[Nonviolenza] Telegrammi. 2017



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2017 del 17 giugno 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Che fare? La cosa giusta

2. L'Europa, la Grecia

3. "Percorsi del pensiero critico contemporaneo". Un incontro di riflessione a Viterbo

4. "Un accostamento a Virginia Woolf". Un incontro di studio a Viterbo

5. In ricordo di Marc Bloch

6. Enrico Peyretti: La guerra come antitesi del diritto (2011) (parte prima)

7. Segnalazioni librarie

8. La "Carta" del Movimento Nonviolento

9. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. CHE FARE? LA COSA GIUSTA

 

Soccorrere, accogliere, assistere tutti gli esseri umani in pericolo, tutti gli esseri umani bisognosi di aiuto.

Rispettare il diritto di ogni essere umano di spostarsi sul pianeta per salvare e migliorare la propria vita; e quindi consentire a tutti gli esseri umani l'ingresso legale e sicuro in Italia e in Europa.

Riconoscere il diritto di voto per le elezioni amministrative a tutte le persone maggiorenni qui residenti.

Opporsi alla guerra e a tutte le uccisioni, al razzismo e a tutte le persecuzioni, al maschilismo e a tutte le oppressioni; opporsi alla schiavitu', opporsi alla distruzione della biosfera, opporsi al fascismo.

Cessare di sperperare scelleratamente 72 milioni di euro al giorno del bilancio dello stato italiano per le spese militari.

Rispettare la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.

Salvare le vite.

Salvare le vite.

Le vite, salvarle.

*

Vi e' una sola umanita'.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

 

2. RIFLESSIONE. L'EUROPA, LA GRECIA

 

Se esiste l'Europa, e' grazie alla Grecia.

Se esiste la civilta', e' grazie alla Grecia.

Se esiste l'umanita', e' grazie alla Grecia.

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Non e' la Grecia ad essere in debito con altri.

E' il mondo intero ad essere in debito con la Grecia.

 

3. INCONTRI. "PERCORSI DEL PENSIERO CRITICO CONTEMPORANEO". UN INCONTRO DI RIFLESSIONE A VITERBO

 

Si e' svolto nel pomeriggio di martedi' 16 giugno 2015 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione sul tema: "Percorsi del pensiero critico contemporaneo: l'analisi del rapporto tra cultura di massa, tecnologie della manipolazione e controllo sociale nel dibattito filosofico e nella ricerca sociologica da Guenther Anders a David Lyon".

All'incontro ha preso parte Marco Graziotti.

*

Marco Graziotti e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Paolo Arena ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Laureato in Scienze della comunicazione, e' autore di un apprezzato lavoro su "Nuove tecnologie e controllo sociale nella ricerca di David Lyon"; recentemente ha realizzato una rilevante ricerca su "Riflessi nella letteratura e nel cinema della boxe come realta' complessa e specchio della societa' della solitudine di massa e della sopraffazione e mercificazione universale", interpretando con adeguate categorie desunte dalle scienze umane e filologiche numerose opere letterarie e cinematografiche; piu' recentemente ancora ha realizzato una ricerca sulle istituzioni e le politiche finanziarie europee facendo specifico riferimento alle analisi di Luciano Gallino e di Francuccio Gesualdi.

 

4. INCONTRI. "UN ACCOSTAMENTO A VIRGINIA WOOLF". UN INCONTRO DI STUDIO A VITERBO

 

Si e' svolto la sera di martedi' 16 giugno 2015 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di studio sul tema: "Un accostamento a Virginia Woolf".

All'incontro ha preso parte Paolo Arena.

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Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato tre cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta.

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Virginia Woolf, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze culturali ed editoriali di grande rilievo, oltre alle sue splendide opere narrative scrisse molti acuti saggi, di cui alcuni fondamentali anche per una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941. E' uno dei punti di riferimento della riflessione dei movimenti delle donne, di liberazione, per la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state tradotte da vari editori, un'edizione di Tutti i romanzi (in due volumi, comprendenti La crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro) e' stata qualche anno fa pubblicata in una collana ultraeconomica dalla Newton Compton di Roma; una pregevolissima edizione sia delle opere narrative che della saggistica e' stata curata da Nadia Fusini nei volumi dei Meridiani Mondadori alle opere di Virginia Woolf dedicati (ai quali rinviamo anche per la bibliografia). Tra i saggi due sono particolarmente importanti per una cultura della pace: Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993; Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987 (ma ambedue sono disponibili anche in varie altre edizioni). Numerosissime sono le opere su Virginia Woolf: segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974; Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova Italia, Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980; Nadia Fusini, Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf, Mondadori, Milano 2006; Liliana Rampello, Il canto del mondo reale. Virginia Woolf, la vita nella scrittura, Il saggiatore, Milano 2005. Segnaliamo anche almeno le pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in Mimesis, Einaudi, Torino 1977.

