[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 601



 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XV)

Numero 601 del 29 giugno 2014

 

In questo numero:

1. "Operazione Colomba": Ultime notizie dalla marcia

2. Giulia Zurlini Panza: Passo dopo passo

3. "Operazione Colomba": Un popolo si muove per la pace. Dal 22 giugno al primo luglio la marcia internazionale per la pace in Albania

4. "Operazione Colomba": Un popolo si muove per la pace. Appello per la marcia internazionale per la pace in Albania

5. Francesco Gesualdi: La crisi dei debiti sovrani

6. Francesco Gesualdi: Il sogno infranto della crescita

 

1. INIZIATIVE. "OPERAZIONE COLOMBA": ULTIME NOTIZIE DALLA MARCIA

[Dalle amiche e dagli amici dell'Operazione Colomba (per contatti: tel. 054129005, cell. 328.5857263, e-mail: albania at operazionecolomba.it, operazione.colomba at apg23.org, web: www.operazionecolomba.it, www.operazionecolomba.com, www.operazionecolomba.it/marciapaceinalbania) riceviamo e diffondiamo]

 

Anche la giornata di oggi e' stata molto intensa e ricca di incontri.

Ormai siamo alla sesta tappa del nostro cammino verso Tirana. Il gruppo e' partito alla mattina dal villaggio di Pllane verso Lac.

La gente che incontriamo camminando ha reazioni diverse, molti chiedono spiegazioni, altri ci benedicono e ci ringraziano, mentre alcuni ci prendono in giro o si dichiarano favorevoli alle vendette.

I segni positivi sono comunque tanti e piu' camminiamo piu' forte nasce in noi la speranza in un cambiamento positivo.

Il vero uomo nuovo, non quello del regime comunista di Enver Hoxha le cui fabbriche, oramai scheletri di un passato prossimo, ci accolgono alle porte della citta'.

Arrivati nella cittadina di Lac, dopo circa 9 chilometri, inizia il vero cammino fatto di dialoghi e confronti con le persone che ci osservano dai margini della piazza e che, in molti, timidamente si avvicinano per firmare l'appello.

Nello stesso modo, dai bordi della piazza, ascoltano numerosi il racconto di Marco, sull'esperienza del comitato di resistenza nonviolenta ad At-Tuwani in Palestina, e padre Gianfranco Testa.

La giornata si chiude con una riflessione fra di noi e con la consapevolezza di aver, anche qui, seminato semi di speranza.

 

2. TESTIMONIANZE. GIULIA ZURLINI PANZA: PASSO DOPO PASSO

[Dalle amiche e dagli amici dell'Operazione Colomba (per contatti: tel. 054129005, cell. 328.5857263, e-mail: albania at operazionecolomba.it, operazione.colomba at apg23.org, web: www.operazionecolomba.it, www.operazionecolomba.com, www.operazionecolomba.it/marciapaceinalbania) riceviamo e diffondiamo.

Giulia Zurlini Panza (Modena 1983) dal 2006 e' volontaria dell'Operazione Colomba e da gennaio 2012 lavora per il progetto sulla nonviolenza e la riconciliazione a Scutari, in Albania. Laureata in Relazioni internazionali all'Universita' di Bologna, laurea specialistica in Analisi dei conflitti, delle ideologie e della politica nel mondo contemporaneo all'universita' di Modena e Reggio Emilia con una ricerca su "Gestione dei conflitti: la riconciliazione nei casi Kossovo e Israele-Palestina". Opere di Giulia Zurlini Panza: Dalla guerra alla riconciliazione. Operazione Colomba: corpo nonviolento di pace in zone di conflitto armato, Centro Gandhi Edizioni, Pisa 2013]

 

Passo dopo passo seminiamo speranza ovunque camminiamo.

Questo non accade grazie a noi, ma grazie a quella luce che vediamo negli occhi delle persone che incontriamo.

Ci accorgiamo che queste persone ci stavano aspettando, soprattutto chi non e' stato avvisato del nostro passaggio.

Nei loro sguardi si puo' scorgere la loro storia personale, ma ancor di piu' la storia che hanno vissuto come popolo.

Decenni di dittatura comunista, quaranta lunghissimi anni di isolazionismo, la pratica dell'ateismo forzato, il ferreo controllo del pensiero della popolazione da parte dei servizi di sicurezza hanno contribuito allo sviluppo di una mentalita' basata sul sospetto.

La sofferenza di questa gente e' tangibile ancora oggi.

L'uso della violenza camuffata dalla riscoperta di antiche tradizioni ne e' in parte un sintomo.

Questo posto mi richiama alla mente alcune parole sentite anni fa in un altro contesto di conflitto armato: "la violenza che subisci, non scompare da sola, necessita di essere riconosciuta come tale e di trovare un giusto canale per farla uscire, altrimenti esplode nel peggiore dei modi".

Noi oggi marciamo per ascoltare e per trasformare il dolore causato dalla violenza, per trasformarlo positivamente. Non vogliamo che esso diventi odio, non desideriamo che si tramuti in una bieca giustificazione per ulteriori conflitti. Vogliamo liberare questa rabbia e questo grido in modo costruttivo.

Per farlo cerchiamo di diffondere il meglio di cio' che la cultura albanese ci ha insegnato.

Rimaniamo sorpresi dalla bellezza dei posti in cui passiamo, dall'accoglienza delle persone, dalle domande dei curiosi.

In ogni luogo in cui arriviamo lasciamo qualcosa e prendiamo qualcosa, ripartiamo piu' arricchiti nell'anima.

Parliamo di perdono e di riconciliazione, di concetti che toccano il cuore del popolo albanese e veniamo ascoltati.

I giovani che hanno il volto meno segnato dalla storia del passato ci interrogano e si interrogano sul problema delle "vendette di sangue" e su quali possano essere le strade per superarlo.

Ma in realta' la luce che continuiamo a scorgere negli occhi delle persone che si avvicinano ci fa capire quanto secoli di invasioni e anni di regime non siano riusciti a schiacciare in questa gente la speranza di un cambiamento.

Oggi un signore in una Piazza di Lac ci ha lasciato una dedica. Secondo lui la parola "gjakmarrje", che letteralmente significa "presa del sangue" suona come un terribile imperativo a vendicarsi. Scrive che sarebbe piu' significativo iniziare ad usare il termine "gjakfalje" ovvero "il perdono del sangue". Questo concetto sarebbe un imperativo infinitamente piu' importante.

La parola "pajtimi", ovvero "riconciliazione", continua a risuonare passo dopo passo.

