[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 530
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- Date: Thu, 31 Oct 2013 06:48:29 +0100 (CET)
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)
Numero 530 del 31 ottobre 2013
In questo numero:
1. Movimento Nonviolento, Peacelink e Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo: Un appello per il 4 novembre: "Ogni vittima ha il volto di Abele"
2. Maria G. Di Rienzo (a cura di): Manuale per l'azione diretta nonviolenta (parte quarta e conclusiva)
1. INIZIATIVE. MOVIMENTO NONVIOLENTO, PEACELINK E CENTRO DI RICERCA PER LA PACE E I DIRITTI UMANI DI VITERBO: UN APPELLO PER IL 4 NOVEMBRE: "OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE"
[Riproponiamo l'appello promosso gia' negli scorsi anni da Movimento Nonviolento, Peacelink e Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo per il 4 novembre: "Ogni vittima ha il volto di Abele"]
Intendiamo proporre per il 4 novembre l'iniziativa nonviolenta "Ogni vittima ha il volto di Abele".
Proponiamo che il 4 novembre si realizzino in tutte le citta' d'Italia commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze.
Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.
Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente. Non devono dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; non devono essere in alcun modo ambigue o subalterne; non devono prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, devono essere rigorosamente nonviolente.
Occorre quindi che si svolgano in orari distanti e assolutamente distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri armati, quei poteri che quelle vittime fecero morire.
Ed occorre che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio.
Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche' convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita' e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.
A tutte le persone amiche della nonviolenza chiediamo di diffondere questa proposta e contribuire a questa iniziativa.
Contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni.
Per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Movimento Nonviolento, per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Peacelink, per contatti: e-mail: info at peacelink.it, sito: www.peacelink.it
Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo, per contatti: e-mail: nbawac at tin.it e centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
2. STRUMENTI. MARIA G. DI RIENZO (A CURA DI): MANUALE PER L'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA (PARTE QUARTA E CONCLUSIVA)
[Riproduciamo questo manuale curato da Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) che ha avuto ampia circolazione nello scorso decennio nei movimenti ecologisti, femministi, nonviolenti.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005; (a cura di), Voci dalla rete. Come le donne stanno cambiando il mondo, Forum, Udine 2011. Cfr. il suo blog lunanuvola.wordpress.com Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81; si veda anche l'intervista in "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 250, e quella nei "Telegrammi" n. 425]
Come lavorare con i media (giornali, tv, radio, ecc.)
Usare i media puo' essere uno dei mezzi piu' efficaci per concentrare attenzione pubblica attorno al vostro progetto. Tuttavia, la maggior parte di essi riceve piu' informazioni al giorno di quelle che puo' (e a volte vuole) usare. Percio' e' molto importante che le informazioni che fornite loro siano concise, interessanti, ben organizzate e visivamente attraenti (meglio se avete un simbolo che ricorre in esse, di modo da essere immediatamente identificabili).
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Contatto
Passo Uno. Creare il contatto
Come primo passo, create un archivio (su file o carta) che contenga:
- i riferimenti dei media presenti sul vostro territorio, incluso un sommario sui contenuti, lo stile, i tipi di articoli;
- una lista continuamente aggiornata degli editori e dei giornalisti.
Poter contattare di persona questi ultimi e' importante. Potete raccogliere informazioni chiamando i media stessi (e chiedendo ad esempio: chi da voi si occupa di ambiente? Chi da voi si occupa di immigrazione, di femminismo, ecc.?); raccogliendo nomi e indirizzi dei giornalisti che vi hanno precedentemente contattato in occasione di altre azioni; tenendo un piccolo archivio di articoli gia' apparsi sull'istanza che vi interessa.
Quando siete coinvolti in un progetto che raccoglie piu' gruppi, scambiatevi queste informazioni.
Abbiate cura di mantenere aggiornati i dati: nel giro di due o tre mesi i reporter possono cambiare, la proprieta' editoriale anche, ecc.
Passo Due. Stabilire una relazione
Andate a conoscere personalmente il/la giornalista che si occupa del tema che vi interessa. Fate precedere l'incontro da una telefonata in cui proponete la fornitura di materiale sulle vostre attivita'.
Abbiate sempre pronto un "media kit" che includa il calendario delle iniziative, i comunicati stampa, eventuale materiale prodotto dal vostro gruppo e articoli gia' apparsi su di esso, ed ogni altra informazione che ritenete importante. Fate in modo che ogni vostro prodotto scritto consegnato al reporter sia "educativo", ovvero contenga qualche suggerimento e brevi analisi: se "educate" il vostro contatto nei media e' piu' probabile che gli articoli siano soddisfacenti per voi e per il pubblico che intendete raggiungere.