 

5. MAESTRI. IN RICORDO DI MARC BLOCH

 

Ricorreva ieri, 16 giugno, l'anniversario della morte di Marc Bloch, l'illustre storico ed eroe della Resistenza assassinato dai nazisti il 16 giugno 1944.

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Marc Bloch, iIlustre storico, nato a Lione nel 1886, docente universitario a Strasburgo e alla Sorbona, fondatore con Lucien Febvre delle "Annales d'histoire economique et sociale" che hanno cosi' potentemente contribuito al rinnovamento della storiografia. Impegnato nella Resistenza, fu assassinato dai nazisti nel 1944. Opere di Marc Bloch: tra i suoi lavori segnaliamo almeno I re taumaturghi, La societa' feudale, Apologia della storia, tutti editi da Einaudi. Opere su Marc Bloch: per un avvio cfr. Massimo Mastrogregori, Introduzione a Bloch, Laterza, Roma-Bari 2001.

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Nel ricordo e alla scuola di Marc Bloch proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

6. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA GUERRA COME ANTITESI DEL DIRITTO (2011) (PARTE PRIMA)

[Dal sito di Peacelink riprendiamo il testo della relazione tenuta da Enrico Peyretti al convegno "Le regole della guerra" promosso dal Cisp - Centro Interatenei piemontesi Studi per la Pace - nel dicembre 2011.

Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]

 

Sintesi

La guerra pretende fondarsi sul diritto, come sua tutela, e stabilire il diritto. Il diritto poi tenta di arginare la guerra. La guerra esonda, tracima sul diritto e lo travolge. La direzione necessaria di ricerca e' giuridicizzare il conflitto, come ben sappiamo fare in rapporti sociali non totalmente consegnati alla logica di potenza. Il conflitto e' naturale, anche funzionale alla vita, ma diventa guerra quando non accetta il divieto di distruttivita'. Esso e' vitale quando e' gestito con le forze umane, non con la violenza, che e' l'anti-forza. Se la guerra e' antitesi del diritto, il diritto e' un antidoto alla guerra.

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Nota

Nel convegno non ho letto tutta questa relazione, di cui ho dato solo una stretta sintesi, ma ho raccontato un episodio di ingiustificabile violenza omicida a cui ho assistito da bambino (9 anni e mezzo), nei giorni dell'aprile 1945 tra guerra e dopoguerra, ed anche la storia di un soldato tedesco, Josef Schiffer (diventato poi mio amico, morto nel gennaio 2011 a 96 anni), che protesse la popolazione italiana durante l'occupazione, testimone di pace e giustizia dentro la guerra. Sono per me esperienze che mi hanno definitivamente segnato, orientando la riflessione sulla guerra. L'uso delle armi, anche per le piu' comprensibili ragioni (come la guerra di Resistenza al nazifascismo), ha un'alta probabilita' di disumanizzare la persona. Ma non e' questo un effetto necessario. C'e' chi, come Josef Schiffer, sa restare profondamente umano, e difendere l'umanita' propria e altrui, dentro il fuoco della guerra e dell'ingiustizia (come la guerra nazista). Se la guerra e' l'antitesi del diritto, l'antidoto alla guerra e' la coscienza del diritto umano.

Il titolo di questa relazione e' tratto da un giudizio di Norberto Bobbio: "La guerra atomica (...) ritorna ad essere, come nella raffigurazione hobbesiana dello stato di natura, l'antitesi del diritto" (Il problema della guerra e le vie della pace, IV edizione, Il Mulino 1977, pp. 65-66). Questa antitesi non si verifica solo nella guerra atomica. Vorrei anche rovesciare l'affermazione, dicendo: il diritto come antidoto alla guerra.

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Riesce il diritto a dare regole alla guerra?

