[Nonviolenza] Telegrammi. 1961



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 1961 del 20 aprile 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Peppe Sini: Dinanzi al naufragio dell'umanita'

2. Sostenere il Centro antiviolenza "Erinna"

3. Un compleanno

4. Agostino d'Ippona: Discorso 375. Elogio della pace

5. Augustinus Hipponensis: Sermo 357. De laude pacis

6. Segnalazioni librarie

7. La "Carta" del Movimento Nonviolento

8. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: DINANZI AL NAUFRAGIO DELL'UMANITA'

 

C'e' un modo semplice per salvare le vite dei migranti che ogni giorno muoiono attraversando il Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna: consentire a tutti gli esseri umani di muoversi liberamente sull'unico pianeta casa comune dell'umanita', e quindi permettere a tutti gli esseri umani di giungere in Europa in modo legale e sicuro.

Se l'Unione Europea permettesse a tutti di giungervi in modo legale e sicuro nessuno si affiderebbe alle mafie dei trafficanti, nessuno viaggerebbe sui barconi della morte, nessuno rischierebbe di morire tra le onde.

Questa e' la decisione che occorre per salvare le vite: consentire ad ogni persona, e soprattutto a chi e' in fuga da orribili violenze e pericoli estremi, di muoversi liberamente e di giungere nel nostro continente in modo legale e sicuro.

Molte altre cose ancora si possono e si debbono fare: far cessare le guerre attraverso il disarmo; soccorrere i paesi ridotti alla miseria da secoli di rapina colonialista; abbattere le dittature sostenendo le lotte nonviolente per i diritti umani; ridurre l'inquinamento e risanare la biosfera. Ma anche questa occorre fare subito: consentire a tutte le persone in fuga dalla fame e dalla morte di giungere nel nostro continente in modo legale e sicuro; garantire trasporto, accoglienza ed assistenza a persone altrimenti condannate a morire.

Salvare le vite e' il primo dovere di ogni persona morale, di ogni civile istituzione.

Vi e' una sola umanita'.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

 

2. REPETITA IUVANT. SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"

 

Proponiamo a chi ci legge, e ne abbia la possibilita', di inviare al Centro antiviolenza "Erinna" un contributo economico affinche' possa continuare nella sua indispensabile azione.

I contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.

Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it

Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

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L'associazione "Erinna" e' un'associazione di donne impegnate contro la violenza alle donne che da molti anni opera a Viterbo: ha realizzato un centro antiviolenza e una casa rifugio in cui ospita donne, bambine e bambini.

In questo momento "Erinna" ha bisogno di un aiuto straordinario da parte di tutte le persone di volonta' buona.

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Grazie a chi aderira' a questo appello, grazie a chi lo diffondera' ulteriormente.

 

3. MAESTRI. UN COMPLEANNO

 

Compie oggi 93 anni don Dante Bernini.

Qui gli attestiamo la nostra gratitudine.

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Una breve notizia su don Dante Bernini: "Vescovo emerito della diocesi di Albano, gia' presidente della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Italiana e gia' membro della "Comece'" (Commission des Episcopats de la Communaute' Europeenne), una delle figure piu' illustri dell'impegno di pace, solidarieta', nonviolenza, che nell'arco dell'intera sua vita come sacerdote e come docente e' stato costantemente impegnato per la pace e per la giustizia, nella solidarieta' con i sofferenti e gli oppressi, nell'impegno per la salvaguardia del creato, nella promozione della nonviolenza, unendo all'adempimento scrupoloso dei prestigiosi incarichi di grande responsabilita' un costante ascolto di tutti coloro che a lui venivano a rivolgersi per consiglio e per aiuto, a tutti sempre offrendo generosamente il suo conforto e sostegno, la sua parola buona e luminosa e l'abbraccio suo saldo e fraterno" (Dalla motivazione del riconoscimento attribuitogli il 2 ottobre 2014 dalla Citta' di Viterbo con una solenne cerimonia nella Sala Regia di Palazzo dei Priori). L'11 aprile 2015, nell'anniversario della promulgazione della "Pacem in Terris", e' stata realizzata in suo onore a Viterbo una "Giornata per la Pace".