Passo Tre. Mantenere la relazione
Questa e' una priorita': la continuita' della relazione puo' essere assicurata da qualche semplice accorgimento: siate il piu' disponibili e rintracciabili possibile; provvedete le informazioni che forniscono il retroscena di ogni nuova "storia" in cui il vostro gruppo viene coinvolto; rendetevi disponibili a partecipare ad incontri, tavole rotonde, ecc., quando i media cercano nella comunita' qualcuno che possa rappresentare le istanze di cui vi occupate; convocate i/le reporter (conferenza stampa) prima di fare un annuncio o di tenere un'iniziativa.
Passo Quattro. Seguire il materiale
Assicuratevi di controllare con una telefonata l'arrivo e la ricezione di qualsiasi materiale inviato via mail o fax.
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Materiale: cosa dare ai media
Ovviamente i materiali che potete fornire ai media sono svariati. Di seguito sono illustrati i modi piu' comuni ed efficienti di informare i media dei vostri progetti. Combinati con i precedenti Passi 1-4 possono risultare in una campagna molto efficace.
Il comunicato stampa
Un comunicato stampa e' una breve descrizione dell'evento che state preparando, una descrizione effettuata in modo da attrarre l'attenzione del lettore (e da suscitare il desiderio di seguire e testimoniare l'evento). Assicuratevi che il comunicato comprenda sempre un nome da poter contattare, il nome dell'organizzazione, l'indirizzo ed il numero di telefono. Fatelo corto: una pagina, spazio doppio; fatelo chiaro: cosa, dove, perche', quando. Cercate di andare al punto proprio all'inizio; ricordatevi che la persona che leggera' il comunicato potrebbe averne chissa' quanti altri da leggere ed il vostro potrebbe ottenere un tempo di lettura di 5/10 secondi: questo e' il tempo in cui l'attenzione dev'essere catturata. Assicuratevi di aver verificato al dettaglio i fatti di cui parlate (e' molto importante, se volete essere e mantenervi credibili). Chiamate il contatto che avete nel media a cui avete inviato il comunicato e informatelo del suo arrivo.
Annunci via radio
Possono fornire una chiara e concisa risposta al "chi, cosa, quando, dove, perche' e come" della vostra iniziativa. Chiamate la stazione radio e chiedete se potete ottenere un annuncio di questo tipo. Generalmente, le lunghezze di questo genere di comunicati sono 4: 10 secondi (25 parole); 20 secondi (50 parole); 30 secondi (75 parole); 60 secondi (150 parole). Provvedete alla stazione tutte e quattro le versioni, di modo che possano scegliere, due settimane prima dell'evento. Assicuratevi di ripetere due volte, all'inizio e alla fine, il nome dell'organizzazione ed il numero telefonico a cui contattarla. Controllate se l'annuncio viene fatto, telefonate per chiedere come mai in caso negativo, e telefonate per ringraziare in caso positivo.
Lettere al Direttore
Contattate la rivista prima di spedirle, di modo da sapere qual e' la lunghezza dei testi che vengono accettati e che tempi vi sono per la pubblicazione. Ricordatevi che le lettere vanno firmate e devono avere un indirizzo (potete eventualmente chiedere che esso non compaia). Le "lettere al Direttore" possono provvedere una piazza mediatica in cui si parlera' della vostra iniziativa prima che essa venga posta in opera e si continuera' a dibatterne dopo.
Suggerire una storia (un "servizio")
I media sono sempre in cerca di una "buona" storia. Preparate una proposta in questo senso. Una proposta di "servizio" consiste generalmente di una lettera della lunghezza di una pagina, con una buona esca per la continuazione, che spieghi lo scenario e perche' la storia e' interessante, e per chi. Piu' sostegno fornirete (materiale, foto, testimonianze, contatti), piu' e' probabile che funzionera': percio' non mancate di far notare, nella lettera, che siete in grado di dare questa assistenza. Se il servizio viene fatto, ricordatevi di chiamarne gli autori/le autrici e di ringraziarli.
Inserire l'iniziativa in un calendario
Se la vostra iniziativa fa parte di una sinergia di gruppi, di un'azione correlata ad un giorno specifico (il Giorno della Terra, la Giornata internazionale della Donna, ecc.), fornite ai media il calendario in cui e' inserita. Per i media e' abbastanza appetibile dare informazioni di questo tipo ai lettori.
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Copertura mediatica per il "giorno dell'evento"
La pubblicita' prima dell'iniziativa e' solo uno degli usi che potete fare dei media. Certamente volete che essi "coprano" l'evento il giorno in cui esso si da', con foto e video, ecc.
