Telegrammi. 1252
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- Date: Sun, 21 Apr 2013 22:04:18 +0200 (CEST)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1252 del 22 aprile 2013
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Con Albert Camus e George Orwell
2. Peppe Sini: Per la Giornata della Terra
3. Segnalazioni librarie
4. Alcuni testi da "In cammino verso Assisi" del mese di settembre 2000 (parte prima)
5. Un approccio alla nonviolenza
6. Impegno politico e scelta nonviolenta
7. Scegliere di soffrire anziche' far soffrire
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. VERSO IL 25 APRILE. CON ALBERT CAMUS E GEORGE ORWELL
Si e' svolto domenica 21 aprile 2013 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di studio sul tema: "Per una cultura e una prassi dell'antifascismo vivente e operante: con Albert Camus e George Orwell".
Nel corso dell'incontro sono stati letti e commentati alcuni testi degli autori de La Peste e L'Uomo in rivolta e di Omaggio alla Catalogna e 1984.
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Albert Camus, nato a Mondovi (Algeria) nel 1913, nel 1940 a Parigi, impegnato nella Resistenza con il movimento "Combat" (dopo la liberazione sara' redattore-capo del quotidiano con lo stesso titolo), premio Nobel per la letteratura nel 1957, muore nel 1960 per un incidente automobilistico. Lo caratterizzo' un costante impegno contro il totalitarismo e per i diritti umani, che espresse sia nell'opera letteraria e saggistica, sia nel giornalismo e nelle lotte civili (oltre che nella partecipazione alla Resistenza). In un articolo a lui dedicato ha scritto Giovanni Macchia (citiamo da "Camus e la letteratura del dissenso", in Giovanni Macchia, Il mito di Parigi, Einaudi): "L'assurdo fu per Camus un punto di partenza... Poiche' non si puo' immaginare una vita senza scelta, e tutto ha un significato nel mondo, anche il silenzio, e vivere 'en quelque maniere' significa pur riconoscere l'impossibilita' della negazione assoluta, la prima cosa che noi non possiamo negare e' la vita degli altri. Nell'interno dell'esperienza assurda nasce come prima evidenza (credere al proprio grido) la rivolta: slancio irragionevole contro una condizione incomprensibile e ingiusta, e che pur rivendica l'ordine nel caos. E ricordo la gioiosa impressione che provoco' la formula cartesiana di Camus, con la sua aria di limpido giuoco, quando la leggemmo la prima volta. Non 'je me revolte, donc je suis': ma 'je me revolte, donc nous sommes'. Risollevare gli uomini dalla loro solitudine, dare una ragione ai loro atti; mettersi non dalla parte degli uomini che fanno la storia ma di coloro che la subiscono... Rivolta come fraternita'". Opere di Albert Camus: tra le opere di Camus particolarmente significative dal nostro punto di vista ci sembrano Il mito di Sisifo, Caligola, La peste, L'uomo in rivolta, tutti piu' volte ristampati da Bompiani. Utile anche la lettura dei Taccuini (sempre presso Bompiani) e delle corrispondenze per "Combat" 1944-1947 raccolte col titolo Questa lotta vi riiguarda (ancora Bompiani). Si veda anche (con Arthur Koestler), La pena di morte, Newton Compton, Roma 1981. Opere su Albert Camus: numerose sono le monografie su Camus; si vedano almeno la testimonianza di Jean Grenier, Albert Camus, souvenirs, Gallimard, e per una sommaria introduzione: Pol Gaillard, Camus, Bordas; Roger Grenier, Albert Camus, soleil et ombre, Gallimard; Francois Livi, Camus, La Nuova Italia; una recente vasta biografia e' quella di Olivier Todd, Albert Camus, una vita, Bompiani.
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Eric Arthur Blair (George Orwell e' uno pseudonimo) e' nato a Motihari in India nel 1903 (il padre era impiegato nell'amministrazione coloniale britannica), educato in Inghilterra, presto' servizio nella polizia imperiale inglese in Birmania (ove colse la violenza coloniale e imperialista) e presto l'abbandono'; visse poi in poverta' e di vagabondaggi a Parigi e a Londra (acquisendo una forte coscienza sociale); denuncio' in un libro-inchiesta le condizioni di miseria dei minatori disoccupati; prese parte alla guerra di Spagna in difesa della democrazia contro i fascisti (e li' vide anche all'opera e conseguentemente denuncio' la violenza stalinista contro gli anarchici e la sinistra non allineata). Gia' minato nella salute si arruolo' volontario nella Home Guard nella seconda guerra mondiale, e lavoro' per la Bbc. Scrisse coi suoi due ultimi grandi libri un'analisi lucidissima del totalitarismo. Mori' a Londra nel 1950. Tra le opere di George Orwell: Senza un soldo a Parigi e a Londra (1933) descrive le sue esperienze di poverta' e vagabondaggio; Giorni in Birmania (1934) ricorda la traumatica esperienza coloniale; La strada di Wigan Pier (1937) costituisce l'inchiesta sulla disoccupazione dei minatori; Omaggio alla Catalogna (1938) riferisce delle sue esperienze nella guerra di Spagna; La fattoria degli animali (1945) e' una favola morale di denuncia dello stalinismo; 1984 (1949) e' l'angosciante descrizione di una societa' totalitaria. Tutti i libri sopra citati sono editi in Italia da Mondadori. Una raccolta di saggi di Orwell (tra cui alcuni fondamentali) e' Nel ventre della balena, Bompiani, Milano 1996. Opere su George Orwell: un agile profilo critico e' quello di Raymond Williams, Orwell, Mondadori, Milano 1990; cfr. anche Stefano Manferlotti, George Orwell, La Nuova Italia, Firenze 1979; fondamentale e' la biografia di Bernard Crick, George Orwell, Il Mulino, Bologna 1991.