 

3. REPETITA IUVANT. "OPERAZIONE COLOMBA": UN POPOLO SI MUOVE PER LA PACE. DAL 22 GIUGNO AL PRIMO LUGLIO LA MARCIA INTERNAZIONALE PER LA PACE IN ALBANIA

[Dalle amiche e dagli amici dell'Operazione Colomba (per contatti: tel. 054129005, cell. 328.5857263, e-mail: albania at operazionecolomba.it, operazione.colomba at apg23.org, web: www.operazionecolomba.it, www.operazionecolomba.com, www.operazionecolomba.it/marciapaceinalbania) riceviamo e diffondiamo]

 

Quando? Il periodo di realizzazione della marcia e' dal 22 giugno al primo luglio 2014.

Dove? In Albania, da Bajrami Curri a Tirana.

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Un popolo si muove contro le vendette di sangue

Abbiamo pensato di organizzare una marcia per la pace che percorra l'Albania toccando le localita' piu' significative al fine di sensibilizzare e coinvolgere la societa' civile presente in tutto il territorio nazionale e contare anche sulla partecipazione di realta' (singoli, associazioni...) internazionali.

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Iniziative di sensibilizzazione in Albania

Nel marzo 2013 i volontari di Operazione Colomba hanno promosso una campagna di raccolta di firme contro il perpetrarsi delle vendette di sangue, rivolta a tutti i cittadini, denominata "5.000 firma per Jeten", conclusasi nel settembre 2013, nel corso della quale sono state raccolte e consegnate alle principali autorita' albanesi quasi 6.000 firme affinche' fossero prese misure efficaci per contrastare il fenomeno della gjakmarrje.

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Chi e' Operazione Colomba

Operazione Colomba e' il corpo nonviolento di pace dell'associazione Comunita' Papa Giovanni XXIII. Fanno parte del progetto tutti coloro che vogliono sperimentare in maniera diretta che la nonviolenza e' la via per ottenere una pace giusta e duratura. I componenti sono volontari che danno una disponibilita' piu' o meno lunga, scegliendo di condividere la vita con le vittime su diversi fronti del conflitto, in maniera disinteressata. Attualmente e' presente e opera in Israele/Palestina, Colombia e Albania, e si sta cercando di aprire una presenza stabile anche in Libano. Dal 2010 Operazione Colomba e' presente in Albania, a Scutari, con una presenza anche a Tropoja, per sostenere il lavoro che la Comunita' Papa Giovanni XXIII svolge dal 2004 sul tema delle "vendette di sangue". I volontari, insieme ai membri della Comunita' e ai volontari del servizio civile internazionale, condividono la quotidianita' con le famiglie in situazioni di vendetta, anche attraverso sostegni nell'assistenza medica e scolastica, con l'obiettivo di giungere a percorsi di riconciliazione (Pajtimi) e perdono fra queste famiglie in primis, ma anche con l'intento di portare all'attenzione dell'opinione pubblica albanese (e non) questo fenomeno drammatico, al fine di contribuire ad avviare percorsi virtuosi tra le genti e con le associazioni, in vista di una riconciliazione a livello nazionale.

 

4. REPETITA IUVANT. "OPERAZIONE COLOMBA": UN POPOLO SI MUOVE PER LA PACE. APPELLO PER LA MARCIA INTERNAZIONALE PER LA PACE IN ALBANIA

[Dalle amiche e dagli amici dell'Operazione Colomba (per contatti: tel. 054129005, cell. 328.5857263, e-mail: albania at operazionecolomba.it, operazione.colomba at apg23.org, web: www.operazionecolomba.it, www.operazionecolomba.com, www.operazionecolomba.it/marciapaceinalbania) riceviamo e diffondiamo]

 

Cambiare? Si puo'. Un popolo si muove per la pace, contro le vendette di sangue.

Marcia internazionale per la pace in Albania, 22 giugno - primo luglio 2014, Bajram Curri - Tirana

La gjakmarrja (vendetta di sangue) e' un fenomeno estremamente lesivo dei diritti fondamentali degli esseri umani, a partire dal piu' importante, quello alla vita. Tale pratica mina, inoltre, l'unita', la stabilita' e il futuro di tutta l'Albania.

Il suo superamento puo' avvenire solo attraverso la promozione di una cultura di pace e nonviolenza che favorisca sia percorsi di riconciliazione tra le famiglie in vendetta, sia percorsi di riconciliazione collettiva: i cittadini albanesi non dovranno mai piu' sentire la necessita' di farsi giustizia da soli, perche' lo Stato sara' presente e in grado di tutelare i loro diritti.

Per fare questo e' indispensabile la mobilitazione della societa' civile nazionale (in primo luogo) ed internazionale, pertanto chiediamo alle Istituzioni albanesi, sottoscrivendo questo appello, di impegnarsi: a dotare il Paese di un sistema giuridico/istituzionale adeguato a sostenere un processo di superamento del fenomeno; ad applicare immediatamente la legge 9389 del 4/5/2005 per la creazione e il funzionamento del Consiglio di coordinamento per la lotta contro le "vendette di sangue", previsto dalla stessa; a rendere certa la pena per quanti si macchieranno di crimini legati alle "vendette di sangue"; a promuovere una cultura di pace e rispetto dei diritti umani, prima di tutto il diritto alla vita.

Come attori della societa' civile (singoli o associati) nazionale ed internazionale, sottoscrivendo questo appello, ci impegniamo: a non usare la violenza in caso di conflitto e a rispettare sempre la vita umana; a promuovere tra i nostri associati/amici/parenti la prassi della risoluzione nonviolenta dei conflitti e della riconciliazione; a ricordare le vittime di ogni violenza, della gjakmarrjes e hakmarrje; a diffondere la storia e le esperienze delle persone che al posto della vendetta hanno scelto di riconciliarsi perdonando; a sostenere la creazione in Albania di un movimento popolare che promuova la cultura della vita, del rispetto dell'altro e della riconciliazione (pajtimi) e che sensibilizzi le istituzioni locali affinche' garantiscano il rispetto e la promulgazione delle norme tese a contrastare il fenomeno delle "vendette di sangue".

Anche chi non puo' partecipare fisicamente alla marcia puo' sottoscrivere questo appello inviando una e-mail a: albania at operazionecolomba.it con scritto: "nome cognome aderisce all'appello per la vita contro le 'vendette di sangue' in Albania".

Per maggiori informazioni (modalita' di partecipazione, percorso, adesioni...): www.operazionecolomba.it/marciapaceinalbania

Operazione Colomba e' il corpo nonviolento di pace dell'associazione Comunita' Papa Giovanni XXIII. Dal 2010 Operazione Colomba e' presente in Albania, a Scutari e a Tropoja, per sostenere il lavoro che la Comunita' Papa Giovanni XXIII svolge dal 2004 sul tema delle "vendette di sangue".