E' utile cercare di sapere in precedenza chi saranno i reporter inviati (potrebbero non essere i vostri contatti): e' importante stabilire una relazione con loro, di modo che la storia sia riportata nel modo migliore possibile. Potreste non venire a sapere chi sono fino a pochi giorni prima, ma insistete, e prendete contatto per assicurare che lavorerete "con" loro. Quando li avete identificati, inviate loro il vostro "media kit". Teneteli informati degli eventuali sviluppi dell'ultimo minuto, fornite loro i recapiti dei giornalisti che, nel loro media, si sono gia' occupati di voi. Chiamateli la mattina dell'evento per aver conferma che verranno. Se l'iniziativa necessita che vi raggiungano in auto, fate in modo di riservare loro un parcheggio. Date loro istruzioni su dove e come potranno parlare con chi si occupa delle relazioni con la stampa nel vostro gruppo. Attrezzate uno spazio per l'ospitalita' ai media, ove vi sia materiale da fornire loro e possibilita' di sedersi attorno a un tavolo per scrivere e parlare con i vostri portavoce.
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Azione diretta di massa
Scenari per il futuro
Opzione n. 1: Creare "manifestazioni dilemma"
La forma dell'azione diretta deve mettere i detentori del potere in un dilemma: se ci permettono di agire e di fare cio' che abbiamo pianificato, noi guadagniamo un qualcosa relativo all'istanza di cui ci stiamo occupando; se ci reprimono, si mettono in cattiva luce, e l'opinione pubblica riceve comunque il nostro messaggio.
Molti esempi possono ispirare la nostra creativita'. Le campagne per il salvataggio degli alberi hanno per esempio inscenato il dilemma. Se ai dimostranti viene permesso di sedere sugli alberi, gli alberi non vengono tagliati; se i dimostranti vengono cacciati violentemente, l'opinione pubblica viene "educata" e nuovi alleati si aggiungono a noi. Il movimento per i diritti civili negli Usa e' un'altra fonte di ispirazione. Gli studenti afroamericani del sud entravano nei locali pubblici che dichiaravano di non servire gente di colore e ordinavano un caffe'. Se venivano serviti, il razzismo perdeva un colpo. Se venivano attaccati o arrestati per aver chiesto un caffe', il razzismo lo stesso perdeva un colpo.
I nostri oppositori, in sostanza, devono essere messi in questo dilemma: qualsiasi cosa facciano, il risultato e' una perdita di terreno per lo status quo che noi intendiamo cambiare.
Non sto dicendo che sia sempre facilissimo creare queste tecniche, e ci sono momenti in cui bloccare il traffico e' la miglior cosa a cui riusciamo a pensare. La differenza fra questa tecnica ed altre, ad ogni modo, ci risultera' piu' chiara se adotteremo il punto di vista della "persona qualsiasi" che vede ad esempio la nostra azione in tv, o sui giornali. Magari e' curiosa, e non pregiudizialmente ostile alle nostre istanze, ma non sempre ha la volonta' o l'energia per informarsi di piu', per fare connessioni logiche o salti di immaginazione. Percio', se dalle immagini o dagli articoli percepisce unicamente lo scontro fisico, il nostro messaggio restera' inascoltato. Se adottiamo il suo punto di vista, affinando la nostra creativita', gli scenari che svilupperemo saranno piu' potenti, piu' attrattivi, dotati di maggior chiarezza comunicativa. Per esempio: che ne dite di piantare un giardino in una zona abbandonata e degradata?
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Opzione n. 2: Decidere chi stiamo tentando di raggiungere ed influenzare
Quando usiamo il termine "opinione pubblica" (come ho fatto io due minuti fa...) stiamo ovviamente semplificando, e rischiamo di semplificare anche le nostre tecniche. L'opinione pubblica include numerosi sottogruppi, alcuni dei quali hanno importanza cruciale per il successo di una campagna, altri sono meno importanti, ed altri ancora non lo sono per nulla. Se quando decidiamo il nostro intervento creiamo una "mappa politica del territorio", e decidiamo qual e' il gruppo cruciale che deve essere contattato, le nostre tecniche otterranno piu' frequentemente la forza di cui hanno bisogno.
Fu un piccolissimo gruppo di attivisti a bloccare la politica estera degli Usa, tramite questa tattica, non molto tempo fa. Gli Usa stavano sostenendo una dittatura militare in Pakistan (diretta da Yayah Khan). Tale dittatura stava massacrando migliaia di persone in una regione dell'est che chiedeva l'indipendenza. Il governo non disse la verita' sul suo sostegno, ma gli attivisti scoprirono che nei porti statunitensi attraccavano le navi pakistane per rifornirsi di armi e continuare il massacro. Il gruppo capi' che se i marinai locali rifiutavano di caricare le navi, il sostegno del governo sarebbe stato vano.
Il problema che si trovarono di fronte era che, generalmente, i marinai della East Coast erano inclini a sostenere il governo, e temevano di perdere il loro posto di lavoro e di affamare le loro famiglie. Gli attivisti non riuscirono a convincerli ad agire in solidarieta'. A questo punto, passarono all'azione diretta.
