[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 711
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- Date: Mon, 15 Jun 2015 13:21:55 +0200 (CEST)
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)
Numero 711 del 15 giugno 2015
In questo numero:
1. Per Mario Onofri
2. Simone Scala: Il "caso Fofi" e il licenziamento di Renato Solmi
3. Il 17 giugno a Viterbo
1. LUTTI. PER MARIO ONOFRI
Il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo si unisce al lutto per la scomparsa di Mario Onofri, amico fraterno e valoroso compagno nelle necessarie lotte contro ogni violenza, nel necessario impegno di universale solidarieta'.
*
Anche nel ricordo di Mario proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
2. RICERCHE. SIMONE SCALA: IL "CASO FOFI" E IL LICENZIAMENTO DI RENATO SOLMI
[Il testo che segue riproduce l'ottavo paragrafo del primo capitolo del lavoro di Simone Scala, "Renato Solmi a confronto con Th. W. Adorno e M. Horkheimer. Storia intellettuale ed editoriale di una mediazione culturale", tesi di dottorato in Teoria e storia delle culture e letterature comparate, Universita' degli studi di Sassari, a.a. 2011-2012 (il testo integrale e' disponibile on line nel sito http://eprint.uniss.it).
Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale; e' stato impegnato nel Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta. E' deceduto il 25 marzo 2015. Dal risvolto di copertina del recente volume in cui sono raccolti taluni dei frutti maggiori del suo magistero riprendiamo la seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e' laureato in storia greca con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso un anno a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto Croce, ha lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi. A meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per seguire i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato da tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della militanza attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e nazionali. Ha collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il pensiero critico", "Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il manifesto", "L'Indice dei libri del mese" e altri). Fra le sue traduzioni - oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi, Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca, ivi, 1985), che sono in realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy Lukacs, Il significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane Hegel e i problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders, Essere o non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980); Seymour Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti (ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918 (Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo particolarmente la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007]
Con questo breve excursus abbiamo cercato di tracciare le principali prospettive che possono essere utili per inquadrare il lavoro editoriale e - piu' in generale - quello intellettuale di Renato Solmi rispetto a Walter Benjamin. Oltre all'importanza che la sua operazione ha avuto per il dibattito in Italia su questo autore, ci pare interessante notare anche che nel corso di tale lavoro emergono con una certa chiarezza le prove del progressivo distacco di Solmi da quello che in qualche modo era stato uno dei suoi maestri: Theodor W. Adorno. Vedremo meglio in seguito le dinamiche che portarono a questo allontanamento. Per il momento vogliamo tornare ad analizzare il periodo che sancisce un altro (anche se di diverso tipo) fondamentale distacco nella vita di Solmi: quello dalla casa editrice Einaudi.
Come abbiamo accennato precedentemente, l'occasione per il licenziamento di Renato Solmi (e di Raniero Panzieri) dalla casa editrice fu il cosiddetto "Caso Fofi". Vediamo ora piu' nel dettaglio di che cosa si e' trattato e quali conseguenze questo avvenimento ha avuto nel prosieguo della vita dello stesso Solmi. Il libro-inchiesta "L'immigrazione meridionale a Torino" venne commissionato a Goffredo Fofi su proposta di Panzieri per la collana "Nuova societa'" e accettato dal Consiglio editoriale nella riunione dell'8 marzo 1961 (257). L'idea centrale dell'opera verteva su uno studio che avesse l'obiettivo di analizzare la situazione sociale e le contraddizioni economiche e politiche createsi in seguito all'arrivo a Torino della massa di manodopera operaia proveniente dal sud Italia e impiegata nelle fabbriche cittadine. Da un punto di vista strettamente editoriale, il libro di Fofi costitui' - secondo la definizione di Luca Baranelli, testimone diretto di tutta la vicenda - sia un "caso straordinario di editing collettivo", sia "un episodio di censura e di autocensura" (258). Il libro fu terminato dall'autore due anni piu' tardi. Nel verbale del Consiglio editoriale dell'8 maggio 1963, infatti, venne riportato il seguente intervento di Panzieri: "Fofi ha consegnato il suo libro sull'Immigrazione a Torino, circa 400 pagine, pieno di dati, molto serio, e scritto anche con vivacita [...]" (259). A questo punto - considerato che la collana "Nuova societa'" era stata nel frattempo chiusa e Panzieri aveva cambiato la sua condizione interna da redattore a consulente - il testo passo' nelle mani di Solmi (che coinvolse anche Baranelli) per le consuete operazioni preliminari alla stampa (ad esempio era ancora da stabilire esattamente in quale collana inserirlo): "Lavoravo da circa un anno con Renato Solmi nella redazione Einaudi quando, nella primavera del '63, venni da lui incaricato di seguire la lavorazione del libro. Ho conservato copia di una 'Scheda accompagnamento manoscritto', da cui risulta che il testo originale di Fofi fu da me passato all'Ufficio tecnico il 22 giugno 1963 per i 'Saggi' o i 'Libri bianchi'. [...] Avro' forse tolto qualche aggettivo e aggiustato qualche frase; ma non mi turbarono gli attacchi, sempre espliciti e spesso assai duri, che Fofi indirizzava alla Fiat, alla 'Stampa', ai benpensanti dello 'Specchio dei tempi', ai partiti e al sindacato della sinistra. Certamente, quando in settembre arrivarono le prime bozze, ne parlai con Solmi, che le lesse e - conoscendo i suoi polli - ritenne di dover lealmente informare Giulio Einaudi circa il loro contenuto" (260). Solmi, quindi, precauzionalmente informo' Einaudi che alcuni passaggi avrebbero potuto far sorgere dei problemi o comunque avere delle conseguenze spiacevoli soprattutto dal punto di vista legale (261), pur rimanendo convinto - tuttavia - che il libro andasse pubblicato senza interventi censori, ma semmai solo con miglioramenti concordati con l'autore. Il 3 ottobre lo stesso Giulio Einaudi scrisse a Fofi (che allora si trovava a Parigi) per informarlo che, pur rimanendo ancora intenzionato a pubblicare il suo libro, sarebbe stato secondo lui necessario intervenire redazionalmente per, se non eliminare del tutto, almeno attenuare gli attacchi diretti "a persone enti e societa', sovratutto quando questi sono ovvii, o quando la citazione esemplificativa puo' essere altrettanto bene attribuita a una categoria di persone, o a una categoria imprenditoriale, o a una organizzazione operaia determinata, anziche' al signor X, alla societa' Y, al sindacalista Z. Nel caso del suo libro in particolare, questa revisione e' indispensabile ai fini della pubblicazione del libro, e questo non tanto per eventuali procedimenti legali, sui quali potrei anche passare oltre, quanto per l'impossibilita' in cui mi trovo di erigermi in un certo modo con lei a censore di istituzioni e di societa' e persone con le quali mi trovo quotidianamente a contatto, alle quali sono legato talvolta da rapporti di collaborazione di lavoro [...]" (262).