I volontari, insieme ai membri della Comunita' e ai volontari in servizio civile internazionale, condividono la quotidianita' con le famiglie in situazioni di vendetta, offrendo loro anche assistenza medica e scolastica, ma con l'obiettivo principale di promuovere percorsi di riconciliazione (Pajtimi) e perdono fra queste famiglie.

Operazione Colomba promuove inoltre iniziative di sensibilizzazione dell'opinione pubblica (albanese e non) su questo drammatico fenomeno, affinche' si avviino anche processi virtuosi che portino a percorsi di riconciliazione nazionale.

 

5. TESTI. FRANCESCO GESUALDI: LA CRISI DEI DEBITI SOVRANI

[Ringraziamo di cuore Francuccio Gesualdi (per contatti: tel. 050826354, fax: 050827165, e-mail: coord at cnms.it, sito: www.cnms.it, blog: http://blog.francescogesualdi.eu/) per averci consentito di ripubblicare il seguente estratto dal suo libro Facciamo da soli. Per uscire dalla crisi oltre il mito della crescita: ripartiamo dal lavoro e riprendiamoci l'economia, Altreconomia edizioni, Milano 2012.

Francuccio Gesualdi e' stato allievo di don Lorenzo Milani nell'esperienza della scuola di Barbiana, e' animatore dell'esperienza del "Centro nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano, insieme a padre Alex Zanotelli ha promosso la nascita della "Rete di Lilliput", e' da sempre impegnato in molte iniziative concrete di solidarieta' e di difesa dei diritti umani e dell'ambiente, ha contribuito in misura decisiva a far nascere e crescere in Italia la consapevolezza, l'azione e le reti del consumo critico ed etico, del commercio equo e solidale, degli stili di vita sobri e responsabili, della solidarieta' dei consumatori del Nord del mondo con i lavoratori del Sud contro la violenza sfruttatrice delle multinazionali, dell'impegno contro la trappola del debito che dopo averli rapinati affama e strozza i popoli, dell'azione per garantire a tutta l'umanita' il diritto al cibo, all'acqua, a un ambiente vivibile, alla dignita']

 

Il debito pubblico e' una malattia cronica che da decenni affligge non solo l'Europa, ma tutti i paesi industrializzati. Per molti anni, tuttavia, non aveva rappresentato un grande problema perche' aveva un andamento pressoche' stabile. La situazione e' cambiata dal 2007 quando ha subito un'impennata. Nell'area euro, ad esempio, e' passato da una media del 60% nel 2007, al 95% nel 2010. Uno dei paesi con il peggior andamento e' stato la Grecia, passata dal 102 al 160% del Pil. Il che ha consentito ai paesi del Nord Europa di puntare il dito contro quelli del Mediterraneo accusandoli di spendere oltre le proprie possibilita'. Ma la favola delle formiche del Nord e delle cicale del Sud non regge alla prova dei numeri. Tant'e' che il debito non e' cresciuto solo a sud delle Alpi e dei Pirenei, ma anche al di sopra, come mostra il caso della Germania, della Francia, dell'Inghilterra, tutti oltre l'80% del Pil per non parlare dell'Irlanda al 114%.

Caso mai sono le cause ad essere diverse, ma pur sempre legate ai giochi della finanza. In Nord Europa ha contribuito principalmente il salvataggio delle banche che complessivamente hanno assorbito 2.330 miliardi di soldi pubblici (1). Un vero e proprio trasferimento di debito dalle banche ai governi, ossia sulle spalle della collettivita', in nome del fatto che le banche giocano un ruolo troppo importante per essere lasciate fallire. Ma se e' cosi' perche' non si levano dalle mani dei privati e non si riportano sotto gestione pubblica?

Nel Sud Europa una delle voci che contribuisce di piu' all'aggravamento del debito pubblico e' rappresentata dagli interessi. Non riuscendo a coprirli con le normali entrate fiscali, i governi ricorrono a nuovi prestiti facendo crescere ulteriormente il debito pubblico come una palla di neve giu' per la montagna. In Italia nel 2010 gli interessi hanno pesato per 70 miliardi di euro totalmente finanziati con nuovi prestiti (2). Del resto non dobbiamo dimenticare che il debito pubblico italiano si e' espanso a dismisura proprio negli anni Ottanta, allorche' i tassi di interessi viaggiavano su numeri a due cifre, anche oltre il 20%. Tant'e' che passo' da 144 miliardi di euro nel 1980 a quasi 1100 nel 1994.

Le ragioni per cui abbiamo bilanci che continuano a registrare sfasamenti fra entrate e uscite sono molteplici e vanno ricercate sia sul lato delle spese che delle entrate. Da una parte pesano gli sprechi e le spese inutili. Dall'altra l'evasione fiscale e gli sconti sui redditi alti. Ma ora la situazione si sta facendo piu' difficile anche a causa della speculazione sul debito pubblico.

In Italia la forte ondata speculativa si e' verificata nell'estate 2011, dopo che si era abbattuta sulla Grecia e sulla Spagna, i paesi che l'oligarchia finanziaria riteneva piu' a rischio. I motivi per cui la speculazione prende di mira le situazioni traballanti sono varie; la prima e' la possibilita' di guadagnare attraverso un'operazione definita speculazione al ribasso che consiste nella possibilita' di vendere, al prezzo di oggi, titoli che saranno consegnati fra una settimana o fra un mese. Il tempo e' un elemento determinante ai fini speculativi, ma non e' la semplice separazione fra data di vendita e data di consegna che consente agli speculatori di guadagnare. Il vero segreto e' che non possiedono i titoli che offrono, in fondo il trucco sta tutto qui. La loro speranza e' che nel frattempo il prezzo scenda e quando arrivera' il tempo di consegnare i titoli, li compreranno sul momento a prezzi ribassati. Nella differenza fra l'alto prezzo di vendita di oggi e il basso prezzo di acquisto di domani, sta il loro guadagno. Sempre che tutto vada bene.

Ma banche e fondi non si affidano al caso. Quando prendono una decisione sanno come fare per creare le condizioni favorevoli al loro obiettivo perche' hanno abbastanza denaro per indirizzare la storia. Se puntano su un'operazione al ribasso, in un primo momento si muovono con circospezione, cercano di piazzare le loro vendite senza dare nell'occhio. Poi quando stabiliscono che il prezzo deve crollare danno un'accelerazione all'offerta e il gioco e' fatto. La massa di offerta insospettisce chi frequenta le borse: se tutti vendono una certa roba vuol dire che non vale niente, meglio starne alla larga. Ma proprio perche' nessuno compra, il prezzo scende davvero e il timore si trasforma in realta' esattamente come volevano i burattinai.

