Telegrammi. 1251
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- Date: Sat, 20 Apr 2013 23:57:29 +0200 (CEST)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1251 del 21 aprile 2013
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com
Sommario di questo numero:
1. Silvia Vegetti Finzi: "Bella bambina ariana"
2. Commemorato Tonino Bello a Viterbo
3. Dalle epigrafi di Piero Calamandrei alle memorie di Margarete Buber Neumann
4. Alcuni testi da "In cammino verso Assisi" del mese di agosto 2000
5. Dimensioni della nonviolenza
6. Contro la violenza
7. Alcune proposte di definizione della nonviolenza
8. Per la scelta della nonviolenza
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'
1. MEMORIA. SILVIA VEGETTI FINZI: "BELLA BAMBINA ARIANA"
[Ringraziamo di tutto cuore Silvia Vegetti Finzi per averci messo a disposizione questo ricordo.
Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta, docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938. Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista, collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura' di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari. Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E' membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi, il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri, intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile, intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza, l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico, dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi, Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986; La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992; (con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994; (con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza, Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996; (con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita' femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997; (con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg & Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003; Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005; Nuovi nonni per nuovi nipoti, Mondadori, Milano 2008; La stanza del dialogo, Casagrande, Bellinzona 2009]
"Nessuno - dice Pascal - muore cosi' povero
da non lasciare nulla in eredita'".
Cio' vale anche per i ricordi -
solo che essi non sempre trovano un erede.
(W. Benjamin)
"Come si chiama bella bambina?" chiede l'ufficiale nazista a mia mamma, chinandosi per accarezzarmi i riccetti biondi e scarruffati. Ho cinque anni e mezzo e stiamo viaggiando da Brescia a Manerbio, un paese vicino, su un treno buio, gelido e fracassone, con i sedili sbrindellati e le porte interne che non si chiudono. Ma nessuno ricorda le comodita' di un tempo. Tanto meno i bambini che non le hanno mai conosciute. Siamo in aprile, il "piu' crudele dei mesi" e l'inverno, come la guerra, sembra non voler finire. Mia madre, preoccupata che quella bambina sventata abbia dimenticato la consegna - non a caso ero soprannominata "mademoiselle la gaffe" - m'invita a rispondere bene e io, con gli occhi sgranati per una paura che non so, pronuncio in fretta una frase che rimarra' negli annali di famiglia: "Lei dice che mi chiamo Rosina Ruchinger". La nuova identita' e' recente. Fino a qualche giorno prima avrei risposto: "Silvia Finzi", ma da quando la Repubblica di Salo' ha inasprito le persecuzioni contro gli Ebrei, compresi i "misti", quel cognome e' diventato impronunciabile. Suona come un'imputazione, anzi come una condanna a morte. Ma questo lo sapro' dopo, molti anni dopo. Il puzzle della vita si compone lentamente e solo alla fine se ne scorge il disegno complessivo.
Invece, durante l'occupazione tedesca il cognome Ruchinger, di ascendenza cattolica, costituisce una sorta di lasciapassare. Viene portato in Italia da Monaco di Baviera dal bisnonno materno, un medico cosi' innamorato del nostro Paese da stabilirsi nel mantovano dopo la battaglia di Custoza, dove aveva combattuto contro gli Austriaci. Nominato medico condotto, esercitava, forse a Viadana, quella che veniva considerata, con commiserazione venata d'ironia: "Arte si' misera, arte si' rotta, non v'e' che il medico che va in condotta". Di lui si ricorda la passione per l'Inghilterra, trasmessa nel nome dei tre figli: Enrico, che sarebbe diventato mio nonno, Edoardo e Adelaide. Nonostante la miseria dell'arte, possedeva un cavallo, un calesse e un servo. Quest'ultimo doveva essere uno stalliere assai maldestro se il cavallo gli stacco' il naso con un morso. Ma l'appendice, cosi' si narra, venne tempestivamente riattaccata con ago e filo dall'abile medico, improvvisatosi sarto per l'emergenza.
