi concreti degli altri, con l'impegno di aiutarli a vivere con piu' dignita' e meno sofferenze. E ancora quando la ricerca creatrice del bello e la sua contemplazione riescono a superare il potere oggettivante in una sorta di salvezza che si realizza nel bello e nella persona che lo contempla. L'autentica umanita', che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civilta' tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa. Sara' una promessa permanente, nonostante tutto, che sboccia come un'ostinata resistenza di cio' che e' autentico?

113. D'altronde, la gente ormai non sembra credere in un futuro felice, non confida ciecamente in un domani migliore a partire dalle attuali condizioni del mondo e dalle capacita' tecniche. Prende coscienza che il progresso della scienza e della tecnica non equivale al progresso dell'umanita' e della storia, e intravede che sono altre le strade fondamentali per un futuro felice. Ciononostante, neppure immagina di rinunciare alle possibilita' che offre la tecnologia. L'umanita' si e' modificata profondamente e l'accumularsi di continue novita' consacra una fugacita' che ci trascina in superficie in un'unica direzione. Diventa difficile fermarci per recuperare la profondita' della vita. Se l'architettura riflette lo spirito di un'epoca, le megastrutture e le case in serie esprimono lo spirito della tecnica globalizzata, in cui la permanente novita' dei prodotti si unisce a una pesante noia. Non rassegniamoci a questo e non rinunciamo a farci domande sui fini e sul senso di ogni cosa. Diversamente, legittimeremo soltanto lo stato di fatto e avremo bisogno di piu' surrogati per sopportare il vuoto.

114. Cio' che sta accadendo ci pone di fronte all'urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale. La scienza e la tecnologia non sono neutrali, ma possono implicare dall'inizio alla fine di un processo diverse intenzioni e possibilita', e possono configurarsi in vari modi. Nessuno vuole tornare all'epoca delle caverne, pero' e' indispensabile rallentare la marcia per guardare la realta' in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane.

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III. Crisi e conseguenze dell'antropocentrismo moderno

115. L'antropocentrismo moderno, paradossalmente, ha finito per collocare la ragione tecnica al di sopra della realta', perche' questo essere umano "non sente piu' la natura ne' come norma valida, ne' come vivente rifugio. La vede senza ipotesi, obiettivamente, come spazio e materia in cui realizzare un'opera nella quale gettarsi tutto, e non importa che cosa ne risultera'" (92). In tal modo, si sminuisce il valore intrinseco del mondo. Ma se l'essere umano non riscopre il suo vero posto, non comprende in maniera adeguata se stesso e finisce per contraddire la propria realta'. "Non solo la terra e' stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli e' stata donata; ma l'uomo e' donato a se stesso da Dio e deve, percio', rispettare la struttura naturale e morale, di cui e' stato dotato" (93).

116. Nella modernita' si e' verificato un notevole eccesso antropocentrico che, sotto altra veste, oggi continua a minare ogni riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo di rafforzare i legami sociali. Per questo e' giunto il momento di prestare nuovamente attenzione alla realta' con i limiti che essa impone, i quali a loro volta costituiscono la possibilita' di uno sviluppo umano e sociale piu' sano e fecondo. Una presentazione inadeguata dell'antropologia cristiana ha finito per promuovere una concezione errata della relazione dell'essere umano con il mondo. Molte volte e' stato trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato l'impressione che la cura della natura sia cosa da deboli. Invece l'interpretazione corretta del concetto dell'essere umano come signore dell'universo e' quella di intenderlo come amministratore responsabile (94).

117. La mancanza di preoccupazione per misurare i danni alla natura e l'impatto ambientale delle decisioni, e' solo il riflesso evidente di un disinteresse a riconoscere il messaggio che la natura porta inscritto nelle sue stesse strutture. Quando non si riconosce nella realta' stessa l'importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilita' - per fare solo alcuni esempi -, difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa. Tutto e' connesso. Se l'essere umano si dichiara autonomo dalla realta' e si costituisce dominatore assoluto, la stessa base della sua esistenza si sgretola, perche' "Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e cosi' finisce col provocare la ribellione della natura" (95).

