[Nonviolenza] Telegrammi. 2009



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2009 del 7 giugno 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Una ragionevole proposta al Presidente del Consiglio dei Ministri: "Una persona, un voto"

2. Una relazione della dottoressa Antonella Litta su "Inquinamento ambientale e danno renale" al XIII incontro di nefrologia a Viterbo

3. "Una donna sconosciuta" a Viterbo il 7 giugno

4. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"

5. Un appello per l'uscita dell'Italia dalla Nato

6. Enrico Peyretti: Un dialogo interiore

7. Ricordando Isaiah Berlin

8. Paolo Arena presenta "Jim entra nel campo di basket" di Jim Carroll

9. Segnalazioni librarie

10. La "Carta" del Movimento Nonviolento

11. Per saperne di piu'

 

1. LETTERE. UNA RAGIONEVOLE PROPOSTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI: "UNA PERSONA, UN VOTO"

 

Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,

vivono regolarmente in Italia oltre cinque milioni di persone che non avendo la cittadinanza italiana sono escluse dal diritto di voto e quindi dalla partecipazione alle decisioni pubbliche che anche le loro vite riguardano.

Ma queste persone contribuiscono al bene del nostro paese con la loro umana presenza, con il loro lavoro, con le tasse che pagano, con l'educazione dei figli che saranno l'Italia di domani.

Non vi è nessun impedimento logico a riconoscere loro almeno il diritto di voto nelle elezioni amministrative. Vi è anzi il dovere morale di riconoscere subito a tutti loro l'elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative: poiché è indubitabile che delle comunità locali queste persone facciano parte a pieno titolo.

Continuare a negare il diritto di voto nelle elezioni amministrative ad una parte così rilevante della popolazione che in questo paese vive configura una flagrante violazione di un fondamentale diritto umano: il diritto a partecipare alle decisioni che riguardano tutti.

Continuare a negare questo essenziale diritto ha effetti nefasti per chi ne è privato ma anche per l'intera collettività che avrebbe tutto da guadagnare dal pieno dispiegarsi della democrazia.

Tutte le persone di retto sentire e di volontà buona ne sono persuase da decenni.

Mi permetto pertanto di segnalarle non solo l'opportunità, ma la necessità e l'urgenza, di un impegno legislativo in tal senso.

"Una persona, un voto".

Voglia gradire distinti saluti,

Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani"

Viterbo, 6 giugno 2015

 

2. INCONTRI. UNA RELAZIONE DELLA DOTTORESSA ANTONELLA LITTA SU "INQUINAMENTO AMBIENTALE E DANNO RENALE" AL XIII INCONTRO DI NEFROLOGIA A VITERBO

[Dall'"Associazione italiana medici per l'ambiente" riceviamo e diffondiamo.

Antonella Litta svolge l'attivita' di medico di medicina generale a Nepi (Vt). E' specialista in Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11, pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia) e per questa associazione e' responsabile e coordinatrice nazionale del gruppo di studio su "Trasporto aereo come fattore d'inquinamento ambientale e danno alla salute". E' referente per l'Ordine dei medici di Viterbo per l'iniziativa congiunta Fnomceo-Isde "Tutela del diritto individuale e collettivo alla salute e ad un ambiente salubre". Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di programmi di solidarieta' locali ed internazionali. E' impegnata nell'Associazione nazionale partigiani d'Italia (Anpi) a livello locale e provinciale. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio e il diritto all'abitare con iniziative di solidarieta' concreta. Presidente del Comitato "Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla pace, alla legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente. E' la portavoce del Comitato che si e' opposto vittoriosamente all'insensato ed illegale mega-aeroporto di Viterbo salvando la preziosa area naturalistica, archeologica e termale del Bullicame di dantesca memoria e che s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti. Come rappresentante dell'Associazione italiana medici per l'ambiente (Isde-Italia) ha promosso una rilevante iniziativa per il risanamento delle acque del lago di Vico e in difesa della salute della popolazione dei comuni circumlacuali. E' oggi in Italia figura di riferimento nella denuncia della presenza dell'arsenico nelle acque destinate al consumo umano, e nella proposta di iniziative specifiche e adeguate da parte delle istituzioni per la dearsenificazione delle acque e la difesa della salute della popolazione. Per il suo impegno in difesa di ambiente, salute e diritti alla dottoressa Antonella Litta e' stato attribuito il 6 marzo 2013 a Roma il prestigioso "Premio Donne, Pace e Ambiente Wangari Maathai" con la motivazione: "per l'impegno a tutela della salute dei cittadini e della salubrita' del territorio". Il 18 ottobre 2013 ad Arezzo in occasione delle settime "Giornate italiane mediche per l'ambiente" le e' stato conferito il prestigioso riconoscimento da parte della "International Society of Doctors for the Environment" con la motivazione: "per la convinta testimonianza, il costante impegno, l'attenzione alla formazione e all'informazione sulle principali problematiche nell'ambito dell'ambiente e della salute". Il 25 novembre 2013 a Salerno le e' stato attribuito il prestigioso Premio "Trotula de Ruggiero"]

 

Si e' svolto venerdi' 5 giugno 2015 a Viterbo, nell'aula magna del  bellissimo complesso storico-artistico di Santa Maria in Gradi, il tredicesimo incontro viterbese di nefrologia sul tema "Nefropatie da tossici".