Partirei da una fonte familiare: "La guerra oggi non e' piu' uno stato di violenza fuori di ogni legge e diritto, ma un procedimento retto da norme particolari. (...) Il diritto di guerra rende legittimi atti che, commessi in tempo di pace, sarebbero vietati e cadrebbero sotto le sanzioni del codice penale". Scriveva cosi', nel 1903, il mio nonno materno, Lanfranco Bellegotti, vissuto dal 1856 al 1954, che ho ben conosciuto da ragazzo. Egli insegno' a cavallo dell'800 e del '900 Diritto Internazionale all'Universita' di Pisa. Nel 1889 aveva tradotto Dell'Origine e Progresso del Diritto Internazionale, di Giovanni Hosack. Insegno' pure Diritto internazionale marittimo nell'Accademia navale di Livorno, dove - lo si seppe in famiglia - fu segretamente bocciato all'esame di ammissione il principe ereditario Umberto.

Delle sue pubblicazioni, possiedo questo Principio fondamentale del Diritto Bellico Moderno (Tipografia Valenti, Pisa 1903. Ho citato dalla p. 3). Il libro fa la storia del diritto bellico dall'antichita', all'epoca di mezzo, all'eta' moderna, e conclude individuando il "principio fondamentale del diritto bellico moderno", emergente nell'evoluzione storica. Tale principio, teorizzato anche da Rousseau, sarebbe l'idea della "immunita' delle persone pacifiche e dei loro beni nel corso delle ostilita'", perche' la guerra e' tra stati e non tra le persone dei cittadini (pp. 102-103). Il rapporto di guerra tra stati "non e' uno stato di violenza senza freno e senza confini [come era nell'antichita', n.d.r.], ma un duello ordinato, retto dalle regole dell'arte per vincere e dai precetti della morale, dell'umanita', della civilta' per mantenere l'impiego della forza nei limiti della stretta necessita' e del rispetto della natura umana, in cui due popoli si impegnano (...) allo scopo di risolvere tra loro una questione di diritto pubblico" (p. 106). Dopo avere ricordato i recenti progressi civili per cui quel principio fu fatto proprio anche dalla Conferenza internazionale per la pace, tenuta all'Aja nel 1899, concludeva il mio nonno professore: le genti "hanno capito che la guerra, se assolutamente necessaria, non puo' avere altro scopo che la tutela del diritto". "La presente comunita' internazionale (...) non soltanto considera la pace come un dovere delle genti, ma aspira a trovare il modo di risolvere i conflitti, che fra loro possono nascere, senza bisogno di affidarne la decisione, nei casi estremi, alla fortuna delle armi, essendo ormai convinzione comune che questa forma di giudizio e' incomportabile colla natura razionale dell'uomo, inadatta a garantire il diritto dei deboli, indegna della civilta' presente: ecco l'ideale della nuova unita' umana, oltre la quale e' dato vedere il miraggio della pace universale" (pp. 111-112).

La teoria esposta in quel libro era che il diritto moderava ormai la guerra e prometteva di condurre ad un sistema di pace. Era il 1903: dopo 11 anni scoppiava la prima guerra mondiale, ma dopo tre anni in Sudafrica Gandhi formulava il principio e il metodo satyagraha.

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Problema: viene prima, nell'avventura umana, la gestione dei naturali conflitti entro la rete dei rapporti vitali, oppure viene prima la rottura, cioe', in caso di conflitto grave, l'alternativa assoluta tra i diritti soggettivi, fino a toccare il diritto alla vita?

Evito di entrare nella questione ardua se la societa' umana sia passata dallo stato di natura (ammesso che questo sia il bellum omnium contra omnes) allo stato civile, oppure se dalla naturale convivenza degli umani, col sorgere di poteri organizzati, sia nato il fenomeno vero e proprio della guerra (che non e' solo il litigio, anche grave, tra due vicini di grotta, ma e' una violenza organizzata e istituzionalizzata).

Parliamo del fatto che, lungo la storia, l'umanita' ha tentato di dare regole alla guerra, ponendo alcune condizioni per la sua giustificazione (render giusto un atto ingiusto), e alcuni limiti al suo esercizio.