118. Questa situazione ci conduce ad una schizofrenia permanente, che va dall'esaltazione tecnocratica che non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore all'essere umano. Ma non si puo' prescindere dall'umanita'. Non ci sara' una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo. Non c'e' ecologia senza un'adeguata antropologia. Quando la persona umana viene considerata solo un essere in piu' tra gli altri, che deriva da un gioco del caso o da un determinismo fisico, "si corre il rischio che si affievolisca nelle persone la coscienza della responsabilita'" (96). Un antropocentrismo deviato non deve necessariamente cedere il passo a un "biocentrismo", perche' cio' implicherebbe introdurre un nuovo squilibrio, che non solo non risolvera' i problemi, bensi' ne aggiungera' altri. Non si puo' esigere da parte dell'essere umano un impegno verso il mondo, se non si riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacita' di conoscenza, volonta', liberta' e responsabilita'.

119. La critica all'antropocentrismo deviato non dovrebbe nemmeno collocare in secondo piano il valore delle relazioni tra le persone. Se la crisi ecologica e' un emergere o una manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernita', non possiamo illuderci di risanare la nostra relazione con la natura e l'ambiente senza risanare tutte le relazioni umane fondamentali. Quando il pensiero cristiano rivendica per l'essere umano un peculiare valore al di sopra delle altre creature, da' spazio alla valorizzazione di ogni persona umana, e cosi' stimola il riconoscimento dell'altro. L'apertura ad un "tu" in grado di conoscere, amare e dialogare continua ad essere la grande nobilta' della persona umana. Percio', in ordine ad un'adeguata relazione con il creato, non c'e' bisogno di sminuire la dimensione sociale dell'essere umano e neppure la sua dimensione trascendente, la sua apertura al "Tu" divino. Infatti, non si puo' proporre una relazione con l'ambiente a prescindere da quella con le altre persone e con Dio. Sarebbe un individualismo romantico travestito da bellezza ecologica e un asfissiante rinchiudersi nell'immanenza.

120. Dal momento che tutto e' in relazione, non e' neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell'aborto. Non appare praticabile un cammino educativo per l'accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si da' protezione a un embrione umano benche' il suo arrivo sia causa di disagi e difficolta': "Se si perde la sensibilita' personale e sociale verso l'accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono" (97).

121. Si attende ancora lo sviluppo di una nuova sintesi che superi le false dialettiche degli ultimi secoli. Lo stesso cristianesimo, mantenendosi fedele alla sua identita' e al tesoro di verita' che ha ricevuto da Gesu' Cristo, sempre si ripensa e si riesprime nel dialogo con le nuove situazioni storiche, lasciando sbocciare cosi' la sua perenne novita' (98).

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Il relativismo pratico

122. Un antropocentrismo deviato da' luogo a uno stile di vita deviato. Nell'Esortazione apostolica Evangelii gaudium ho fatto riferimento al relativismo pratico che caratterizza la nostra epoca, e che e' "ancora piu' pericoloso di quello dottrinale" (99). Quando l'essere umano pone se' stesso al centro, finisce per dare priorita' assoluta ai suoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo. Percio' non dovrebbe meravigliare il fatto che, insieme all'onnipresenza del paradigma tecnocratico e all'adorazione del potere umano senza limiti, si sviluppi nei soggetti questo relativismo, in cui tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati. Vi e' in questo una logica che permette di comprendere come si alimentino a vicenda diversi atteggiamenti che provocano al tempo stesso il degrado ambientale e il degrado sociale.