L'evento patrocinato dalla Societa' Italiana di Nefrologia, dall'Universita' degli Studi della Tuscia,dall'Azienda Unita' Sanitaria Locale di Viterbo e dall'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Viterbo, ha visto una rilevante quanto attenta presenza di medici, in particolare nefrologi, operatori del settore sanitario, studenti e cittadini.

Dopo il saluto di benvenuto e l'introduzione ai lavori del presidente, dottor Sandro Feriozzi, si sono susseguiti gli interventi dei relatori tutti di alto livello scientifico e incentrati sul tema della nefrotossicita' come fenomeno sempre piu' emergente in relazione al mutamento delle condizioni ambientali, alimentari e socio-economiche in particolare nei paesi piu' poveri del mondo.

La dottoressa Antonella Litta ha partecipato all'incontro in qualita' di referente dell'Associazione Italiana Medici per l'Ambiente - Isde (International Society of Doctors for the Environment) e ha presentato la relazione su "Inquinamento ambientale e danno renale".

Nella sua esposizione ha evidenziato i dati relativi all'incremento di malattie strettamente connesse all'inquinamento sempre piu' diffuso ed ubiquitario dell'aria, dell'acqua, dei suoli e del cibo; in particolare malattie cardiovascolari, respiratorie, cronico-degenerative, neoplastiche e anche renali; stime recenti indicano una prevalenza nella popolazione italiana di circa 2,5-3 milioni di persone affette da nefropatia cronica.

Una vasta letteratura scientifica sia italiana che internazionale - ha fatto rilevare poi la referente dell'Isde - conferma come sia proprio l'esposizione materno-fetale a sostanze inquinanti (capaci per le loro dimensioni di superare le barriere placentare ed ematocerebrale, la membrana cellulare e nucleare) la causa di malattie che si svilupperanno nell'infanzia e nell'eta' adulta: ben documentata la stretta relazione con le malattie neurologiche, dello spettro autistico, endocrinopatie - in particolare il diabete di tipo II e l'obesita' -, neoplasie, allergie e celiachia. Emergente dalla letteratura scientifica la segnalazione di uno stretto legame tra esposizione a pesticidi e diserbanti e insufficienza renale cronica.

La dottoressa Litta ha concluso la sua relazione indicando nella rapida riduzione delle fonti di inquinamento ambientale (e nel viterbese la dearsenificazione delle acque ad uso potabile) una tra le piu' importanti strategie per la tutela della salute e la prevenzione delle malattie, anche di quelle renali.

 

3. INIZIATIVE. "UNA DONNA SCONOSCIUTA" A VITERBO IL 7 GIUGNO

 

Per iniziativa dell'Auser a Viterbo oggi, domenica 7 giugno, si svolgera' l'iniziativa "Una donna sconosciuta", l'appuntamento e' alle ore 10 in piazzale Gramsci davanti al cippo che ricorda tre vittime viterbesi della violenza nazista.

*

La lapide recita:

"Qui

l'8 giugno 1944

colpiti dalla rappresaglia tedesca

cadevano

una donna rimasta sconosciuta

Pollastrelli Giacomo

Telli Oreste

vittime d'inumana ferocia

custodi di patria liberta'".

*

Per ulteriori informazioni e contatti: info at auserviterbo.it

 

4. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"

 

Per sostenere il centro antiviolenza di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.

Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it

Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

 

5. REPETITA IUVANT. UN APPELLO PER L'USCITA DELL'ITALIA DALLA NATO

[Nuovamente diffondiamo il seguente appello del Comitato promotore "No guerra, no Nato" (per contatti: e-mail: noguerranonato at gmail.com, sito: www.noguerranonato.it) "per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia neutrale, per portare l'Italia fuori dal sistema di guerra, per attuare l'articolo 11 della Costituzione"]

 

L'Italia, facendo parte della Nato, deve destinare alla spesa militare in media 52 milioni di euro al giorno secondo i dati ufficiali della stessa Nato, cifra in realta' superiore che l'Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace (Sipri) quantifica in 72 milioni di euro al giorno.

Secondo gli impegni assunti dal governo nel quadro dell'Alleanza, la spesa militare italiana dovra' essere portata a oltre 100 milioni di euro al giorno.

E' un colossale esborso di denaro pubblico, sottratto alle spese sociali, per un'alleanza la cui strategia non e' difensiva, come essa proclama, ma offensiva.

Gia' il 7 novembre del 1991, subito dopo la prima guerra del Golfo (cui la Nato aveva partecipato non ufficialmente, ma con sue forze e strutture) il Consiglio Atlantico approvo' il "Nuovo concetto strategico", ribadito ed ufficializzato nel vertice dell'aprile 1999 a Washington, che impegna i paesi membri a condurre operazioni militari in "risposta alle crisi non previste dall'articolo 5, al di fuori del territorio dell'Alleanza", per ragioni di sicurezza globale, economica, energetica, e migratoria. Da alleanza che impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell'area nord-atlantica, la Nato viene trasformata in alleanza che prevede l'aggressione militare.