 

4. TESTI. AGOSTINO D'IPPONA: DISCORSO 357. ELOGIO DELLA PACE

[Su consiglio di don Dante Bernini, che ringraziamo di cuore, presentiamo questo classico testo di Sant'Agostino, che riprendiamo dal sito www.augustinus.it]

 

Lode della pace. Come comportarsi coi nemici della pace

1. E` il momento questo di esortare la Carità vostra ad amare la pace secondo tutte le forze di cui il Signore vi fa dono, e a pregare il Signore per la pace. La pace sia la nostra diletta, la nostra amica; possiamo noi vivere, con essa nel cuore, in casta unione, possiamo con lei gustare un riposo pieno di fiducia, un sodalizio senza amarezze. Vi sia con essa indissolubile amicizia. Sia il suo abbraccio pieno di dolcezza. Non è difficile possedere la pace. E`, al limite, più difficile lodarla. Se la vogliamo lodare, abbiamo bisogno di avere capacità che forse ci mancano; andiamo in cerca delle idee giuste, soppesiamo le frasi. Se invece la vogliamo avere, essa è lì, a nostra portata di mano e possiamo possederla senza alcuna fatica. Quelli che amano la pace vanno lodati. Quelli che la odiano non vanno provocati col rimprovero: è meglio cominciare a calmarli con l'insegnamento e con [la strategia del] silenzio. Chi ama veramente la pace ama anche i nemici della pace. Facciamo un esempio: tu che ami questa luce visibile non ti adiri con i ciechi ma li compiangi. Ti rendi conto di quale bene tu godi, di quale bene essi sono privi e ti appaiono degni di pietà. Davvero non li condanneresti, anzi, se ne avessi la possibilità, che so io, una capacità medica, o anche un farmaco utile, ti affretteresti a far qualcosa per risanarli.

Così, se ami la pace, chiunque tu sia, abbi compassione di chi non ama quello che tu ami, di chi non possiede quello che possiedi tu. L'oggetto del tuo amore è di tal natura che non comporta invidia da parte di chi partecipa con te allo stesso possesso. Chi possiede la stessa pace che possiedi tu, non per questo fa diminuire il tuo possesso. Se tu desideri un determinato bene terreno, è difficile che non porti un po' d'invidia a chi ne possiede più di te. Ancora: se per caso ti viene in mente di condividere con un amico una tua proprietà per acquistare reputazione di uomo benefico o per far noto l'amore fraterno anche nelle necessità attuali, se dunque vuoi dividere con un amico un tuo possesso, sia un podere, sia una casa, o qualcosa del genere, devi appunto dividerlo con lui, devi goderlo in partecipazione con lui. Nel caso che tu ne voglia aggiungere un terzo o un quarto, già devi valutare quanti ne contenga la casa per la coabitazione o quanti ne può mantenere il fondo e devi concludere: un quinto non entra, un sesto non può abitare con noi, non ci sta. E per un settimo [devi dire]: " Una così piccola proprietà come può fornirgli sostentamento? ". Per lo stesso limite della proprietà, non per volontà tua, bisogna escluderne altri. Se invece ami, tieni, possiedi la pace, puoi invitarne quanti vuoi alla partecipazione di questo possesso. Anzi, i suoi confini si allargano quanto più cresce il numero di coloro che la posseggono. Una casa terrena non contiene più di un certo numero di abitanti. In quanto alla pace essa cresce in proporzione del numero di chi ne usufruisce.

