[Nonviolenza] Coi piedi per terra. 782



 

===================

COI PIEDI PER TERRA

===================

Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XV)

Numero 782 del 3 giugno 2014

 

In questo numero:

1. Francesco Gesualdi: L'altra via (parte prima)

2. Alcune pubblicazioni di Francuccio Gesualdi e del "Centro nuovo modello di sviluppo"

3. Una breve nota biografica su Francuccio Gesualdi

 

1. TESTI. FRANCESCO GESUALDI: L'ALTRA VIA (PARTE PRIMA)

[Ringraziamo di cuore Francuccio Gesualdi (per contatti: tel. 050826354, fax: 050827165, e-mail: coord at cnms.it, sito: www.cnms.it, blog: http://blog.francescogesualdi.eu/) per averci consentito di ripubblicare il seguente estratto dal suo libro L'altra via. Dalla crescita al benvivere, programma per un'economia della sazieta', Terre di Mezzo, Milano 2009.

Francuccio Gesualdi e' stato allievo di don Lorenzo Milani nell'esperienza della scuola di Barbiana, e' animatore dell'esperienza del "Centro nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano, insieme a padre Alex Zanotelli ha promosso la nascita della "Rete di Lilliput", e' da sempre impegnato in molte iniziative concrete di solidarieta' e di difesa dei diritti umani e dell'ambiente, ha contribuito in misura decisiva a far nascere e crescere in Italia la consapevolezza, l'azione e le reti del consumo critico ed etico, del commercio equo e solidale, degli stili di vita sobri e responsabili, della solidarieta' dei consumatori del Nord del mondo con i lavoratori del Sud contro la violenza sfruttatrice delle multinazionali, dell'impegno contro la trappola del debito che dopo averli rapinati affama e strozza i popoli, dell'azione per garantire a tutta l'umanita' il diritto al cibo, all'acqua, a un ambiente vivibile, alla dignita']

 

Prima parte. Dove ci troviamo

Capitolo 1. Come siamo finiti nella fossa

L'economia mondiale ha deragliato perche' da oltre un ventennio e' guidata da piloti in stato di ebbrezza. L'ubriacatura neoliberista: niente Stato, il mercato totalmente libero di seguire l'istinto predatorio. Alla fine l'auto ha sbandato, e' finita fuori strada ed e' rotolata giu' per la scarpata. Ma era prevedibile: quando si guida in maniera spericolata l'incidente e' inevitabile.

I giornali hanno imputato la crisi a scelte bancarie azzardate, ma questa e' solo l'ultima parte della storia. Se vogliamo capire cosa e' successo dobbiamo ripartire dalla globalizzazione. Siamo a fine anni Ottanta, le multinazionali scalpitano per uscire dai confini nazionali, rivendicano la possibilita' di poter collocare i loro prodotti da un capo all'altro del mondo senza vincoli di sorta. Tramano, brigano, sbraitano, e ce la fanno a raggiungere il loro obiettivo, ma poi scoprono che il grande mercato mondiale non esiste: solo il 30-35% della popolazione terrestre ha i soldi in tasca per assorbire i loro prodotti, tutti gli altri sono inutile zavorra. Finisce che tante imprese cercano di contendersi pochi clienti, si lanciano in una concorrenza feroce basata anche sulla riduzione dei prezzi. Alle imprese interessa il profitto, se sono costrette a ridurre i prezzi si ingegnano per ridurre anche i costi, cosi' il lavoro finisce sotto attacco. Nei settori ad alta tecnologia la strategia prescelta e' l'automazione, negli altri settori si opta per il trasferimento della produzione nei Paesi a bassi salari. Emerge un nuovo mondo contrassegnato da un Sud affollato da lavoratori in semischiavitu' e un Nord con un crescendo di disoccupati e lavoratori precari malpagati. Il risultato e' una classe lavoratrice mondiale piu' povera, ma i padroni si fregano le mani: dal 2001 al 2005 la quota di ricchezza mondiale finita ai profitti e' cresciuta dell'8%. Il che ha due conseguenze. Prima di tutto l'esplosione della finanza, un effetto dovuto alla sfiducia dei capitalisti nella capacita' di vendita del sistema. Il loro ragionamento e' semplice: quando la massa salariale scende, le prospettive di vendita si riducono e diventa inutile investire in nuove attivita' produttive. Meglio buttarsi nella speculazione, l'arricchimento tramite l'azzardo, la compravendita di immobili e titoli, non importa se veri o fasulli. L'importante e' stare al tavolo del gioco, portare a casa soldi ad ogni puntata. Poi si vedra'.