Sventura volle che, quando i suoi bambini erano ancora piccoli, il "dottore tedesco", dagli inconfondibili capelli rossi, venisse inghiottito, con cavallo e calesse, da una piena del Po, mentre tentava di raggiungere in fretta e furia una partoriente. La vedova, rimasta sola a crescere i figli con un'esigua pensione, fu costretta a rimpiangere la miseria dell'arte medica quando in casa entro' quella vera: l'arte di mettere insieme il pranzo con la cena. Ideo' allora uno stratagemma: recupero' il servizio di nozze, riservato alle grandi occasioni, e utilizzo' i piatti di porcellana bavarese, decorati con fiori di vivaci colori, per "pucciare" la polenta in un sugo virtuale. Si narra che i ragazzi riuscissero a condire, almeno con la fantasia, quel monotono alimento.
Tornando al treno che sferragliava verso Brescia, l'ostico cognome Ruchinger portava con se' quelle scene lontane, spezzoni di una memoria familiare dispersa: il tempo corre veloce e il passato sbiadisce in fretta. Il nome Rosina era tratto invece dall'abbecedario di mia nonna Liberata Bendoni, la moglie di nonno Enrico, una signora d'altri tempi, educata in casa dall'istitutrice, secondo costumi ottocenteschi. Un volume favoloso se confrontato alle autarchiche pubblicazioni del tempo di guerra: di cartone spesso un po' ingiallito, illustrato con disegni in bianco e nero, cosi' belli che ora li metteremmo in cornice. L'identificazione con la figura della contadinella Rosina, di cui si presumeva un roseo incarnato, mi era stato affibbiata per due ragioni: perche' avevo le gote rosse e perche' Rosina era una guardiana di oche, il che lasciava supporre che lei stessa un po' oca lo fosse. D'altra parte in quegli anni tutte le bambine erano considerate ochette, anche quelle un po' cresciute, e tutti i maschi monelli. Gli adulti, che avevano ben altro cui pensare, i bambini non li vedevano neppure e, per comodita', ricorrevano a un consunto repertorio di pregiudizi.
A quanto pare il mio improbabile pseudonimo aveva funzionato, visto che il cortese ufficiale aveva esclamato: "Questa si' essere bella bambina ariana!". La stentata sintassi e' d'obbligo per dar l'idea del crucco credulone, sempre disposto a farsi imbrogliare dallo scaltro italiano. L'aneddoto potrebbe far sorridere se non fosse che proprio in quei giorni, forse in quello stesso giorno, il 5 aprile del '44, Ida Finzi, la giovane sorella di mio padre, era stata spinta a forza in un vagone piombato e deportata, col padre, ad Auschwitz. Finita la guerra, ereditai da lei una bicicletta da corsa e un portatovagliolo d'argento con inciso il suo semplice nome. E nessun racconto.
Piu' tardi seppi che, il giorno precedente a quello in cui fu deportata, si era presentata spontaneamente alla Casa di riposo israelitica di Mantova per stare vicina al padre, che vi era detenuto dal primo dicembre. Una scelta dettata dalla solitudine e dall'affetto su cui si stavano addensando le nuvole minacciose del conflitto piu' spaventoso che la storia abbia mai conosciuto.
Ida, rimasta orfana di madre, si recava spesso a Venezia, ospite della zia e la' si trovava quando era giunta la notizia che gli Ebrei mantovani sarebbero stati deportati nei giorni seguenti. Preoccupata per la sorte del padre, aveva preso il primo treno disponibile per raggiungerlo e avvertirlo di quanto stava per accadere. Nelle stesse ore il fratello Renzo viaggiava in senso contrario per indurla a rimanere a Venezia. Il chiasma dei loro spostamenti sarebbe stato per lei decisivo.