123. La cultura del relativismo e' la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un'altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitu' a causa di un debito. E' la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. E' anche la logica interna di chi afferma: "lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l'economia, perche' i loro effetti sulla societa' e sulla natura sono danni inevitabili". Se non ci sono verita' oggettive ne' principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessita' immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalita' organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non e' la stessa logica relativista quella che giustifica l'acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perche' non rispondono al desiderio dei loro genitori? E' la stessa logica "usa e getta" che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare piu' di quello di cui realmente si ha bisogno. E allora non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l'ambiente, perche' quando e' la cultura che si corrompe e non si riconosce piu' alcuna verita' oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare.

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La necessita' di difendere il lavoro

124. In qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l'essere umano, e' indispensabile integrare il valore del lavoro, tanto sapientemente sviluppato da san Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Laborem exercens. Ricordiamo che, secondo il racconto biblico della creazione, Dio pose l'essere umano nel giardino appena creato (cfr Gen 2,15) non solo per prendersi cura dell'esistente (custodire), ma per lavorarvi affinche' producesse frutti (coltivare). Cosi' gli operai e gli artigiani "assicurano la creazione eterna" (Sir 38,34). In realta', l'intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato e' il modo piu' adeguato di prendersene cura, perche' implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialita' che Egli stesso ha inscritto nelle cose: "Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l'uomo assennato non li disprezza" (Sir 38,4).

125. Se cerchiamo di pensare quali siano le relazioni adeguate dell'essere umano con il mondo che lo circonda, emerge la necessita' di una corretta concezione del lavoro, perche', se parliamo della relazione dell'essere umano con le cose, si pone l'interrogativo circa il senso e la finalita' dell'azione umana sulla realta'. Non parliamo solo del lavoro manuale o del lavoro della terra, bensi' di qualsiasi attivita' che implichi qualche trasformazione dell'esistente, dall'elaborazione di un studio sociale fino al progetto di uno sviluppo tecnologico. Qualsiasi forma di lavoro presuppone un'idea sulla relazione che l'essere umano puo' o deve stabilire con l'altro da se'. La spiritualita' cristiana, insieme con lo stupore contemplativo per le creature che troviamo in san Francesco d'Assisi, ha sviluppato anche una ricca e sana comprensione del lavoro, come possiamo riscontrare, per esempio, nella vita del beato Charles de Foucauld e dei suoi discepoli.

126. Raccogliamo anche qualcosa dalla lunga tradizione monastica. All'inizio essa favori' in un certo modo la fuga dal mondo, tentando di allontanarsi dalla decadenza urbana. Per questo i monaci cercavano il deserto, convinti che fosse il luogo adatto per riconoscere la presenza di Dio. Successivamente, san Benedetto da Norcia volle che i suoi monaci vivessero in comunita', unendo la preghiera e lo studio con il lavoro manuale (Ora et labora). Questa introduzione del lavoro manuale intriso di senso spirituale si rivelo' rivoluzionaria. Si imparo' a cercare la maturazione e la santificazione nell'intreccio tra il raccoglimento e il lavoro. Tale maniera di vivere il lavoro ci rende piu' capaci di cura e di rispetto verso l'ambiente, impregna di sana sobrieta' la nostra relazione con il mondo.

127. Affermiamo che "l'uomo e' l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale" (100). Ciononostante, quando nell'essere umano si perde la capacita' di contemplare e di rispettare, si creano le condizioni perche' il senso del lavoro venga stravolto (101). Conviene ricordare sempre che l'essere umano e' nello stesso tempo "capace di divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale" (102). Il lavoro dovrebbe essere l'ambito di questo multiforme sviluppo personale, dove si mettono in gioco molte dimensioni della vita: la creativita', la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacita', l'esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione. Percio' la realta' sociale del mondo di oggi, al di la' degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalita' economica, esige che "si continui a perseguire quale priorita' l'obiettivo dell'accesso al lavoro [...] per tutti" (103).

128. Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra creazione. Non si deve cercare di sostituire sempre piu' il lavoro umano con il progresso tecnologico: cosi' facendo l'umanita' danneggerebbe se stessa. Il lavoro e' una necessita', e' parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev'essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro. Tuttavia l'orientamento dell'economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. E' un ulteriore modo in cui l'azione dell'essere umano puo' volgersi contro se stesso. La riduzione dei posti di lavoro "ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del 'capitale sociale', ossia di quell'insieme di relazioni di fiducia, di affidabilita', di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile" (104). In definitiva "i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani" (105). Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato e' un pessimo affare per la societa'.

129. Perche' continui ad essere possibile offrire occupazione, e' indispensabile promuovere un'economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creativita' imprenditoriale. Per esempio, vi e' una grande varieta' di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell'acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali. I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altre forme di produzione, piu' diversificate, risultano inutili a causa della difficolta' di accedere ai mercati regionali e globali o perche' l'infrastruttura di vendita e di trasporto e' al servizio delle grandi imprese. Le autorita' hanno il diritto e la responsabilita' di adottare misure di chiaro e fermo appoggio ai piccoli produttori e alla diversificazione della produzione. Perche' vi sia una liberta' economica della quale tutti effettivamente beneficino, a volte puo' essere necessario porre limiti a coloro che detengono piu' grandi risorse e potere finanziario. La semplice proclamazione della liberta' economica, quando pero' le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l'accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica. L'attivita' imprenditoriale, che e' una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, puo' essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attivita', soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro e' parte imprescindibile del suo servizio al bene comune.

*

L'innovazione biologica a partire dalla ricerca

130. Nella visione filosofica e teologica dell'essere umano e della creazione, che ho cercato di proporre, risulta chiaro che la persona umana, con la peculiarita' della sua ragione e della sua scienza, non e' un fattore esterno che debba essere totalmente escluso. Tuttavia, benche' l'essere umano possa intervenire nel mondo vegetale e animale e servirsene quando e' necessario alla sua vita, il Catechismo insegna che le sperimentazioni sugli animali sono legittime solo se "si mantengono in limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o a salvare vite umane" (106). Ricorda con fermezza che il potere umano ha dei limiti e che "e' contrario alla dignita' umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita" (107). Qualsiasi uso e sperimentazione "esige un religioso rispetto dell'integrita' della creazione" (108).

131. Desidero recepire qui l'equilibrata posizione di san Giovanni Paolo II, il quale metteva in risalto i benefici dei progressi scientifici e tecnologici, che "manifestano quanto sia nobile la vocazione dell'uomo a partecipare responsabilmente all'azione creatrice di Dio", ma che al tempo stesso ricordava "come ogni intervento in un'area dell'ecosistema non possa prescindere dal considerare le sue conseguenze in altre aree" (109). Affermava che la Chiesa apprezza lìapporto "dello studio e delle applicazioni della biologia molecolare, completata dalle altre discipline come la genetica e la sua applicazione tecnologica nell'agricoltura e nell'industria" (110). Benche' dicesse anche che questo non deve dar luogo ad una "indiscriminata manipolazione genetica" (111) che ignori gli effetti negativi di questi interventi. Non e' possibile frenare la creativita' umana. Se non si puo' proibire a un artista di esprimere la sua capacita' creativa, neppure si possono ostacolare coloro che possiedono doni speciali per lo sviluppo scientifico e tecnologico, le cui capacita' sono state donate da Dio per il servizio degli altri. Nello stesso tempo, non si puo' fare a meno di riconsiderare gli obiettivi, gli effetti, il contesto e i limiti etici di tale attivita' umana che e' una forma di potere con grandi rischi.

132. In questo quadro dovrebbe situarsi qualsiasi riflessione circa l'intervento umano sul mondo vegetale e animale, che implica oggi mutazioni genetiche prodotte dalla biotecnologia, allo scopo di sfruttare le possibilita' presenti nella realta' materiale. Il rispetto della fede verso la ragione chiede di prestare attenzione a quanto la stessa scienza biologica, sviluppata in modo indipendente rispetto agli interessi economici, puo' insegnare a proposito delle strutture biologiche e delle loro possibilita' e mutazioni. In ogni caso, e' legittimo l'intervento che agisce sulla natura "per aiutarla a svilupparsi secondo la sua essenza, quella della creazione, quella voluta da Dio" (112).