La seconda conseguenza e' l'esplosione del debito: quando le buste paga si fanno leggere, il rischio e' che non si chiuda piu' il cerchio fra cio' che si produce e cio' che si vende. Per ritrovare stabilita' servirebbe una piu' equa distribuzione della ricchezza, ma al sistema questa prospettiva non piace: finche' puo', rinvia la decisione con rimedi tampone, cerca la quadratura del cerchio nell'indebitamento. A ogni angolo di strada banche, istituti finanziari, concessionarie, supermercati, pronti a offrire a poveri e meno poveri, mutui, acquisti a rate, prestiti al consumo: il sogno di una vita al di sopra delle proprie possibilita' a portata di mano. Ovunque le famiglie hanno abboccato.

In Italia nel 2008 il debito totale delle famiglie corrispondeva al 70% delle loro entrate annuali, qualcosa come 16.000 euro a nucleo. Tuttavia il Paese dove le famiglie si sono inguaiate di piu' sono gli Stati Uniti, l'attrattiva e' stata l'acquisto della casa. Nell'euforia degli affari sono stati offerti mutui anche a famiglie economicamente deboli, mutui inaffidabili presi a base di complesse attivita' speculative che hanno coinvolto banche, assicurazioni, fondi d'investimento, fondi pensione. Tutto e' filato liscio finche' i tassi di interesse sono rimasti bassi, le case hanno continuato a rivalutarsi, ma quando c'e' stata l'inversione di tendenza, molte famiglie non ce l'hanno piu' fatta e l'intero castello e' crollato. Sono cominciati i primi fallimenti bancari, piu' nessuno si e' fidato dell'altro, l'intera attivita' creditizia si e' paralizzata per mancanza di fiducia reciproca, banche ed imprese hanno cominciato ad annaspare per mancanza di fondi. In fondo la finanza e' piu' psicologia che scienza.

Col manifestarsi della crisi finanziaria, anche il marcio di fondo e' venuto a galla: intere economie si sono inceppate per l'incapacita' dei consumi di assorbire la produzione. A fine 2008 il sistema ha dovuto ammettere lo stato di crisi ed ha chiesto ai governi, gli unici con carroattrezzi adeguati, di intervenire. Con un unico obiettivo: tirare l'auto fuori dalla scarpata e rimetterla in condizione di riprendere la sua corsa. Per risollevare banche e imprese sono stati stanziati miliardi di euro, a forza di strattoni, probabilmente l'auto verra' tirata su e sara' rimessa in carreggiata. Ma ci sono forti dubbi che possa riprendere a correre perche' nel frattempo anche la strada si e' gravemente danneggiata: a forza di passarci si sono formate buche ovunque, in molti punti il ciglio e' franato, se l'auto pretende di correre si fracassera'. L'unica possibilita' e' rallentare, dotare l'auto di ammortizzatori piu' solidi, mettere alla guida un autista piu' prudente. Fuor di metafora, le risorse si stanno assottigliando, il clima sta impazzendo, le tensioni sociali si stanno aggravando. Per evitare il tracollo dovremo passare dall'economia della crescita, all'economia del limite, dall'economia del cowboy all'economia dell'austronauta, ma anche dall'economia della precarieta' all'economia della sicurezza, dall'economia dell'avidita' all'economia dei diritti. Potremmo chiamarla economia del benvivere o economia del rispetto, un'economia equa, sostenibile e solidale, capace di garantire a tutti un'esistenza dignitosa nel rispetto del pianeta. Una strada da imboccare al piu' presto perche' la doppia crisi, ambientale e sociale, non ci lascia piu' tempo.

*

Capitolo 2. Pianeta in rosso

Nel 2008, l'overshoot day, il giorno del sorpasso, e' caduto il 23 settembre. Quel giorno la nostra voracita' ha superato la capacita' di rigenerazione della Terra. Finiti i frutti, abbiamo chiuso l'anno a spese del "capitale naturale": invece che vitelli abbiamo cominciato ad abbattere mucche, invece che pesci figli, abbiamo mangiato pesci madre, invece che raccolti agricoli, abbiamo consumato i semi. Secondo il Wwf il nostro consumo di natura supera del 30% la capacita' rigenerativa della terra, di questo passo fra il 2030 e il 2040 avremo bisogno di due pianeti (1).

Da una ricerca pubblicata su "Nature" nel maggio 2003, risulta che negli oceani e' rimasto solo il 10% dei grandi pesci esistenti nel 1950. Sono stati decimati perfino i merluzzi, un tempo cosi' numerosi da rallentare le navi che transitavano nel Nord Atlantico.

Potremmo parlare delle foreste. Agli inizi del 1900 la superficie mondiale coperta a foresta era 5 miliardi di ettari. Alla fine del secolo era 3 miliardi di ettari: una perdita secca del 40%. A rimetterci di piu' sono state le foreste tropicali. Ma Greenpeace denuncia che l'assalto si sta estendendo: "Dal 1970 al 2000, l'Amazzonia brasiliana ha perso 55 milioni di ettari, un territorio grande come la Francia. E ora tocca alla Russia. Da quando le multinazionali giapponesi hanno avuto il via libera, e' cominciato il conto alla rovescia: ogni anno spariscono dalla Russia europea 15.000 ettari di conifere minacciando cosi' l'ultimo angolo naturale del continente".