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L'incontro era parte di un ciclo di incontri di studio in preparazione del 25 aprile, incontri nel corso dei quali si vengono leggendo e commentando alcuni testi classici dell'antifascismo e della cultura democratica: nei precedenti incontri sono stati letti testi di Rosa Luxemburg, Hannah Arendt, Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Giacomo Matteotti, Carlo e Nello Rosselli, i martiri della Rosa Bianca, Dietrich Bonhoeffer, Primo Levi, Nelson Mandela, Etty Hillesum, Germaine Tillion, Piero Calamandrei, Margarete Buber Neumann, lettere dei caduti della Resistenza e brani della Costituzione della Repubblica Italiana.
2. EDITORIALE. PEPPE SINI: PER LA GIORNATA DELLA TERRA
Ricorre il 22 aprile la "Giornata della Terra", il giorno in cui si richiama l'attenzione di ogni persona, della societa' civile globale e delle istituzioni di tutto il mondo sulla catastrofe ecologica in corso e sulla necessita' di porre rimedio prima che sia troppo tardi.
E' polemica annosa, ed in ultima analisi esercizio sterile, interrogarsi ancora se queste "giornate internazionali" ad uno od altro argomento dedicate abbiano una reale efficacia o non siano invece funzionali alla spettacolarizzazione delle questioni e quindi alla deresponsabilizzazione di massa: per parte nostra ci sembra evidente che e' sempre meglio che un fatto, ovvero un problema, o un compito, sia segnalato piuttosto che occultato o rimosso o dimenticato.
E la distruzione dell'ecosistema provocata dall'attivita' antropica organizzata, ovvero dall'effettuale azione di sfruttamento e devastazione della natura - oltre che delle vite umane - da parte dei poteri dominanti e del modo di produzione e riproduzione sociale da essi imposto (poiche' di questo stiamo parlando) e' cosa cosi' tragicamente decisiva, e conseguentemente e parimenti la necessita' di "invertire la rotta" nel rapporto non solo interumano ma anche tra umanita' e mondo naturale - da un agire distruttivo della biosfera ad un agire che invece la preservi per il suo valore intrinseco ed a beneficio altresi' delle presenti e future umane generazioni - e' cosi' drammaticamente urgente, che ogni iniziativa che favorisca una autentica presa di coscienza e sia di reale stimolo ed efficace guida ad un concreto adeguato operare in pro del bene di tutti e di quel bene comune che tutti gli altri assomma, ovvero la biosfera come casa comune dell'umanita' intera e come sistema vivente complesso e unitario di cui l'umanita' stessa e' parte, e' iniziativa saggia e benedetta.
Varie sono le formulazioni - da diverse tradizioni linguistiche e culturali discendenti - con cui si puo' definire l'agire che occorre: salvaguardia del creato, difesa dei beni comuni, convivialita' delle differenze, decrescita felice, sobrieta' volontaria, principio responsabilita' e molte altre ancora, e tutte danno conto di aspetti e percezioni e concettualizzazioni convergenti nell'esortare a un impegno comune; a noi sembra che una forse tutte le comprenda: scegliere la nonviolenza come criterio orientativo (principio istitutivo, massima conforme a ragione, norma condivisa) delle relazioni tra le persone e tra i popoli, tra gli esseri umani e la natura.
La "Giornata della Terra" ci convoca a un impegno ineludibile: di buone pratiche in un orizzonte globale, di responsabilita' e solidarieta' nei confronti dell'umanita' intera (passata, presente e ventura) e dell'intero mondo vivente.
Vi e' una sola umanita', in un'unica biosfera.
3. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Marco Berisso (a cura di), Poesia comica del medioevo italiano, Rcs Libri, Milano 2011, pp. 384, euro 13,90.
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Riletture
- Centro di informazioni universitarie (a cura di), Documenti della rivolta studentesca francese, Laterza, Bari 1969, pp. 280.
- Marco D'Eramo, Rinascita di un partito. I socialisti francesi 1971-1975, Lerici, Cosenza 1976, pp. 256.
- Edmond Maire, Charles Piaget, La lezione della 'Lip', Coines Edizioni, Roma 1974, pp. 104.
- Livio Maitan, L'esplosione rivoluzionaria in Francia, Samona' e Savelli, Roma 1968, pp. 102.
4. MATERIALI. ALCUNI TESTI DA "IN CAMMINO VERSO ASSISI" DEL MESE DI SETTEMBRE 2000 (PARTE PRIMA)
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio "In cammino verso Assisi" nel mese di settembre 2000.
5. UN APPROCCIO ALLA NONVIOLENZA
[Estratto dalla scheda su "Jean Marie Muller: la nonviolenza e' lotta" ripubblichiamo qui il seguente testo]
Questo opuscolo di Jean-Marie Muller, Significato della nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Torino 1980, costituisce una sintetica e stimolante presentazione della nonviolenza come proposta di lotta.
Il testo di Muller e' del 1974, la traduzione italiana e' arricchita da una introduzione di Matteo Soccio che descrive la figura dell'autore, da una bibliografia essenziale in italiano, e da un indirizzario che, anche se non piu' utilizzabile vent'anni dopo, e' un commovente elenco di amici della nonviolenza italiani che hanno continuato a dare buona prova.