Sappiamo infatti che quando Ida era arrivata a casa non aveva trovato nessuno ad attenderla. Spaventata, era corsa dalla cameriera di famiglia, che abitava in un paese vicino, ma questa, temendo di essere coinvolta nella retata, l'aveva scacciata in malo modo chiudendole la porta in faccia. Non sapendo che fare, Ida si era allora recata all'ospizio ove era detenuto il padre, consegnandosi spontaneamente alle guardie. In realta' non ci sarebbe stato alcun bisogno di raggiungerlo perche', per l'eta' tarda e i malanni che lo affliggevano, era da poco giunto l'ordine di rilasciarlo. Ma, nel frattempo, si era fatto tardi e, per non affrontare il buio imposto dal coprifuoco, il vecchio Finzi, frastornato da eventi che non riusciva a comprendere, aveva deciso che, con la figlia, si sarebbe trattenuto nell'ospizio per una notte ancora. Nel pomeriggio si era recato dal barbiere per "mettersi in ordine". Ci teneva al suo aspetto e non immaginava che, chiedendo come al solito "barba e capelli", si stava preparando per l'ultimo viaggio. Quando il mattino successivo padre e figlia, fatti i bagagli, si accingevano a rientrare a casa, il loro tempo stava ormai per scadere. Nel concitato trasferimento dei prigionieri alla stazione, nessuno aveva voluto prendere in considerazione quell'insolito ordine di scarcerazione. Nel disinteresse generale erano stati spinti con gli altri dentro il convoglio blindato che li attendeva minaccioso su un binario secondario; i portoni scorrevoli freneticamente chiusi e sigillati, e gia' Mantova si allontanava all'orizzonte.
Con l'indifferenza che la sorte riserva a chi vuol perdere, era inesorabilmente scoccata, sul quadrante della loro vita, "l'ora di tutti". Il vecchio padre, considerato dalle SS un inutile fardello, sarebbe stato ucciso cinque giorni dopo il suo arrivo nel campo di sterminio, mentre la figlia vi sarebbe morta, forse per tifo, alla fine dell'anno. Qualcuno, dei pochi che dall'inferno di Auschwitz fecero ritorno, ha raccontato che, durante il tragitto, Ida aveva trovato l'amore. Peccato che, "come tutte le piu' belle cose, duro' solo un giorno. Come le rose" (1).
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Note
1. Come scrive Rossana Rossanda: "Questa non e' una storia ma quel che resta della mia memoria".
2. MEMORIA. COMMEMORATO TONINO BELLO A VITERBO
Venti anni fa, il 20 aprile 1993, moriva don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta straordinario costruttore di pace, difensore dei diritti umani e della biosfera, amico della nonviolenza.
La mattina di sabato 20 aprile 2013 a Viterbo il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" lo ha ricordato con un incontro di commemorazione, nel corso del quale sono stati letti e commentati vari suoi scritti.
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Concludendo l'incontro il responsabile della struttura nonviolenta viterbese, Peppe Sini, ha evidenziato come "porsi all'ascolto di Tonino Bello implica proseguire l'impegno che fu anche suo.
1. L'impegno per la pace, che per essere tale implica il disarmo, la smilitarizzazione, la giustizia sociale. Invece chi governa il nostro paese continua in una politica di guerra, di riarmo, di militarismo, e innanzitutto continua con la scellerata partecipazione alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan: una politica assassina. Ergo hic et nunc per proseguire l'impegno che fu di Tonino Bello occorre impegnarsi in primo luogo affinche' cessi immediatamente la criminale partecipazione italiana alla guerra afgana che ogni giorno miete vittime innocenti.
2. L'impegno contro il razzismo, per il riconoscimento della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani. Invece chi governa il nostro paese continua nella politica della violenza sui migranti, dei respingimenti e del rifiuto di asilo, dei campi di concentramento: una politica assassina. Ergo hic et nunc per proseguire l'impegno che fu di Tonino Bello occorre impegnarsi in primo luogo affinche' siano abrogate immediatamente le infami misure razziste che perseguitano, schiavizzano, mandano a morte i migranti.