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Se il diritto in generale vuol dare regole ai comportamenti, regole che proteggano vite, beni e valori, e se a fine '800, il "principio fondamentale del diritto bellico moderno" consisteva nella "immunita' delle persone pacifiche e dei loro beni nel corso delle ostilita'", perche' la guerra e' tra stati e non tra le persone dei cittadini, ci chiediamo: e' riuscito questo diritto a regolare la guerra? La guerra ha, o accetta, regole diverse da quella della massima efficienza nell'imporre forza e volonta' di ciascuna parte sull'altra?

Alla domanda se il diritto abbia limitato la guerra, nella storia, possiamo rispondere si' e no.

Si', l'ha limitata. Sono stati dati dei limiti al dolore e alla mortalita' della guerra: dallo sterminio biblico e antico (ma oggi le armi di distruzione di massa sono armi di sterminio!) si e' passati alla vittoria statale-territoriale-politica, alle regole tra stati che avvicinano - o cercano di avvicinare - la guerra ad una procedura giudiziaria.

Le regole della battaglia sono come la legge mosaica del taglione (che voleva limitare la vendetta rendendola proporzionata, non piu' grave dell'offesa: occhio per occhio, e non due occhi per un occhio). Regola della battaglia e' uccidere e distruggere pensando di averne diritto, ma entro certi limiti...

No, il diritto non ha limitato la guerra. Le guerre statali e imperiali del '900, e le guerre successive, in gran parte sfuggite di mano agli stati sovrani, guerre potenziate dalla enorme crescita della distruttivita' massiccia - che si dilata nello spazio e nel tempo - degli armamenti, permettono ancora di dire che le regole hanno limitato la guerra?

Di fatto, storicamente, le regole non sono rispettate: la guerra e' incontenibile. Todorov, sulla recente guerra di Libia, ha scritto: "La guerra e' un mezzo tanto potente da far dimenticare il proprio obiettivo" ("La Repubblica", 23 marzo 2011). Tanto piu' la guerra dimentica i limiti legali che le vengano imposti. La guerra eccede per natura.

Infatti, la guerra vuole vincere (che significa legare, sopraffare, se non sterminare). Si lascia regolare-limitare? Bastano gli argini quando a monte si genera un'alluvione? "La guerra puo' essere vinta soltanto facendosi piu' crudeli del nemico", scriveva Gandhi agli inglesi il 7 luglio 1940 (in "Harijan", citato in Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi 1996, pp. 248-251); o almeno richiede di essere piu' efficienti nella crudelta'.

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Oggi la piu' corrente giustificazione della guerra statale o di coalizione e' il motivo umanitario, la "responsabilita' di difendere" i diritti delle popolazioni, tanto e' vero che si chiamano "missioni di pace". Ci furono gia' guerre chiamate missioni di civilizzazione. Ognuno giudichi quanto tale motivo sia sincero e non sia maschera di interessi imperial-economici. Comunque, appare ed e' presentato come una regola per l'uso delle armi da guerra, e neppure limitativa, quanto, in primo luogo, attiva: si deve intervenire e agire con efficacia.

Se chi fa queste guerre adottasse davvero come motivo e regola il diritto comune da ristabilire, e il diritto umano delle popolazioni e anche del nemico violento (tiranno, aggressore) da neutralizzare, da giudicare regolarmente, e non da uccidere appena preso, allora queste non sarebbero da condurre come guerre, ma come azioni di polizia legale e corretta.

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Differenza essenziale tra forza (polizia) e violenza (guerra)

Soffermiamoci un momento a richiamare la differenza non verbale tra polizia e guerra. Polizia significa ordine della citta', nella convivenza, non nell'alternativa "o noi o voi".

La polizia puo' e deve usare la forza strettamente necessaria, che non si puo' confondere con la violenza: la forza puo' essere anche nonviolenta, ed e' un modo di opporsi alla violenza, resistendole, senza imitarla e duplicarla.

Questa distinzione tra forza e violenza e' essenziale, non verbale, anche se possono vedersi zone sfumate e miste tra i due poli dell'una e dell'altra. La forza costruisce, la violenza distrugge. La forza (morale o fisica; forza personale o mediante uno strumento) e' una componente essenziale della vita: finita ogni forza e' finita la vita. La forza puo' anche essere usata per fare violenza, ma in se' non e' violenza, non viola, non offende, non distrugge. La violenza toglie forza. La forza resiste alla violenza. La violenza non e' forza, ma disperazione e debolezza, perche', non sapendo come gestire la differenza, distrugge il differente. La forza vitale ha diritto che non le si faccia violenza. La forza ha un diritto compatibile con altri diritti. La violenza ha solo la legge del fatto, non del diritto, che e' criterio superiore al fatto.