Quindi il lavoro di revisione e di correzione dei passaggi piu' delicati venne intrapreso da Solmi con l'obiettivo finale di non stravolgere ne' snaturare il libro di Fofi e le sue finalita' di critica e di polemica politica. Anche di questa operazione e' testimone diretto il collaboratore e amico di Solmi Baranelli, il quale ne fornisce una meticolosa ricostruzione: "Anche se tutti, dall'autore ai redattori, avevano capito l'antifona, ci si mise al lavoro con impegno per rivedere, tagliare e migliorare il testo. In questa fase, oltre a Fofi, il contributo piu' rilevante lo dette Solmi, convinto sostenitore della necessita politico-culturale di pubblicare il libro senza alterarne l'impostazione di fondo, e per questo disponibilissimo a prendere in parola Einaudi circa l'emendabilita' del testo. Prima o poi il libro sarebbe stato discusso nel consiglio editoriale della casa editrice [...]: in vista della discussione, erano stati incollati, copertinati e distribuiti piu' di venti giri di bozze, affinche' tutti i partecipanti a quelle riunioni potessero leggerle segnalando modifiche e tagli. Anche altri redattori e consulenti poterono in tal modo collaborare alla revisione: ricordo in particolare, per il puntiglio e la precisione dei suoi rilievi, lo storico dell'arte Enrico Castelnuovo" (263). In questo senso, quindi, va inteso l'editing collettivo che viene intrapreso per migliorare "L'immigrazione meridionale a Torino", ma che - da un punto di vista piu' generale e inerente i meccanismi interni della casa editrice - puo' essere letta anche come un'operazione atta a ristabilire la centralita' del Consiglio editoriale quale luogo di approfondimento, di discussione e di mediazione tra le diverse anime della casa editrice (che, come abbiamo indicato, stanno andando sempre piu' a definirsi sostanzialmente in due posizioni contrapposte).
Per Einaudi, pero', questo lavoro di revisione non fu ancora sufficiente ed infatti scrisse nuovamente a Fofi informandolo che, nonostante l'evidente miglioramento del testo, "una lettura piu' approfondita lo aveva convinto che il libro soffriva di una debolezza strutturale. [...] Suggeriva percio' una revisione piu' radicale, 'per dare una piu' solida struttura alla trattazione, che ora risente di una certa gracilita' problematica, e per metterne meglio a fuoco anche la forma espositiva'" (264). Si tratta chiaramente della richiesta di rifare quasi completamente il libro o per lo meno di rielaborarlo radicalmente rinviandone a data da stabilirsi la pubblicazione e di conseguenza facendogli perdere quell'interesse del tutto legato alla presente fase economico-politica, all'attualita'. E fu proprio questa la principale obiezione di Fofi nella sua risposta ad Einaudi. L'autore tuttavia si rimise allo stesso Einaudi, a Solmi e a Panzieri per ogni ulteriore decisione (265).