Neanche il cibo gode di ottima salute e a dirlo sono i prezzi. Nel marzo 2008 alla Borsa di Chicago il valore di contrattazione dei cereali era il 130% piu' alto di un anno prima, le ripercussioni su pane, riso e pasta sono state inevitabili. Nei Paesi opulenti il colpo e' stato assorbito, ma in quelli piu' poveri ci sono stati tumulti. Rivolte al Cairo, Adis Abeba, Giakarta, Bogota'. Per le strade di Port-au-Prince, capitale di Haiti, sette manifestanti hanno perso la vita. Scontri annunciati: quando la ricchezza procapite non arriva a due dollari al giorno, basta un aumento del pane di pochi centesimi per fare intravedere lo spettro della fame. Si e' sempre detto che il pianeta Terra e' in condizione di garantire cibo non a sei, bensi' a dodici miliardi di persone, ma dobbiamo stabilire di che cibo parliamo. Sicuramente non della carne, che da un punto di vista energetico e' un vero nonsenso se pensiamo che ci vogliono dalle quattro alle dieci calorie vegetali per ottenere una caloria animale. Fino al 2005, la carne era appannaggio degli abitanti dei Paesi di prima industrializzazione, che pur rappresentando solo il 14% della popolazione mondiale sequestravano il 35% di tutti i cereali del mondo per ingrassare bovini e suini destinati a fornire bistecche e salsicce. Poi e' successo che nel Sud del mondo, e in particolare in Cina, e' emersa una classe agiata, che in ossequio al nostro modello consumista, ha aumentato il consumo di carne e di conseguenza di cereali. La carne, dunque, come prima causa di pressione sui prezzi a cui se ne aggiunge un'altra ancor piu' sconvolgente. Avendo capito che il petrolio ha gli anni contati, ma non volendo rinunciare all'automobile, si stanno cercando nuovi carburanti. Dopo aver inseguito il mito dell'idrogeno si e' optato per il bioetanolo, combustibile ottenuto da canna da zucchero, barbabietole, ma anche mais e soia. Cosi' il carburante e' entrato in competizione con il cibo.

La crisi del petrolio ormai e' conclamata, la stessa Eia, l'Agenzia internazionale per l'energia, ammette che ci stiamo avvicinando al picco produttivo, al momento, cioe', in cui la produzione mondiale di petrolio comincera' a calare perche' si e' esaurita la fase d'estrazione facile (2).

Ora il suo obiettivo e' prendere tempo facendoci credere che non ci confronteremo con questo problema prima del 2020-2025, ma su 90 Paesi produttori, ben 62, fra cui la Russia, sono gia' entrati in fase discendente (3).

Oltre al petrolio, vari altri minerali di grande importanza tecnologica sono in affanno. Il mercurio, ad esempio, e' gia' stato estratto per il 95%, il piombo, l'argento e l'oro per oltre l'80%, l'arsenico, il cadmio e lo zinco per circa il 70%. L'estrazione di stagno, litio e selenio si attesta attorno al 60%, mentre manganese, rame, berillio e tungsteno sono intorno al 50% (4).

Neanche l'uranio se la passa bene. Mentre qualcuno vuole il ritorno al nucleare per risolvere la penuria di energia elettrica, i geologi ci informano che all'attuale ritmo di consumo avremo uranio ancora per una cinquantina di anni.

Ma la risorsa che desta maggiore preoccupazione e' l'acqua. L'oro blu scarseggia ovunque perche' l'abbiamo usato in maniera sconsiderata e perche' abbiamo contaminato le risorse idriche con i nostri veleni. Dimentichiamo che l'acqua e' parte integrante di tutti i processi produttivi, non solo quelli agricoli, ma anche quelli industriali: vi entra pulita ed esce sporca. Servono 16 tonnellate di acqua per conciare un chilo di cuoio, 2000 litri per un chilo di carta bianca, 2.700 litri per una maglietta di cotone del peso di 250 grammi (5). Grazie a dighe, bacini, sistemi di pompaggio delle acque sotterranee, negli ultimi cinquanta anni abbiamo triplicato l'approvvigionamento idrico mondiale, rifornendo citta', industrie e aziende agricole in continua espansione. Ma le falde si stanno abbassando, i laghi si prosciugano, molti fiumi non riescono a raggiungere il mare. Il fenomeno riguarda anche l'Italia: rispetto a 80 anni fa, la portata media del Tevere e' diminuita del 25%, quella del Flumendosa (Sardegna) addirittura del 35% e dell'Arno del 45%. In parte la riduzione dei fiumi e' dovuta ai cambiamenti climatici: negli ultimi 20 anni, in italia le piogge sono diminuite del 25% (6). Cosi' entriamo nel vivo di un'ulteriore pestilenza che non si iscrive sul lato delle risorse, ma degli scarti. Un rifiuto invisibile, di cui percepiamo a malapena l'odore, inoffensivo, addirittura indispensabile entro una certa misura, ma catastrofico se supera i limiti. Stiamo parlando dell'anidride carbonica che fuoriesce dai tubi di scappamento delle automobili, dalle ciminiere delle fabbriche, dai camini delle centrali elettriche, dalle caldaie per il riscaldamento domestico. Tramite le piante e gli oceani, il pianeta e' capace di sequestrarne 11 milioni di tonnellate all'anno. Noi, invece, ne produciamo 26 milioni di tonnellate. Una differenza che da decenni si accumula nella stratosfera provocando il surriscaldamento della superficie terrestre (7). Negli ultimi 100 anni la variazione e' stata di 0,7 gradi centigradi, uno spostamento a prima vista insignificante, ma sufficiente per alterare i complessi fenomeni che regolano il clima.