Il testo e' scandito in brevi paragrafi ognuno con un suo titolo, il che facilita la lettura (anche se non sempre questa forma espositiva e' la migliore). Di questa scansione ci serviremo liberamente nella sintesi dell'opuscolo che di seguito proponiamo con qualche nostro minimo commento.
1. Partire dai fatti: "non saremmo seri nella nostra riflessione sulla nonviolenza se non prendessimo sul serio la violenza"; si tratta di comprenderla: "essa e' molto spesso la ricerca di soluzioni concrete a dei problemi concreti", pertanto: "non potremmo accontentarci di una pura e semplice condanna di tutte le violenze quali che siano, da qualsiasi direzione provengano, ponendoci al di sopra della mischia e richiamandoci ad una innocenza che non puo' essere di questo mondo". Si trattera' quindi di esaminarla rigorosamente, per contrastarla efficacemente nel modo piu' rigoroso, appunto con la lotta nonviolenta.
2. La violenza e' distruzione: "non bisogna lasciarsi ingannare - scrive Ricoeur -. Il volto della violenza, il fine che essa persegue implicitamente o esplicitamente, direttamente o indirettamente, e' la morte dell'altro". Il richiamo alla riflessione di Ricoeur ci pare assai pertinente, e vorremmo aggiungere anche l'Elias Canetti di Massa e potere (un'opera fondamentale).
3. Le tre violenze: di seguito Muller riprende la nota distinzione delle "tre violenze" nel loro rapporto genealogico cosi' come indicato da Helder Camara, il grande vescovo brasiliano, eroico difensore dei diritti umani che ci ha abbandonato da poco.
a) la prima violenza e' la violenza delle situazioni di ingiustizia;
b) "la seconda violenza e' quella che nasce dalla rivolta degli oppressi quando essi tentano di liberarsi dal giogo dell'oppressione che li schiaccia";
c) "la terza violenza e' la violenza della repressione, essenzialmente legata alla violenza d'oppressione per mezzo della quale i ricchi ed i potenti spezzano i movimenti di liberazione dei poveri".
Dom Helder Camara, e padre Balducci riprendendone la riflessione, esprimevano opposizione a tutte le violenze, ma ovviamente spiegavano che cio' che occorreva innanzitutto era abolire la prima violenza, abolita la quale le altre sparivano di conseguenza. Sulla stessa linea di pensiero Muller nota che "se la nonviolenza condanna e combatte innanzitutto la violenza degli oppressori, essa pero' viene a rimettere in questione anche la violenza degli oppressi. Liberare i poveri, vuol dire anche liberarli dalla loro violenza". Sulla stessa linea di riflessione Giuliano Pontara rilevava che i sostenitori della nonviolenza non si limitano a condannare la violenza, ma praticano e propongono la nonviolenza come una forma di lotta concreta ed efficace contro la violenza. Vorremmo aggiungere questa definizione: la nonviolenza e' una teoria-prassi di liberazione che degnifica, ovvero umanizza, chi ne partecipa nel suo stesso farsi.
4. La necessità del conflitto e la gestione nonviolenta dell'aggressivita': al riguardo Muller svolge alcune considerazioni ispirate a concretezza e coscienza di alcune acquisizioni fondamentali del pensiero del Novecento.
Muller e' esplicito: "non si tratta di reprimere l'aggressivita' dell'uomo, ma di metterla in opera", aggiungendo che non e' fatale che l'aggressivita' si manifesti con la violenza, bisogna saperla disciplinare, controllare, utilizzare in modi piu' costruttivi della violenza. l'aggressivita' va incanalata affinche' si manifesti in creativita', solidarieta', impegno per la dignita', la giustizia, la verita'.
Inoltre, passando dal piano psicologico a quello sociologico: "bisogna dunque accettare questa realta' del conflitto", anzi: la strategia della nonviolenza promuove il conflitto contro l'ingiustizia. Chi pretende di cancellare il conflitto dalla societa', propugna una societa' totalitaria.
5. L'importanza dei mezzi: "non e' soltanto un problema morale, e' anche un problema di efficacia. Una delle caratteristiche della nonviolenza e' precisamente di affermare che, se la scelta dei mezzi viene dopo (e' seconda) rispetto al fine da conseguire, non e' tuttavia secondaria, e' anzi essenziale alla effettiva realizzazione di quel fine. Gandhi diceva: il fine e' nei mezzi come l'albero nel seme".
E Muller propone di esaminare il significato della nonviolenza ponendoci successivamente a tre livelli diversi:
a) il livello personale;
b) il livello delle relazioni interpersonali;
c) il livello delle relazioni sociali e politiche.
6. Sul piano personale: "la violenza e' il segno di una certa assurdita' del destino umano", la nonviolenza ci colloca in "un dinamismo della speranza che ci libera dalla fatalita' della violenza". E citando ancora Ricoeur: "Colui che chiama crimine un crimine e' gia' sulla via del senso e della salvezza".
7. Sul piano delle relazioni interpersonali e' la scelta del dialogo rispetto alla violenza. A noi pare assolutamente evidente che solo sulla scelta del ripudio della violenza si puo' fondare una societa' giusta.