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Amare la pace è possederla

2. Che cosa buona è amare! Amare è già possedere. E chi non vorrebbe veder crescere ciò che ama? Se vuoi con te pochi partecipi della pace, avrai una pace ben limitata. Ma se vuoi veder crescere questo tuo possesso, aumenta il numero dei possessori. O miei fratelli, in che misura è noto quello che vi ho detto, che amare la pace è possedere un bene; che lo stesso amarla è già possederla? Non ci sono parole adatte a magnificare, non ci sono sentimenti adeguati a meditare questa cosa straordinaria che amare è possedere. Considera gli altri beni per cui gli uomini si accendono di cupidigia. Li puoi vedere: c'è chi ama i terreni; chi l'argento, chi l'oro, chi la numerosa prole, chi case ricche, ben arredate, chi fondi molto ameni e di gran valore. Chi ama queste cose non per il fatto che le ama anche le possiede; può esserne totalmente sprovvisto chi le ama. Ma anche se non può avere, ama, si strugge dal desiderio di avere. Se poi comincia a possedere qualcosa è tormentato dal timore di perderlo. C'è chi ama gli onori, il potere. Quanti privati cittadini aspirano a raggiungere il potere! Ma il più delle volte si trovano all'ultimo giorno della loro vita senza aver raggiunto ciò che volevano. Allora, che prezzo avrà quel bene che potrai possedere appena lo amerai? L'acquisto del nostro tesoro non richiede prezzo. Non devi andare in cerca di un protettore per conseguirlo. Eccolo lì dove tu sei: basta che ami la pace, ed essa istantaneamente è con te. La pace è un bene del cuore e si comunica agli amici, ma non come il pane. Se vuoi distribuire il pane, quanto più numerosi sono quelli per cui lo spezzi, tanto meno te ne resta da dare. La pace invece è simile al pane del miracolo che cresceva nelle mani dei discepoli mentre lo spezzavano e lo distribuivano.

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Comunicare la pace con la pace ai fratelli separati

3. E intanto abbiate la pace tra voi, fratelli. Se volete attirare gli altri alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace. Per infiammarne gli altri dovete averne voi, all'interno, il lume acceso. L'eretico rifiuta la pace come l'occhio malato la luce. Ma per il fatto che il malato di occhi non può tollerare la luce, non ne consegue che essa sia una cosa cattiva. L'occhio malato rifugge dalla luce eppure è stato fatto in funzione della luce. Quelli dunque che amano la pace e la vogliono possedere fanno in modo che se ne moltiplichino i possessori, così che questo possesso cresca. Facciano in modo di aiutare con ogni mezzo i malati d'occhi, con ogni sforzo, con ogni tentativo: anche loro malgrado, anche se resistono alla cura, e saranno felici quando avranno riacquistato la vista! Supponi che il malato si irriti con te. Non stancarti di aiutarlo standogli vicino. E tu, amico della pace, rifletti, e gusta per primo l'incanto della tua diletta. Ardi d'amore tu, così sarai in grado di attirare un altro allo stesso amore, in modo che egli veda ciò che tu vedi, ami ciò che tu ami, possegga ciò che tu possiedi.

E` come se ti parlasse la pace, la tua diletta, e ti dicesse: Amami e mi avrai sempre. Attira qui ad amarmi tutti quelli che puoi: per un amore casto, integro e permanente; attira tutti quelli che puoi. Essi mi troveranno, mi possederanno, troveranno in me la loro gioia. Come non si altera la luce per quanti siano quelli che ne godono, così, anche se sono numerosi quelli che mi amano, non mi alterano. Quelli che non vogliono venire è perché non hanno occhi per vedere. Non vogliono venire perché il fulgore della pace abbaglia l'occhio malato della discordia. Considera il miserevole linguaggio di questi malati. Viene loro riferito: " E` stato deciso che i cristiani si mettano in pace ". A questa notizia dicono fra di loro: " Poveri noi ". Perché dicono così? Perché quelle parole di paura: " Poveri noi, viene l'unità "? Quanto più giustamente si dovrebbe paventare la discordia e dire: " Poveri noi! Viene la discordia. Lungi da noi la discordia che è come la tenebra per chi non vede ".  E invece sta venendo l'unità. Bisogna goderne, fratelli. Perché aver timori? E` stata annunciata l'unità, non una belva, non un incendio: viene l'unità, la luce. Eppure c'è qualcuno che, se vuole proprio dire la verità, deve dire: " Non tremo di fronte a una belva, non sono pauroso. Della luce invece ho paura perché il mio occhio è malato ". Bisogna dunque curarlo. Bisogna farli partecipi di quel bene, che, quando lo si distribuisce, non diventa più piccolo. Comunichiamolo a loro nella misura delle nostre forze, quante il Signore ce ne dà.