Il gruppo annuncio' che intendeva bloccare il porto con una flotta di barchette e gommoni. La tecnica spinse i lavoratori del porto a discutere di nuovo, e si raggiunse un accordo per cui, se gli attivisti avessero fissato una "linea", essi non l'avrebbero oltrepassata. I media dettero una copertura continua dell'evento, e l'azione ebbe successo al punto che venne esportata in numerosi altri porti, e il sindacato dei lavoratori marittimi annuncio' che i lavoratori non avrebbero caricato armi sulle navi pakistane in nessun porto degli Usa! Il piccolo gruppo di attivisti, in sostanza, ebbe successo perche' era stato capace di dirigere l'azione verso quella parte dell'opinione pubblica che maggiormente necessitava di essere influenzata.
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Opzione n. 3: Diventare propositivi anziche' reattivi quando si creano campagne
A volte una forte reazione ad una mossa dei detentori del potere puo' essere molto efficace, come e' stato a Seattle. Mobilitandoci attorno al meeting del Wto e bloccandolo, abbiamo ottenuto risultati importantissimi. Il lato negativo della globalizzazione e' stato visto allora, da molti, per la prima volta, ma da allora e' sempre stato "in agenda". Nuove ed inedite alleanze sono state possibili. Il solo rilasciarsi di quell'energia di ribellione e' stato in se stesso un dato positivo.
Reagire occasionalmente, pero', e' una cosa, stare perennemente in una postura reattiva e' qualcos'altro. Ci toglie potere. Avere la nostra agenda dettata da dove e quando si tengono i meeting e' dare ad altri questo potere.
Un'azione differente e' pianificare campagne. Una campagna e' una mobilitazione focalizzata di energie verso l'ottenimento di un chiaro obiettivo, in un periodo di tempo che possa essere sostenuto realisticamente dalla coalizione (o dal gruppo). Spesso l'obiettivo prende la forma di una domanda ad un'entita' ben definita che puo' prendere una decisione in merito. Un esempio vincente, ma ce ne sarebbero moltissimi, e' la lotta di Birmingham (1963) in cui un'intera citta' si mobilito' per ottenere una legge equa sugli affitti di abitazioni. Devo ancora incontrare un/una giovane attivista di questo movimento che conosca i successi della lotta contro il nucleare. Non e' un rimarco nei confronti dei giovani, sia chiaro: questi successi sono ben nascosti, per ovvie ragioni. La lotta contro il nucleare ci ha visti fronteggiare un tremendo dispiego di poteri: i governi, i militari, le banche, le compagnie commerciali coinvolte, i sindacati dei costruttori di centrali, e persino il senso comune che credeva l'energia nucleare sicura e a basso costo. Non ho qui l'intenzione, ne' lo spazio, per raccontare tutto cio' che accadde, ma questa combinazione di potere fu battuta dalle nostre campagne.
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Opzione n. 4: Mutare la nostra valutazione del ruolo dei mass media
I media hanno schemi di comportamento che sono largamente prevedibili, ed il nostro movimento puo' scegliere di usarli a proprio vantaggio. Dobbiamo innanzitutto capire che i media hanno sempre rispecchiato i pregiudizi dei loro proprietari. Posseduti da gente bianca, hanno presentato in modo stereotipato e negativo quella di colore; posseduti da eterosessuali, hanno stereotipato e negativizzato gli altri orientamenti sessuali; posseduti da uomini, hanno sminuito e vittimizzato le donne; posseduti da ricchi, ci hanno propinato una visione in cui l'unico fine della vita e' avere soldi.
Noi liberiamo la nostra creativita' semplicemente essendo consci che questi pregiudizi di fondo esistono, invece di limitarci ad indignarci (giustamente!) ogni volta in cui li vediamo all'opera, o in cui il nostro agire e' rappresentato in modo distruttivo, negativo, o falso.
Decidiamo: per la prossima azione, abbiamo bisogno di una copertura favorevole dei media oppure no? Se la risposta e' no, perche' per esempio il gruppo che vogliamo influenzare puo' avere il nostro messaggio in altri modi, allora possiamo risparmiarci tempo e fatica. Se la risposta e' si', possiamo imparare come interagire con i media. Ormai c'e' un'ampia letteratura su questa questione, ma visto che la maggior parte di essa non e' in italiano, ribadiro' qui alcuni punti chiave:
I media usualmente mostrano cio' che e' piu' "drammatico". Se un migliaio di persone sta tenendo un sit-in e tre sfasciano una vetrina, la campagna sara' presentata come uno sfascio di vetrine. Gli organizzatori delle dimostrazioni devono prendere atto di questo. Evitare la riflessione su questo aspetto porta solo confusione, demoralizzazione e scontri all'interno del movimento (ci tornero' su piu' tardi).