8. Sul piano delle relazioni sociali e politiche, Muller evidenzia che la nonviolenza e' azione, impegno morale che si concretizza nella pratica, ed incisivamente scrive che "l'azione nonviolenta e' una prova di forza". "Un'azione nonviolenta non e' una dimostrazione d'amore. Essa e' molto piu' precisamente una dimostrazione di forza. La nonviolenza, non e' l'amore, ma piuttosto la ricerca di tecniche e di metodi di lotta compatibili con l'amore, compatibili con il rispetto della verita'". Si potrebbe dir diversamente, e si potrebbe discutere la forzatura e l'ellissi, ma il senso e' chiaro. La nonviolenza e' lotta, lotta come amore e amore come lotta.
9. La strategia dell'azione nonviolenta: "il principio essenziale di questa strategia e' il principio di non-cooperazione; io lo chiamerei meglio: principio di non-collaborazione. Esso si fonda sulla seguente analisi: la forza dell'ingiustizia nella societa' deriva dalla complicita' che la maggioranza dei membri di questa societa' apporta a questa ingiustizia". Ed e' davvero questo il cardine della proposta della nonviolenza: si tratta di rompere la complicita'.
10. Che fare:
10.1. L'analisi: innanzitutto occorre la denuncia dell'ingiustizia e l'analisi della situazione concreta.
10.2. La protesta pubblica: quindi passare alla protesta pubblica (ma sempre nelle azioni di protesta pubblica rispettare il principio della "pacificazione della parola"); tra le azioni di protesta pubblica, lo sciopero della fame e' una delle piu' specifiche della nonviolenza (e qui Muller segnala che lo sciopero della fame "non e' nonviolento se diventa un ricatto nei confronti dell'avversario").
10.3. L'azione diretta nonviolenta: dopo aver esaurito le possibilita' del dialogo, le possibilita' del negoziato, bisogna passare all'azione diretta nonviolenta.
Replicando ad una retorica diffusa, Muller scrive opportunamente: "Bisogna dunque rovesciare i termini e non dire che il negoziato e' un mezzo per risolvere il conflitto, ma che il conflitto e' un mezzo per risolvere il negoziato. E' proprio perche' il negoziato non e' possibile che il conflitto e' necessario per rendere possibile il negoziato e per creare le condizioni in cui il dialogo e il negoziato saranno possibili".
11. I mezzi dell'azione diretta nonviolenta: qui Muller propone alcuni esempi, ovviamente tutt'altro che esaustivi:
a) lo sciopero;
b) il boicottaggio;
c) la disobbedienza civile.
12. La violenza e' l'arma dei ricchi: Muller e' incalzante nella concretezza delle sue argomentazioni: "la capacita' di violenza degli oppressori sara' sempre smisuratamente piu' grande della capacita' di violenza degli oppressi".
13. La nonviolenza e' possibile, allora essa e' preferibile: "molti conflitti si sono sviluppati in un crescendo di violenza dall'una e dall'altra parte; non e' facile, a partire di la', tentare di intravvedere una soluzione nonviolenta. Ma noi potremmo almeno metterci d'accordo su questa ipotesi di lavoro: se la nonviolenza e' possibile, allora essa e' preferibile".
Ed e' detto magnificamente, e vorremmo aggiungere: se la nonviolenza e' possibile, allora essa e' necessaria.
E si potrebbe dir anche: se la nonviolenza e' necessaria, allora essa e' anche possibile.
E noi sappiamo che la nonviolenza e' possibile. E noi sappiamo che la nonviolenza e' necessaria.
6. IMPEGNO POLITICO E SCELTA NONVIOLENTA
[Estratto dal nostro lavoro "La nonviolenza contro la guerra" ripubblichiamo qui il seguente testo]
Alcuni ambiti di impegno politico in cui e' necessaria la scelta della nonviolenza come unica teoria-prassi coerente con i fini perseguiti
1. Tre premesse
1.1. Necessita' della coerenza tra mezzi e fini
Sosteniamo la tesi che coloro che si impegnano contro l'ingiustizia e l'oppressione, per i diritti e la dignita' umana, devono necessariamente scegliere delle forme di lotta (quindi dei metodi, delle strategie, delle teorie-prassi) che siano limpide e rigorosamente coerenti con gli obiettivi che si propongono.
1.2. La nonviolenza come unica forma di lotta ammissibile per chi vuole impegnarsi per la verita', la giustizia, la dignita' umana
Per questo riteniamo che la teoria-prassi della nonviolenza sia l'unica forma di lotta ammissibile per chi vuole impegnarsi per la verita', la giustizia, la dignita' umana; l'unica forma di lotta (usiamo questa espressione, nonviolenza come "forma di lotta", per economia di discorso, mentre sarebbe piu' preciso parlare di quattro distinte ma compresenti dimensioni della nonviolenza: a) una scelta etico-politica, b) un insieme di tecniche, c) una strategia di lotta, d) un progetto politico e sociale) che sia coerente con i fini propugnati sia dal punto di vista morale (per quanto attiene, quindi, ai valori ed ai comportamenti), sia dal punto di vista logico (per quanto riguarda il rigore intellettuale, la chiarezza di ragionamento), sia dal punto di vista politico (con riferimento alla modalita' relazionale che si istituisce ed al modello di societa' che si prefigura, all'esempio che si da' e quindi alla "pedagogia implicita" che ogni azione pubblica comporta).
1.3. Il ripudio assoluto della menzogna, della violenza, dell'ambiguita'
Riteniamo che chi vuole impegnarsi per la verita', la giustizia e la dignita' umana, non possa fare uso ne' della menzogna ne' della violenza, poiche' sia l'una che l'altra riproducono oppressione, negano dignita' ad altri esseri umani, e sono quindi incompatibili con i fini che si perseguono.