3. L'impegno in difesa della biosfera, che richiede la scelta della decrescita, di un'economia socializzata, di giustizia e di solidarieta', di salvaguardia del mondo vivente di cui l'umanita' e' parte. Invece chi governa il nostro paese continua con una politica economica intesa alla massimizzazione del profitto a scapito delle persone e della biosfera, una politica economica che sfrutta e distrugge vite umane e natura: una politica assassina. Ergo hic et nunc per proseguire l'impegno che fu di Tonino Bello occorre impegnarsi in primo luogo affinche' si rinunci definitivamente alle "grandi opere" ecocide e ci si adoperi invece per la "decrescita felice", per garantire il diritto alla vita di tutte le persone e di tutti gli ecosistemi, una autentica politica economica-ecologica che salvaguardi ad un tempo diritti umani, beni comuni, mondo vivente.
Cosa occorre, dunque, per inverare l'appello, il lascito di don Tonino?
Occorre la rivoluzione nonviolenta.
I. Una rivoluzione esistenziale nonviolenta: che nella trama delle relazioni interpersonali e nella vita quotidiana faccia prevalere i valori della responsabilita' e della solidarieta', dell'attenzione e del rispetto, della sobrieta' e della gentilezza: della lentezza, della profondita', della dolcezza.
II. Una rivoluzione culturale nonviolenta: che valorizzando quanto la civilta' umana ha prodotto di degno e di giovevole promuova insieme il sapere e la saggezza, la scienza e la morale, formi persone e cittadini che si sentano ognuno responsabile di tutto.
III. Una rivoluzione economica nonviolenta: ovvero una conversione dell'economia alla nonviolenza, uscendo dalla dittatura del profitto e della sopraffazione, dal "regno della necessita'" e della schiavitu', ed entrando finalmente in quel "regno della liberta'", ovvero della responsabilita' e della solidarieta', di persone libere ed uguali in diritti e doveri, in cui da ciascuno sia dato secondo le sue capacita' ed a ciascuno sia dato secondo i suoi bisogni.
IV. Ed infine una rivoluzione politica nonviolenta: poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe. E indicano la scelta della nonviolenza le grandi conquiste del costituzionalismo moderno, e tra i monumenti di esso la Dichiarazione universale dei diritti umani, la Costituzione della Repubblica Italiana. Indicano la scelta della nonviolenza le grandi tradizioni di pensiero dell'umanita'. Indicano la scelta della nonviolenza le fondamentali acquisizioni delle scienze naturali ed umane. Indica la scelta della nonviolenza l'intimo sentire di ogni essere umano che si coglie fragile e perituro, ed insieme si sa capace di ricevere e dare amore, di contribuire al benessere comune; che si sa esistente in una trama di relazioni umane, da esse sostenuto e protetto e valorizzato; che si sente "zoon politikon" ed e' cosciente di un dovere di fedelta' all'umanita' e alla vita e al mondo come conseguenza della sua medesima nascita.
Ecco, parlando oggi di Tonino Bello abbiamo spesso fatto riferimento ad esperienze e riflessioni di tante altre persone che per noi contano molto: da Hannah Arendt a Vandana Shiva, da Primo Levi a Nelson Mandela, da Alexander Langer a Laura Conti, da Virginia Woolf a Emmanuel Levinas, da Danilo Dolci a Ivan Illich, da Simone Weil a Simone de Beauvoir, da Hans Jonas a Franca Ongaro Basaglia, da Ernesto Balducci a Silvia Vegetti Finzi, a molte altre persone amiche della nonviolenza, e figure decisive del movimento operaio, del movimento anticolonialista ed antimperialista, del movimento femminista, del movimento ecologista.
La lezione di Tonino Bello, come quella di tutte le persone amiche della nonviolenza e di nonviolenza maestre, ci convoca a un esame di coscienza e a un rinnovato, concreto, urgente impegno intellettuale, morale e politico.
E piace concludere questo incontro con le stesse parole con cui lo abbiamo convocato.
Porsi all'ascolto di Tonino Bello e' chiarire a se stessi le ragioni della dignita' umana, della pace, della salvaguardia della biosfera, della responsabilita' e della solidarieta' che tutte le persone e l'intero mondo vivente riconosce e raggiunge e sostiene.
Porsi all'ascolto di Tonino Bello e' scegliere la nonviolenza, forza della verita' ed impegno di liberazione dell'umanita'.
Porsi all'ascolto di Tonino Bello e' decidersi alla lotta contro tutte le violenze.