La nuova strategia e' stata messa in atto con le guerre in Jugoslavia (1994-1995 e 1999), in Afghanistan (2001-2015), in Libia (2011) e le azioni di destabilizzazione in Ucraina, in alleanza con forze fasciste locali, ed in Siria. Il "Nuovo concetto strategico" viola i principi della Carta delle Nazioni unite.

Uscendo dalla Nato, l'Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la nostra Costituzione, in particolare l'articolo 11, e danneggia i nostri reali interessi nazionali.

L'appartenenza alla Nato priva la Repubblica italiana della capacita' di effettuare scelte autonome di politica estera e militare, decise democraticamente dal Parlamento sulla base dei principi costituzionali.

La piu' alta carica militare della Nato, quella di Comandante supremo alleato in Europa, spetta sempre a un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati Uniti. E anche gli altri comandi chiave della Nato sono affidati ad alti ufficiali statunitensi. La Nato e' percio', di fatto, sotto il comando degli Stati Uniti che la usano per i loro fini militari, politici ed economici.

L'appartenenza alla Nato rafforza quindi la sudditanza dell'Italia agli Stati Uniti, esemplificata dalla rete di basi militari Usa/Nato sul nostro territorio che ha trasformato il nostro paese in una sorta di portaerei statunitense nel Mediterraneo.

Particolarmente grave e' il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L'Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato.

L'Italia, uscendo dalla Nato e diventando neutrale, riacquisterebbe una parte sostanziale della propria sovranita': sarebbe cosi' in grado di svolgere la funzione di ponte di pace sia verso Sud che verso Est.

 

6. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UN DIALOGO INTERIORE

[Dal sito de "Il foglio. Mensile di alcuni cristiani torinesi" (www.ilfoglio.info) riprendiamo questo articolo di Enrico Peyretti apparso in tre parti sui nn. 401-403.

Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]

 

Perche' non posso fare qualcosa che per te e' un dispiacere, un danno, un male?

Ma e' perche' mi sei amico, mi vuoi bene.

D'accordo, ovvio. Ma se tu fossi per me uno sconosciuto, un estraneo, perche' non potrei fare un'azione che per me e' un vantaggio e per te e' un male? Lasciamo da parte i casi estremi, di necessita', di impossibilita': siamo due naufraghi, c'e' una sola tavola, l'afferro io prima di te, io mi salvo, tu no. Siamo in un locale incendiato: io arrivo all'uscita prima di te, perche' cammino meglio, non torno indietro ad aiutarti, mi salvo io e tu no. In questi casi non voglio farti del male, soltanto non sono abbastanza coraggioso, eroico, salvando me non voglio la tua rovina. Ma la domanda e' un'altra: se posso fare una cosa per me utile, vantaggiosa, piacevole, o anche banale, indifferente, ma per te dannosa e dolorosa, perche' non posso farla? Niente mi lega a te se non la comune vita umana, un legame molto molto largo, a volte insensibile. Perche' non posso farla?

Ma perche' ci sono delle leggi, c'e' un'etica civile.

Certo, ma supponiamo che io riesca a non essere scoperto e punito, supponiamo che io dica alla mia coscienza: "e' un bene per me, io posso, e basta".

Se sei religioso, credente, sai che Dio ti vede, e prima o poi ti chiede conto del male che fai.

Va bene, siamo intesi, ma supponiamo che io non creda in alcun essere piu' grande e giusto di noi. Non c'e' un giudice, ne' umano ne' divino, delle mie azioni. Le decido solo io. Ora, in quello che faccio c'e' un bene mio con l'effetto diretto di un male tuo. E non un effetto involontario: il mio bene e' frutto del tuo male. Noi due pensiamo entrambi che non posso farlo. Ma perche'? Per quale ragione?

Perche', a parte le leggi, la religione, la morale, abbiamo fatto un patto, almeno implicito, di convivenza umana, di non danneggiarci a vicenda, almeno nelle cose piu' importanti e gravi.

Infatti, c'e' questo patto implicito, anche con lo sconosciuto, lo straniero, l'estraneo. "Pacta servanda sunt": bisogna rispettare i patti. Bene. Ma se io ritengo che, per un mio vantaggio, posso violare i patti, anche se cio' porta direttamente a te un danno considerevole, e io non rischio nessuna sanzione, perche' non posso farlo? Guarda, non parliamo di bazzecole, per es. attraversare col rosso quando non arriva assolutamente nessuno: violo una regola, ma non faccio male a nessuno. Parlo invece di cose grosse, gravi. Perche' non posso? Perche'?

Forse perche' il male che fai a me e' anche, in qualche modo seppure invisibile un male che viene anche a te, su di te.

Si', questo e' il principio che il pensiero morale, praticamente in tutte le civilta' umane, ha formulato nella "regola d'oro", o anche ha espresso nel detto che "siamo nati gli uni per gli altri", "siamo membra gli uni degli altri". Ma se io decido di superare questa regola per una mia utilita', e ti faccio un male, perche' non posso? Perche', se io posso farlo fisicamente, non accettiamo che possa farlo anche moralmente? Perche' non accettiamo che quel principio di reciprocita' sia superabile dalla mia volonta'? Perche' non accettiamo che quel che posso fisicamente, e mi serve, io lo faccio e basta? Accettiamo forse che non c'e' un problema morale? Perche' invece sentiamo o diciamo che c'e' un limite alla mia volonta'? Ma c'e' davvero questo limite?