Con questa sintetica ricostruzione siamo giunti, quindi, al 13 novembre 1963 - ovvero il mercoledi' in cui si riuni' il primo Consiglio editoriale interamente dedicato alla discussione sul libro di Fofi. A questa riunione (come anche a quella successiva del 27 novembre) parteciparono anche Solmi e Panzieri, sebbene - in base ancora alla testimonianza di Baranelli - "le due lettere di licenziamento di Einaudi a Raniero fossero del 23 ottobre e del 6 novembre, e quella a Renato della prima settimana di novembre, essi vollero rivendicare con la partecipazione alle riunioni un diritto-dovere culturale, anche se era stato unilateralmente reciso il loro rapporto economico con la casa editrice. (Tale era soprattutto la posizione di Solmi che, almeno nell'immediatezza del proprio licenziamento, aveva addirittura pensato che i due provvedimenti dovessero, e potessero, essere ritirati)" (266). Un'ulteriore prova del fatto che il licenziamento non fosse un'eventualita' ipotetica, ma che fosse gia' stato deciso e ufficializzato e' la lettera piuttosto amareggiata che Bobbio scrisse l'8 novembre a Giulio Einaudi: "Ho appreso che il caso Fofi e' stato l'occasione per il licenziamento di due collaboratori della casa editrice, Panzieri e Solmi, per i quali da tempo ho stima e amicizia. Per quanto non conosca esattamente le ragioni ultime che ti hanno indotto a questa decisione, non riesco a capacitarmi che un passo cosi' grave fosse davvero necessario. Un consiglio di venti persone, ciascuno con la propria testa e magari con le proprie posizioni, non puo' essere un gruppo monolitico. La discussione e' necessaria al nostro lavoro come l'aria per respirare. E con la discussione il dissenso. Anche se mi sono trovato spesso dalla parte di coloro che non condividono le proposte dei due collaboratori licenziati, penso che sarebbe stato possibile superare anche questa crisi, con fermezza, si', ma senza giungere improvvisamente a soluzioni cosi' drastiche. Abbiamo superato insieme la montagna di difficolta' dell'era staliniana. Mi sembra strano che non si possa superare la collinetta dell'era del centrosinistra" (267). Si comprende facilmente come anche questa decisione della direzione (oltre al fatto che con ogni probabilita' della questione si era gia' discusso entro una cerchia ristretta anche al di fuori di luoghi istituzionali) non contribui' di certo a rendere disteso il clima in cui si svolse la discussione, ma anzi fece si' che la riunione si tenesse in un'atmosfera assai tesa. Ed in effetti non mancarono scontri molto duri e polemici sia perche' gli attacchi portati al libro furono talvolta piuttosto violenti, sia perche' dietro tali critiche si potevano facilmente intuire problemi inerenti tanto le future forme organizzative interne, quanto i rapporti esterni della stessa casa editrice. Cosi' Solmi sollevo' fin da subito una pregiudiziale in merito al ruolo effettivo che secondo lui avrebbe dovuto avere il Consiglio e al suo rapporto con la direzione, ossia egli non poteva accettare che il primo organismo fosse subordinato al secondo per quanto riguardava la decisione finale di pubblicazione. Se cosi' fosse stato, infatti, il Consiglio editoriale sarebbe stato - secondo Solmi - snaturato e privato della sua funzione. Oltre a tale obiezione di livello piu' complessivo, egli avrebbe voluto inoltre che si fosse parlato "esplicitamente delle ragioni di ordine politico ed economico generale che hanno messo in forse la pubblicazione stessa" (268). Una volta riassunta da parte di Panzieri e di Bollati la cronistoria del manoscritto, si passo' alla discussione vera e propria, durante la quale non mancarono toni accesi e attacchi personali (ad esempio, quando Calvino sostenne che secondo Fofi "le masse vanno a Roma attratte dalle raccomandazioni e dai provini", Solmi gli rispose: "Scusa, tu perche' ci vai?" (269)). La decisione finale che espresse il volere della maggioranza fu quella di costituire una commissione composta da tre membri del Consiglio (Einaudi, Bobbio e Solmi) che tentasse un'ulteriore revisione del testo (piu' o meno approfondita) per renderlo pubblicabile e che lo facesse tenendo comunque conto delle osservazioni che emersero dalla riunione stessa (gli unici a non condividere questa risoluzione furono Calvino e Davico che giudicarono il libro non pubblicabile a prescindere da ogni correzione). Rispetto a quest'ultima decisione, ci pare interessante notare che Solmi fece parte del terzetto incaricato di intervenire sul libro - in qualita di "difensore" di Fofi e della versione piu' vicina possibile all'originale - nonostante fosse gia' stato di fatto allontanato dalla casa editrice. Infine, prima che la riunione si concludesse, Solmi torno' su quello che per lui era il punto sostanziale di tutta la vicenda, ossia sui veri motivi che hanno portato alla bocciatura del libro: "Questo libro sarebbe uscito senza obiezioni se non costituisse un duro colpo portato alla Fiat. Il motivo determinante della sua non pubblicazione e' che non si vuole pubblicarlo per ragioni politiche ed economiche precise, di cui tutti qui sono a conoscenza. [...] Quanto alla questione della revisione, la parole spetta a Fofi. Io penso che Fofi si rifiutera' di tagliare quelle parti che contengono i motivi per cui non viene pubblicato il libro. Il Consiglio ha finto di non vedere il punto della questione" (270).
La riunione prevista per la settimana successiva (20 novembre) non ebbe luogo per non meglio chiarite "ragioni tecniche" (271), mentre quella del 27 novembre si apri' con la lettura di un parere scritto che era stato a lungo atteso: quello di Delio Cantimori. Lo storico, tenuto in gran considerazione da Einaudi e - lo abbiamo gia' visto - da sempre tra i principali avversari dell'idea di casa editrice portata avanti da Solmi, stronco' senza nessuna possibilita' di appello il libro in oggetto in maniera - come notarono alcuni partecipanti all'incontro - addirittura eccessiva rispetto alla reale portata della discussione. A considerazioni relative all'opportunita' e alla fondatezza politica di questo libro, si affiancarono, nel suo intervento, critiche metodologiche (rispetto alle modalita' con cui Fofi avrebbe condotto la sua indagine) e stilistiche. Tra l'altro, Cantimori scrive: "Ma certo rimane un disagio assai spiacevole, dopo la lettura del libro: era necessaria tanta confusione e tanta sciattezza nella costruzione del libro per infilare, sotto la violenza verbale, i luoghi comuni antiFiat e anti'Stampa', la propria teoria? Insomma, e' un libro molto pasticciato, imbrogliato, poco chiaro, che non consiglierei di pubblicare in nessun modo. [...] Qui lo spiacevole non sta nel brutto, ne' nel mal costruito, e neppure nella tesi e nella mia opinione sulla tesi: sta nell'equivoco fondamentale, nell'uso (forse non consapevole) di certi mezzi indiretti per proporre la propria tesi, che fa pensare a fini che, chissa' perche, non si vogliano apertamente dichiarare, ma forse e' solo documento di confusione mentale derivata da generosa passione [...] e da indignazione forse un tantino professionale, pedagogica. [...] Se doveste decidere per la pubblicazione bisognerebbe pubblicarlo per intero, perche' noi non riconosciamo il principio della censura. Ma io, per me, dovrei dissociarmi pubblicamente dalla responsabilita' di un simile libro" (272).