La nostra disgrazia e' che l'anidride carbonica oltre a essere impalpabile e' pure educata, pensa da sola a trasferirisi nella discarica celeste. Ma i rifiuti solidi non ci riservano la stessa gentilezza e se il netturbino non provvede a rimuoverli si accumulano per le strade cittadine. Solo per rimanere all'Italia, ogni anno ne produciamo 550 chili a testa, una quantita' che non sappiamo piu' dove mettere. Ci stanno imponendo gli inceneritori dicendoci che sono sicuri. In realta' destano grande preoccupazione non solo per la co2, ma anche per le polveri sottili. Anche dette nanoparticelle, giungono fino agli alveoli e quindi alla circolazione sanguigna attraverso la quale si disseminano a tutto l'organismo provocando ovunque alterazioni e tumori.

Note al capitolo 2

1. Wwf, Living planet 2008.

2. La vita produttiva di un pozzo petrolifero puo' essere rappresentata da una curva. La fase ascendente corrisponde al primo periodo di trivellazione e messa in produzione a cui segue un periodo di estrazione abbondante e a buon mercato perche' il pozzo e' cosi' pieno che il petrolio sale facilmente, talvolta da solo. Gradatamente la pressione si attenua ed e' necessario reintegrarla dall'esterno per estrarre il petrolio. Per un po' la manovra funziona, e il pozzo raggiunge la sua massima capacita' produttiva, definita picco della produzione. Dopo di che inizia una fase di produzione calante a costi sempre piu' alti finche' il pozzo viene abbandonato perche' non e' piu' conveniente sfruttarlo.

3. "Financial Times", Running on empty?, 20.5.2008 e "il manifesto", se il petrolio va a picco, 25.5.2008.

4. Non solo petrolio, intervista a Marco Pagani, "Altreconomia" dicembre 2008.

5. Ibid.

6. www.meteo.it

7. Undp, Fighting climate change, 2007. Il dato sulle emissioni di co2 si riferisce alla media 2000-2005.

*

Capitolo 3. Umanita' in frantumi

Esaurimento di risorse e accumulo di rifiuti sono chiari segnali di un sistema che sta divorando se stesso. Il tutto mentre meta' della popolazione mondiale non ha ancora conosciuto il gusto della dignita' umana. Crisi sociale e crisi ambientale strette in un abbraccio mortale.

Secondo la banca mondiale sono tre miliardi e hanno le sembianze del bambino piangente che siede nudo fuori dalla capanna. Dell'uomo dal volto scavato e bruciato dal sole che, machete alla mano, cerca di strappare un pezzo di terra alla foresta. Della donna dal corpo macilento, appena ricoperto di stracci, che cerca del cibo frugando nella montagna di rifiuti. Sono i poveri assoluti che secondo il linguaggio arido del denaro vivono con meno di due dollari al giorno. Secondo il linguaggio concreto della vita non riescono a soddisfare nemmeno i bisogni fondamentali. Non mangiano piu' di una volta al giorno, si alimentano con una dieta costituita quasi esclusivamente da farinacei e legumi. Molti di loro bevono acqua di pozzo o di fiume, non godono di servizi igienici. Vivono in baracche costruite con materiale di recupero o in capanne costruite con materiale naturale trovato nei dintorni. Hanno scarsi indumenti e un bassissimo livello di scolarita'. In caso di malattia non possono curarsi, sono costretti a indebitarsi per fare fronte a qualsiasi necessita' che esce fuori dalla pura e semplice sopravvivenza.