La nonviolenza e' in cammino".
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Una breve notizia su Tonino Bello
Tonino Bello e' nato ad Alessano nel 1935, vescovo di Molfetta, presidente nazionale di Pax Christi, e' scomparso nel 1993; costantemente impegnato dalla parte degli ultimi, promotore di iniziative di solidarieta' con gli immigrati, per il disarmo, per i diritti dei popoli e la dignita' umana, ideatore ed animatore di grandi iniziative nonviolente, e' stato un grande costruttore di pace e profeta di nonviolenza. Opere di Tonino Bello: segnaliamo particolarmente, tra le molte sue pubblicazioni, I sentieri di Isaia, La Meridiana, Molfetta 1989; Il vangelo del coraggio, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996; e' in corso la pubblicazione di tutte le opere in Scritti di mons. Antonio Bello, Mezzina, Molfetta 1993 sgg., volumi vari. Opere su Tonino Bello: cfr. per un avvio Luigi Bettazzi, Don Tonino Bello. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001; Claudio Ragaini, Don Tonino, fratello vescovo, Edizioni Paoline, Milano 1994; Alessandro D'Elia, E liberaci dalla rassegnazione. La teologia della pace in don Tonino Bello, La Meridiana, Molfetta (Ba) 2000. Nella rete telematica materiali utili di e su Tonino Bello sono nel sito di Pax Christi: www.paxchristi.it, in quello de La Meridiana: www.lameridiana.it e in molti altri ancora.
3. VERSO IL 25 APRILE. DALLE EPIGRAFI DI PIERO CALAMANDREI ALLE MEMORIE DI MARGARETE BUBER NEUMANN
Si e' svolto nel pomeriggio di sabato 20 aprile 2013 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di studio sul tema: "Per una cultura e una prassi dell'antifascismo vivente e operante: Dalle epigrafi di Piero Calamandrei alle memorie di Margarete Buber Neumann".
Nel corso dell'incontro sono stati lette e commentate tutte le epigrafi per uomini e citta' della Resistenza dettate dal grande giurista antifascista, e varie pagine dalle opere della grande testimone antitotalitaria.
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Piero Calamandrei, nato a Firenze nel 1889 ed ivi deceduto nel 1956, avvocato, giurista, docente universitario, antifascista limpido ed intransigente, dopo la Liberazione fu costituente e parlamentare, fondatore ed animatore della rivista "Il Ponte", impegnato nelle grandi lotte civili. Dal sito dell'Anpi di Roma (www.romacivica.net/anpiroma) riprendiamo la seguente notizia biografica su Piero Calamandrei: "Nato a Firenze nel 1889. Si laureo' in legge a Pisa nel 1912; nel 1915 fu nominato per concorso professore di procedura civile all'Universita' di Messina; nel 1918 fu chiamato all'Universita' di Modena, nel 1920 a quella di Siena e nel 1924 alla nuova Facolta' giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile. Partecipo' alla Grande Guerra come ufficiale volontario combattente nel 218mo reggimento di fanteria; ne usci' col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello. Subito dopo l'avvento del fascismo fece parte del consiglio direttivo dell'"Unione Nazionale" fondata da Giovanni Amendola. Durante il ventennio fascista fu uno dei pochi professori che non ebbe ne' chiese la tessera continuando sempre a far parte di movimenti clandestini. Collaboro' al "Non mollare", nel 1941 aderi' a "Giustizia e Liberta'" e nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d'Azione. Assieme a Francesco Carnelutti e a Enrico Redenti fu uno dei principali ispiratori dei Codice di procedura civile del 1940, dove trovarono formulazione legislativa gli insegnamenti fondamentali della scuola di Chiovenda. Si dimise da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al duce che gli veniva richiesta dal Rettore del tempo. Nominato Rettore dell'Universita' di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicche' esercito' effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioe' dalla liberazione di Firenze, all'ottobre 1947. Presidente del Consiglio nazionale forense dal 1946 alla morte, fece parte della Consulta Nazionale e della Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipo' attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione. I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sugli accordi lateranensi, sulla indissolubilita' del matrimonio, sul potere giudiziario. Nel 1948 fu deputato per "Unita' socialista". Nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di "Unita' popolare" assieme a Ferruccio Parri, Tristano Codignola e altri. Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Universita' di Firenze, direttore con Carnelutti della "Rivista di diritto processuale", con Finzi, Lessona e Paoli della rivista "Il Foro toscano" e con Alessandro Levi del "Commentario sistematico della Costituzione italiana", nell'aprile del 1945 fondo' la rivista politico-letteraria "Il Ponte". Mori' a Firenze nel 1956". Tra le opere di Piero Calamandrei segnaliamo particolarmente Uomini e citta' della Resistenza, edito nel 1955 e successivamente ristampato da Laterza, Roma-Bari 1977, poi riproposto da Linea d'ombra, Milano 1994, e nuovamente ripubblicato da Laterza nel 2006.