Riteniamo che su questo non si possa essere ambigui: una menzogna e' una menzogna, un crimine e' un crimine, una violenza e' una violenza; esse vanno rifiutate, condannate e contrastate in quanto tali.
Essere ambigui sulla menzogna e sulla violenza significa farsene complici. Chi pensa che la menzogna e la violenza possano essere strumenti di lotta politica ha gia' rinunciato a lottare per la dignita' umana hic et nunc.
2. Sette ambiti di impegno politico in cui e' necessaria la scelta della nonviolenza
2.1. Pace
L'impegno di costruzione della pace, ma gia' anche solo l'impegno di opposizione alla guerra, richieda la scelta della nonviolenza. Poiche' l'unica posizione che puo' energicamente e senza ambiguita' contrapporsi alla guerra e' quella che la ripudia in senso assoluto.
Se infatti si accetta l'argomento che possa esservi una "violenza buona" o una "guerra giusta", ne consegue che la discussione si sposta dalla guerra alle ragioni di essa, e che il giudizio sulla guerra muta a seconda delle ragioni che la motivano: in questo modo si perde di vista la cosa fondamentale: che la guerra e' uccisione di esseri umani, e che all'uccisione di esseri umani bisogna opporsi sempre.
Quindi opporsi alla guerra richiede la scelta di una posizione rigorosa di opposizione all'uccisione di esseri umani; richiede la scelta della nonviolenza.
A questo si aggiunga che la costruzione della pace, che e' cosa piu' ampia ed impegnativa della semplice opposizione alla guerra, richiede altresi' il ripudio di ogni oppressione e di ogni violenza, quindi a maggior ragione richiede la scelta della nonviolenza come unico metodo di lotta ammissibile.
2.2. Democrazia
Chi e' impegnato per la democrazia (intendendo con tale termine un modo di regolare la convivenza civile che cerchi di ridurre al minimo le ingiustizie e le sofferenze, che valorizzi la capacita' di tutti di contribuire alla discussione ed alle decisioni sulle cose che riguardano tutti, che sappia gestire i necessari conflitti e correggere gli inevitabili errori, che insomma tenga insieme e armonizzi le cosiddette "liberta' negative" e le cosiddette "liberta' positive" in una logica di corresponsabilita' e di condivisione), ebbene, chi e' impegnato per la democrazia deve ricordare quella massima secondo cui la democrazia e' l'arte di contare le teste invece di romperle: e quindi deve accettare di usare tecniche di discussione e di presa delle decisioni che rispettino e valorizzino le diversita', che rifiutino la manipolazione ma facciano leva sulla consapevolezza, sulla conoscenza, sulla razionalita'; deve rinunciare alla pretesa di detenere una verita' assoluta e di imporla con la forza; deve accettare l'esistenza di diversi punti di vista e di situazioni conflittuali; deve rifiutare la logica dell'annientamento dell'altro. Ne consegue che l'impegno per la democrazia, per quanto difficile esso possa essere, e per quante difficolta' essa democrazia possa comportare, richiede la scelta di una condotta che nella sua forma piu' ampia e coerente e' quella nonviolenta.
2.3. Diritti umani
Non dovrebbe essere necessario spenderci molte parole: la difesa e la promozione dei diritti umani richiedono a chi si impegna a tal fine di non violare a sua volta i diritti umani altrui. E' quindi evidente che l'impegno per i diritti umani e' tale, ed e' credibile, solo se e' svolto con metodi coerenti con il fine prefisso.
Purtroppo sovente la violazione dei diritti umani da parte di qualcuno e' presa a pretesto da parte di qualcun altro per muovere guerra o comunque per fare azioni violente. Ebbene, occorre essere chiari: un crimine non ne giustifica un altro. Una violazione dei diritti umani non ne autorizza altre.
Fermo restando il diritto alla legittima difesa da parte di chi subisce aggressioni, chi vuole intervenire in solidarieta' con la vittima ha il dovere di intervenire in modo nonviolento. L'ingerenza umanitaria e' certo un dovere, ma deve essere appunto umanitaria e non disumana; deve esercitarsi in modo efficace e coerente, quindi non deve raddoppiare la violenza e la sofferenza. La difesa dei diritti umani puo' essere esercitata solo con la nonviolenza.
Non ci dovrebbe essere bisogno di aggiungerlo, ma e' bene essere chiari fino in fondo: dinanzi alla violenza, dinanzi alla violazione dei diritti umani, si ha il dovere di agire, si deve intervenire; essere indifferenti equivale ad essere complici degli oppressori. La nonviolenza e' il contrario della vilta': essa nega la complicita' all'oppressore ed interviene in aiuto della vittima, ma il suo intervento e' rigorosamente finalizzato a salvare la vittima ed a contrastare la violenza. Dal punto di vista della nonviolenza, tanto la vilta' di chi assiste inerte al sopruso, quanto la violenza di chi aumenta la sofferenza invece di contrastarla e ridurla, sono ambedue atteggiamenti inaccettabili (ed una analisi logica rigorosa conferma questo giudizio, sia dal punto di vista dell'etica dei principi che dal punto di vista dell'etica dei risultati).