I poveri assoluti popolano i villaggi sperduti delle campagne e si affollano nelle baraccopoli di citta'. Campano su lavori precari, malpagati, sono alla totale merce' di padroni, caporali e mercanti. Tramite i nostri consumi li incontriamo quotidianamente quando beviamo una tazza di caffe', quando mangiamo una banana, quando indossiamo un paio di scarpe sportive. Hanno il volto del contadino africano che e' costretto a vendere il suo caffe' a 20 centesimi di dollaro al chilo mentre noi lo ricompriamo a otto euro, del bambino ecuadoriano che per un dollaro e mezzo al giorno lavora dieci ore nel bananeto, della ragazzina cinese che per 30 centesimi di dollaro l'ora produce le scarpe firmate che noi ricompriamo a 120 euro. Il primo personaggio che incontriamo al mattino, prima di avere dato il buongiorno al nostro compagno o alla nostra compagna, ai nostri figli, e' un contadino del Kenya o un bracciante del Brasile. E puo' essere un povero assoluto.

La coscienza di ogni persona civile si ribella ad un mondo dove il 20% piu' ricco gode dell'86% della ricchezza prodotta mentre il 40% piu' povero deve accontentarsi del 3%. Tocca a tutti lottare contro una globalizzazione che in nome del libero mercato da' il potere a multinazionali come Nestle', Kraft, Sara Lee di fissare il prezzo di caffe' e cacao a livelli da fame. Tocca a tutti fare pressione su Nike, Adidas e tutte le altre imprese che delocalizzano affinche' paghino salari dignitosi. Ma la lotta per regole piu' eque e comportamenti piu' corretti, non basta piu'. Non siamo piu' nel Novecento quando si poteva pensare di fare giustizia portando tutti gli abitanti del pianeta al nostro stesso tenore di vita. Oggi il pianeta non ce la farebbe a garantire a tutte le famiglie del mondo l'automobile, la lavatrice, il frigorifero, guardaroba stracolmi, una dieta a base di carne. E' stato calcolato che se volessimo estendere a tutto il mondo il tenore di vita degli americani ci vorrebbero cinque pianeti: uno come campi, uno come oceani, uno come miniere, uno come foreste, uno come discarica di rifiuti (1). Noi non abbiamo quattro pianeti di scorta, con questo unico pianeta dobbiamo raggiungere due obiettivi fondamentali: dobbiamo lasciare ai nostri figli una terra vivibile e dobbiamo consentire agli impoveriti di uscire rapidamente dalla loro poverta'. Noi siamo sovrappeso, ci farebbe bene dimagrire, ma loro non hanno ancora raggiunto il peso forma, per vivere dignitosamente hanno bisogno di mangiare di piu', vestirsi di piu', curarsi di piu', studiare di piu', viaggiare di piu'. E lo potranno fare solo se noi, i grassoni, accettiamo di sottoporci a cura dimagrante perche' c'e' competizione per le risorse scarse, per gli spazi ambientali gia' compromessi. La morale della favola e' che non si puo' piu' parlare di giustizia senza tenere conto della sostenibilita', l'unico modo per coniugare equita' e sostenibilita' e' che i ricchi si convertano alla sobrieta', ad uno stile di vita personale e collettivo piu' parsimonioso, piu' pulito, piu' lento, piu' inserito nei cicli naturali. "Vivere semplicemente, affinche' gli altri possano semplicemente vivere" proponeva Gandhi gia' negli anni Quaranta.

Note al capitolo 3

1. Elaborazione dati Wwf, Living planet 2008.

*

Capitolo 4. Poco bene, niente essere

Al punto in cui siamo, la decrescita, la riduzione, la moderazione, l'austerita', la sobrieta', o comunque vogliamo chiamarla, non e' piu' un optional; e' una strada obbligata per salvare questo pianeta e questa umanita'. Ma nel regno della crescita, la riduzione e' una bestemmia, un'eresia che scandalizza e mette in fuga. Un incubo che apre il sipario su scenari tenebrosi dei tempi in cui si moriva per tetano, in cui ci si ammazzava di fatica per fare il bucato, in cui ci si illuminava solo con la candela, in cui si moriva di freddo. Ma sobrieta' non va confusa con miseria, come consumismo non va confuso con benessere. Forse e' proprio dal linguaggio che dobbiamo ripartire prima ancora che per mettere ordine nelle parole, per fare chiarezza sui concetti. Quanto meno per sbarazzarsi dei luoghi comuni.