Una volta letta l'opinione di Cantimori, si riprese con la discussione all'ordine del giorno. Bobbio informo' gli altri partecipanti che il Comitato incaricato non era stato in grado di giungere ad una sintesi unitaria tra le diverse proposte di modifiche al testo avanzate. In seguito ai vari interventi dei partecipanti che riaffermarono nella sostanza l'inconciliabilita' delle posizioni espresse nella riunione precedente (273), prese la parola ancora una volta Solmi (si tratta in effetti dell'ultimo suo intervento registrato in un verbale Einaudi) per ribadire quello che secondo lui e' stato l'aspetto piu' grave della vicenda, almeno dal punto di vista del futuro della casa editrice, ovvero che il Consiglio editoriale e' stato messo in secondo piano rispetto alle decisioni definitive sui libri e, quindi, relegato ad un ruolo esclusivamente consultivo (non a caso, proprio a partire dalla riunione successiva venne elaborato un documento che ufficializzava i compiti del Consiglio stesso e le regole a cui doveva attenersi). Dopo di che ebbe luogo la votazione per decidere la sorte del libro. La scelta poteva essere fatta tra una delle due seguenti opzioni: "mozione 1" o "revisione del libro" (soluzione "massima") e "mozione 2" o "ritocchi minimi al libro" (soluzione "minima"). Ecco le parole di Baranelli che testimoniano quanto avvenne: "la grande maggioranza dei presenti si pronuncio' per votare. Einaudi preciso' che, nel caso di un voto del consiglio favorevole alla pubblicazione, egli avrebbe dovuto sospendere la decisione per qualche giorno al fine di stabilire se la casa editrice potesse procedere o no alla stampa, tenendo conto delle eventuali conseguenze. Solmi - che, al pari di Panzieri, partecipava per l'ultima volta a una riunione del Consiglio editoriale - contesto' a Einaudi il diritto di decidere al di fuori di esso. Ma questa eventualita' non si verifico'. Il consiglio approvo' infatti la 'mozione 1' con i voti di Einaudi, Bobbio, Bollati, Venturi, Calvino, Serini, Ponchiroli, Vivanti, Fonzi e Davico; per la 'mozione 2' votarono Solmi, Panzieri, Mila, Strada, Castelnuovo, Caprioglio, Migliardi e Baranelli" (274). L'approvazione della mozione che prevedeva la revisione radicale del libro stava a significare nella sostanza il rifiuto di pubblicarlo, dato che era chiaro a tutti che Fofi non avrebbe mai acconsentito a rimaneggiare ulteriormente il suo lavoro (che sarebbe poi stato pubblicato un anno dopo da Feltrinelli senza nessun tipo di intervento correttivo). Da un punto di vista piu' generale, inoltre, e' bene sottolineare che l'introduzione della prassi della votazione significava in effetti un cambiamento importante nel ruolo del Consiglio editoriale, in quanto - come sostiene Mangoni nel suo libro - "votare significava il venir meno della capacita' di mediazione e di autoregolazione che normalmente contraddistinguevano il Consiglio editoriale" (275).
In ultima istanza, dunque, il voto stava ad indicare la presa d'atto dell'ormai inevitabile cambiamento cui andava incontro la casa editrice sempre piu' inserita nei meccanismi e legata alle necessita' dell'industria culturale, mentre fino a quel momento Giulio Einaudi aveva cercato di far convivere e di mediare (come abbiamo visto testimoniato anche dalla lettera di Bobbio citata in precedenza) tra le diverse tendenze interne in funzione unicamente di un arricchimento continuo dell'offerta culturale. Tuttavia, al di la' delle considerazioni relative ai cambiamenti nella politica editoriale e nel governo della casa editrice, con la conclusione della seduta del Consiglio venne posto fine, dopo circa dodici anni, anche al rapporto lavorativo tra Renato Solmi e l'Einaudi.