Un giurista in riferimento alla vicenda della guerra dei mesi scorsi ha visualizzato la situazione con la seguente metafora: se vedo una persona che ne aggredisce un'altra ho certo il dovere di intervenire per fermare l'aggressore ed aiutare la vittima, ma se il mio intervento consiste nello scagliare una bomba che ambedue li uccide, questo intervento fallisce l'obiettivo e provoca un danno superiore a quello che si voleva impedire.
2.4. Liberazione
Nella tradizione dei movimenti di liberazione degli oppressi spesso si e' fatto uso della violenza: quasi tutte le rivoluzioni storiche con cui gli oppressi si sono ribellati contro situazioni di intollerabile oppressione sono state rivoluzioni violente.
Su quelle esperienze e' possibile e necessario dare un giudizio e trarre delle conseguenze, con particolar riferimento agli effetti dell'uso della violenza. Spesso a rivoluzioni liberatrici sono seguiti regimi oppressivi. Spesso l'affermazione astratta di degnissimi ideali ha promosso o avallato concreti crimini, e finanche orrori immani. Un atteggiamento ambiguo nei confronti della violenza ha riprodotto violenza. Ed occorre invece affermare tutta la propria solidarieta' con gli oppressi in lotta per la dignita' propria e di tutti; occorre lottare contro l'oppressione; ma occorre essere consapevoli che, in quanto e' possibile una forma di lotta migliore, la lotta nonviolenta, e' necessario scegliere questa forma di lotta; ed occorre quindi opporsi alla violenza.
Se anche nel breve periodo la violenza puo' sembrare coerente con la lotta di liberazione, e se in circostanze precisamente circoscritte essa puo' essere considerata una necessaria forma di legittima difesa, nel lungo periodo essa e' sempre deleteria, e mai puo' essere il fondamento di una civile convivenza. Stando cosi' le cose, chi lotta per la liberazione deve scegliere la nonviolenza per ragioni tanto di fatto, quanto di principio.
2.5. Dignita' umana
L'uso della violenza e' compatibile con la dignita' umana? In quanto l'uso della violenza consiste nell'imporre coercitivamente la propria volonta' ad altri, evidentemente no. In quanto la violenza consiste nel sopprimere o anche solo nel far del male, nello spaventare, nell'umiliare, nel ridurre alla sottomissione altri esseri umani, evidentemente no.
Orbene, chi si impegna in favore della dignita' umana, affinche' essa non sia calpestata, non puo' eludere l'obbligo di usare forme di lotta coerenti con lo scopo che persegue. Ne discende che un movimento o una persona che lotti per la dignita' umana deve attenersi rigorosamente alla nonviolenza come unica forma di lotta compatibile con il fine della dignita' umana.
2.6. Biosfera
E' ormai sempre piu' diffusa la consapevolezza che le risorse sono limitate e quindi possono esaurirsi, che l'ambiente naturale e' minacciato di distruzione, che la biosfera (la sottile pellicola del pianeta in cui e' possibile la vita, e quindi anche la vita umana) sta subendo una progressiva contaminazione, devastazione, riduzione, in un processo che porta all'annichilimento. Da questa consapevolezza discende la necessita' di un impegno per la difesa della biosfera come necessita' fondamentale perche' vi sia vita e quindi anche civilta' umana. Ed a tale impegno molti movimenti e molte persone sono dediti, ed occorrera' riuscire ad ottenere che l'interesse comune dell'umanita' intera ad un modo vivibile divenga principio ispiratore delle scelte politiche ed economiche su scala planetaria.
Chi si impegna per la difesa della biosfera ovviamente deve assumere condotte coerenti: deve opporsi alla devastazione e allo spreco, e deve operare scelte di giustizia, anche nella propria quotidiana condotta. Questo implica far proprio e praticare un punto di vista radicalmente alternativo rispetto a quello dominante: il punto di vista di una vita sobria e solidale, punto di vista che trova pieno sviluppo nella scelta della nonviolenza come principio etico-politico, come progetto politico e sociale, come antropologia e weltanschauung.
2.7. Generazioni future
Porsi il problema dei diritti delle generazioni future impone di farsi carico dei diritti di esseri umani che oggi non sono presenti al mondo, e che esisteranno in un mondo nel quale noi avremo cessato di esistere.
E' evidente che si tratta di una questione di notevole complessita' (su cui cfr. il bel libro di Giuliano Pontara, Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari), ma alcune implicazioni basilari sono evidenti: in primo luogo che nel prendere decisioni che possono avere un impatto rilevante sul futuro occorre scegliere secondo il "principio responsabilita'"; ad esempio nel prendere decisioni che avranno effetti a lungo termine o che non siamo in grado di prevedere adeguatamente, occorre usare quel criterio che Hans Jonas ha definito con la formula "si deve prestare piu' ascolto alla profezia di sventura che non a quella di salvezza": ovvero, tener conto dell'esito peggiore tra quelli che l'azione puo' provocare, ed in base a quel peggior esito possibile decidere se fare o non fare una azione; detto in altri termini, "in dubio contra projectum": ovvero, se vi e' anche una minima possibilita' che la nostra scelta odierna possa produrre effetti negativi, occorre rinunciare a quella scelta ed assumerne un'altra che garantisca, per quanto e' nella nostra capacita' di previsione, di non provocare danni, ed al limite meglio e' non fare che fare.
Come e' evidente, si tratta di uno schema di analisi e di un modus operandi tipicamente nonviolento.