I media "progressisti", dai quali ci aspettiamo sostegno, spesso escono con pezzi e servizi altrettanto confusi. I primi commentatori "liberal" sulle azioni del Movimento per i diritti civili erano prodighi di consigli sull'abbandonare l'azione diretta nonviolenta. Le donne che picchettarono le sedi dei governi per ottenere il diritto di voto furono aspramente criticate proprio dai giornali "progressisti". Guardiamo in faccia la realta': per molte persone di buona volonta', una sollevazione e' disturbante. Una dimostrazione e' inquietante (a meno che non la dirigano e guidino loro). Molte di queste persone disapprovano il conflitto, cosi' come noi lo agiamo, al di la' delle loro convinzioni politiche. Se sono commentatori dei media, troveranno sempre un errore l'azione diretta.
Generalmente i mass media tendono ad ignorare l'azione diretta e faranno qualche eccezione se l'azione e' particolarmente creativa e nuova. La campagna contro l'aiuto militare al Pakistan di cui parlavo prima fu coperta, a Filadelfia, 27 giorni su 30: gli attivisti avevano trovato mezzi creativi e fotogenici per "drammatizzare" la protesta.
E' piu' probabile ottenere copertura mediatica per le campagne che per gli episodi sporadici, ma possono volerci giorni e settimane prima dell'apparizione sui media locali, settimane e mesi per quelli nazionali. E' importante riflettere su questo, tenere il terreno, e non avere fretta.
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Opzione n. 5: Esaltare il contrasto fra il comportamento dei dimostranti e quello della polizia
Il cuore della scena per il cambiamento sociale e' il conflitto. Ma se il pubblico di un teatro, ad esempio, puo' apprezzare personaggi sfaccettati, intrisi di luci ed ombre, senza una perfetta definizione di "buono" e "cattivo", quando la scena e' sulle strade la semplificazione e' proprio questa: i "buoni" e i "cattivi". Sicuramente i nostri alleati politici hanno gia' deciso chi sono i "buoni", ma quando agiamo su questo scenario non dobbiamo dimenticare che la maggior parte delle altre persone non lo ha gia' deciso. Mentre il "dramma" si svolge, diciamo cosi', ci sono quelli che stanno alla finestra, curiosi di vedere come va a finire e a volte i "buoni" saranno i dimostranti, e a volte no.
La grande lezione che dobbiamo imparare e' che quando siamo nelle piazze non e' possibile far conto su sottili argomentazioni, che nei bar non si faranno ragionamenti di tipo filosofico ma sul semplice e puro contrasto fra il comportamento dei manifestanti e quello della polizia.
I simboli che possiamo usare per esaltare il contrasto dipendono dalle situazioni. Gli studenti di colore che lottavano per i diritti civili rimanevano seduti calmi e composti mentre isterici razzisti bianchi davano in escandescenze. I filippini che rovesciarono il governo in un'azione diretta di massa lo fecero anche con le suore che danzavano in mezzo alla strada e con le collane di fiori attorno al collo dei soldati. Ancora una volta, noi abbiamo il potere di scegliere. Possiamo scegliere di agire un confronto usando simbologia appropriata, affinché l'opinione pubblica ci identifichi come i "buoni": questo significa detenere un piano morale superiore agli oppositori... vi pare poco?
A volte le tecniche della polizia possono sfidare la nostra creativita'. Durante la marcia del sale gandhiana la polizia, stanca di bastonare ed imprigionare dimostranti, si ammasso' su una strada di fronte ai dimostranti stessi ed attuo' un sit-in nonviolento! I marciatori si fermarono, e la situazione si paralizzo'. Dopo ore di incertezza venne la notte, e i dimostranti andarono a procurarsi cibo e coperte che divisero con i poliziotti. Questa fu per loro la classica goccia che fa traboccare il vaso: lasciarono passare i dimostranti, che celebrarono a mezzanotte la loro vittoria. Pensate: a confronto con una resistenza nonviolenta, i marciatori risposero esaltando la propria nonviolenza.
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Opzione n. 6: Assumere un'attitudine forte verso la prospettiva della repressione
Ovviamente, lo scopo della repressione e' indurre la paura, di modo che le persone smettano di opporsi alle ingiustizie. I detentori del potere vogliono che noi si giochi al Gioco della Paura. E' fondamentale per qualsiasi movimento sociale decidere che atteggiamento tenere verso la repressione. In genere si crede che tutti i movimenti abbiamo la stessa attitudine su questo problema, il che e' lontano dall'essere vero.
Durante la "protesta degli autobus" a Montgomery, del Movimento per i diritti civili, fu a un certo punto sparsa la notizia che durante la prossima azione la polizia avrebbe arrestato una serie di persone di colore, definite "leader", di cui aveva gia' pronta la lista. Costoro decisero di non giocare al Gioco della Paura e agirono in modo propositivo, non reattivo: andarono in gruppo al Commissariato e chiesero di essere arrestati tutti insieme. Non solo, il loro numero era considerevolmente aumentato rispetto alla lista, e individui che non vi erano segnati protestarono indignati perche' li si insultava non considerandoli "leader"... Recentemente, questa tecnica e' stata ripetuta da attivisti in Illinois.