Ovviamente questa e' solo una semplificazione delle mille diavolerie che la finanza moderna si e' inventata per guadagnare sulla dabbenaggine dei piccoli risparmiatori che si aggirano per le piazze finanziarie. Ma quasi sempre la loro strategia si basa sulla psicologia di massa. Ottimismo e pessimismo, fiducia e paura sono i grandi alleati dei burattinai della finanza e quando stabiliscono che a loro serve un sentimento o l'altro si attivano con i loro potenti mezzi per provocarlo. La speculazione al ribasso si nutre della paura, e immediatamente l'intero sistema informativo cerca di amplificarla con titoli tipo: "I mercati non credono nel sistema Italia, prezzi in picchiata".

Smettiamola di parlare di mercato: anche li' c'e' una massa manovrata e una minoranza che manovra, e ne' l'una ne' l'altra crede in qualcosa ad eccezione dei soldi. Ai fondi europei, americani, chissa' forse anche cinesi, non importa niente di cosa succedera' alla Grecia o all'Italia. Non si preoccupano neanche di cosa succedera' all'economia-mondo di cui fanno parte anche loro. La loro e' una logica da pirateria: attaccano, rubano e scappano. Che poi la nave affondi o riprenda a navigare non e' affar loro.

L'aspetto che rende particolarmente appetibile la speculazione sul debito pubblico e' la possibilita' di mangiare a piu' riprese. La prima scorpacciata avviene alle spalle dei risparmiatori piu' sprovveduti, il famoso "parco buoi" delle borse, che svendono i propri titoli per effetto della paura. Il danno per lo stato arriva in un secondo momento, allorche' si ripresenta sul mercato finanziario per ottenere nuovi prestiti. A questo punto scatta la seconda strategia di arricchimento degli speculatori. Attribuendo la caduta di valore dei titoli alla sfiducia nei confronti dello stato, pretendono interessi piu' alti sui nuovi prestiti richiesti. La motivazione? A maggior rischio deve corrispondere maggior compenso. E a confermare che le cose stanno cosi', le agenzie di rating riducono i punteggi di affidabilita' degli stati presi dei mira dalla speculazione facendoli passare da A a B o addirittura a C. Il risultato e' che una quota crescente di ricchezza prelevata alla collettivita' finisce nelle tasche degli avvoltoi della finanza, invece che ai servizi pubblici. Cosi' scopriamo che il debito pubblico e' una macchina parassitaria per consentire ai benestanti di vivere di rendita senza colpo ferire. Un meccanismo di redistribuzione alla rovescia, che prende a tutti per regalare ai piu' ricchi. 70 miliardi di euro nel 2010 pari al 15,6% delle entrate tributarie. Ma dopo le bordate speculative degli ultimi mesi, i tassi di interesse pretesi sui titoli di nuova emissione sono quasi raddoppiati e per il 2012 ci si aspetta un aumento della spesa per interessi di 10-15 miliardi di euro. Soldi che in parte anche il governo Monti e' andato a pescare dove ce n'e' e dove e' facile prenderli, ossia nella cassa pensioni. E mentre tutti sentenziano che per una questione di equita' intergenerazionale e' un dovere sacrosanto andare in pensione a 70 anni, ci nascondono che il vero obiettivo non e' garantire soldi ai giovani, ma assicurare un pizzo sempre piu' alto ai signori della finanza che hanno fatto buon apprendistato alla scuola dei padrini.

Gli speculatori non sono stupidi, sanno che tirando la corda sugli interessi fanno crescere i debiti pubblici, mettendo gli stati sempre piu' in crisi. Ma proprio qui sta la terza strategia di guadagno: mettere i debitori in tale difficolta' da indurli a disfarsi di tutto. In molti paesi del Sud del mondo e' abituale che gli strozzini cedano prestiti ai piccoli contadini per interessi da capogiro in modo da dissanguarli e far scattare la trappola alla prima rata non pagata. A quel punto inviano avvocati, notai e sicari, ciascuno con la propria arma di ricatto, per costringere i contadini a chiudere la partita cedendo i propri averi. E se il debitore non ha niente da dare possono prendersi lui stesso in ostaggio riducendolo in schiavitu'.

Nei confronti degli stati indebitati si assiste alla stessa scena. Nelle loro capitali arrivano emissari di ogni genere, della Banca Centrale Europea, del Fondo Monetario Internazionale, delle societa' di rating, tutti con la stessa missiva: "pagate cio' che il mercato vi impone e se non potete pagare, svendete".

Nel marzo 2012 l'Istat ci ha informato che il debito pubblico italiano ammonta a 1.935 miliardi di euro, 120% del Pil (3). Come disfarsene con le sole entrate fiscali? Ed ecco il suggerimento di vendere tutto cio' che lo stato possiede. In passato, uno dei piu' solerti ad accogliere questo invito e' stato il governo D'Alema: nel 1999 venne insignito del premio Ocse come miglior privatizzatore dell'anno. Dal 1992 ad oggi sono stati trasferiti ai privati oltre 150 miliardi di patrimonio collettivo, principalmente imprese pubbliche. Ma la Fondazione Eni, che pubblica annualmente un rapporto mondiale sulle privatizzazioni (Privatization barometer) stima che fra aziende ed immobili lo stato italiano possiede ancora un patrimonio di 1.500 miliardi. Una ricchezza immensa su cui i privati non vedono l'ora di mettere le mani. Cosi' si scopre che - ancora una volta - si scrive debito, ma si pronuncia privatizzazione, il sogno eterno dei mercanti di accaparrare partecipazioni azionarie, edifici, terreni, autostrade, parchi, spiagge detenuti dallo stato. E naturalmente servizi. Non solo acqua e rifiuti, ma anche sanita', poste, istruzione, trasporti, viabilita', addirittura il sistema penitenziario come mostra l'esperienza statunitense.

La strategia per convincerci a passare al mercato e' sviluppata in due tempi. Prima ci fanno un buon lavaggio del cervello per convincerci che privato e' buono, pubblico e' cattivo. Poi, ci hanno procurato una buona crisi finanziaria per convincerci che quand'anche volessimo, il pubblico non ha i mezzi per garantirci i servizi. Tutto sembra accidentale, ma sappiamo che la dottrina neoliberista e' all'opera dai tempi dell'accoppiata Reagan-Thatcher e non lavora solo tramite la via finanziaria, ma anche quella istituzionale, come mostra l'attivita' di lobby svolta a Bruxelles e a Ginevra per ottenere dall'Unione Europea e dall'Organizzazione Mondiale del Commercio risoluzioni e trattati che tolgono agli stati l'esclusiva dei servizi pubblici.