Considerate le circostanze e l'atmosfera che hanno caratterizzato le ultime settimane all'interno di una casa editrice spaccata su due fronti, non stupisce che il licenziamento in tronco di Solmi e Panzieri sia stato motivo di ulteriori discussioni e polemiche tra i membri dell'Einaudi stessa. Ad esempio, il 2 dicembre Bollati (tra i piu' convinti oppositori al libro di Fofi e che - come abbiamo visto - si era gia' pronunciato contro Solmi) scrive a Cases: "[...] In pratica si e' finito per votare la fiducia a E. [Einaudi] o a S. [Solmi]; o, altrimenti detto, l'adesione a questa o a quella concezione della politica editoriale nel momento attuale (come Solmi del resto richiedeva fin da principio). L'errore di S. e' stato di porre l'alternativa sulla base di un libro per lo meno discutibile; e di porla in termini drastici, di 'rottura', senza lasciare a E. alcuna possibilita' di accogliere 'dialetticamente' la parte di verita' contenuta nella sua posizione. La rigidezza e intransigenza con cui S. ha condotto la sua battaglia si sono manifestate numerose volte nel corso di queste giornate tormentate. E sono culminate, dopo la votazione che lo ha visto perdente, in una sua dichiarazione clamorosa di separazione e di condanna. Per il momento, dunque, la 'rottura' c'e' stata e sembra irrimediabile. Ti risparmio i commenti, che non sarebbero lieti. Disagio e malessere per cio' che e' avvenuto si accompagnano ora alla preoccupazione e al desiderio di sbloccare la situazione editoriale, cristallizzata da troppo tempo su due posizioni antitetiche (quasi due case editrici in una, con momenti di coesistenza e altri di tensione ostile)" (276). Queste parole esplicitano e avvalorano la vera portata e il vero significato della votazione del 27 novembre, oltreche' il ruolo che Solmi aveva assunto all'interno della casa. La risposta di Cases porta la data del 6 dicembre. Il germanista, dopo aver sostenuto che anche secondo la sua opinione la responsabilita' principale della bocciatura del libro di Fofi e' principalmente di Solmi, chiarisce che "per quanto riguarda la rottura con lo stesso Solmi credo che non ci fosse niente da fare e che forse possa essere proficua anche per lui se ne sapra' trarre giovamento. Nessuno di noi si identifica completamente con la casa editrice [...]. Invece Solmi si identifica completamente con la casa editrice proprio mentre le sue posizioni diventavano sempre piu' intransigenti e inconciliabili con una qualsiasi politica editoriale. Se riuscisse ora a integrarsi politicamente e ideologicamente in altri sistemi di relazioni, potrebbe tornare alla casa editrice senza immaginare che questa debba essere solo e necessariamente l'interprete delle sue idee. E un po' di vita attiva gli farebbe bene anche per capire che avere ragione non basta se non si riesce a persuadere il prossimo" (277). Tuttavia, se dal punto di vista della politica editoriale e del governo di via Biancamano l'allontanamento di Solmi (e di Panzieri) poteva forse rappresentare una soluzione dolorosa ma comunque accettabile per la casa editrice in un momento in cui cercare di restare in equilibrio tra ideologia e realpolitik aziendale sembrava quanto mai necessario, dal punto di vista del "mestiere" all'interno della redazione e' stata certamente molto grave la perdita di un collaboratore "della statura di Cesare Pavese" (278), esperto, maturo e molto preparato qual era diventato negli ultimi anni Renato Solmi. Cio' vale, in modo particolare, per quanto riguarda la pubblicazione di progetti specifici per i quali egli era diventato in qualche modo il principale referente, come accadde - tra l'altro - per cio' che concerne l'edizione delle opere di Adorno ancora in sospeso. Lo dimostrano, ancora una volta, le parole di Cesare Cases in una lettera a Davico Bonino del 9 dicembre 1963: "la tua lettera, piu' che nello sconforto, come tu prevedi, mi getta nella tristezza, perche' penso che senza Solmi non c'e' piu' nessuno che se n'intenda di queste cose e che io non lo posso surrogare. Bisognerebbe mantenere buoni rapporti con lui in modo che possa se non altro portare a buon fine le imprese che erano nelle sue mani" (279). Rispetto a questo stesso aspetto e in merito al danno intrinseco che - secondo la sua stessa opinione - si determino' per la casa editrice a causa del suo licenziamento, e' Renato Solmi a darcene una testimonianza diretta: "Se negli anni precedenti, e soprattutto nel periodo 1952-1956, gli amici e i dirigenti della casa editrice avevano spesso avuto occasione di mostrarsi generosi, indulgenti e comprensivi nei miei confronti [...], l'atteggiamento di cui essi hanno dato prova verso di me (e prima ancora, naturalmente, verso Raniero) nell'autunno del 1963 e' stato, a ben vedere, non solo ingiusto, ma anche incomprensivo e poco lungimirante (e questa scarsa consapevolezza dei motivi che li inducevano ad agire in quel modo e delle conseguenze che avrebbero potuto derivare dalle loro scelte si manifestava chiaramente, in quei giorni, anche nelle oscillazioni e nelle incongruenze della loro condotta), poiche' li ha privati della possibilita' di servirsi, per limitarmi a parlare del mio caso, di una risorsa gia' sufficientemente collaudata e sperimentata che avrebbe potuto risultare preziosa, ai loro fini, anche nel corso degli anni avvenire (e forse gia' nell'immediato futuro)" (280).
A conferma, poi, dei reali motivi che portarono al rifiuto del libro di Fofi e al licenziamento di Solmi e Panzieri (abbiamo appena osservato quanto questi due eventi fossero strettamente connessi, e lo furono in una doppia direzione: da un lato, fu la discussione generatasi attorno al libro a far emergere la radicalizzazione delle reciproche posizioni; dall'altro, si era ormai giunti al momento in cui lo scontro tra le "due case editrici in una" non era piu' rimandabile e quindi l'inchiesta sull'immigrazione e' stata in qualche modo sacrificata perche' rappresentava pienamente la posizione di Solmi), scrive ancora Baranelli che "Cases ricorda come Einaudi gli avesse confidato che la casa editrice non poteva permettersi il lusso di perdere la benevolenza della 'Stampa' e le vendite indotte dalle sue recensioni" (281). Infatti, accanto agli attacchi ai sindacati e ai partiti operai, cio' che maggiormente causo' la reazione degli avversari del libro di Fofi fu appunto la critica profonda che l'autore fece alla Fiat e al modo in cui questa azienda teneva di fatto sotto controllo Torino anche grazie al suo giornale (ne ha dato testimonianza anche Mila, intellettuale certamente non collocabile tra le fila dell'ultrasinistra, nel suo intervento alla riunione del 27 novembre). Come scrive lo studioso Mazzoleni: "Sembra che la critica indirizzata alla Fiat, sia il fatto che piu' contribuisce a spiegare la decisione finale. E' ipotizzabile che in caso di eventuale pubblicazione, il rapporto di 'buon vicinato', di convivenza aconflittuale assunto dall'editore nella citta' della Fiat, potesse essere rimesso in discussione. Da qui il rischio di perdere il necessario sostegno degli istituti finanziari, pur non direttamente controllati dall'azienda automobilistica, subire ritorsioni legali, oppure attacchi polemici da parte de 'La Stampa'" (282).