Pensate alle difficolta' che i nostri oppositori trovano nel maneggiare una situazione del genere: se quelli minacciati rifiutano di aver paura, essi perdono la loro arma piu' potente.
L'adottare una "cultura della sicurezza" comporta dei pericoli per i movimenti, ed e' necessario rifletterci attentamente: stiamo giocando il Gioco della Paura? Stiamo rafforzando le strutture di dominio? L'alternativa e' il crescere della fiducia.
Per vincere, i movimenti hanno necessita' di espandersi. Per espandersi, gli attivisti hanno bisogno di fiducia: in se stessi, l'uno nell'altro, e nelle persone che contattano. Pensate all'ultima volta in cui qualcuno vi ha convinto ad agire. Avete avuto la sensazione che non avesse fiducia in voi? Probabilmente e' stato il contrario: avete percepito ottimismo e fiducia e una volta ottenute le informazioni avete deciso di partecipare.
La dinamica in atto attualmente nel movimento (lo chiamo cosi' per brevita', date ad esso la definizione che preferite) e' proprio la mancanza di fiducia. Il Gioco della Paura opera facendoci preoccupare di chi potrebbe essere un infiltrato, di chi potrebbe tradirci, di chi possiamo o non possiamo fidarci. Le persone non dicono i loro nomi, non si considerano responsabili delle proprie azioni, si guardano sospettosamente a seconda di quale sia il gruppo a cui appartengono. Questo e' tossico: la paura nutre se stessa. Quando la paura diviene parte di un comportamento "socialmente normale" e' facilissimo che un movimento la contenga, perche' non riesce ad attirare persone fuori dai gruppi di coloro che si definiscono (o sono) vittime. Poiche' molte persone, piene di talento e di voglia di fare, non trovano consono definirsi vittime, non si uniranno agli stretti circoli dei "cospiratori", per quanto radicali siano le loro idee.
Il Gioco della Paura riduce la capacita' di sviluppare azioni dirette e di stringere alleanze. I movimenti che hanno avuto successo lo hanno avuto anche grazie alla capacita' di attirare alleati. Il ruolo di un alleato e' diverso da quello di un attivista. Possiamo essere simultaneamente attivisti in una campagna ed alleati in un'altra: questo tipo di flessibilita' lavora bene. Poiche' il Gioco della Paura genera sfiducia, i dimostranti hanno un bel da fare ad aver fiducia negli alleati, se neppure ne hanno gli uni negli altri. Il momento in cui questo atteggiamento mostra tutta la propria debolezza e' quello della repressione, in cui la necessita' di alleati e' vitale.
Non e' invece infrequente il caso, attualmente, in cui gli attivisti rifiutandosi di aver fiducia negli alleati dicono loro: "Fidatevi di noi e fate questo, quest'altro e quello! Subito!"... e poi si arrabbiano e diventano persino furiosi se gli alleati non si mettono immediatamente sull'attenti e rispondono: "Sissignore!". Il Gioco della Paura, iniziato dai nostri oppositori, riduce il potenziale di crescita del movimento, distrugge le relazioni con gli alleati, irrigidisce i confini tra il "dentro" e il "fuori": siamo furbi se lo continuiamo?
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Opzione n. 7: Dedicarsi esplicitamente all'azione nonviolenta
Al momento una grande massa di attivisti sta chiedendo questa opzione, e non vede ragione per fare altro. Quando si disegna una nuova campagna, gli attivisti si trovano di fronte questo dilemma: dobbiamo essere espliciti rispetto a questo, o lasciamo correre? Scegliere rispetto ad una campagna che ci terra' impegnati lungo tempo e' particolarmente importante: gli ostacoli che incontreremo sul nostro percorso saranno di piu' di quelli che si incontrano durante un'azione sporadica.
Prima di iniziare la campagna di Chicago, Martin Luther King spese mesi a negoziare con i differenti gruppi presenti nella sua comunita', comprese le "gang" che, dopo averlo sfidato ed aggredito per testarne l'adesione alla nonviolenza, vennero a discutere con lui ed accettarono i principi dell'azione diretta.
Rinunciare alla nonviolenza e' una tentazione. Essere bollati da "pacifisti moralisti" e' seccante, ci si accusa di predicare e di non agire, temiamo di perdere alleati, veniamo messi di fronte a tutta una serie di "urgenze" che non avrebbero tempo per la riflessione: bisogna muoversi verso il prossimo punto in agenda, la prossima manifestazione e vada come vada...
Forse giova ricordare che la discussione non e' sul pacifismo, ma sull'efficacia dell'azione diretta. Molti pacifisti non partecipano ad azioni dirette, e molte persone che vi partecipano non sono pacifisti. Percio' la questione non e' su un piano filosofico, ma su un piano pratico.