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Margarete Buber-Neumann (1901-1989), intellettuale strenuamente impegnata per i diritti umani, e' stata una delle fondamentali testimoni della dignita' umana nel secolo dei totalitarismi; moglie del figlio del grande filosofo Martin Buber, poi compagna del dirigente comunista tedesco - che morira' vittima dello stalinismo - Heinz Neumann; partecipa alle vicende culturali e alla lotta politica in Germania; costretta all'esilio dal nazismo, emigra col marito in Urss. Nel 1937 viene internata in un campo di concentramento russo e nel 1940 consegnata alla Gestapo e deportata nel lager nazista di Ravensbrueck; sopravvissuta, scrivera' libri di memorie che lumeggiano potentemente cruciali decenni di storia europea e testimoniano di un intransigente impegno per la dignita' umana. Opere di Margarete Buber Neumann: Da Potsdam a Mosca, il Saggiatore, Milano 1966, poi Il Mulino, Bologna 2000; Prigioniera di Stalin e Hitler, Il Mulino, Bologna 1994, 2005; Milena. L'amica di Kafka, Adelphi, Milano 1986, 1999. Opere su Margarete Buber Neumann: cfr. per un'introduzione le pagine a lei dedicate in Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001.
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L'incontro era parte di un ciclo di incontri di studio in preparazione del 25 aprile, incontri nel corso dei quali si vengono leggendo e commentando alcuni testi classici dell'antifascismo e della cultura democratica: nei precedenti incontri sono stati letti testi di Rosa Luxemburg, Hannah Arendt, Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Giacomo Matteotti, Carlo e Nello Rosselli, i martiri della Rosa Bianca, Dietrich Bonhoeffer, Primo Levi, Nelson Mandela, Etty Hillesum, Germaine Tillion, lettere dei caduti della Resistenza e brani della Costituzione della Repubblica Italiana.
4. MATERIALI. ALCUNI TESTI DA "IN CAMMINO VERSO ASSISI" DEL MESE DI AGOSTO 2000
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio "In cammino verso Assisi" nel mese di agosto 2000.
5. DIMENSIONI DELLA NONVIOLENZA
[Estratto dal nostro lavoro "La nonviolenza contro la guerra" ripubblichiamo qui il seguente testo]
Dimensioni della nonviolenza: uno schema di analisi
0. Premessa
Molti equivoci sulla nonviolenza discendono dal fatto che con questo solo termine si intendono cose molto diverse; proveremo qui a proporre una tematizzazione sulle dimensioni della nonviolenza, ovvero sui vari aspetti che tale concetto implica.
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01. Una proposta di individuazione di quattro dimensioni della nonviolenza
La nonviolenza, secondo la nostra tematizzazione, e':
a) una opzione o posizione etico-politica;
b) un insieme di tecniche di lotta politica e sociale;
c) una strategia di azione trasformatrice;
d) un progetto di societa'.
Ovviamente a rigor di termini e' possibile parlare di nonviolenza anche in riferimento ad una sola di queste dimensioni, ma di fatto cio' puo' dar luogo ad equivoci profondi; vediamone alcuni.