Lo mettiamo noi, questo limite, anche se non sempre lo rispettiamo, per poter vivere un po' meglio, con piu' tranquillita', minor pericolo e paura, in pace con gli altri umani, e chiamiamo umanita' questo limite e direzione delle nostre azioni.

Va bene, ma cosi' non usciamo dal problema. Se io voglio rischiare sfidando questo equilibrio, se voglio prendere una utilita' per me anche togliendo ad altri, a te, e se ci riesco, posso o non posso? Il problema e' questo: posso di fatto, perche' sono forte e impunibile; ma posso anche moralmente? Che cosa e' la morale? E' una regola pratica, di prudenza, come il semaforo, che posso superare quando non fa male a nessuno? Oppure e' una regola che mi ferma, mi chiede di fermarmi, quando faccio male a qualcuno? Ma ha un fondamento questa regola? Ha una ragione? Ha un valore? Ha una permanenza? Oppure si puo' spegnere o ignorare come il semaforo? Perche' non posso farti del male, quando potrei? La regola di rispettarti, se non me la impongo da me stesso, per mia sola volonta', non esiste?

Non lo so. Cerchiamolo insieme.

Dunque, non puo' essere Dio perche' non siamo tutti convinti che esista, che ci veda e ci giudichi, ci guidi. Puo' esserlo per i credenti, ma non puo' essere la regola comune: io posso dire che per me non esiste. Non puo' essere la legge posta dall'autorita' nella societa', perche' posso eluderla. Ne' Dio ne' la legge mi fermano, se sono forte, se posso. Non puo' essere la regola della reciprocita', dell'uguaglianza di valore, perche' se io non do all'altro il valore che do a me, posso fare di lui cio' che mi pare, cio' che mi serve. Puo' essere forse solo il bisogno che io ho degli altri, prima o poi, dunque la convenienza a non offenderli affinche' non mi offendano.

Questa e' gia' una regola pratica. Ma vale solo relativamente. Se io sono davvero forte e impunibile, e posso anche imporre agli altri cio' che voglio che facciano per me, io non devo nulla a loro.

Pero' questa e' una situazione astratta, perche' anche il tiranno dorme, e ha bisogno della protezione di guardie fedeli, obbedienti e servili, per essere davvero forte. La sua forza non e' tutta sua, ha bisogno degli altri. Anche il violento e' vulnerabile. Vedi nella storia la fine di tanti tiranni. Ma vedi anche quanti di loro hanno regnato e sono morti ricchi e sicuri nel loro letto. Eppure, parlando in generale, vediamo che l'unica regola pratica che resiste alle obiezioni e' questo bisogno che ognuno ha degli altri. Una regola molto debole, pero', perche' lascia molto spazio al prepotente violento. Avendo come regola principe la propria volonta', e non la convenienza comune, il violento puo' fare all'altro il male che gli fa comodo. La regola della violenza, nonostante le sue falle che abbiamo visto, permette di fare il male, lascia tutti gli altri esposti al male. La regola della reciproca convenienza non regge davanti al violento fornito di forza.

Ci vuole un principio superiore alla forza usata come violenza.

E quale principio, se non basta Dio, non basta la legge, quasi non basta neppure la convenienza? Chiediamoci che cosa e' un principio.

Direi che e' qualcosa che ci precede: un inizio, e noi sappiamo di non essere l'inizio, ma iniziati, derivati, nati da altri, fisicamente e culturalmente. Un principio e' qualcosa che non e' derivato da una dimostrazione, da un ragionamento, e semmai imposta un ragionamento. Un principio e' qualcosa che non pongo io, perche' allora sarebbe un prodotto nostro: nel caso, sarebbe quella convenzione, alleanza, che abbiamo visto non garantisce appieno dalla forza prepotente.

E cosa puo' essere quel principio? Dio non basta, perche' non e' principio riconosciuto da tutti. Non basta la legge, perche' si puo' eluderla. Neppure la convenienza, che e' semmai un derivato, non un principio: siamo qui, vogliamo vivere, mettiamoci d'accordo su quel che ci conviene, riconosciamolo insieme, dunque non facciamoci del male. Ma poi, nel caso, la mia convenienza puo' essere nel danno tuo. La convenienza e' ballerina. Si', ci vuole un "principio", un dato precedente alle nostre volonta', buone o cattive, egoiste o altruiste, moderate dalla convenienza o scatenate dall'interesse.

E cosa c'e' di precedente? Andiamo nella metafisica? Siamo creati, nel senso che siamo fatti in quel modo, da cui non si esce, che un dio ha voluto e stabilito per noi?

*

Nel recensire il mio libretto Il bene della pace (apparso in una collana di etica della editrice Cittadella) Massimiliano Fortuna, amico severo, scrive ("il foglio" n. 400) che io riterrei la verita' (qui si tratta della verita' morale) una "scoperta", quindi data nella realta' esterna all'essere umano, e non una "costruzione", dunque fondata su delle convenzioni, interna al linguaggio e alle culture degli uomini, come ritengono vari filosofi oggi.