Ci sono parole cui diamo un valore positivo, altre cui diamo un valore negativo, non per ragionamento, ma per associazione di idee. Alcune ci evocano sensazioni gradevoli perche' associate in maniera automatica a situazioni che avvertiamo come piacevoli, altre ci procurano angoscia perche' collegate a pensieri sgraditi. Generalmente il consumismo e' vissuto come concetto positivo, e' associato all'idea di vita piu' comoda, piu' soddisfacente, piu' felice. Ma e' proprio cosi'? Negli anni Settanta vennero condotte indagini per appurare se la ricchezza rende davvero felici. Fu la caduta di un mito, tutte le ricerche misero in evidenza che solo fino a 10-15.000 dollari annui, l'aumento di reddito si accompagna ad una maggiore felicita', dopo di che si crea una separazione: la linea della ricchezza sale, ma quella della felicita' rimane piatta (1). In Inghilterra, il numero di persone che si dichiarano molto soddisfatte e' passato dal 52%, nel 1957, al 36% di oggi (2). Vari studiosi hanno cercato una spiegazione a quello che e' stato definito il paradosso della felicita' partendo da angolazioni diverse. Un gruppo si e' concentrato sui desideri, su quei bisogni, cioe', che si sviluppano piu' per stimolo e condizionamento esterno che per bisogno innato: scelte dettate dalla moda, dal culto della bellezza, dalla grandiosita', dall'invidia. Tibor Scitovsky, un economista americano, ha spiegato che il piacere legato a queste forme di consumo e' fugace, dura il momento della novita', poi subentra l'adattamento e quindi la noia (3). Considerato che la pubblicita' ci bombarda dalla mattina alla sera con proposte di consumo che fanno leva sul piacere fugace, alla fine non e' la felicita' che prevale, ma la noia. Per assurdo, piu' si compra, piu' ci circondiamo di cose che ci annoiano, che ci danno uggia. Cosi' la crescita lavora per l'infelicita'.

Il fenomeno dell'adattamento e' un meccanismo che si instaura anche in ambito farmacologico, e' conosciuto dai tossicodipendenti col termine di assuefazione. Nel tempo, la stessa quantita' di droga non procura piu' gli effetti desiderati, per provare lo sballo bisogna aumentare la dose. Anche i consumatori si comportano nella stessa maniera: per provare nuovo piacere puntano su nuovi prodotti, spesso piu' costosi. Trionfo del mercato, che per vendere ha bisogno di consumatori perennemente insoddisfatti, morte della persona che inseguendo una lepre sempre pronta allo scatto si infila in un'altra trappola che conduce all'infelicita' per una via ancora piu' grave.

Per indurci in tentazione, la pubblicita' insiste su cio' che evoca piacere: sensualita', bellezza, eleganza, ricchezza. Invece sorvola sul fatto che per entrare in possesso degli oggetti dobbiamo avere denaro. Ma il particolare non sfugge a noi che per vincere la sfida del superconsumo accettiamo di sacrificare gran parte del nostro tempo al lavoro. Il tempo: ecco un aspetto che non consideriamo mai. Nel 2007 Bilanci di giustizia, un movimento che promuove il consumo responsabile, ha calcolato il tempo che dobbiamo lavorare per acquistare alcuni prodotti. Considerando una retribuzione netta di 10 euro all'ora, dobbiamo lavorare 18 ore (piu' di due giornate) per un cellulare del valore di 180 euro, 40 ore per un televisore al plasma del valore di 400 euro, addirittura 1.500 ore (sei mesi) per acquistare un'auto di media cilindrata. Parlando di auto, l'acquisto e' solo l'inizio. Per viaggiarci serve l'assicurazione, tasse di circolazione e naturalmente il carburante. Secondo uno studio condotto nel 2006 dalla Fondazione Caracciolo, mediamente l'auto assorbe 4.445 euro all'anno (4), 440 ore di lavoro. Se ci aggiungiamo il tempo passato nel traffico, quello che serve per cercare un parcheggio e per la manutenzione, l'automobile assorbe ogni anno un migliaio di ore della nostra vita. Se facciamo lo stesso calcolo per tutti gli altri beni ci accorgiamo che viviamo per consumare. Teniamo a mente che di media ogni casa dispone di 10.000 oggetti, contro i 236 che erano in uso presso gli indiani navajos (5). Per ognuno di essi dobbiamo lavorare, recarci al supermercato, sceglierlo, fare la coda alla cassa. Una volta a casa, dobbiamo pulirli, spolverarli, sistemarli.

Se consideriamo tutto, il superconsumo e' un lavoro forzato che ci succhia la vita.

Abbiamo viaggiato nell'equivoco che la felicita' dipende dalla ricchezza, abbiamo sacrificato tutto il nostro tempo sul suo altare. Ci si affanna, si corre, si maledice il tempo che scappa. Otto ore di lavoro non bastano piu', e' necessario fare lo straordinario. Le ore passate fuori casa crescono, non c'e' piu' tempo per noi, per il rapporto di coppia, per la cura dei figli, per la vita sociale. Bisogna andare di fretta. Compaiono le insonnie, le nevrosi, le crisi di coppia, i disagi tenuti a bada con le sostanze. Il 39% degli europei dichiara di sentirsi stressato (6). Cresce la microcriminalita' dei giovani abbandonati a se stessi, cresce la solitudine dei bambini che si gettano nelle braccia della televisione. Secondo un'indagine condotta in italia nel 2007, i bambini trascorrono giornalmente un'ora e trentasei minuti al televisore, un'ora e cinque minuti al computer, cinquantacinque minuti in videogiochi (7).