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Mitezza con gli scismatici litigiosi. Rimedio della preghiera

4. Dunque, miei carissimi, l'autentica mitezza cristiana e cattolica va contrapposta a loro, faccio appello alla vostra Carità. Qui si tratta di curare: è come se ci fosse una infiammazione negli occhi di questi santi. Bisogna dunque procedere, nella cura, con precauzione, con delicatezza. Nessuno attacchi briga con loro. Nessuno voglia con la polemica difendere neanche la sua stessa fede. Dalla disputa può scattare una scintilla di lite ed ecco data l'occasione a chi la cerca. Insomma, se anche devi sentire un'ingiuria, tollera, sopporta, passa oltre. Ricòrdati che sei in funzione di medico. Osservate il tratto gentile dei medici verso i malati anche quando la medicina è dolorosa. Essi prestano la loro cura anche quando debbono sentire una protesta. Non rispondono insulto ad insulto. La risposta alle loro parole sia puntuale: di uno che cura a uno che dev'essere curato, non di due che litigano. Sopportate con pazienza, ve ne scongiuro, fratelli miei, [anche le provocazioni]. " Non tollero - obietta qualcuno - che si insulti la Chiesa ". Ma è proprio la Chiesa che ti prega di essere paziente con chi insulta la Chiesa. " Si denigra il mio vescovo. Si dicono cose infami del mio vescovo e tacerò? ". Si dicano pure cose infami, ma tu taci, ora: non per consenso - è chiaro - ma per sopportazione. Se per il momento non entri nelle discussioni, fai un servizio al tuo vescovo. Cerca di capire il momento: abbi prudenza. Pensa a quanti bestemmiano il tuo Dio. Tu senti e Lui non sente? tu sai ed egli non sa? Eppure fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.

Dio dunque mostra [al momento] pazienza e rimanda la [manifestazione della] sua potenza. Così anche tu valuta il tempo e non eccitare questi occhi gonfi, infiammati: aumenteresti il loro malessere. Sei amico della pace? Allora sta' interiormente tranquillo con la tua amata. " Così - dirai - non c'è da far nulla? ". Certo che hai qualcosa da fare: elimina i litigi. Volgiti alla preghiera. Non respingere dunque l'ingiuria con l'ingiuria ma prega per chi la fa. Vorresti ribattere, parlare a lui, contro di lui. Invece parla a Dio di lui. Vedi che non è esattamente il silenzio che t'impongo. Si tratta di scegliere un interlocutore diverso; quello al quale tu puoi parlare tacendo: a labbra chiuse ma col grido nel cuore. Dove il tuo avversario non ti vede, lì sarai efficace per lui. A chi non ama la pace e vuol litigare rispondi così con tutta pace: " Di' quello che vuoi, odia quanto vuoi, detesta quanto ti piace, sempre mio fratello sei. Perché ti adoperi per non essere mio fratello? Buono, cattivo, volente, nolente, sempre mio fratello sei ". Egli potrebbe replicare: " Come posso esserti fratello? Io ti sono avversario, nemico ". Ma tu: " Anche se parli in questo modo, anche così sei mio fratello ". Sembra assurdo: mi odia, mi detesta e tuttavia mi è fratello? Si vorrebbe che io accettassi il modo di vedere di uno che non sa quel che si dica? Io gli desidero la guarigione: che veda la luce, che mi riconosca fratello. Vuoi che io accetti quello che lui dice: che io non sarei suo fratello per il fatto che egli mi detesta e mi odia? Debbo credere a lui e non alla stessa luce? Sentiamo che cosa dice la stessa Luce. Leggi il Profeta: Ascoltate, voi che temete, la parola del Signore. E` lo Spirito Santo che parla per bocca del profeta Isaia: Ascoltate la parola del Signore, voi che temete. Dite: Siete nostri fratelli, anche a coloro che vi odiano e vi detestano. Il fatto è che la luce risplende, fa vedere la fraternità. Il malato d'occhi dice: " Chiudi la finestra ". E invece tu apri gli occhi alla luce. Tu che secondo lui sei ancora in mezzo alle tenebre riconosci il tuo fratello in piena luce e di' senza timore non le mie, ma le parole di Dio. E` Dio che parla: Dite: Siete nostri fratelli. Di chi? Anche di quelli che vi odiano. Non ci sarebbe infatti nulla di straordinario se chiamaste fratelli quelli che vi amano. Invece si tratta proprio di quelli che vi odiano e vi detestano. Ma come può essere? Sta' a sentire e riconosci il buon frutto di una situazione condotta in tal modo. Fa' come se interrogassi il Signore Dio tuo e dicessi: " Signore, come posso dire: " Sei mio fratello " a chi odia, a chi detesta? Dimmi tu quale sarebbe la ragione ". Eccola: Perché il nome del Signore sia glorificato. Appaia nella gioia ed essi siano confusi.