Ora, se il motivo della guerra e' davvero il diritto comune da ristabilire, e il diritto umano dei popoli e del nemico, allora la sua regola e' la costruzione di patti per gestire i conflitti. Allora non usa mezzi di grande distruzione e dominio, non e' guerra, ma polizia legale e corretta.

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La paura e la follia

Dallo sterminio antico alle armi di distruzione di massa (durante la guerra fredda fu persino considerato il costo prevedibile di molti milioni di morti), c'e' progresso effettivo delle regole, oppure della potenza sregolata? E' sperabile l'efficacia del contenimento, quando cresce la portata e le dimensioni dell'effetto che si vorrebbe riuscire a contenere?

Il contenimento del pericolo distruttivo verra' dalle regole? Cio' che e' permesso o vietato nei patti, come sara' anche veramente sanzionato, se il patto e' concluso tra enti "sovrani", cioe' tali che non riconoscono alcuna autorita' superiore? E se le regole sono fatte rispettare da una forza superiore (il "Terzo assente" di Bobbio), si avra' il rispetto delle regole o della forza superiore? Oppure, il contenimento della forza bellica verra' da un auto-contenimento degli attori, cioe' da regole morali-culturali, e anche dalla sana paura del pericolo?

E' stata la stessa pericolosita' estrema degli armamenti, col generare sana istintiva paura nei popoli, e in qualche responsabile di decisioni (Gorbaciov piu' di tutti), a farsi regola di limitazione, fino al non uso e alla riduzione, di quei mezzi di guerra totale. Un limite venuto dall'interno stesso della guerra, per l'eccesso del suo pericolo indiscriminato, piu' che per una regola data dalla ragione e dalla volonta'.

Ma la regola dettata dalla paura quanto ci rassicura? Quanto garantisce da un atto di follia, o dalla volonta' di dominio a qualunque costo?

La paura puo' spingere alla follia. La follia puo' essere frenata dalla paura. Chi prevarra' in questo tiro alla fune? E la volonta' di potenza, la piu' folle e fredda forma di follia, si lascera' frenare dalla paura?

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La guerra difende il diritto alla vita?

Se davvero difende la vita, la guerra e' consona al diritto, e' uno strumento del diritto, e non la sua antitesi. Cioe', se il "diritto bellico internazionale" non riesce a limitare davvero i "disastri della guerra", riesce almeno la guerra a difendere (nell'immediato, se non dopo) il diritto alla vita?

Se vale, almeno nell'immediato, la regola del gioco della guerra, "mors tua vita mea", allora la guerra non sarebbe antitesi, ma affermazione del mio diritto soggettivo alla vita?

Non lo escludiamo in assoluto, ma vogliamo vedere tutto. Se la tua morte e' la mia vita, può avvenire altrettanto che la mia morte sia la tua vita. Cosi', la morte tua in difesa della mia vita, e' anche potenzialmente la morte mia, se tu ne hai bisogno per difendere la vita tua. Difesa armata e repentaglio sono inseparabili.

Vita e morte sono esiti ugualmente possibili nella prova della guerra. La quale, allora, e' diritto di vita o diritto di morte? E' regola per la liberta' della vita, o regola che consente la liberta' della morte data, del dare la morte? Nella guerra si e' autorizzati ad uccidere per vivere, ma si puo', secondo le stesse regole, essere legalmente uccisi mentre si vuole vivere uccidendo. Dipende da chi uccide per primo, da chi uccide di piu'. Dipende dalla velocita' e potenza di una morte sull'altra.

In realta', non si confrontano due svolgimenti di vita, due realta' viventi, due forze di vita, ma due fattori e attori di morte. La figura tipica del soldato e' un uomo trasformato in arma, non un vivente che esplica vita, ma un autore di morte che produce morte, con tutti i mezzi e gli artifici dell'ingegno omicida. Si ferma solo se l'altro uccide di piu', oppure se si sottomette alla minaccia di morte. Con lo strumento arma puoi soltanto uccidere, o sottomettere con la minaccia. La vita salvata di chi esce incolume e vincitore e' un sottoprodotto della morte. La vittoria bellica puzza di morte. Certo, la guerra e' fatta di molte cose, pressioni, trattative, manovre, ma in definitiva e' gestione della morte.