133. E' difficile emettere un giudizio generale sullo sviluppo di organismi geneticamente modificati (Ogm), vegetali o animali, per fini medici o in agricoltura, dal momento che possono essere molto diversi tra loro e richiedere distinte considerazioni. D'altra parte, i rischi non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione. In realta', le mutazioni genetiche sono state e sono prodotte molte volte dalla natura stessa. Nemmeno quelle provocate dall'essere umano sono un fenomeno moderno. La domesticazione di animali, l'incrocio di specie e altre pratiche antiche e universalmente accettate possono rientrare in queste considerazioni. E' opportuno ricordare che l'inizio degli sviluppi scientifici sui cereali transgenici e' stato l'osservazione di batteri che naturalmente e spontaneamente producevano una modifica nel genoma di un vegetale. Tuttavia in natura questi processi hanno un ritmo lento, che non e' paragonabile alla velocita' imposta dai progressi tecnologici attuali, anche quando tali progressi si basano su uno sviluppo scientifico di secoli.

134. Sebbene non disponiamo di prove definitive circa il danno che potrebbero causare i cereali transgenici agli esseri umani, e in alcune regioni il loro utilizzo ha prodotto una crescita economica che ha contribuito a risolvere alcuni problemi, si riscontrano significative difficolta' che non devono essere minimizzate. In molte zone, in seguito all'introduzione di queste coltivazioni, si constata una concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi, dovuta alla "progressiva scomparsa dei piccoli produttori, che, in conseguenza della perdita delle terre coltivate, si sono visti obbligati a ritirarsi dalla produzione diretta" (113). I piu' fragili tra questi diventano lavoratori precari e molti salariati agricoli finiscono per migrare in miserabili insediamenti urbani. L'estendersi di queste coltivazioni distrugge la complessa trama degli ecosistemi, diminuisce la diversita' nella produzione e colpisce il presente o il futuro delle economie regionali. In diversi Paesi si riscontra una tendenza allo sviluppo di oligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per la coltivazione, e la dipendenza si aggrava se si considera la produzione di semi sterili, che finirebbe per obbligare i contadini a comprarne dalle imprese produttrici.

135. Senza dubbio c'e' bisogno di un'attenzione costante, che porti a considerare tutti gli aspetti etici implicati. A tal fine occorre assicurare un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l'informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome. A volte non si mette sul tavolo l'informazione completa, ma la si seleziona secondo i propri interessi, siano essi politici, economici o ideologici. Questo rende difficile elaborare un giudizio equilibrato e prudente sulle diverse questioni, tenendo presenti tutte le variabili in gioco. E' necessario disporre di luoghi di dibattito in cui tutti quelli che in qualche modo si potrebbero vedere direttamente o indirettamente coinvolti (agricoltori, consumatori, autorita', scienziati, produttori di sementi, popolazioni vicine ai campi trattati e altri) possano esporre le loro problematiche o accedere ad un'informazione estesa e affidabile per adottare decisioni orientate al bene comune presente e futuro. Quella degli Ogm e' una questione di carattere complesso, che esige di essere affrontata con uno sguardo comprensivo di tutti i suoi aspetti, e questo richiederebbe almeno un maggiore sforzo per finanziare diverse linee di ricerca autonoma e interdisciplinare che possano apportare nuova luce.

136. D'altro canto, e' preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l'integrita' dell'ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi principi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essere umano va molto oltre il grado del suo sviluppo. Ugualmente, quando la tecnica non riconosce i grandi principi etici, finisce per considerare legittima qualsiasi pratica. Come abbiamo visto in questo capitolo, la tecnica separata dall'etica difficilmente sara' capace di autolimitare il proprio potere.

*

Note

81. Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti della scienza, della cultura e degli alti studi nell'Universita' delle Nazioni Unite, Hiroshima (25 febbraio 1981), 3: AAS 73 (1981), 422.

82. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 69: AAS 101 (2009), 702.

83. Romano Guardini, Das Ende der Neuzeit, Wuerzburg 19659, 87 (ed. it.: La fine dell'epoca moderna, Brescia 1987, 80).

84. Ibid. (ed. it.: 81).

85. Ibid., 87-88 (ed. it.: 81).

86. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 462.

87. Romano Guardini, Das Ende der Neuzeit, 63-64 (ed. it.: La fine dell'epoca moderna, 58).

88. Ibid., 64 (ed. it.: 58).

89. Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 35: AAS 101 (2009), 671.

90. Ibid., 22: p. 657.

91. Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 231: AAS 105 (2013), 1114.

92. Romano Guardini, Das Ende der Neuzeit, 63 (ed. it.: La fine dell'epoca moderna, 57-58).

93. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (primo maggio 1991), 38: AAS 83 (1991), 841.

94. Cfr Dichiarazione Love for Creation. An Asian Response to the Ecological Crisis, Colloquio promosso dalla Federazione delle Conferenze dei Vescovi dell'Asia (Tagaytay, 31 gennaio - 5 febbraio 1993), 3.3.2.

95. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (primo maggio 1991), 37: AAS 83 (1991), 840.

96. Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, 2: AAS 102 (2010), 41.

97. Id., Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 28: AAS 101 (2009), 663.

98. Cfr Vincenzo di Lerins, Commonitorium primum, cap. 23: PL 50, 668: "Ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate".

99. N. 80: AAS 105 (2013), 1053.

100. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 63.

101. Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (primo maggio 1991), 37: AAS 83 (1991), 840.

102. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 34: AAS 59 (1967), 274.

103. Benedetto XVI, Lettera enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 32: AAS 101 (2009), 666.

104. Ibid.

105. Ibid.

106. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2417.

107. Ibid., 2418.

108. Ibid., 2415.

109. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 6: AAS 82 (1990), 150.

110. Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (3 ottobre 1981), 3: Insegnamenti 4/2 (1981), 333.

111. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 7: AAS 82 (1990), 151.

112. Giovanni Paolo II, Discorso alla trentacinquesima Assemblea Generale dell'Associazione Medica Mondiale (29 ottobre 1983), 6: AAS 76 (1984), 394.

113. Commissione Episcopale di Pastorale Sociale dell'Argentina, Una tierra para todos (giugno 2005), 19.

 

3. LIBRI. LA MOTIVAZIONE DELL'ATTRIBUZIONE DEL PREMIO LETTERARIO "DELLA RESISTENZA" CITTA' DI OMEGNA 2013 A "LA CONTA DEI SALVATI" DI ANNA BRAVO

[Dal sito www.premioomegna.it riprendiamo la motivazione dell'attribuzione del premio letterario "Della Resistenza" Citta' di Omegna 2013 al libro "La conta dei salvati" di Anna Bravo.

Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Tra le opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia,  Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008; (con Federico Cereja), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, Torino 2011; La conta dei salvati, Laterza, Roma-Bari 2013; Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014]

 

Nelle relazioni tra i popoli la guerra e' talmente ricorrente da essere assunta a principale criterio della loro narrazione storiografica. Di contro, le manifestazioni di segno opposto, quantitativamente meno copiose, occupano lo spazio marginale dell'eccezionalita'.

Nel libro La conta dei salvati al quale si assegna oggi il Premio Omegna, Anna Bravo ribalta tale logica resocontistica e sostituisce al computo del sangue versato (in un ambito di indagine che spazia dall'Europa della Grande Guerra al Kosovo al Tibet) il conteggio del sangue risparmiato, nella convinzione che - come ben sintetizza il risvolto di copertina del volume - "e' un'idea malsana che quando c'e' guerra c'e' storia, quando c'e' pace no".