La paura di alienarci gli amici piu' "militanti" e' una questione reale, va affrontata. Il dialogo puo' aiutare. Riflettere su cosa ha funzionato e cosa no nelle passate azioni anche. E riflettere sull'uso delle tattiche di estremo confronto, che in presenza di azioni di massa finiscono per danneggiare coloro che non le hanno scelte.
Voi vi siete ad un certo punto detti che desideravate intervenire nel processo di cambiamento, che volevate agire. Prendere l'iniziativa e' una forma di "leadership". In questo processo, ciascuno di voi ha scelto delle modalita', sapendo che le sue parole e le sue azioni avrebbero attratto delle persone e ne avrebbero allontanate altre. Vi siete detti disposti a sopportarne le conseguenze, ad essere responsabili delle vostre azioni. Percio' dovete tenere in mente i risultati di cio' che fate e di cio' che non fate. Se scegliete tecniche nonviolente, i risultati saranno di un tipo. Se ne scegliete altre, saranno di un altro tipo. Tutto questo non ha nulla, assolutamente nulla a che fare con la "tolleranza" o con il "rispetto". L'opzione di dichiarare esplicitamente che le nostre tecniche sono quelle dell'azione nonviolenta ha dei vantaggi ulteriori a quelli dell'efficacia dell'azione stessa. Per esempio, sottrae carburante ai nostri oppositori, che vogliono disperatamente che noi si sia violenti, e che se non lo siamo arrivano a pagare gente che lo sia in nome nostro... (I sedicenti black bloc a Genova).
Un gruppo di giovani attivisti di Filadelfia, studenti, si trovo' in questa situazione qualche tempo fa. Quando li aggredi' e li arresto' nella loro sede, la polizia "scopri'" opportunamente della dinamite... Gli studenti dichiararono di non aver mai predicato la violenza, ma le loro tattiche erano di confronto estremo (distruzione di proprieta') e non furono creduti.
Chi partecipa alle azioni di massa con l'atteggiamento da "mordi e fuggi" ha poco da perdere nel distruggere qualcosa o nello sfasciare vetrine. Generalmente, dopo lo sfogo di adrenalina se ne torna a casa contento. Sono gli attivisti a lungo termine, quelli per cui quell'azione e' un momento di una campagna continuata che ne subiranno le conseguenze. Molto del loro lavoro arretrera' o andra' perduto.
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Risolvere problemi costruisce il movimento
I movimenti sociali crescono risolvendo problemi. Mentre i movimenti crescono, crescono anche i problemi, si spera assieme alla nostra capacita' di rifletterci sopra, di discuterli e risolverli. Abbiamo tanto da imparare l'uno dall'altro, da insegnarci l'un l'altro: questo tipo di attivita' ha la capacita' di catalizzare il cambiamento e la trasformazione, portando liberta' e giustizia alla portata di tutti. E' un'occasione. Le scelte stanno a noi.
Basato sul lavoro di George Lakey (arrestato per la prima volta quale attivista nella campagna dei diritti civili negli Usa, Lakey ha scritto manuali sull'azione diretta e libri sul cambiamento sociale, fra cui "Strategy for a Living Revolution". In oltre 40 anni di attivismo ha tenuto seminari per gli anarchici londinesi, per gli attivisti di Act Up di New York, per i minatori del carbone della Virginia, per l'African National Congress a Johannesburg, per i gay e le lesbiche in Russia, per gli studenti rivoluzionari della Birmania e per innumerevoli altri gruppi e movimenti).
La nonviolenza comincia da me: come agire nelle relazioni
Non e' necessario che io piaccia a tutti
E non e' necessario che tutti mi piacciano. Mi piace essere amata/o e apprezzata/o, ma se non piaccio a qualcuno va bene lo stesso. E io non sono da disprezzare per questo. Non posso costringere qualcuno ad apprezzarmi, non piu' di quanto possa costringere me stessa/o ad apprezzare un altro. Rispetto le altre persone, riconosco umanita' in me e in loro, ma non ho bisogno di dare o ricevere approvazione 24 ore su 24.
E' giusto fare errori, va bene
Tutti fanno errori, anch'io, e resto una persona decente e di valore anche quando sbaglio. Non c'e' ragione che io mi arrabbi quando commetto un errore. Ho tentato, e se tentando ho fatto un errore, imparero' dall'errore e continuero' a tentare in altro modo. Posso sopportare di fare errori. Anche gli altri hanno lo stesso diritto. Accettero' i miei errori e gli errori altrui come occasioni per imparare.
Le altre persone sono ok ed io sono ok
Le persone che fanno cose che non mi piacciono non sono necessariamente cattive persone. Non devono essere punite perche' a me non piace cio' che dicono o fanno. Io so che tutti meritiamo rispetto e un trattamento decente. Non ho bisogno di controllare le altre persone, cosi' come non ho bisogno di essere controllata/o.
Non ho il dovere di controllare le cose
Sopravvivero' anche se le cose sono differenti da come vorrei che fossero. Posso accettarlo. E accettare me stessa/o per quello che sono. Non c'e' ragione perche' mi piaccia tutto. E anche se qualcosa non mi piace, posso sopportarlo.