In Italia la speculazione ha funzionato. Al grido "i mercati lo vogliono", nel 2011 e' stato spazzato via il governo Berlusconi, che sembrava inossidabile, e sono state varate ben tre finanziarie per un ammontare complessivo di circa 100 miliardi di euro, fra maggiori entrate e minori spese. Manovre che sono arrivate sulla carne viva della gente perche' invece di innalzare le aliquote fiscali sui redditi alti e introdurre una tassa sui grandi patrimoni, si e' preferito colpire i ceti medio-bassi, che formano il grosso della popolazione. E' stato calcolato che fra nuove tasse, abbattimenti di deduzioni, blocchi alle pensioni, la manovra varata da Monti nel dicembre 2011 e' costata alle famiglie italiane una media di 887 euro all'anno, che sommati ai costi delle precedenti manovre da' un totale di 3.000 euro a famiglia (4). Intanto i tagli alla sanita', alla scuola, all'assistenza, hanno peggiorato ancor di piu' la condizione delle famiglie piu' povere, che, giova ricordarlo, in Italia sono 2.734.000 per un totale di 8.272.000 individui pari al 13,8% della popolazione (5).

Ancor piu' che in Italia la speculazione ha avuto effetti devastanti in Grecia. Nel dicembre 2011 i tassi di interesse sui buoni del Tesoro decennali sono balzati al 39% e, nonostante le proteste, si sono tagliati i salari dei dipendenti pubblici del 30%, si sono licenziati 85.000 dipendenti pubblici, si sono tagliate le pensioni del 15%, si e' ridotto il salario minimo del 22%, addirittura del 32% per i giovani sotto i 25 anni (6). Risultato: un paese allo stremo. Bebe' denutriti perche' i genitori non hanno abbastanza soldi, bambini che non si portano il pranzo a scuola fingendo di esserselo dimenticato, insegnanti che cercano disperatamente del cibo per i propri alunni affamati. Negli ospedali i farmaci non si trovano piu', bisogna pagare le mance per farsi curare. Per le strade di Atene non c'e' quasi nessuno, i negozi sono praticamente deserti. Il meccanismo si e' rotto: nessuno spende, nessuno lavora piu'. Fra i giovani la disoccupazione e' alle stelle. Il 40% di quelli compresi fra i 18 e i 30 anni e' disoccupato, altri lavorano gratis. Tutti, o quasi, vorrebbero fuggire, molti lo fanno. Chi va in Germania, chi in Svezia, chi prova ad andare in Australia. Vanessa, 26 anni, intervistata dal "Corriere della Sera", arriva a dire di odiare il proprio paese, di volersene andare immediatamente per non tornare mai piu'. Questa e' la Grecia che festeggia il Natale 2011.

Il debito non e' piu' una questione di normale politica. E' una guerra fra banche e affaristi da un lato, e cittadini dall'altro. Nel mezzo le istituzioni internazionali che, disgraziatamente per noi, scelgono sempre le banche. Quando uno stato e' in affanno, quando rischia di dichiarare fallimento perche' e' a corto di soldi, allora interviene il Fondo Monetario Internazionale con prestiti d'emergenza. A parole per sostenere lo stato debitore, nei fatti per garantire ai creditori i soldi che rischiano di perdere. Ma il tutto viene fatto passare come un gesto di generosita' che bisogna meritarsi. E il Fondo ha buon gioco ad imporre licenziamenti, decurtazioni salariali, riduzione delle spese sociali, aumenti fiscali di massa ed altre regole draconiane per ottenere avanzi di cassa da destinare a interessi e restituzione di capitale. Perche' la priorita' deve essere il pagamento del debito a costo di qualsiasi sacrificio.

Se a trovarsi in difficolta' e' un paese dell'eurozona, al posto del Fondo interviene l'Unione Europea, ahime', con la stessa identica logica. E quando e' scoppiato il caso Grecia, la preoccupazione non e' stata per la sua gente, ma per le banche che avevano le casse piene di titoli del debito greco: Deutsche Bank, BNP Paribas, piuttosto che Credit Agricole o Unicredit. L'Unione Europea e' intervenuta a piu' riprese per consentire alle banche di recuperare i propri averi in scadenza, e ogni volta ha condizionato il nuovo prestito all'attuazione di drastici tagli per raggiungere il pareggio di bilancio.

Il mondo degli affari ha apprezzato, ma nel contempo e' entrato in angoscia, sa che l'austerita' e' un'arma a doppio taglio. Nell'immediato spreme ricchezza a vantaggio dei creditori, ma nel lungo periodo soffoca la vittima fino ad ucciderla. E allora sara' come una gallina morta: non produrra' piu' uova per nessuno.

Che fare? Crescita: questa e' la soluzione che tutti invocano. Divenuta una sorta di parola magica, la persegue il governo, la rivendica il sindacato, ne fa un punto d'onore la confindustria, la osannano i giornali. L'argomentazione e' che se aumenta la produzione, aumenta il gettito fiscale, aumentano i consumi, aumenta l'occupazione, stara' meglio lo stato, staranno meglio le famiglie, il paese si rimette a correre e tutti vivranno felici e contenti. Ma la domanda e': esistono le condizioni per crescere?

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Note

1. Angelo Baglioni, Umberto Cherubini, Bank bailout guarantees and public debt, http://voxeu.org

2. Corte dei conti, Rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica, maggio 2011.

3. Banca d'Italia, Supplemento al bollettino statistico, 15 marzo 2012.

4. Auser, II Rapporto sulle condizioni sociali degli anziani in Italia, febbraio 2012.

5. Istat, La poverta' in Italia 2010, 15 luglio 2011.

6. www.greeceischanging.com

 

6. TESTI. FRANCESCO GESUALDI: IL SOGNO INFRANTO DELLA CRESCITA

[Ringraziamo di cuore Francuccio Gesualdi (per contatti: tel. 050826354, fax: 050827165, e-mail: coord at cnms.it, sito: www.cnms.it, blog: http://blog.francescogesualdi.eu/) per averci consentito di ripubblicare il seguente estratto dal suo libro Facciamo da soli. Per uscire dalla crisi oltre il mito della crescita: ripartiamo dal lavoro e riprendiamoci l'economia, Altreconomia edizioni, Milano 2012]

 

Si fa presto a dire crescita, ma per crescere ci vogliono le risorse. Prima di tutto quelle monetarie che per l'appunto sono scarse in tempo di crisi. Quando l'economia e' ferma, quando e' stagnante, come si dice in gergo, ci vuole qualcuno che ridia un giro di manovella, che in qualche modo rimetta in moto la situazione. Keynes aveva assegnato questo compito allo stato, asserendo che in regime d'emergenza puo', anzi deve, spendere anche piu' di quanto incassa. Tanto piu' che gli stati normali godono di sovranita' monetaria, ossia controllano il rubinetto dell'emissione di moneta. A mali estremi, estremi rimedi, e se proprio non c'e' altro modo si puo' decidere di creare nuova domanda stampando nuova moneta. Ma ai paesi dell'eurozona, questa possibilita' e' preclusa perche' il controllo monetario e' affidato alla Banca Centrale Europea, una struttura privata di rappresentanza del sistema bancario europeo, che ha come mandato principale il contenimento dell'inflazione. Dunque non elargisce soldi agli stati, ma solo prestiti alle banche come ha fatto a piu' riprese fra il 2008 e il 2012 per un totale di oltre 1.000 miliardi di euro.