In quel libretto io sarei convinto dell'esistenza di "valori inscritti, per cosi' dire, nella natura, che rappresentano dei binari imboccando i quali l'umanita' si muove in direzione di un progressivo aumento del bene della pace nella storia". Cosi' sottovaluterei "la storicita' delle culture umane" e adopererei "in termini assoluti, e dunque astorici, un concetto come 'coscienza'". Abbiamo ripreso in altri momenti una riflessione non cosi' rigida sulla "natura umana", anche a proposito del linguaggio e del significato della Pacem in terris.

Dobbiamo proprio opporre cosi' tanto natura stabile e convenzione storica?

Merita pensarci un po' di piu'. La pura convenzione, se non sbaglio, non difende dal male che possiamo farci. Infatti, leggi, diritto umanitario, accordi internazionali, non evitano del tutto delinquenza, corruzione, violenza, guerre, percio' dolori tanti e vari. Rafforziamo la cultura della parita' di valore, il valore delle convenzioni, e certamente sara' un bene per la buona convivenza. Ma l'obiezione, anche filosofica, non e' superata: perche', potendo, non posso violare l'accordo? Se non devo rispondere ad altri, ad un "principio" che non pongo io, ma solo a me stesso, perche' non potrei? Hans Kueng, citato in quel libretto (p. 37), scrive: "Perche' un delinquente (nel caso che non corra alcun rischio) non deve uccidere i suoi ostaggi? Perche' un dittatore non deve fare violenza a un popolo? Perche' un gruppo economico non deve sfruttare il proprio paese?". E' la stessa nostra domanda. Kueng risponde: "L'incondizionatezza del dovere non puo' essere giustificata dall'uomo, in molti modi condizionato, ma soltanto da qualcosa di incondizionato".

Allora, dobbiamo ricorrere a un concetto di natura umana fissa, non evolutiva? Alla volonta' di Dio? A un principio categorico della ragione? Solo un'idea metafisico-religiosa della nostra umanita' ci puo' salvare dalla nostra disumanita'?

Non so. Vedo pero' che, per esempio, nel linguaggio di Giovanni XXIII nella Pacem in terris, il riferimento alla natura umana ("un ordine voluto da Dio"), ben piu' che un'affermazione teorica anti-evoluzionismo, e' un appello a cio' che accomuna gli esseri umani. Cosi' si puo' interpretare, al di la' del linguaggio: vuol dire l'unita' umana, fondamento necessario della pace. Ha una funzione analoga al convenzionalismo, ma piu' forte, piu' impegnativa, piu' rassicurante contro violenze e guerre: siamo tutti esseri umani, tutti uguali per dignita' naturale. Questo concetto di dignita' e' molto ricco: non e' un puro dato di fatto, non e' una convenzione, ma una dinamica, un movimento; e' un obiettivo che ha una vera base di realta' eppure va continuamente cercato e raggiunto. Essere degni implica sia un fatto reale, sia un diritto da realizzare. E' un concetto e un linguaggio dinamico, evolutivo. La dignita' si ha gia', e non si ha ancora nei fatti se non viene onorata. Eppure, se viene offesa, non e' distrutta, permane al di la' dell'offesa. Tu sei degno del mio rispetto, ma se ti offendo, sei degno come prima. La dignita' e' una inviolabilita' morale, anche nell'ucciso. La violenza e' inutile contro la dignita'.

Vedo che, nella sua recensione, Fortuna cita (per tenere aperto il dibattito) Telmo Pievani per il quale la specie umana e' un frammento di natura che all'interno dell'evoluzione ha elaborato, o meglio sta provando a elaborare, un esperimento di fratellanza democratica e di giustizia sociale, del quale non trova una matrice preformata in una "natura" originaria che lo precede. Secondo Pievani "autentico e' l'uomo che in questa condizione di consapevolezza [la radicale contingenza della nostra presenza] vive per la giustizia, per l'uguaglianza nei diritti, per il bene e la solidarieta', e proprio nel fare unilateralmente questa scelta rinuncia all'idea che l'essere naturale presupponga in quanto tale l'etica". Dunque l'etica e' tutta costruita, non trovata.