Nel gia' citato libro in cui Giulio Einaudi si lascia intervistare da Severino Cesari, anche l'editore torinese non puo' esimersi dal ricordare questo episodio, abbondantemente riconosciuto come uno dei momenti piu' significativi nella storia della casa editrice. Nel farlo, pero', non approfondisce quelle che - come abbiamo indicato - sono da piu' parti annoverate tra le reali cause che hanno portato alla rottura, cioe' quei legami di dipendenza che andavano sempre piu' stringendosi con la Fiat. Piuttosto, oltreche' su quelli di matrice eminentemente culturale, egli si sofferma sugli aspetti politici ed ideologici che hanno determinato questa vicenda: "L'incontro dell'anima 'liberaldemocratica' e del marxismo nella 'crisi Fofi', chiamiamola cosi', non c'entrava nulla. Era proprio una discussione all'interno della sinistra: due anime, una che voleva praticamente essere quella di governo, gestire la cultura; e l'altra - la sinistra cui faceva capo Panzieri - che voleva rompere tutto perche' trovava che gestire il governo della cultura significasse opportunismo, riformismo, trasformismo. Anch'io mi sentivo imbalsamato tra quelli di governo. Non riuscivo a modificare la rotta. [...] Nel '63 non sono riuscito a sanare il contrasto tra Bollati e Panzieri, e ho lasciato andar via Solmi e licenziare Panzieri col pretesto, figurati, che usavano la casa editrice come strumento per una battaglia ideologico-politica. Come se di battaglie non avremmo sempre dovuto nutrirci [...]" (283). Al di la' che dalle sue parole parrebbe quasi che Solmi non solo non abbia avuto un ruolo decisivo in quei frangenti, ma addirittura che non sia stato licenziato, bensi' che abbia lasciato la casa editrice di sua volonta' (seppure spinto dagli eventi), la ricostruzione di Einaudi conferma la tesi espressa da Bollati delle "due case editrici in una". Nondimeno, ripensando anche a quanto ha scritto Bobbio all'inizio di novembre, le ragioni addotte da Einaudi (per quanto sicuramente ebbero un peso importante) non paiono del tutto convincenti a giustificare l'esito irreversibile della vicenda. Infatti, esse non tengono conto del profondo legame che spesso Solmi aveva dimostrato per la casa editrice (e per alcuni suoi colleghi in modo particolare, come dimostrano le lettere scritte durante la permanenza a Francoforte), e quindi - pur facendo salva la visione di Solmi della casa editrice quale strumento di trasformazione collettiva e di resistenza culturale e le sue "posizioni intransigenti" - e' piuttosto difficile credere che nella sua prospettiva fosse assolutamente esclusa ogni possibilita' di mediazione. Se in quell'occasione vi fu qualcuno che dimostro' la propria rigidita', fu proprio chi decise infine per il licenziamento dei due collaboratori. Del resto, lo riconosce Einaudi stesso che, almeno fino a quel momento, la discussione politico-ideologica era stata un aspetto in qualche modo costituente della casa editrice e che, per quanto aspri gli scontri fossero stati, c'era sempre stata la volonta' esplicita di ricomporli - come dimostrano, tra l'altro, numerosi esempi fin qui presi in esame. In questo senso, poi, non va dimenticato che questo episodio ebbe conseguenze importanti per l'organizzazione della casa editrice nel suo complesso e quindi a prescindere dal rapporto con i singoli: "Non mi vergogno di rivendicare all'editore una visione dei problemi generale, che comprende anche la necessita' di valutare le conseguenze della pubblicazione di un libro. Ma e' ovvio che questo non e' un motivo sufficiente per esercitare la censura. Io ho semplicemente sposato una delle due parti. Perche' era uno scontro tra due posizioni entrambe con una dignita', anche se la discussione in quei giorni non sempre e' stata corretta, nei toni almeno. Nella polemica, gli uni diventano avventuristi, gli altri conservatori. E li' si e' giocata l'immagine della Einaudi negli anni successivi" (284).