E se l'obiettivo dichiarato, nelle guerre attuali a scopo umanitario, e' la distruzione non di vite umane, ma di obiettivi militari, cioe' il "disarmo" imposto a chi e' giudicato aggressore colpevole, peraltro si ammette abitualmente che i civili accidentalmente uccisi sono un "effetto collaterale", vittime innocenti non volute ma previste e ammesse come inevitabili.

Nella seconda guerra mondiale, nei bombardamenti a distesa sulle citta', anche di notte, compiuti dalla parte "giusta", i civili erano l'obiettivo diretto, strumento per togliere base e consenso ai governi della parte "ingiusta". Se c'era maggiore giustizia da una parte, e maggiore ingiustizia nell'altra parte di quel conflitto, quanta giustizia o ingiustizia era nei mezzi usati dalla parte giusta? Il fine giusto giustificava davvero quei mezzi? La giustizia era condannata all'ingiustizia?

Si puo' ancora dire oggi che nessuno seppe ne' pote' immaginare altri modi meno ingiusti di contrastare e disarcionare nazismo e fascismo? La guerra nazista davvero costrinse inevitabilmente alla guerra le democrazie? Quanta parte ebbe il ritardo e l'imprevidenza e la insufficienza delle democrazie nel condannarle all'uso della guerra? Farsi imporre la guerra perche' non si sa resistere in altro modo, e' gia' una sconfitta.

In realta' la guerra e' una ordalia, un giudizio di dio, dove questo dio al quale si affida la decisione di chi abbia diritto e chi abbia torto, e' soltanto la potenza e l'efficienza dell'apparato distruttivo e omicida. La guerra, anche quando risulta davvero l'ultima risorsa per la ragione, per il diritto a vivere con dignita', e' una rozza superstizione, una teologia tutta barbara. E' la dimissione dell'umano, consegnato ad un idolo casuale e capriccioso. Infatti e' stato detto che sarebbe piu' ragionevole tirare a sorte. Cosa c'entra il diritto, la ragione, con la guerra? Niente.

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Mors tua e' anche mors mea, non e' veramente vita mea. Non vince il diritto a vivere, se non per una breve apparenza.

Se la tua vita minaccia di morte la mia vita, cioe' il mio diritto a vivere, allora, nella corta logica di guerra, la soluzione sara' toglierti la vita, annullare il tuo diritto a vivere minacciando. Il presupposto ideologico e' che tu abbia perduto il diritto a vivere, perche' lo hai posto in alternativa incompatibile al mio uguale diritto.

Ma sara' davvero una soluzione basata sul mio diritto inviolabile, che tu hai minacciato, e basata sulla perdita del tuo diritto, perche' si e' fatto offensivo del mio uguale diritto? Oppure, invece di una soluzione di diritto, sara' una decisione del caso, della forza, della ricchezza, della velocita', della spregiudicatezza morale?

Sara' proprio cosi', perche' la guerra e' decisa non dal diritto, ma dalla forza materiale e dalla anomia morale. C'e' guerra dove non c'e' piu' diritto comune, cioe' compresenza e convivenza dei diritti individuali. Nell'affermare un diritto individuale contro l'altro, sulla base della forza, la guerra e' antitesi e negazione del diritto comune, della regola universale, cioe' della regola che, per essere semplicemente regola, deve valere ugualmente per tutte le parti, e non a favore del piu' forte.

Si legge nei Detti del profeta dell'Islam: Ho sentito dire all'inviato di Dio: "Quando due si affrontano armati di spada, l'ucciso e l'uccisore andranno all'inferno", Al-Ahnaf, figlio di Qays, domanda stupito: "Questo per l'uccisore, o inviato di Dio. Ma perche' anche per l'ucciso?". L'inviato di Dio: "Perche' bramava uccidere il suo compagno". (al-Buhari, Detti e fatti del profeta dell'Islam, Utet 2009, p. 89).

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C'e' un paradosso della guerra: come massima opposizione, e' un massimo legame. La guerra, come legge della forza e della morte, eletta a signora della vita, lega inseparabilmente il minaccioso e il minacciato, l'offensore e l'offeso, li confonde tra loro, trasforma l'uno nell'altro, non distingue piu' diritto e torto, non li separa bene, non afferma il diritto sul torto, come invece dichiara nella sua pretesa di giustificarsi. Anche quando davvero la ragione e' prevalente da una parte e il torto prevalente dall'altra, il loro confrontarsi nella guerra e' l'abbraccio mortale con cui il torto avvelena la ragione.