3. Quattro argomenti per la scelta della nonviolenza
3.1. La comunicazione
Tutto il nostro agire e' sempre anche comunicazione, quindi nell'analizzare ogni nostra azione dobbiamo sempre tenere conto della relazione che si istituisce e del messaggio che si trasmette. Da questo punto di vista e' evidente che la menzogna e' sempre inammissibile, poiche' il suo scopo e' appunto far fallire la comunicazione, ovvero essa lede radicalmente il fine primario dell'attivita' comunicativa, nega dignita' umana all'interlocutore, mira ad umiliarlo e defraudarlo. Ed e' evidente che anche la violenza e' sempre inammissibile, essendo essa una forma di comunicazione che instaura una relazione in cui al soggetto ricevente viene negata piena dignita'.
Come si vede, dal punto di vista della teoria della comunicazione (e dell'interpretazione) la nonviolenza (che implica altresi' la nonmenzogna) e' una scelta necessaria.
3.2. L'educazione e l'esempio
Ogni azione politica e' sempre anche azione educativa: essa interpella sempre le coscienze altrui e le convoca ad un giudizio e ad un agire. Un'azione politica violenta (quale che sia la sua finalita' dichiarata) educa sempre e necessariamente alla violenza, propaganda la violenza, propaga la violenza.
Quindi in quanto ogni azione politica e' educativa, e' necessario che essa sia sempre rigorosamente nonviolenta, se non vuole risolversi di fatto in una promozione di oppressione e negazione di umana dignita'.
A questo si aggiunga che la prima e decisiva forma di educazione, da cui tutte le altre discendono, e' l'esempio. L'esempio e' la cosa che conta di piu' in assoluto in ogni tipo di interazione educativa, e poiche' abbiamo rilevato che ogni forma di agire politico e' anche un'interazione educativa, ne consegue che la cosa che piu' conta in ogni azione politica e' l'esempio che essa offre.
Non c'e' bisogno di aggiungere quanto deleterio sia l'esempio della menzogna, della violenza, della negazione dell'altrui dignita'. Ci limitiamo a concludere che solo l'azione nonviolenta costituisce intrinsecamente, e quindi fornisce sempre, un esempio di lotta per la dignita' umana limpido e persuasivo.
3.3. L'etica della responsabilita'
Nell'analizzare un'azione per stabilire se essa sia buona o cattiva, e quindi se sia giusto o errato eseguirla, e' possibile utilizzare diversi criteri di valutazione; schematizzando utilizzeremo qui la classica bipartizione della riflessione morale in "etiche dei principi" ed "etiche dei risultati".
Le etiche dei principi sono quelle che valutano l'azione sulla base dei principi che la motivano: questo criterio ha alcuni aspetti vantaggiosi, ma puo' avere conseguenze terribili: infatti viene sintetizzato con il motto latino "Fiat justitia, pereat mundus": che potremmo tradurre all'incirca cosi': "sia fatta la giustizia, e vada pure in malora in mondo". E' evidente che se si manda in malora il mondo non si e' fatta la giustizia ma una catastrofe. Quindi le etiche dei principi in quanto tali non sono sufficienti a garantire l'azione giusta.
Le etiche dei risultati sono quelle che valutano l'azione sulla base dei risultati che essa ottiene: anche questo criterio ha alcuni aspetti vantaggiosi, ma anch'esso puo' avere conseguenze terribili: infatti viene sintetizzato nel motto "Il fine giustifica i mezzi", e noi sappiamo che invece non solo il fine non giustifica i mezzi, ma che i mezzi pregiudicano il fine. Sulla base dell'etica dei risultati si sono commessi non meno orrori che sulla base dell'etica dei principi.
E' quindi evidente che anche le piu' illustri teorie morali non sono sufficienti a garantire una guida sicura per l'azione giusta; e la discussione contemporanea in materia di etiche pubbliche e' particolarmente accesa, articolata e complessa; anche sintesi recenti - come Una teoria della giustizia (edito da Feltrinelli, Milano) di John Rawls, per fare solo un esempio molto noto - evidenziano la necessita' di un atteggiamento assai cauto ed implicano nuovi problemi e contraddizioni.
In questo quadro si trattera' allora di attenersi a pochi semplici criteri che, senza la pretesa di risolvere tutti i problemi, ci aiutino almeno a non commettere dei crimini nella nostra azione pubblica.
In primo luogo si tratta di riconoscere a tutti gli esseri umani gli stessi diritti fondamentali; in secondo luogo si tratta di riconoscere il diritto alla diversita'; in terzo luogo si tratta di rinunciare a quelle azioni che possono avere effetti distruttivi; in quarto luogo si tratta di fare solo quelle azioni che si oppongono alla violenza, che riducono la violenza, che non riproducono la violenza; in quinto luogo si tratta di avere sempre una visione globale dei problemi ed un approccio dinamico e contestuale; in sesto luogo si tratta di avere sempre presente la possibilita' di sbagliarci, ovvero usare la consapevolezza della nostra fallibilita' come un fondamentale strumento euristico e di autocontrollo: questo implica un atteggiamento aperto, non dogmatico, sperimentale ed autocritico.
Se dovessimo usare una formula sintetica, chiameremmo questo insieme di criteri una "etica della responsabilita'"; e preciseremmo questa formula (variamente usata da autori diversi con assai diversi significati e conseguenze) facendo soprattutto riferimento alle elaborazioni filosofiche di Hans Jonas (l'autore del libro intitolato appunto Il principio responsabilita', Einaudi, Torino) e di Emmanuel Levinas; a cui aggiungeremmo almeno le riflessioni di Virginia Woolf (in particolare Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano) e Guenther Anders; e le riflessioni e la testimonianza grandissime di Primo Levi (soprattutto I sommersi e i salvati, ma si leggano tutte le Opere in due volumi presso Einaudi, Torino).