E' bene che il ventaglio del dibattito sia aperto, e muova l'aria a tutti i venti, sicche' ognuno possa trovare quello che lo fa meglio respirare. E possa anche proporlo agli altri, se convince, se (piu' mitemente) persuade. Proporre, in liberta' di pensiero, non e' predicare dall'alto, anche se Fortuna ritiene di trovare nel libretto recensito un tono "parenetico e omiletico, vale a dire di esortazione alla rettitudine e di ammonimento morale". Ora, se in un pensiero come quello di Pievani "l'essere umano naturale non presuppone l'etica", cioe' se l'uomo vivente non riconosce un principio di dovere e non-dovere, a lui precedente, da seguire, realizzare, e anche affinare, correggere, sviluppare (l'etica di Aristotele e' stata corretta senza rinnegarne il nocciolo), e se l'etica invece e' tutta costruita successivamente e mutevolmente, allora (e' questo il mio timore, vedete se e' giusto) un principio cosi' debole del nostro cammino morale avvicina la fine del cammino morale stesso. Senza un principio non derivato, un postulato all'origine delle conseguenze, non ci sarebbe alcuna morale, alcuna regola comune di comportamento. Ci sarebbero dei comportamenti soggettivi, con regole soggettive, non valutabili. Se quel mio comportamento ti fa male, non hai una ragione comune a noi due per denunciarlo. Si puo' chiedere: perche', per Pievani, sarebbe "autentico" l'uomo che, nel corso dell'esperimento morale, "vive per la giustizia, l'uguaglianza, il bene, la solidarieta'"?. Sono piu' che d'accordo con lui (col quale feci anni fa un sereno dibattito nel Palazzo Ducale di Genova), ma devo chiedere: se non c'e' un criterio previo per dire autentica una scelta, non sarebbe "autentico" uomo anche quello che fa scelte del tutto opposte (non giustizia, non uguaglianza, non solidarieta')? "Autentico" e' l'uomo che realizza piu' veramente, nel modo migliore, un modo di essere con gli altri? Ma se non c'e' un modo piu' vero, misurato su un metro non improvvisato a posteriori, allora non e' "autentico" anche l'ingiusto, chi disconosce l'uguaglianza e la solidarieta'? La pura convenzione mi obbliga davvero se riconosco nell'altro, col quale mi impegno, un valore precedente alla mia volonta' e liberta': e' la sua dignita' inviolabile, che io lo voglia o meno. Mi torna martellante la domanda: perche' non posso farti del male? Perche' non posso essere ingiusto con te, durante questo esperimento morale tutto aperto? Oppure hai gia' dei criteri di "autenticita'" (almeno alcuni, essenziali)?

*

Gandhi diceva che non puo' essere nonviolento chi non crede in Dio. Quindi si poneva in quella morale tutta oggettivistica, esterna, non costruita storicamente dall'uomo, negata da certo pensiero morale contemporaneo?

Traduciamo questo pensiero di Gandhi. Per lui "Dio" significava l'unita' profonda di tutti gli esseri. Diceva che non si puo' essere nonviolenti se non si coglie e non si rispetta la sacralita' inviolabile di tutto cio' che e', almeno di tutto cio' che vive. Poi sappiamo che Gandhi non era un assolutista: riconosceva il caso sciagurato in cui per evitare un male peggiore puo' essere doveroso, fino ad uccidere, fare un male piu' limitato. Muller corregge Gandhi: non si tratta di un dovere, ma di una tragica necessita': "la necessita' di uccidere non sopprime affatto il comandamento di non uccidere".

Allora, l'unita' tra noi, impegnativa e obbligante, vera difesa e vera sicurezza, e' riconosciuta come un "principio" che precede e regola le nostre azioni, oppure e' "costruita" nel nostro progressivo civilizzarci, nel farci "cittadini" gli uni degli altri? Un altro autore citato da Fortuna e' Rorty, secondo il quale "l'obiettivo primario della solidarieta' fra gli uomini - il non infliggersi vicendevolmente dolore - non puo' sperare di fondarsi su un 'dover essere' intrinseco a una supposta essenza umana, ma semmai su un consenso intersoggettivo che si crea nel 'gioco' delle circostanze storiche".

Intanto, possiamo osservare che farci concittadini pacifici e' gia' un bel passo, e' il passo degli stati democratici (in quanto sono anche eticamente universalisti, e non negano al di fuori dei confini i diritti umani che affermano all'interno), eppure e' qualcosa di meno del riconoscerci "membra gli uni degli altri" in tutta intera la famiglia umana (come insiste l'antica sapienza richiamata dalla Pacem in terris). La democrazia nonviolenta non si limita al "decidere contando le teste invece di tagliarle": e' molto di piu'! Ora, se la regola del non offenderci e' tutta e solamente "costruita" dobbiamo temere che possa essere allo stesso modo "decostruita", smontata, distrutta! Una democrazia, relativamente buona, come la Repubblica di Weimar, si suicido' con l'uso forzato degli stessi mezzi democratici, e distrusse il patto di cittadinanza "costruendo" l'ideologia delle due specie: i super-uomini e i sotto-uomini, la razza con diritto e la razza senza diritto. Contro questa ideologia della "costruzione etica limitata e selettiva" reagi', dopo il 1945, la stagione storica dei "diritti umani", non costruiti, ma riconosciuti e affermati come spettanti a tutti per nascita, cioe' per natura: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignita' e diritti" (Dichiarazione Universale dei diritti umani, 1948).

Allora, una buona volta, perche' non possiamo farci del male?

Perche', direi, entriamo nell'esistenza con una finalita' identificata con l'esistenza stessa, non ad essa sovrapposta: esistiamo col fine di favorire in tutti i suoi valori e sviluppi ciascuno l'esistenza dell'altro, degli altri. Siamo "autentici" tanto quanto cerchiamo e perseguiamo questo scopo. Cosi' direi io.

Albert Schweitzer sintetizzava l'etica nel "rispetto per la vita" (venerazione, nell'originale tedesco).

Mi pare poco intelligente l'obiezione di Christoph Tuercke, che sono vita anche quei batteri patogeni all'annientamento dei quali Schweitzer ha dedicato gran parte della sua esistenza. La difesa di una vita umana a piu' ricche dimensioni puo' dovere, per necessita', eliminare altre vite: e' il problema (comunque non tranquillo) gia' visto in Gandhi.

Perche' dici poco intelligente?