Cerca di vedere, te ne scongiuro, qual è il frutto della pazienza, il risultato della mitezza. Dite: Siete nostri fratelli. Perché? Perché il nome del Signore sia glorificato. Perché non ti si riconosce fratello? Perché ci si restringe al nome dell'uomo, a glorificare l'uomo [invece di glorificare Dio]. Ripeti dunque: " Fratello mio, puoi odiarmi, puoi detestarmi finché vuoi, sei sempre mio fratello. Riconosci in te il segno di mio Padre, che è la parola del nostro Padre. Per quanto fratello cattivo, per quanto fratello litigioso, mio fratello sempre sei, perché anche tu dici, come dico io: Padre nostro che sei nei cieli.

Il nostro linguaggio è uguale. Perché non ci manteniamo uniti in lui? Ti prego, fratello, riconosci il senso di quello che dici insieme a me e condanna quello che fai contro di me. Considera le parole che escono dalle tue stesse labbra e, più che me, ascolta te stesso. Pensa chi è Colui a cui diciamo: Padre nostro che sei nei cieli. Non è un amico, non è un vicino. E` uno, quello a cui ci rivolgiamo, che ci fa obbligo di andare d'accordo, e dato che siamo uniti con una stessa voce davanti al Padre, perché non dobbiamo essere uniti in una stessa pace? ".

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Pace fervida di amore. Digiuno e ospitalità verso gli aderenti alla conferenza

5. Queste cose ditele con fervore, ma con dolcezza. Sia appassionata la vostra parola, ma per il fervore della carità, non per l'esaltazione della discordia. E pregate con me il Signore in questi solenni digiuni: quello che già era stabilito di fare per il Signore facciamolo con l'intenzione di un'offerta per questa santa causa. Il solenne digiuno era previsto per il periodo successivo alla Pentecoste. Avremmo digiunato in ogni modo anche se non ci fosse stata questa ragione.

Che cosa dunque dobbiamo fare per i nostri fratelli? Li abbiamo in carico nel nome del Signore nostro Dio e medico nostro; per curarli e risanarli, anzi per offrirli a lui perché siano risanati, non presumendo di essere noi la mano del medico.

E allora che cosa possiamo fare? Pregare lo stesso medico, digiunando, appunto, con umiltà di cuore, con pia azione di lode, con rispetto verso i fratelli.

Col Signore preghiera fervida, coi fratelli carità.

Si dovrebbero anche aumentare le elemosine perché siano esaudite più facilmente le preghiere.

Praticate anche l'ospitalità: è il momento opportuno dato che vi è qui assembramento dei servi di Dio; è l'occasione buona, la circostanza adatta. Perché lasciarla vanificare? Fa' l'inventario di quello che hai nel cenacolo della tua casa e decidi che cosa puoi riservare al cielo, cioè in sostanza a te: per il solo tesoro che ti lascia senza preoccupazioni.

Deposita dunque in alto e affida le tue cose non al tuo servo ma al tuo Signore; lì dove non puoi temere che il ladro penetri a rubare, lo scassinatore a rapinare, la violenza del nemico in guerra a depredare. Fa' in modo di avere dei beni che ti vengano restituiti. Anzi ti sarà reso in una misura superiore a quella in cui dài. Il Signore ti vuole usuraio, ma nei riguardi suoi, non in quelli del prossimo.