Anche lo stesso Solmi ci da' testimonianza di queste vicende che l'hanno riguardato tanto da vicino nel suo saggio gia' ricordato "I miei anni all'Einaudi". Nelle pagine di quel testo l'autore, basandosi su quanto sostiene Mazzoleni in un suo scritto del 1994 (285), ribadisce che i veri motivi della crisi e della sua soluzione finale risiedevano non in problemi di ambito ideologico/editoriale, ma molto piu' concretamente nelle possibili reazioni della Fiat e delle istituzioni ad essa collegata (principalmente le banche e altre eventuali fonti di finanziamento). Inoltre, nel riconfermare quanto egli si sentisse parte integrante della casa editrice, sostiene che per quanto lo riguarda (ma molto probabilmente anche per quanto riguarda Panzieri), se la direzione avesse apertamente e in modo trasparente presentato le cose nei termini reali in cui si trovavano, avrebbe acconsentito a non pubblicare il libro pregando l'autore di rivolgersi ad un altro editore meno condizionato dal contesto torinese: "Cio' che non poteva fare a meno di suscitare l'indignazione dell'autore e dei curatori interni dell'opera fu il modo obliquo e indiretto in cui gli avversari della pubblicazione di essa procedettero in questa occasione, rivolgendo al libro di Fofi una serie di obbiezioni di carattere stilistico e formale, ma anche strutturale e contenutistico, che erano di per se', a nostro avviso, completamente infondate, e che cercavano di giustificare e di suffragare, sul piano propriamente editoriale, un atteggiamento che era dovuto, in realta', a preoccupazioni o considerazioni completamente diverse, e magari in gran parte legittime, ma che avrebbero dovute essere espresse apertamente e tenute nettamente distinte dalla valutazione dei meriti e dei demeriti del libro" (286). A distanza di piu' di trentacinque anni, dunque, Solmi appare ancora convinto come lo fu allora della qualita' del libro, della novita' (anche da un punto di vista metodologico) che esso costituiva, e - soprattutto - che le motivazioni della sua bocciatura prescindevano da un'obiettiva valutazione del libro stesso. Tanto che, secondo la sua opinione diretta, nonostante l'esito concreto della vicenda, essa si risolse con una "'vittoria morale' della parte soccombente" data dalla "superiore qualita' degli argomenti addotti" che permise "di mettere sempre di nuovo allo scoperto, e di ferire, cosi' facendo, nel modo piu' sensibile, la 'falsa coscienza' di cui la parte opposta si dimostra, almeno per il momento, prigioniera e in cui continua ad avvolgersi con effetti controproducenti" (287). Invece, in merito al licenziamento, cio' che sembra amareggiare in modo particolare Solmi - al di la' delle comprensibili difficolta' economiche cui poteva andare incontro - e' che esso giunse nel momento in cui aveva raggiunto un livello elevato di sicurezza e consapevolezza sia del proprio lavoro, sia del ruolo in qualche modo di guida che svolgeva nei confronti di un certo numero di collaboratori (in primo luogo tra i piu' giovani) rispetto al conseguimento di obbiettivi comuni e a lungo termine. E cio' soprattutto dopo aver elaborato e superato anche da un punto di vista psicologico e soggettivo le crisi personali che lo avevano colpito durante la sua permanenza nella casa editrice. Proprio in questo momento, dunque, giunse come una sorpresa "la lettera di licenziamento stilata con mano incerta e con scrittura approssimativa da Giulio Einaudi" (288). Egli stesso, pero', riconosce che vi furono anche motivi del suo allontanamento riconducibili alla sua integrazione (mai del tutto completa) all'interno dell'azienda, non tanto per quanto riguarda i rapporti con gli altri redattori, quanto per quello con la struttura aziendale nel suo complesso: "A quanto mi e' stato detto, la decisione di allontanarmi e' stata discussa in una riunione di capisettore, e cioe' della vera struttura di comando e di gestione della casa editrice (redazione, amministrazione, ufficio tecnico, ufficio commerciale), ed e' stata giustificata con la motivazione che mi ero espresso in termini offensivi nei confronti di altri membri della casa, a cui ero legato da stretti rapporti di amicizia e da obblighi indiscutibili di riconoscenza" (289). Certamente i toni duri, polemici e che talvolta andarono anche al di la' della reciproca correttezza ci furono ed in parte sono documentati dai verbali delle riunioni e dalle testimonianze di chi visse quei giorni concitati. Tuttavia e' chiaro che essi vadano contestualizzati rispetto appunto alla grande tensione che si raggiunse durante la discussione, alla situazione poco trasparente in cui essa venne condotta (almeno da una parte) e, ci pare, al clima di scontro definitivo causato anche dalla quasi certezza che le decisioni fossero ormai state prese. Insomma, per quanto Solmi si sentisse coinvolto nelle dinamiche interne dell'Einaudi, tanto egli quanto Panzieri esercitavano sulla direzione complessiva (in primo luogo politica) della casa editrice una critica costante, non solo teorica ma anche con conseguenze pratiche/organizzative che non erano riducibili entro una sintesi o un equilibrio generale in quella fase di boom economico e di rapida affermazione delle regole dettate dal capitalismo e dall'industria culturale ad esso subordinata.
Infine, e' piuttosto difficile (se non del tutto impossibile) stabilire quale contributo Solmi avrebbe potuto dare alla casa editrice e - piu' in generale - alla cultura italiana se avesse continuato in modo continuativo e non occasionale (come poi di fatto avvenne) il proprio lavoro in via Biancamano (pensando ad esempio al fiorire da li' a pochi anni del movimento studentesco e del Sessantotto). Infatti, seppur le priorita' (sia del pensiero che dell'attivita') di Solmi non vennero del tutto disperse perche' continuate da altri collaboratori dell'Einaudi (in questo senso va ricordato certamente Luca Baranelli che curo' la collana "Serie politica"), esse si indebolirono notevolmente e persero quella spinta coerente, propositiva e in qualche modo rivoluzionaria che avevano avuto fino a quel periodo. In tal senso vogliamo concludere questo capitolo dedicato alla sua vita fino alla conclusione del "periodo einaudiano" (probabilmente quello che - nella nostra prospettiva - e' stato di maggior valore per quel che concerne le conseguenze culturali e politiche generali) con il ricordo retrospettivo di Renato Solmi proprio in merito a cio' che ando' perduto a partire dal novembre 1963: "Se qualcosa e' venuto meno, nella casa editrice, con la mia espulsione dai ranghi (e, prima ancora, con l'allontanamento di Raniero Panzieri), e' stato forse [...] un certo modo di concepire il rapporto fra attivita' culturale e impegno politico, sia per quanto riguarda i problemi dell'organizzazione interna della casa stessa (che avrebbe dovuto continuare a fondarsi, nei limiti del possibile, su una qualche forma di partecipazione collegiale alle decisioni di carattere editoriale), che per quanto riguarda il rapporto del lavoro editoriale nel complesso con la realta' politica interna e internazionale, e la necessita' di assicurare e garantire, in tutte le iniziative di carattere particolare, oltre che nella programmazione generale di tutta l'attivita', il primato degli scopi che si tratta di perseguire in ultima istanza (e che fanno poi tutt'uno, a ben vedere, con gli interessi fondamentali di un popolo o di un paese, e, in prospettiva, di tutto il genere umano) su ogni altra considerazione di carattere tecnico e culturale in senso stretto" (290).