L'intelligenza grande e' sapienza: e' assai piu' che analisi, argomentazione, dimostrazione. Questo e' lavoro minuto e prezioso dell'intelletto (che rischia di "trapanare" la realta', ridurla a concetto univoco, piu' che abbracciarla e lasciarsi abbracciare, dice Panikkar), ma l'intelligenza legge intimamente la realta' plurale quando si fa sapienza, quando raccoglie tesori essenziali, riconducibili a un nucleo di luce, da tutto il pensiero, da tutta l'intuizione umana, e da tutte le attese e le domande umane. Ho visto da ultimo un maestro di questa "sapienza alunna di sapienze", in Pier Cesare Bori, dopo gli altri piu' noti sapienti della storia umana.

Perche', dunque, chiediamocelo sempre di nuovo, perche' non posso fare il male, e neppure restituire male per male?

Arriverei a questa che mi pare una traccia verso una possibile risposta: perche' siamo costituiti dal Bene per il Bene. Lo scrivo maiuscolo perche' e' il barlume di cio' che non sappiamo dire, ma possiamo cogliere come qualita', tensione, compimento essenziale e profetico dell'esistenza. Noi, piu' che pensarlo, respiriamo il Bene, senza il quale soffocheremmo rapidamente. E lo respiriamo anche solo come ricerca e desiderio costitutivo, nonostante tutte le cadute, le contraddizioni, le smentite, le falsita', i tradimenti, le malvagita' che ci sono nel mondo e di cui tutti portiamo qualche responsabilita'.

Appunto: il male. Il male non inficia questa prospettiva dell'essere nati dal Bene per il Bene?

Il male e' la grande domanda, legata a quella postaci qui, su cui ci stiamo arrabattando. Supponendo che io abbia un po' capito perche' non posso farti del male, rimane il male oggettivo: quello (come insisteva Bobbio) patito da Giobbe il giusto, non quello compiuto da Caino fratricida per invidia; quello della natura, non quello fatto da noi. Tutta la fatica umana, di mente e di vita, non riuscira' a rispondere alla domanda sul male. Forse una giusta strategia, nel vivere e nel pensare, e' non farsi risucchiare nelle sue spire, sia pratiche sia teoriche. Non opporsi al male col male, non entrare nel suo gioco: in questo senso il "non resistere al malvagio (o al male)" era per Tolstoj il cuore del vangelo. Non bloccare il pensiero su questa domanda, ma aggirarla come un nemico da vincere con l'astuzia: capire il male senza capirlo; scavalcarlo col patirlo senza accettarlo; non subirlo ma non combatterlo a modo suo; resistergli con un altro linguaggio di lotta che lui non sa capire. Questa e', appunto, la lotta e la forza della nonviolenza, come pensiero e come azione. E intanto, nella vita vissuta, mettere bene dove c'e' male. Seppellire il male nella misericordia e nel perdono, anche politico. Non solo non posso farti del male, ma devo, quanto mi e' possibile, darti bene senza attendere restituzione. Piu' che capirlo, il male e' da vincere col bene. Il bene e' favorire e sostenere la tua libera vita, la libera vita di tutti. Qui comincio a intravvedere perche' non posso farti del male, anche quando mi sarebbe possibile e utile: la ragione e' che sono occupato a fare il tuo bene, che e' pure il mio, e tu altrettanto a me, che e' pure il tuo bene.

 

7. MAESTRI. RICORDANDO ISAIAH BERLIN

 

Ricorreva ieri, 6 giugno, l'anniversario della nascita di Isaiah Berlin (Riga, 6 giugno 1909 - Oxford, 5 novembre 1997), l'illustre pensatore e saggista che ha dato rilevanti contributi alla storia delle idee ed alla filosofia politica contemporanea.

*

Anche nel ricordo di Isaiah Berlin proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

8. LIBRI. PAOLO ARENA PRESENTA "JIM ENTRA NEL CAMPO DI BASKET" DI JIM CARROLL

[Ringraziamo Paolo Arena per questo articolo.

Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato tre cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta.

Jim Carroll (New York, 1949-2009), e' stato uno scrittore e un musicista newyorchese, partecipe di vivaci esperienze culturali (e controculturali, naturalmente)]

 

Jim Carroll, Jim entra nel campo di basket (The basketball diaries, 1978, edizione italiana a cura di Tiziana Lo Porto, Minimum Fax, Roma 2013).

*

I "Diari" di Jim Carroll negli anni della sua adolescenza nella New York della meta' degli anni Sessanta.

L'autore racconta le sue giornate e le sue stagione negli anni tra i dodici ed i sedici, periodo in cui cresce, cerca di comprendere il mondo, vive la sua citta', gioca a basket, scopre il sesso, sperimenta le droghe, diventa dipendente dall'eroina, fa studi sempre piu' irregolari, scopre ed ama la poesia, si prostituisce, delinque, diventa suo malgrado adulto.

Conosciamo anche i molti strani abitanti di questa Grande Mela degli ultimi: ubriaconi, barboni, prostitute, pervertiti, ragazzi sbandati, poliziotti, delinquenti, gente coi soldi, artistoidi, falliti, oppressori ed oppressi.

E conosciamo anche la "Gente che e' morta" ("People who died" cantera' una appassionata canzone di Carroll qualche anno dopo), gente che e' morta perdendo il gioco della vita, perche' spesso gli sono state date carte truccate o gli e' comunque toccata una pessima mano.