 

5. TESTI. AUGUSTINUS HIPPONENSIS: SERMO 357. DE LAUDE PACIS

[Del testo precedente riportiamo qui l'originale latino, che riprendiamo anch'esso dal sito www.augustinus.it]

 

De pacis laude quid agendum cum illis qui pacem non amant

1. Tempus est exhortari Caritatem vestram, pro viribus quas Dominus donat, ad pacem amandam, et pro pace Dominum deprecandum. Sit ergo pax dilecta nostra et amica, cum qua sit castum cubile cor nostrum; cum qua sit fida requies et non amarum consortium, cum qua sit dulcis complexus et inseparabilis amicitia. Pacem laudare difficilius est, quam habere. Si enim eam laudare volumus, vires optamus, sensus quaerimus, verba libramus: si autem habere volumus, sine aliquo labore habemus et possidemus. Laudandi sunt qui amant pacem: qui autem oderunt, melius interim docendo ac tacendo pacandi, quam vituperando provocandi. Verus pacis amator inimicorum eius amator est. Quemadmodum enim, si lucem istam amares, caecis non irascereris, sed eos doleres; quale enim bonum tu caperes, nosses, et ideo quanto bono illi fraudarentur conspiciens, misericordia tibi digni viderentur; et si opes haberes, si artem, si medicamentum, potius ad eos sanandos curreres, quam damnandos: ita si pacis amator es, quisquis es, miserere eum qui non amat quod amas, qui non habet quod habes. Talis quippe est res quam diligis, ut non invideas compossessori tuo. Habet tecum pacem, et tibi non angustat possessionem. Quidquid terrenum amas, difficile est ut habenti non invideas. Deinde si forte ascendit in animum tuum, terram, quam possides, communicare cum amico, ut laudetur benevolentia tua, ut etiam in istis temporalibus rebus caritas praedicetur: si ergo velis possessionem tuam terrenam, velut praedium, velut domum, vel quod libet huiusmodi, communicare cum amico; communicas cum uno, et admittis eum ad societatem, et gaudes cum illo. Cogitas admittere tertium fortassis, et quartum: iam attendis quantos capiat, quantos ferat, vel domus ad inhabitandum, vel ager ad pascendum; et dicis: Iam quintum non capit, sextus habitare non potest nobiscum, septimum quando pascit tantilla possessio? Excludit ergo ceteros, non tu, sed angustia. Ama pacem, habe pacem, posside pacem, cape ad te quantos potes ad possidendam pacem: tanto latior erit, quanto a pluribus possidebitur. Domus terrena cohabitatores multos non capit: possessio pacis cum multis habitatoribus crescit.

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Pacem hoc est habere quod amare

2. Quam bonum est amare! Hoc enim est habere. Quis autem nolit crescere quod amat? Si paucos tecum vis esse in pace, parva tibi erit pax. Si vis crescere istam possessionem, adde possessorem. Nam illud quod dixi, fratres: Bonum est amare pacem, et ipsum amare est habere, quanti constat? qua voce laudetur, quo corde cogitetur: Hoc est habere, quod amare? Considera cetera, quorum homines cupiditate conflagrant. Vide alium amare fundos, argentum, aurum, filios numerosos, pretiosas et ornatas domos, amoenissima et pretiosissima praedia. Amat hoc? Amat. Numquid iam qui amat, habet? Potest fieri ut horum omnium amator inanis sit. Quando non habet amat, cupiditate ardet ut habeat; cum autem habere coeperit, timore cruciatur ne perdat. Amat honorem, amat potestatem. Quanti homines potestatibus accipiendis privati suspirant? Et plerumque ante illos occupat ultimus dies, quam perveniant ad id quod amant. Quanti ergo constat, quod cum amaveris, habebis? Non pretio quaeris quod amas; non ambulas ad patronum, per quem pervenias. Ecce ubi stas, ama pacem, et tecum est quod amas. Res ista cordis est; nec sic cum amicis communicas pacem, quomodo panem. Panem quippe si communicare velis, quanto plures sunt quibus frangitur, tanto minus fit unde datur. Pax autem illi pani similis est, qui in manibus discipulorum Domini frangendo et dando crescebat.

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Schismatici ad pacem pacifice revocandi