In Europa il sistema e' inceppato, ma alle imprese non interessa: per tornare a investire pretendono stimoli. Se si tratta di imprese orientate al mercato interno, come quelle delle costruzioni e delle infrastrutture, richiedono commesse di lavoro. Si aspettano che lo stato le ingaggi per la costruzione di strade, ponti, ferrovie, acquedotti. Se si tratta di imprese orientate al mercato globale richiedono sovvenzioni. Si aspettano che lo stato le aiuti con finanziamenti alla ricerca, con facilitazioni fiscali per la riduzione degli oneri sociali, in modo da avere meno costi e quindi essere piu' competitive. Ma dove trovare i soldi se il fondo del barile e' gia' stato raschiato? L'indicazione delle imprese e' tagliare ulteriormente le spese correnti per recuperare risorse per loro. Cosi' la crescita si trasforma in antagonista delle spese sociali.

Sapendo di non avere soldi da spendere, i governi cercano disperatamente delle scorciatoie per favorire le imprese a costo zero. Ognuno si arrampica sugli specchi, quantomeno per gettare un po' di fumo negli occhi. Ed ecco le liberalizzazioni di parrucchieri, taxi e farmacie, anche se il piatto forte e' rappresentato da nuove leggi per dare alle imprese piu' liberta' di licenziamento e piu' potere rispetto ad assunzioni, turni, straordinari ed ogni altro aspetto che riguarda il rapporto di lavoro. Cosi' la crescita si trasforma in antagonista dei diritti dei lavoratori.

Se fosse solo una questione di soldi, con una piccola rivoluzione politica ce la potremmo fare. Basterebbe rifondare l'Europa per farla smettere di essere al servizio di banche e mercati e metterla, invece, al servizio dei cittadini e dei diritti. Ma c'e' un altra crisi, ben piu' grave e duratura di quella finanziaria, che si contrappone alla crescita. Una crisi che coinvolge l'intero pianeta, le sue risorse, i suoi spazi ambientali.

Gli economisti, brava gente, fantasticano di produzione e ricchezza, consumi e investimenti, come se gli oggetti fossero fatti di niente. Ma benche' ci vantiamo di avere oltrepassato il confine dell'immaterialita', ogni europeo consuma mediamente 16 tonnellate di materiali all'anno che diventano 51 se consideriamo il loro zaino ecologico, ossia i detriti e rifiuti lasciati lungo le filiere produttive (1).

Nel XX secolo l'estrazione di combustibili fossili, a livello mondiale, e' aumentato 12 volte, quella di minerali 27 volte, quella di materiali da costruzione 34 volte (2). Ma e' sempre piu' chiaro che il tempo delle materie prime facili e a buon mercato se ne sta andando per sempre. Ne e' una prova la decisione assunta dalla Cina, a inizio 2012, di porre limitazioni alle esportazioni delle terre rare, un gruppo di 17 metalli, essenziali all'industria elettronica ed alle tecnologie delle energie rinnovabili, ma anche per le batterie delle auto elettriche e per i missili balistici. La Cina si e' dichiarata disposta anche ad affrontare il contenzioso avviato da Usa, Ue e Giappone di fronte all'Organizzazione Mondiale del Commercio. La linea difensiva di Pechino e' molto semplice e Miao Wei, ministro cinese dell'industria e dell'informazione, l'ha esposta all'agenzia ufficiale Xinhua: "Se la Cina non cessa lo sfruttamento eccessivo avvenuto finora, alcune di queste terre rare saranno esaurite entro 20 anni".

Le riserve di minerali ad alta concentrazione, quelle che hanno costituito le miniere tradizionali, si stanno esaurendo a passi da gigante e quando dovremo indirizzarci verso i siti a minor concentrazione dovremo smuovere sempre piu' natura e soprattutto impiegare sempre piu' energia per ottenere quantita' di minerali sempre piu' basse. Gia' oggi si impiega circa il 10% di tutta l'energia disponibile per estrarre e produrre metalli (3). Quanta ce ne vorra' domani che i minerali dovremo andare a cercarceli dove sono a concentrazioni piu' basse?

E non illudiamoci che il riciclaggio possa permetterci di disporre di materiali all'infinito. Uno dei problemi e' la perdita di qualita' del materiale riciclato che peggiora ad ogni passaggio. Succede all'acciaio, alla carta, alle plastiche. La conclusione e' che per i principali metalli, il tasso medio di riciclaggio, in rapporto al peso, e' del 50%. Nel caso del piombo siamo al 74%, ma per il rame e l'alluminio siamo al 30% (4).

In ogni caso anche per il riciclaggio ci vuole energia, che oggi si ottiene principalmente dai combustibili fossili, petrolio, gas, carbone, che continuano a rappresentare l'85% dell'energia consumata a livello mondiale. Dal 1700 estraiamo combustibili come se fossero pozzi senza fondo, ma a questo mondo tutto e' misurato ed anche per queste risorse sta arrivando la resa dei conti. La spia rossa si e' gia' accesa per il petrolio, che per ammissione generale nella maggior parte dei paesi produttori e' gia' sceso oltre la meta' delle riserve. E' rimasta, insomma, la parte piu' difficile e costosa, tant'e' che la produzione di greggio nel mondo cala ogni anno di 2-4 milioni di barili al giorno, mentre la domanda cresce della stessa quantita'. In conclusione ogni anno ci vorrebbero nuove fonti per 4-7 milioni di barili al giorno, ma piu' nessuno si fa grandi illusioni sulla possibilita' di scoprire nuovi giacimenti significativi (5). Ne' potranno essere una soluzione i depositi di scisti bituminose che pongono una quantita' di problemi infiniti: dissesto geologico, disboscamento, consumi enormi di acqua, bassa efficienza energetica.