*
Note
257. T. Munari, cit., p. 478.
258. L. Baranelli, "Disavventure di immigrati a Torino. Un caso editoriale degli anni '60", in L. Baranelli, F. Ciafaloni, cit., p. 47. Precedentemente in "Lo straniero", II, 6, 1999, pp. 178-182.
259. T. Munari, cit., p. 733.
260. L. Baranelli, "Disavventure di immigrati a Torino", cit., p. 48.
261. A questo proposito Mangoni ricorda che si era appena conclusa la vicenda legata alla pubblicazione dei Canti della nuova Resistenza spagnola. Inizialmente, infatti, il libro era stato sequestrato e gli autori (S. Liberovici e M. Straniero) e l'editore denunciati per pubblicazione oscena, offesa all'onore di un Capo di Stato straniero (Francisco Franco) e vilipendio alla religione, accuse da cui infine vennero assolti.
262. L. Mangoni, cit., p. 886.
263. L. Baranelli, "Disavventure di immigrati a Torino", cit., p. 49.
264. L. Mangoni, cit., p. 887.
265. Ibidem, lettera di Fofi a Einaudi del 6 novembre 1963.
266. L. Baranelli, "Disavventure di immigrati a Torino", cit., p. 50. A questo stesso saggio di Baranelli rimandiamo per il puntuale resoconto di quella stessa riunione. Oltre a Solmi e Panzieri gli altri presenti alla riunione sono: Einaudi, Serini, Vivanti, Venturi, Castelnuovo, Bollati, Strada, Fonzi, Caprioglio, Migliardi, Ponchiroli, Davico, Mila, Bobbio e Baranelli. Inoltre vengono letti i pareri di Delia Frigessi e di Cesare Cases, che in quel periodo non si trovavano a Torino. Cfr. anche T. Munari, cit., p. 804.
267. L. Mangoni, cit., p. 921.
268. T. Munari, cit., p. 804.
269. Ibidem, p. 809.
270. Ibidem, p. 815.
271. L. Baranelli, "Disavventure di immigrati a Torino", cit., p. 53.
272. T. Munari, cit., p. 826.
273. Va segnalato in modo particolare l'intervento di Mila che, parlando con grande moderazione, si dice favorevole alla pubblicazione pur riconoscendo tutti i limiti del libro emersi nel corso della discussione: "Devo dire, come vecchio torinese, che non ho trovato motivo di scandalizzarmi nella diagnosi del mondo torinese fatta da Fofi. Trovo anzi che l'autore e' riuscito a mettere bene in evidenza certi aspetti della vita cittadina. Il suo punto di vista mi pare giustificato: che Torino sia una citta in situazione di monopolio mi pare dimostrato proprio dalla perplessita' di questa casa editrice se pubblicarlo o no. [...] In conclusione mi trovo stiracchiato da due tendenze opposte: e' un libro coraggioso, che si impone; e nello stesso tempo e' un libro debole. [...] Certo non e' un gran libro. Se non lo si pubblica per me sara' una delusione: una volta avevamo piu' coraggio". In T. Munari, cit., p. 828.
274. L. Baranelli, "Disavventure di immigrati a Torino", cit., p. 55.
275. L. Mangoni, cit., p. 903.
276. Archivio Einaudi, incartamento 636/2 Cesare Cases (13 giugno 1961 - 15 ottobre 1964), foglio 728.
277. Archivio Einaudi, incartamento 636/2 Cesare Cases (13 giugno 1961 - 15 ottobre 1964), foglio 729.
278. C. Cases, Confessioni di un ottuagenario, cit., p. 95.
279. Archivio Einaudi, incartamento 636/2 Cesare Cases (13 giugno 1961 - 15 ottobre 1964), foglio 731.
280. Ibidem, p. 771.
281. L. Baranelli, "Disavventure di immigrati a Torino", cit. p. 51.
282. O. Mazzoleni, "Panzieri, Solmi e la spaccatura del '63 nella Casa Editrice Einaudi. Nota per una ricerca", in "Per il '68", n. 4, 1993, p. 37.
283. S. Cesari, cit., p. 196.
284. Ibidem, p. 195.
285. O. Mazzoleni, "Panzieri, Solmi, Bobbio e il caso Fofi", in "L'Utopia concreta", 3, 1994, pp. 73-88.
286. R. Solmi, "I miei anni all'Einaudi", cit., p. 767.
287. Ibidem, p. 768.
288. Ibidem, p. 769.
289. Ibidem, p. 770.
290. Ibidem, p. 773.
3. INCONTRI. IL 17 GIUGNO A VITERBO
Il prossimo incontro del "Tavolo per la pace" di Viterbo si svolgera' mercoledi' 17 giugno, con inizio alle ore 17,30, presso il Palazzetto della Creativita' in via Carlo Cattaneo 9 (sito nell'area del complesso scolastico degli istituti comprensivi Canevari e Vanni).
Per ulteriori informazioni e per ogni comunicazione il punto di riferimento e' come sempre Pigi Moncelsi: tel. 0761348590, cell. 3384613540, e-mail: pmoncelsi at comune.viterbo.it
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 711 del 15 giugno 2015
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