3. Habete igitur pacem, fratres. Si vultis ad illam trahere ceteros, primi illam habete, primi illam tenete. In vobis ferveat quod habetis, ut alios accendat. Odit pacem haereticus, et lucem lippus. Numquid ideo mala lux, quia lippus non potest eam tolerare? Odit lucem lippus; sed tamen propter lucem creatus est oculus. Datur itaque opera ab eis qui amant pacem, et volunt secum possideri quod amant, ut possessore addito crescat possessio. Dent ergo operam curari oculos lipporum, qualibet ope, quolibet conatu. Nolens curatur, non vult dum curatur; sed dum lucem viderit, delectabitur. Puta quia succenset; noli instando defatigari. Amator pacis, attende, et delectare tu prior pulchritudine dilectae tuae, et inardesce ad trahendum alterum. Videat quod vides, amet quod amas, teneat quod tenes. Alloquitur te dilecta tua, quam diligis; loquitur tibi: Ama me, et continuo habes me. Adduc tecum quos potes ad amandum me: casta ero, et integra permanebo. Adduc quos potes, inveniant, teneant, perfruantur. Si lucem istam non corrumpant multi videntes; me corrumpunt multi amantes? Sed nolunt venire, quia non habent unde me possint videre. Nolunt venire, quia splendor pacis reverberat lippitudinem dissensionis. Vide miserandam vocem lipporum. Nuntiatur illis: Visum est ut pacem habeant Christiani. Tali nuntio illi accepto, aiunt inter se: Vae nobis. Quare? Unitas venit. Quid est? Quae vox: Vae nobis, unitas venit? Quanto iustius diceretis: Vae nobis, dissensio venit? Absit hoc, ut veniat dissensio: haec tenebrae sunt videntium. Nam venit unitas, gaudendum est, fratres. Quid expavisti? Unitas venit, dictum est. Num dictum est: Fera venit, ignis venit? Unitas venit, lux venit. Si velit veridice respondere, dicet vobis: Non expavi, quia fera venit; non enim timidus sum; sed expavi, quia lux venit; lippus enim sum. Danda igitur opera curandi. Communicandum est cum illis, quod communicatione non fit angustum, pro viribus, quantum valemus, quantum donat Deus.

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Mansuetudo schismaticis exhibenda litigantibus. Non iurgiis sed magis apud Deum precibus agendum est

4. Proinde, carissimi, exhortor Caritatem vestram, ut exhibeatis illis christianam et catholicam mansuetudinem. Nunc curandis instatur. In fervore sunt oculi sanctorum, caute curandi, leniterque tractandi sunt. Nemo suscipiat cum aliquo litem, nemo velit nunc vel ipsam suam fidem altercando defendere, ne de lite scintilla nascatur, ne quaerentibus occasionem occasio praebeatur. Prorsus convicium audis, tolera, dissimula, praeteri. Memento curandum. Videte quam blandi sunt medici eis quos etiam mordaciter curant. Audiunt convicium, praebent medicamentum, nec reddunt convicium convicio. Verbum sit verbo; ut unus sit curandus, alter curat: non duo litigantes. Fertote, obsecro, fratres mei. Sed non fero, inquit, quia blasphemat Ecclesiam. Hoc te rogat Ecclesia, ut feras, quia blasphematur Ecclesia. Detrahit, inquit, episcopo meo; crimen dicit in episcopum meum, et taceo? Crimen dicat, et tace; non agnoscendo, sed ferendo. Hoc praestas episcopo tuo, si pro illo tempore non miscearis. Intellege tempus, habeto consilium. Deum tuum quanti blasphemant? Tu audis, et ille non audit? Tu nosti, et ille non novit? Et tamen facit oriri solem super bonos et malos, et pluit super iustos et iniustos. Ostendit patientiam, differt potentiam. Sic et tu agnosce tempus, noli provocare tumentes oculos ad turbandos se ipsos. Amator pacis es? Sit tibi in corde bene cum dilecta tua. Et quid agam? Habes quod agas. Tolle iurgia, convertere ad preces. Noli conviciis repellere conviciantem, sed ora pro eo. Loqui vis illi contra illum: loquere Deo pro illo. Non tibi dico quod taceas; sed elige magis ubi loquaris, apud quem tacitus loqueris, labiis clausis, corde clamante. Ubi non te videt, ibi esto bonus pro illo. Illi autem pacem non amanti, et litigare volenti, responde pacificus: Quidquid vis dicas, quantumlibet oderis, ut placuerit detesteris, frater meus es. Quid agis, ut non sis frater meus? Prorsus bonus, malus, volens, nolens, frater meus es. Et ille: Unde sum frater tuus, hostis, inimice? Sic quomodo ista dicis, frater meus es. Mirum videtur: odit, detestatur, et frater est? Illi enim vis credam nescienti quid loquatur? Cuius opto sanitatem, ut lucem videat, et fratrem agnoscat. Illi ergo vis credam, quia non sum frater ipsius, quia detestatur, quia odit, et non potius ipsi luci? Audiamus quid dicat ipsa lux. Prophetam lege: Audite, qui pavetis, verbum Domini. Spiritus Sanctus loquitur per Isaiam prophetam: Audite, qui pavetis, verbum Domini. Dicite: Fratres nostri estis, eis qui vos oderunt, et qui vos detestantur. Quid est? Radiavit lux, ostendit fraternitatem: et adhuc dicit lippus: Claude fenestram. Praebe oculos tuos luci: agnosce fratrem in tenebris non constitutum, in tenebris constitutus: et dic, dic securus, verba Dei dicis et non mea. Dicite, dicit Deus, Fratres nostri estis: quibus? Eis qui vos oderunt. Nam quid mirum si dicitis eis qui vos diligunt? His qui vos oderunt, et qui vos detestantur. Utquid hoc? Audi, et causae aspice fructum. Velut interrogaveris Dominum Deum tuum, et dixeris: Domine, quomodo dicam: Frater meus es, qui odit, qui detestatur? Dic quare. Ut nomen Domini honorificetur. Appareat vel in iucunditate: ipsi autem erubescant. Vide, obsecro, fructum patientiae, tantae mansuetudinis. Dicite: Fratres nostri estis. Quare? Ut nomen Domini honorificetur. Quare autem non te agnoscit fratrem? Quia nomen hominis homines honorificavit. Ergo dic: Frater meus: oderis licet, detesteris licet, frater meus es. Agnosce in te signum patris mei. Sermo patris nostri. Male frater, litigiose frater, frater meus es tu. Dicis etenim tu, quomodo et ego: Pater noster qui es in caelis 3. Unum dicimus: quare in uno non sumus? Rogo te, frater, agnosce quod mecum dicis, et damna quod contra me facis. Adverte verba exeuntia de ore tuo. Audi, non me, sed te. Vide cui dicimus: Pater noster qui es in caelis. Non amicus, non vicinus; sed ipse cui dicimus, concordare nos iubet. Simul habemus apud Patrem unam vocem: quare non simul habemus unam pacem?