Che i combustibili fossili siano al capolinea lo dicono anche i prezzi che si impennano al minimo soffio di vento. Basta un attrito politico, una nave che si rovescia, una piattaforma che si incendia, e la speculazione ha buon gioco a spingere i prezzi piu' su perche' la situazione gia' scricchiola a cose normali. Del resto, sappiamo che anche se avessimo combustibili in maniera illimitata, non potremmo bruciarne a nostro piacimento perche' c'e' un altro limite all'altro capo della catena. Ogni combustione produce anidride carbonica, principale responsabile dell'effetto serra. Nel 2010 il mondo ha toccato il livello record di 33 miliardi e mezzo di tonnellate emesse in atmosfera, mentre la vegetazione e gli oceani non sono in grado di assorbirne piu' di 15 miliardi. La concentrazione di CO2 e' passata da 357 parti per milione nel 1992 a 398 nel 2010, con conseguenze inevitabili sulla temperatura terrestre che nell'ultimo ventennio e' cresciuta di 0,4 gradi centigradi. La soglia dei due gradi sopra i livelli dell'era preindustriale e' a un passo, e una volta superati, ci dicono gli esperti, gli effetti dei cambiamenti climatici saranno inimmaginabili. Scongelamento delle calotte polari, innalzamento dei mari, estinzione di specie animali, siccita', inondazioni: questo e' il quadro gia' messo in evidenza nel 2006 dal Rapporto Stern che stimava nell'1% la quota di prodotto mondiale da impiegare annualmente per arginare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Di sicuro il settore piu' esposto e' quello agricolo. Basta una siccita' in Russia, un eccesso di piogge in Australia, per decurtare i raccolti. E da quando la situazione si e' fatta piu' instabile le derrate alimentari sono state prese d'assalto dalla speculazione. I prezzi di grano, mais, riso, sono in movimento continuo, a farne le spese sono produttori e consumatori. Nei paesi opulenti i contraccolpi sono assorbiti con maggiore facilita', ma quando la ricchezza procapite non arriva a due dollari al giorno, basta un aumento del pane di pochi centesimi per fare intravedere lo spettro della fame. Ed ecco le rivolte del pane sempre piu' frequenti nel Sud del mondo. Particolarmente famosa e' quella scoppiata in Tunisia nel dicembre 2010, perche' ha dato il via alla primavera araba che poi ha infiammato l'intero Nord Africa.

Il mondo conta un miliardo di affamati e si sa che non sono tanto il frutto della penuria di cibo, quanto di un'economia ingiusta che concentra le terre nelle mani di pochi, che non garantisce un posto di lavoro ai disoccupati, che sfrutta i lavoratori fino all'osso. E nonostante i cambiamenti climatici, se ci fosse maggiore giustizia, il pianeta potrebbe nutrire non sette miliardi di persone, ma dieci. Ma dobbiamo stabilire di che cibo parliamo. Sicuramente non della carne, che da un punto di vista energetico e' un vero nonsenso se pensiamo che ci vogliono dalle quattro alle dieci calorie vegetali per ottenere una caloria animale. Fino al 2005, la carne era appannaggio degli abitanti dei Paesi di prima industrializzazione, che pur rappresentando solo il 14% della popolazione mondiale sequestravano il 35% di tutti i cereali del mondo per ingrassare bovini e suini destinati a fornire bistecche e salsicce. Poi e' successo che nel Sud del mondo, e in particolare in Cina, e' emersa una classe agiata, che in ossequio al nostro modello consumista ha aumentato il consumo di carne e di conseguenza di cereali. La carne, dunque, come prima causa di pressione sui prezzi a cui se ne aggiunge un'altra ancor piu' sconvolgente. Avendo capito che il petrolio ha gli anni contati, ma non volendo rinunciare all'automobile, si stanno cercando nuovi carburanti. Dopo aver inseguito il mito dell'idrogeno si e' optato per il bioetanolo, combustibile ottenuto da canna da zucchero, barbabietole, ma anche mais e soia. Cosi' il carburante e' entrato in competizione con il cibo.

La pressione sull'agricoltura si sta facendo sentire anche sulle terre come dimostra il fenomeno del land grabbing, letteralmente "furto di terre", che consiste nell'accaparramento di terre in paesi del Sud del mondo, da parte di istituzioni appartenenti a paesi con reddito procapite medio alto. Il fenomeno e' partito nel 2008 per iniziativa della Daewoo, multinazionale sudcoreana, che in Madagascar era riuscita ad ottenere, in comodato gratuito per 99 anni, un'estensione di terra grande come il Belgio. Motivo: garantire alla Corea del Sud la fornitura di cibo in vista di un futuro incerto. In seguito vari altri paesi hanno seguito l'esempio (Cina, Arabia Saudita, Qatar) garantendosi terre soprattutto in Africa (Sudan, Etiopia, Madagascar, Mozambico), Sud Est asiatico (Cambogia, Laos, Filippine, Pakistan, Indonesia), ed anche in Europa orientale (Ucraina), per la produzione di derrate agricole destinate ai propri paesi, sia per motivi alimentari che per la produzione di bioetanolo. Secondo un rapporto di Oxfam, pubblicato nel settembre 2011, le terre finite sotto controllo straniero ammontano a 227 milioni di ettari, un'area grande come l'Europa nord occidentale (6). E poi dicono di volere eliminare la fame. Ma come si puo' eliminare il problema se si continua a privare i contadini delle terre migliori per soddisfare i capricci dei ricchi?

La riduzione di cibo si avverte anche nei mari. Il 90% delle grandi specie marine sono scomparse o sono in una posizione di forte criticita'. Stiamo parlando di tonni, merluzzi, pesci spada, e molti altri pesci di grande taglia.

I pescherecci, sempre piu' potenti, lanciano reti alte anche 50 metri, a pieno carico pesano come un aereo di medie dimensioni. E quando le stive sono piene, non si va in porto a scaricare, ma si trasferisce il pesce su altre navi attrezzate per la lavorazione e la refrigerazione in alto mare. Un modo per continuare a pescare ad oltranza, finche' la zona non e' ripulita.124 milioni di tonnellate, questa e' la quantita' di pesce pescato ogni anno a livello mondiale. Troppo. Se continua cosi' entro il 2050 molte specie saranno completamente annientate (7).

Dagli oceani alle foreste.

Ogni anno si perdono 13 milioni di ettari di foresta naturale e benche' la Fao cerchi di consolarci dicendoci che la perdita e' parzialmente compensata dalla messa a dimora di piantagioni, non e' certo la stessa cosa. Assieme alle foreste se ne va la biodiversita' che non si ricostituisce con un habitat artificiale.