Basket, ragazze, strada, droga: le giornate in equilibrio sempre piu' precario tra l'adolescenza e qualcosa che cerca di inghiottirti prima che tu sia adulto; quel caldo, confortante abisso che per molti di noi e' piu' invitante della maturita', della normalita', della catena che imprigiona le energie creative di ragazzi come Jim: curiosi, spaventato, avidi di vita.

Le partite nelle leghe giovanili di Basket lasciano progressivamente lo spazio all'eroina ed alla necessita' di procurarsela; da sport a sport: la dipendenza come una routine di allenamento.

E poi i sogni e la spinta sempre piu' impetuosa verso la poesia.

*

Jim Carroll (1949-2009) e' stato un poeta, scrittore, performer punk e personaggio della scena underground newyorchese. Poco noto in Italia, se non per la trasposizione cinematografica dei "Diari del Basket" di qualche anno fa (in italiano: "Ritorno dal nulla", del 1995, di Scott Kalvert, con Leonardo Di Caprio).

Dopo una giovinezza turbolenta si fa conoscere per un primo piccolo libro di poesie ed entra nel circuito, apprezzato tra l'altro dagli autori della "beat generation" (che in parte erano suoi modelli: Burroughs).

All'inizio degli anni Settanta lavora per Warhol, per il cinema ed il teatro.

Conosce tra gli altri Patti Smith, Lou Reed.

Alla fine dei Settanta si disintossica, va in California, su consiglio della Smith entra nel mondo del rock: mette su una band "The Jim Carroll Band", negli anni successivi pubblica alcuni album (Il primo "A catholic boy" contiene la suddetta "People who died").

Negli anni seguenti scrive e pubblica ancora, e' nel circuito di quello che negli Stati Uniti si chiama "Spoken Word", occasioni di lettura pubblica, confronto, declamazione e sperimentazione che un artista fa dei propri lavori.

Muore nel 2009 a New York.

Figura interessante, da approfondire per conoscere certi Stati Uniti che non sono stati rappresentati molto spesso dai media; al cuore dell'underground newyorchese prima che diventasse "maniera" e schierato decisamente dalla parte di quelli che ce l'hanno fatta per il rotto della cuffia.

Dalle opere sembrerebbe un finto-duro, una persona che mantiene dentro di se' un animo delicato, che soffre per il male del mondo, nonostante ci sia invischiato fino al collo; un ragazzo soprattutto insofferente all'autorita', disposto a farsi male per eluderne le maglie.

I "Diari del Basket" racconta un New York poco conosciuta: leggere quello che accadeva a pochi isolati dal condominio di "Colazione da Tiffany" e' sconvolgente e mette in discussione un intero immaginario - soprattutto perche' e' distante sia dal mainstream che da certe alternative troppo organizzate, gerarchiche, dogmatiche: partecipera' alle marce per i diritti civili, da giovane volenteroso e curioso, ma totalmente acerbo e per certi versi ingenuo: cosi' esperto di certi fatti di strada e poco della politica, della pubblica sopportazione di certe contraddizioni che a lui sono evidenti, risultano evidenti essendone egli un prigioniero: bello ma costretto a degradarsi; dotato per lo sport ma dedito a vizi devastanti; interessato all'arte, alla poesia ma insofferente dell'autorita' scolastica; preoccupato per il mondo ma precipitato nella delinquenza e molte altre.

"Jim entra nel campo di basket" e' una lettura interessante, appassionante, sicuramente degna di essere apprezzata assieme ad altri peccati letterari di gioventu', quando ci si innamora di autori forti, estremi, spesso sensuali (come Miller, i "Beat", Bukowski), spesso un po' spacconi; e questa forza c'e' nel libro, si intuisce - anche se sporcata dalla rabbia della strada in un'autentica onda di energia proto-punk spontaneista (infantile forse, ma genuina, con tutta la possibilita' di imbattersi in errori, fallimenti o peggio, ma le ossa ancora facili a riaggiustarsi).

Si cita spesso un criptico elogio di Kerouac all'autore: "...scrive meglio dell'89% dei romanzieri di oggi".

 

9. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Erich Auerbach, Da Montaigne a Proust. Ricerche sulla storia della cultura francese, De Donato, Bari 1970, Garzanti, Milano 1973, pp. 286.

- Erich Auerbach, Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichita' latina e nel Medioevo, Feltrinelli, Milano 2007, pp. 320.

- Erich Auerbach, Introduzione alla filologia romanza, Einaudi, Torino 1963, 1977, pp. 328.

- Erich Auerbach, La tecnica di composizione della novella, Theoria, Roma-Napoli 1984, 1986, pp. 116.

- Erich Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino 1956, 1977, 2 voll. per pp. XXXIV + 286 (vol. I) e pp. VI + 368 (vol. II).

- Erich Auerbach, San Francesco, Dante, Vico ed altri saggi di filologia romanza, De Donato, Bari, 1970, Editori Riuniti, Roma 1987, pp. 240.

- Erich Auerbach, Studi su Dante, Feltrinelli, Milano 1963, 1977, pp. XXII + 338.

 

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

11. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2009 del 7 giugno 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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