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Pax fervore ardens. Ieiunium solemne. Hospitalitas in eos qui Carthaginem veniunt collationis causa

5. Talia dicite ardenter, dicite leniter. Dicite ardentes fervore caritatis, non tumore dissensionis, et deprecamini nobiscum Dominum solemnibus ieiuniis. Quae iam reddimus Deo, reddamus et pro causa. Iam enim ieiunamus post Pentecosten solemniter: et utique ieiunaremus, etiamsi ista causa non esset. Quid ergo debemus fratribus nostris, quos in nomine Domini Dei nostri, medici nostri, curandos sanandosque suscipimus, illi offerentes ut sanentur, non nobis manus medici praesumentes? Sed quid facimus? Deprecemur ipsum medicum, ieiunantes humili corde, pia confessione, timore fraterno. Exhibeamus Domino pietatem, fratribus caritatem. Crescant enim eleemosynae nostrae, quibus exaudiantur facilius orationes nostrae. Hospitalitatem sectamini. Tempus est: servi Dei veniunt. Tempus est, occasio est, quare perit? Attende quid habes in cenaculo domus tuae. Attende et sursum quid reponas, quid tibi serves, de quo thesauro solo securus es. Pone sursum, commenda non servo tuo, sed Domino tuo. Numquid illic times ne fur obrepat, ne effractor invadat, ne hostis turbulentus eripiat? Fac ut habeas quod tibi reddatur. Nec hoc tibi redditur, quod posueris. Feneratorem te vult Dominus, sed suum, non proximi tui.

 

6. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Enrico Comba (a cura di), Levi-Strauss, Rcs, Milano 2015, pp. 168, euro 5,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

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Riletture

- Giuseppe Grassano, La critica e Fenoglio, Cappelli, Bologna 1978, pp. 300.

- Gina Lagorio, Fenoglio, La Nuova Italia, Firenze 1970, 1982, pp. II + 180.

- Davide Lajolo, Fenoglio, Rizzoli, Milano 1978, pp. 336.

 

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

8. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 1961 del 20 aprile 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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