Capovolgendo intelligentemente la prospettiva usuale di lettura degli accadimenti del secolo scorso e dell'oggi presi in esame, il libro fruga nelle pieghe della storia con uno scandaglio minuzioso e pazientemente certosino per recuperare dal cono d'ombra della dimenticanza, della rimozione o della trascuratezza, atti concreti di conciliazione e solidarieta', siano essi singoli e anonimi oppure collettivi; compiuti da persone ignote o da capi carismatici.

Con la somma di tali gesti, di cui si ricostruisce la tracciabilita' - e insieme la genealogia, nonche' la variegata gamma - emerge la trama sotterranea e negletta dei fatti consegnati alle cronache degli annali: ossia l'insieme dei tanti fili discontinui e nascosti che compongono il rovescio della superficie che ha l'arazzo nel racconto dell'ufficialita'.

Siamo dunque di fronte a una riscrittura della storia che, a partire dalla ricerca di un suo canovaccio diverso da quello della catena di ostilita' quale unico motore degli eventi, si presenta suggestivamente innovativa anche nei confronti del genere manualistico in cui si inscrive.

Gia' i titoli insoliti dei capitoletti attestano, come tanti cartelli indicatori, l'originalita' della direzione percorsa: partendo da un sapere squadernato al suo massimo grado con la densita' dei riferimenti bibliografici e con la ricchezza del tradizionale apparato di note, i dati della conoscenza vengono sottoposti a un'interrogazione continua da un illuminante taglio interpretativo che alla "dottrina" da addetta ai lavori intreccia la curiosita' per risvolti inediti, l'attenzione per le microstorie e le loro ragioni nascoste, un'ottica di genere e uno sguardo da militante.

Scaturisce dall'incrocio di tali linee prospettiche una visione nuova dei fatti e dei comportamenti delle figure evocate, alla quale da' corpo un linguaggio appassionato e appassionante, grazie al quale gli episodi dell'operosita' del bene rivelano tutta la loro potenza di simbolo di una forza interiore che soppianta i "rapporti di forza" e trasforma la propria eccezionalita' in seme capace di attecchire e moltiplicarsi.

 

4. LIBRI. LA MOTIVAZIONE DELL'ATTRIBUZIONE DEL PREMIO SISSCO 2014 A "LA CONTA DEI SALVATI" DI ANNA BRAVO

[Dal sito www.sissco.it riportiamo la motivazione dell'attribuzione del Premio Sissco (Societa' italiana per lo studio della storia contemporanea) 2014 per i libri pubblicati nel 2013 al libro "La conta dei salvati" di Anna Bravo]

 

Il direttivo Sissco (Societa' italiana per lo studio della storia contemporanea) ha ritenuto, all'unanimita', di assegnare il premio Senior al volume di Anna Bravo, La conta dei salvati. Dalla grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato (Laterza), per una serie di ragioni.

Prima di tutto, per l'originalita' del taglio. La storiografia infatti, fin dalle origini greche, si e' preoccupata soprattutto delle guerre e di coloro che, a diversi livelli, le hanno combattute. L'autrice racconta invece storie di donne e uomini del Novecento che le guerre hanno cercato di evitarle o che, trovativisi nel mezzo, hanno cercato di depotenziare l'alternativa tra amico e nemico. Non si tratta tuttavia di una storia del pacifismo, anche se il pacifismo vi gioca una parte rilevante. Chi sono queste donne e queste uomini di cui racconta Anna Bravo? Possono essere figure di rilievo internazionale, come Gandhi o il Dalai Lama, oppure anonime donne e uomini coinvolti nelle guerre come parte offesa, ma capaci di esercitare un ruolo attivo.

La seconda ragione per cui il libro e' stato premiato sta nel suo approccio pienamente transnazionale e di storia mondiale, che mostra come la storiografia italiana in questo ambito non sia affatto in ritardo rispetto alle suggestioni anglosassoni.

La terza ragione e' l'approccio metodologico: principalmente narrativo, ma attento a incrociare la gender history, la storia sociale e i contributi dell'antropologia.

 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 720 del 25 giugno 2015

 

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