Sotto accusa e' la nostra velocita' di consumo, che ormai si misura in termini di giorni. Il concetto si chiama overshoot day, "giorno del sorpasso" che nel 2011 e' coinciso col 27 settembre. Quel giorno la nostra voracita' ha superato la capacita' di rigenerazione della Terra. Finiti i frutti, abbiamo chiuso l'anno a spese del "capitale naturale": invece che vitelli abbiamo cominciato ad abbattere mucche, invece che pesci figli, abbiamo mangiato pesci madre, invece che raccolti agricoli, abbiamo consumato semi. Secondo il Wwf il nostro consumo di natura supera del 50% la capacita' di rigenerazione della terra, di questo passo nel 2030 avremo bisogno di due pianeti solo per le risorse naturali (8).

E ancora non abbiamo parlato dell'acqua parte integrante di tutti i processi produttivi, non solo quelli agricoli, ma anche quelli industriali. Vi entra pulita ed esce sporca. Servono 16 tonnellate di acqua per conciare un chilo di cuoio, 2.000 litri per un chilo di carta bianca, 2.700 litri per una maglietta di cotone del peso di 250 grammi.

L'oro blu scarseggia ovunque e come il petrolio sta diventando motivo di guerre. Le acque del Tigri e dell'Eufrate, che hanno alimentato l'agricoltura per migliaia di anni in Turchia, Siria e Iraq, sono state la causa di grossi scontri fra i tre paesi. Entrambi i fiumi nascono in Turchia, la cui posizione ufficiale e': "L'acqua e' nostra, quanto il petrolio iracheno e' iracheno". In una certa misura la guerra tra israeliani e palestinesi e' una guerra per l'acqua. Il fiume conteso e' il Giordano, usato da Israele, Siria, Libano e Cisgiordania. Le grandi coltivazioni agricole di Israele necessitano dell'acqua del fiume, oltre che di quella freatica della Cisgiordania. Sebbene solo il 3% del letto del fiume Giordano si trovi in Israele, garantisce il 60% del fabbisogno di acqua del paese.

L'acqua scarseggia ovunque perche' ne abbiamo abusato e perche' l'abbiamo contaminata con i nostri veleni. Dighe, bacini, sistemi di pompaggio delle acque sotterranee hanno permesso di triplicare l'approvvigionamento idrico mondiale rispetto al 1950, rifornendo citta', industrie e aziende agricole in continua espansione. Oggi circa il 40% degli alimenti mondiali proviene da terreni irrigati che costituiscono il 18% di tutti i terreni agricoli (9). Ma stiamo pagando un prezzo alto. Le falde si abbassano, i laghi si prosciugano e molti fiumi non riescono a raggiungere il mare per molti mesi dell'anno. In Cina, ad esempio, l'ultimo tratto del Fiume Giallo e' ridotto ad un rigagnolo e sempre piu' spesso diventa un letto arido prima di arrivare alla foce.

Neanche i fiumi italiani godono di ottima salute. Rispetto a 80 anni fa, la portata media del Tevere e' diminuita del 25%. Quella del Flumendosa (Sardegna) addirittura del 35% e quella dell'Arno del 45%. Per non parlare dell'Adige e del Po. Nel luglio del 2005 la portata del Po e' stata di 341 metri cubi al secondo, mentre nei dieci anni precedenti la media nello stesso mese era piu' del doppio, ossia 990,91 metri cubi al secondo (10).

Di fronte ad un pianeta cosi' saccheggiato e cosi' avvelenato come si puo' ancora parlare di crescita? Tanto piu' che meta' della popolazione mondiale non ha ancora conosciuto il gusto della dignita' umana. Crisi sociale e crisi ambientale camminano strette in un abbraccio mortale.

Secondo la Banca mondiale sono tre miliardi e hanno le sembianze del bambino piangente che siede nudo fuori dalla capanna. Dell'uomo dal volto scavato e bruciato dal sole che, machete alla mano, cerca di strappare un pezzo di terra alla foresta. Della donna dal corpo macilento, appena ricoperto di stracci, che cerca del cibo frugando nella montagna di rifiuti. Sono i poveri assoluti che secondo il linguaggio arido del denaro vivono con meno di due dollari al giorno. Secondo il linguaggio concreto della vita non riescono a soddisfare nemmeno i bisogni fondamentali. Non mangiano piu' di una volta al giorno, si alimentano con una dieta costituita quasi esclusivamente da farinacei e legumi. Molti di loro bevono acqua di pozzo o di fiume, non godono di servizi igienici. Vivono in baracche costruite con materiale di recupero o in capanne costruite con materiale naturale trovato nei dintorni. Hanno scarsi indumenti e un bassissimo livello di scolarita'. In caso di malattia non possono curarsi, sono costretti a indebitarsi per fare fronte a qualsiasi necessita' che esce fuori dalla pura e semplice sopravvivenza.

In conclusione, e' come se il mondo fosse popolato da un manipolo di grassoni che convivono con un esercito di scheletrici. Noi siamo sovrappeso, ci farebbe bene dimagrire, ma loro non hanno ancora raggiunto il peso forma, per vivere dignitosamente hanno bisogno di mangiare di piu', vestirsi di piu', curarsi di piu', studiare di piu', viaggiare di piu'. E lo potranno fare solo se noi, i grassoni, accettiamo di sottoporci a cura dimagrante perche' c'e' competizione per le risorse scarse, per gli spazi ambientali gia' compromessi.

La morale della favola e' che non si puo' piu' parlare di giustizia senza tenere conto della sostenibilita'. L'unico modo per coniugare equita' e sostenibilita' e' che i ricchi si convertano alla sobrieta', ad uno stile di vita personale e collettivo piu' parsimonioso, piu' pulito, piu' lento, piu' inserito nei cicli naturali.

Ecco un'altra ragione per abbandonare la crescita e puntare al benvivere. Non e' del Pil che dobbiamo occuparci, ma delle persone, della loro salute fisica, psichica, sociale. Produrre quanto basta per consentire a tutti di vivere dignitosamente nel rispetto dell'equita', dell'ambiente e delle generazioni che verranno: questo e' il progetto che dobbiamo perseguire.

*

Note

1. Commissione Europea, Road Map to a Resource Efficient Europe, settembre 2001 e Wuppertal Institute, Futuro Sostenibile, 2011.

2. Unep, Decoupling Natural Resources (...) from Economic Growth, 2011.

3. Ugo Bardi, La terra svuotata, 2011.

4. Ugo Bardi, op. cit.

5. Wuppertal Institute, Futuro Sostenibile, 2011.

6. Oxfam, Growing a better future, settembre 2011.

7. Overfishing: oceans are dying, www.oceansentry.org

8. Wwf, Living Planet, 2010.

9. World Watch Institute, State of the world 2006.

10. Notizia Ansa del 27 luglio 2006 ripresa dalla Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici relativa al 2005.

 

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Numero 601 del 29 giugno 2014

 

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