Ecco dunque la seconda radice dell'infelicita' nella societa' della crescita: relazioni umane insufficienti, fugaci, transitorie. Societa' liquida, cosi' la definisce Zygmunt Bauman. Una societa' dai legami fragili, instabili, frettolosi in continua composizione e scomposizione proprio come le molecole d'acqua. Rapporti interpersonali consumati come gelati, una leccata e via. Esplode la comunicazione via cellulare, i messaggi sms inondano l'etere nell'illusione che la quantita' possa compensare la qualita'. Ma in ambito umano la logica dell'usa e getta non funziona, il malessere affiora. Ogni volta in forma diversa come se privilegiasse il linguaggio in codice: depressione, anoressia, bulimia, alcolismo, tossicodipendenza, aggressivita'. Perfino il bullismo e' un prodotto della lacerazione e non e' con i giovani che dovremmo indignarci per il loro sadismo, ma con noi stessi: per la nostra latitanza, la nostra distrazione, la nostra noncuranza. Quando sui giornali comparve la notizia, nel giugno 2008, che una ragazzina di dodici anni si rinchiudeva in bagno e col cellulare si fotografava nuda, in pose sexy, per vendere le immagini ai compagni al fine di raggranellare soldi per comprarsi abiti firmati, lo psichiatra Paolo Crepet fu categorico: "E' solo l'ennesimo caso di solitudine e di crisi vissuti dagli adolescenti. Non possiamo dare la colpa ai dodicenni se danno piu' valore alla moda che alla loro dignita': e' il mondo degli adulti a essere andato in corto circuito".

Note al capitolo 4

1. Il primo economista ad avere studiato l'andamento fra reddito e felicita' e' stato Richard Easterlin nel 1974, tant'e' che il paradosso della felicita' e' anche detto paradosso di Easterlin. In seguito il fenomeno e' stato studiato anche da Robert Frank e Daniel Kahneman.

2. World watch institute, State of the world, 2008.

3. Tibor Scitovsky, Joyless economy, 1976 (in italiano: L'economia senza gioia, ed. Citta' nuova 2007).

4. Fondazione Caracciolo, Mia carissima auto, 2006.

5. Wuppertal Institute, Futuro sostenibile, 1997.

6. Eurostat, Hey figures on health pocketbook eu15, 2001.

7. Indagine Sgw per l'associazione Moige, 2007.

 

2. MATERIALI. ALCUNE PUBBLICAZIONI DI FRANCUCCIO GESUALDI E DEL "CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO"

 

- Franco Gesualdi, Signorno', Guaraldi, Rimini-Firenze 1972.

- Franco Gesualdi, Economia: conoscere per scegliere, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1982.

- Franco Gesualdi e Pierangelo Tambellini del Centro nuovo modello di sviluppo (Vecchiano - Pi), Energia nucleare. Cos'e' e i rischi a cui ci espone, Movimento Nonviolento, Perugia 1987.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Lettera ad un consumatore del Nord, Emi, Bologna 1990, 1994.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Boycott! Scelte di consumo scelte di giustizia. Manuale del consumatore etico, Macro/edizioni, San Martino di Sarsina (Fo) 1992.

- Francuccio Gesualdi, Jose' Luis Corzo Toral, Don Milani nella scrittura collettiva, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1992.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Sulla pelle dei bambini, Emi, Bologna 1994, 1995.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Nord/Sud. Predatori, predati e opportunisti. Guida alla comprensione e al superamento dei meccanismi che impoveriscono il Sud del mondo, Emi, Bologna 1993, 1996.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al consumo critico. Informazioni sul comportamento delle imprese per un consumo consapevole, Emi, Bologna 1996.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Sud-Nord. Nuove alleanze per la dignita' del lavoro, Emi, Bologna 1996, 1997.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Geografia del supermercato mondiale. Produzione e condizioni di lavoro nel mondo delle multinazionali, Emi, Bologna 1996.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Ai figli del pianeta. Scelte per un futuro vivibile, Emi, Bologna 1998.

- Francesco Gesualdi del Centro nuovo modello di sviluppo, Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al commercio equo e solidale, Feltrinelli, Milano 1999.

- Francesco Gesualdi, Giamila Gesualdi, Paola Costanzo, Te', infusi e tisane dal mondo, Sonda, Torino-Milano 2001.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al risparmio responsabile. Informazioni sui comportamenti delle banche per scelte consapevoli, Emi, Bologna 2002.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al telefono critico. Il mondo della telefonia messo a nudo, Terre di mezzo, Milano 2002.

- Willy Mutunga, Francesco Gesualdi, Stephen Ouma, Consumatori del nord lavoratori del sud. Il successo di una campagna della societa' civile contro la Del Monte in Kenya, Emi, Bologna 2003.