3.4. La proposta leopardiana
Abbiamo sempre pensato che La ginestra, l'ultima grande poesia di Giacomo Leopardi, sia anche uno straordinario manifesto politico. E la proposta politica che Leopardi formula nella Ginestra la sintetizziamo cosi': proprio perche' l'uomo, ogni uomo, e' un essere intrinsecamente esposto per sua costituzione biologica al dolore, alla malattia, al decadimento, alla morte, e' assurdo che a queste forme di dolore se ne aggiungano altre frutto dell'oppressione storica che uomini esercitano su altri uomini. Proprio perche' l'uomo, ogni uomo, e' una creatura infelice, occorre che viga tra gli uomini solidarieta'. Proprio perche' ognuno e' radicalmente infelice, occorre che tutti gli uomini facciano causa comune e si stringano in un'azione solidale di aiuto reciproco.
7. SCEGLIERE DI SOFFRIRE ANZICHE' FAR SOFFRIRE
[Estratto dal nostro lavoro "La nonviolenza contro la guerra" ripubblichiamo qui il seguente testo]
Molti si mostrano sovente spaventati dinanzi all'assioma gandhiano per cui nella lotta nonviolenta occorre essere disposti a soffrire piuttosto che a far soffrire. Ma questo e' il nostro comune comportamento quotidiano in quasi tutte le nostre relazioni sociali e scelte personali.
La disponibilita' al sacrificio personale e' alla base di moltissimi nostri comportamenti sociali; e spesso si assumono sacrifici onerosi per scopi di scarso valore o per soddisfare bisogni assolutamente alienati. Vediamo qualche esempio: la disponibilita' al sacrificio da parte del tifoso sportivo per la sua squadra (che peraltro e' oggettivamente del tutto inutile); la disponibilita' al sacrificio di chi si sottopone a ristrettezze per risparmiare soldi per comprare un'automobile come status-symbol (subendo cosi' il piu' feroce e stupido dei condizionamenti pubblicitari); la disponibilita' al sacrificio nel legame d'amore (che e' invece gia' cosa nobile anche se puo' dar luogo a comportamenti inadeguati e fin patologici). In generale il differire il piacere in vista di obiettivi piu' intensi e/o piu' alti, piu' lontani nel tempo, e' caratteristico della nostra comune condotta: vedi i casi dello studio, dell'allenamento, dell'esercizio, dell'ascesi, etc. Ugualmente frequente e' la disponibilita' al sacrificio della propria liberta' a vantaggio del rispetto degli altri e quindi della comune convivenza (non c'e' bisogno di chiamare in causa i concetti di altruismo e di egoismo, basti pensare alle semplici regole condominiali); analoga la disponibilita' al sacrificio nella famiglia da parte dei genitori a vantaggio dei figli. Insomma, la disponibilita' a sacrificarsi non e' affatto cosa rara, ma comportamento il piu' frequente.
Certo, la proposta nonviolenta chiede di fare un passo ulteriore: di applicare la disponibilita' a sacrificarsi proprio nel conflitto, ovvero laddove si scatena la nostra aggressivita' e piu' predisposti siamo a fare del male ad altri. E chiede anche di imparare a lottare cercando di ridurre al minimo la violenza senza pretendere che l'avversario segua la nostra stessa condotta. Ci chiede di preferire la nostra sofferenza alla sofferenza altrui, di preferire subirla anziche' infliggerla. Non e' facile, ed implica una contraddizione. Ma ad essere intrinsecamente contraddittoria e' la situazione del conflitto, eppure il conflitto e' necessario; cosi' come e' evidente che l'aggressivita' esiste, e quindi non va repressa ma incanalata e resa costruttiva. La scelta di lottare con le tecniche della nonviolenza e' il contrario della vilta'; la scelta di lottare con le tecniche della nonviolenza, e quindi la consapevole decisione di esser disposti a subire sofferenze piuttosto che a provocarne richiede certamente un grande coraggio. Ma non e' forse vero che proprio il coraggio e' la virtu' morale piu' apprezzata nel conflitto?
(...) La nonviolenza e' una scelta e un metodo di lotta contro la violenza, la menzogna e l'ingiustizia. Essa si realizza nel conflitto e si contrappone tanto alla vilta' quanto alla violenza. Essa si fonda sulla convinzione che ognuno e' responsabile di tutto, che il potere oppressivo si regge fondamentalmente sulla complicita' e che quindi occorre rompere quella complicita'. La nonviolenza richiede a chi la adotta la disponibilita' a soffrire anziche' a far soffrire; un atteggiamento limpido e coerente in termini logici e morali (di ragionamento e di comportamento); coerenza tra mezzi e fini; l'obiettivo di ridurre la violenza al minimo; esemplarita' di comportamenti che abbiano valore educativo; agire concretamente ed assumersi la responsabilita' piena delle proprie azioni e delle loro conseguenze. La nonviolenza non e' statica e dogmatica, ma critica e creativa, dialettica e sperimentale. La nonviolenza e' un appello alla lotta: una lotta che e' eminentemente comunicazione ed amore. Non e' possibile scegliere la nonviolenza senza amore per l'umanita'.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1252 del 22 aprile 2013
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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