Nella guerra, la morte dell'uno non e' affatto detto che significhi la vita dell'altro, perche' questa vita, basandosi sulla morte altrui, si e' messa in un gioco di morte, ha accettato una regola di morte. Il vincitore vive dipendendo dalla morte altrui. Egli dipende da una forza casuale e precaria, non da un diritto sostanziale. Nello schema semplificato di uno contro uno, anche il forte dorme: in quel momento e' debole, ha bisogno di altri, di una guardia, e dipende dalla sua fedelta' e dalla sua forza. La forza del forte non lo assicura.

L'unica sicurezza e' il diritto di ciascuno a vivere, riconosciuto dall'altro. La sicurezza di ognuno e' nell'altro. Rapita dal terreno comune e impugnata da una parte, come forza propria, la sicurezza si autodistrugge. Il diritto sottratto alla condivisione uguale, diventa succube della legge del caso.

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L'unita' inestricabile dei nemici

Il duello mortale e' insieme omicidio e suicidio. Solo il caso, l'istante, la superiorita' materiale decidera' per ciascuno se e' omicidio o suicidio. Somiglia molto all'attentato sui-omicida del kamikaze, dove la propria morte e' l'arma per uccidere l'altro o gli altri. E' arma invincibile, ma mentre vince si distrugge: il sui-omicida fa a se stesso cio' che gli vorrebbe fare il nemico. Mentre uccide il nemico e' alleato del nemico, si fa nemico di se stesso. Come l'ape muore nel pungere. Pieno trionfo della morte contro la vita, della funzione sull'agente. La vittoria del vincitore e' la vittoria del nemico.

Cosi' il soldato, anche se uccide e vive, ha messo in gioco la propria morte per dare la morte all'altro. Scopriamo, al fondo della guerra, l'unita' inestricabile delle vite, proprio perche' la guerra pretende di essere la negazione di questa unita', e crede di affermare la vita qui, in me, negandola li', in te, che sei accusato di volerla negare in me. Unita' inestricabile delle vite, perche' ognuna delle due vite nello scontro totale, e' reciprocamente causa di morte e/o di vita per l'altra.

La guerra, nata dall'incapacita' di vivere insieme, dimostra per paradosso l'indissolubilita' delle vite. Col negare la con-vivenza, la guerra obbliga a con-vivere e con-morire.

Ernesto Balducci, nel 1981, scriveva sulle "tre verita' di Hiroshima". La prima verita': "Il genere umano ha un destino unico di vita e di morte" (La pace, realismo di un'utopia. Testi e documenti, Principato, 1985, p. 4). E' ormai anche una verita' ecologica ed economica. Col negare il diritto, col separare e opporre i diritti, la guerra dimostra - a contrario - che i diritti di ognuno, e di ogni parte dell'umanita', stanno solo insieme ai diritti altrui.

Come scrive Sergio Givone, a proposito di un impressionante omicidio razzista: "La nostra vita e' tutt'uno con la vita degli altri, in quanto e' necessariamente in rapporto con essa. Fuori di questo rapporto, che cosa resta? Certo la vita degli altri puo' darci fastidio, esserci d'intralcio, a volte risultare insopportabile. Ma cio' non toglie che solo rapportandomi con il mio prossimo (e mio prossimo e' chiunque io incontro sulla mia strada) mi sia dato di vivere (...). Piaccia o non piaccia la vita degli altri e' la condizione perche' ci sia anche la mia vita. ("Il Messaggero", 14 dicembre 2011).

(Parte prima - segue)

 

7. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Clarice Lispector, La passione secondo G. H., La Rosa, Torino 1982, Feltrinelli, Milano 1991, pp. IV + 164.

- Clarice Lispector, Legami familiari, Feltrinelli, Milano 1986, 1999, pp. 126.

- Clarice Lispector, L'ora della stella, Feltrinelli, Milano 1989, pp. 96.

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Riedizioni

- Jamaica Kincaid, In fondo al fiume, Adelphi, Milano 2011, Il sole 24 ore, Milano 2015, pp. 80, euro 0,50 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore").

 

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

9. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2017 del 17 giugno 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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