- Francesco Gesualdi, Acquisti trasparenti, Emi, Bologna 2005.

- Francesco Gesualdi, Giamila Gesualdi, Tutti i tipi di te', Sonda, Torino-Milano 2005.

- Francesco Gesualdi, John Pilger, Comprare con giustizia, Emi, Bologna 2005.

- Francesco Gesualdi, Centro nuovo modello di sviluppo, Sobrieta'. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti, Feltrinelli, Milano 2005.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Ai giovani figli del pianeta. Scegliamo insieme un futuro per tutti, Emi, Bologna 2005.

- Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al vestire critico, Emi, Bologna 2006.

- Francesco Gesualdi, Acqua con giustizia e sobrieta', Emi, Bologna 2007.

- Francesco Gesualdi, Il mercante d'acqua, Feltrinelli Milano 2007.

- Francesco Gesualdi, Lorenzo Guadagnucci, Dalla parte sbagliata del mondo. Da Barbiana al consumo critico: storia e opinioni di un militante, Terre di mezzo, Milano 2008.

- Francesco Gesualdi, Vito Sammarco, Consumattori. Per un nuovo stile di vita, La Scuola, Brescia 2009.

- Francesco Gesualdi, L'altra via. Dalla crescita al benvivere, programma per un'economia della sazieta', Terre di Mezzo, Milano 2009.

- Francesco Gesualdi, Dario Bossi, Il prezzo del ferro. Come si arricchisce la piu' grande multinazionale del ferro e come resistono le vittime a livello mondiale, Emi, Bologna 2010.

- Francesco Gesualdi, Cercatori del regno. Cammino missionario verso la Pasqua 2011. Una Quaresima per crescere nella spiritualita' dei nuovi stili di vita, Emi, Bologna 2011.

- Francesco Gesualdi, I fuorilega del nordest, Dissensi, 2011.

- Centro nuovo modello di sviluppo, I mercanti della notizia. Guida al controllo dell'informazione in Italia, Emi, Bologna 2011.

- Francesco Gesualdi, Facciamo da soli. Per uscire dalla crisi, oltre il mito della crescita: ripartiamo dal lavoro e riprendiamoci l'economia, Altreconomia, Milano 2012.

- Francesco Gesualdi, Le catene del debito. E come possiamo spezzarle, Feltrinelli, Milano 2013.

- Francesco Gesualdi, L'economia del bene comune, Feltrinelli, Milano 2013.

- Francesco Gesualdi, Cambiare il sistema. La storia e il pensiero del padre del consumo critico, fondatore del "Centro nuovo modello di sviluppo", Altreconomia, Milano 2014.

*

Ovviamente cfr. inoltre anche almeno:

- Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1967.

- AA. VV., La Rete di Lilliput. Alleanze, obiettivi, strategie, Emi, Bologna 2001.

 

3. MATERIALI. UNA BREVE NOTA BIOGRAFICA SU FRANCUCCIO GESUALDI

[Dal blog http://blog.francescogesualdi.eu riprendiamo il seguente testo]

 

Nato nel 1949 nei pressi di Foggia giunge a Barbiana nel 1956 ed e' allievo di don Milani fino al 1967.

Partecipa alla stesura di "Lettera a una professoressa". Nel 1968 frequenta il corso annuale per quadri sindacali della Cisl, che gli offre una formazione in campo economico.

Dal 1971 al 1974 insegna alla Scuola di Servizio Sociale a Calenzano (Fi). Poi e' in Bangladesh per un servizio di volontariato di due anni.

Nel 1983 si trasferisce a Vecchiano (Pi) per vivere un'esperienza semi-comunitaria con altre famiglie decise a dare solidarieta' concreta a situazioni di difficolta'. All'interno di questa iniziativa fonda il Centro Nuovo Modello di Sviluppo per affrontare da un punto di vista politico i temi dell'insostenibilita' ambientale, della poverta', della fame, del disagio nel Nord come nel Sud del mondo.

Lungo questo percorso matura la proposta del consumo critico, di nuovi stili di vita, di nuovi assetti sociali ed economici capaci di coniugare sobrieta' con piena occupazione e diritti fondamentali per tutti.

Attualmente e' pensionato. A titolo di volontariato coordina il Centro Nuovo Modello di Sviluppo, collabora con la Campagna Abiti Puliti, svolge attivita' di formazione sul tema del debito pubblico, del consumo critico, della ricerca di altri modelli economici d'ispirazione ecologica e sociale.

 

===================

COI PIEDI PER TERRA

===================

Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

Numero 782 del 3 giugno 2014

 

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

 

Per non riceverlo piu':

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web

http://web.peacelink.it/mailing_admin.html

quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

 

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web:

http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

 

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Gli unici indirizzi di posta elettronica utilizzabili per contattare la redazione sono: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com