Sono io la/il sola/o responsabile del mio comportamento
Sono responsabile di come mi sento e di come agisco. Se ho avuto una giornata schifosa, me ne faccio carico. Se ho avuto una giornata splendida me ne godo il merito. Non e' responsabilita' delle altre persone cambiare perche' io mi senta meglio. Sono io a dirigere e guidare la mia vita.
Posso sopportare i momenti in cui le cose vanno male
Succede. Non ho bisogno di capri espiatori. Le cose di solito vanno bene, e quando non vanno bene, posso maneggiare la situazione. Il cielo non ci cadra' sulla testa. Possiamo risolvere la situazione.
Tentare e' importante
Anche se si fronteggiano ostacoli difficili, e' meglio tentare che non tentare. Evitare la prova non mi dara' alcuna opportunita' di raggiungere il risultato che desidero, ma tentare me la dara'. Non devo essere capace di fare tutto, ma so che so fare qualcosa.
Io sono una persona capace
Non ho bisogno che siano gli altri a farsi carico dei miei problemi. Sono capace. Posso prendermi cura di me stessa/o. Posso prendere decisioni per me stessa/o. Non dipendo da qualcun altro per aver cura di me.
Io posso cambiare
Non devo essere in un certo modo, od agire in una tal maniera, a causa di cio' che e' accaduto in passato. Ogni giorno e' un nuovo giorno. E' sciocco pensare che io non possa cambiare le mie azioni, e' naturale ed ovvio che posso.
Le altre persone sono capaci
Non posso risolvere i problemi per gli altri. Non devo prendere i loro problemi come se fossero miei. Non ho bisogno di cambiare le altre persone, di fissare le loro vite. Le altre persone sono capaci e possono prendersi cura di se stesse e risolvere i problemi che hanno. Io posso star loro vicina/o ed essere di qualche aiuto, ma non posso sostituirmi a loro.
Posso essere flessibile
Ci sono piu' modi di fare le cose. Essere in piu' di una persona a riflettere fa nascere idee che funzionano. Non c'e' un unico modo migliore. Ognuno ha idee che hanno valore. Alcune possono avere, per me, piu' senso di altre, ma il contributo di tutti e' utile e ciascuna/o ha il suo tassello da mettere.
Io sono responsabile delle mie azioni
Non c'e' nulla che un'altra persona possa dire o fare che mi induca ad agire in un modo che so essere sbagliato. Posso sentirmi arrabbiata/o, ma non diro' e non faro' nulla di cui debba pentirmi o sentirmi colpevole piu' tardi. Anche se una persona dice o fa qualcosa che veramente mi ferisce, io resto responsabile per come rispondo. Io posso maneggiare queste situazioni in maniera adulta, calma e responsabile.
Due torti non fanno una ragione
Non ho bisogno di vendicarmi solo perche' qualcuno ha detto o fatto qualcosa di sbagliato. Qualsiasi cosa io dica o faccio non "pareggera' i conti": i risultati saranno imbarazzo, sfiducia, senso di colpa. Agire in risposta ad un comportamento non appropriato senza vendicarsi e' un segno di forza e serenita'. Uscire da una situazione difficile conservando la mia integrita' e il rispetto per la mia maturita' e' molto piu' importante del proteggere il mio orgoglio o il mio ego.
Prendete tempo quando la situazione emotiva e' tesa: non alzate la voce, non imprecate, non minacciate e non usate comportamenti intimidatori. Chiedete una pausa di 5/10 minuti, uscite dalla stanza, pensate positivamente a voi stesse/i ed al gruppo.
Ricordate sempre questi quattro punti:
- avete il diritto di dire cio' che volete, ma non in maniera da abusare degli interlocutori, usando un linguaggio violento o intimidatorio;
- per ottenere una comunicazione efficace dovete ascoltare ed essere ascoltati. Discutere non significa semplicemente tentare di convincere gli altri ad aderire alla vostra posizione;
- una buona comunicazione richiede negoziazione e flessibilita'. Se qualcuno deve vincere la discussione e qualcun altro deve perderla, la comunicazione sparisce;
- nessuna istanza e' piu' importante del vostro scopo di rimanere nonviolente/i e non abusanti nelle vostre relazioni.
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Poesia per la pace
In questa vita,
apparira' una finestra
tra due eserciti,
sul campo di battaglia.
Invece di vedere i nemici,
i soldati vedranno nella finestra
se stessi quando erano bambini.
Smetteranno di combattere,
e andranno a casa, e dormiranno.
Quando si sveglieranno,
la Terra stara' di nuovo bene.
(Cameron C. Penny, 9 anni, Scuola elementare "St. Clare of Montefalco", Grosse Pointe, Michigan)
(parte quarta - fine)
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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 530 del 31 ottobre 2013
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