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0.2. Due esempi di equivoci
Ad esempio e' possibile che le tecniche della nonviolenza siano usate da chi nonviolento non e': in questo caso le tecniche della nonviolenza possono essere utilizzate per scopi che nulla hanno a che vedere con la nonviolenza, e quindi chi le usa non puo' proclamarsi nonviolento solo perche' strumentalmente si avvale di tecniche particolarmente valorizzate dalla tradizione nonviolenta. Del resto, la nonviolenza non e' un sistema chiuso, e non ha ne' pretende il monopolio di tecniche di lotta che in gran parte ha scoperto riprendendole da precedenti e variegate esperienze: ad esempio, lo sciopero e' certamente una tecnica di lotta nonviolenta, ma ovviamente essa non e' esclusiva della nonviolenza. Segnaliamo en passant che e' comunque preferibile che anche movimenti sociali e soggetti politici non nonviolenti, utilizzino comunque, sia pur solo strumentalmente, le tecniche della nonviolenza anziche' forme di lotta violente: l'uso delle tecniche della nonviolenza comunque riduce la violenza ed umanizza il conflitto.
Un altro esempio: e' possibile che il progetto di societa' propugnato dalla nonviolenza sia condiviso da altre tradizioni di pensiero politico e sociale, in particolare dalle tradizioni che si richiamano al filone socialista e libertario nella tradizione del movimento dei lavoratori, o al filone comunistico delle tradizioni dei popoli oppressi che si richiamano a forme sociali ritenute originarie della loro cultura; ma la convergenza rispetto agli obiettivi finali ed al modello di societa' proposto non implica necessariamente identita' per quanto attiene alla strategia, alla tattica, alle forme organizzative, al programma operativo: molto spesso movimenti ordinati alla liberazione dell'umanita' hanno fatto uso di mezzi che contraddicevano flagrantemente quel fine, e fin troppo frequentemente essi hanno fatto un uso della violenza che di fatto li ha resi subalterni e talora omologhi ai poteri oppressivi contro cui lottavano in nome di un'umanita' di liberi ed eguali. Cosicche' e' evidente che la condivisione del medesimo progetto di societa' non e' sufficiente a qualificare come nonviolenta tout court un'organizzazione o un'iniziativa politica che ad esso miri.
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0.3. Ipotesi da discutere
Cercheremo adesso di caratterizzare ciascuna delle dimensioni della nonviolenza sopra indicate. Ovviamente la proposta di tematizzazione che formuliamo e' meramente orientativa, e le argomentazioni, specificazioni, articolazioni e referenze che rubrichiamo sotto l'una o l'altra delle dimensioni proposte possono agevolmente e proficuamente essere altrove trasferite. Al lettore chiediamo di tener conto del carattere proprio, ovvero della finalita' specifica di questo scritto: che e' di formulare alcune ipotesi da sottoporre a discussione.
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1. La nonviolenza come teoria-prassi etico-politica per la dignita' umana e la difesa della biosfera
1.1. coerenza tra mezzi e fini;
1.2. il principio responsabilita';
1.3. l'umanizzazione della lotta;
1.4. la compresenza dell'altro;
1.5. il rispetto per la vita;
1.6. per un'umanita' di eguali.
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2. La nonviolenza come metodologia di lotta e di gestione dei rapporti e dei conflitti
2.1. le tecniche della nonviolenza;
2.2. processi decisionali e modelli organizzativi;
2.3. comunicazione ed interazione;
2.4. l'azione diretta nonviolenta;
2.5. l'addestramento alla nonviolenza.
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3. La nonviolenza come strategia di trasformazione e di lotta contro l'ingiustizia
3.1. negare il consenso all'ingiustizia;
3.2. un approccio processuale (dinamico, trasformativo) e relazionale;
3.3. il programma costruttivo ed i fini sovraordinati;
3.4. la partecipazione di tutti e la condivisione;
3.5. realizzazione degli obiettivi ed inveramento dei principi nel corso stesso della lotta.
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4. La nonviolenza come progetto politico, economico, sociale
4.1. nonviolenza e politica, la politica della nonviolenza;
4.2. la proposta economica della nonviolenza;
4.3. il progetto di una societa' nonviolenta;
4.4. un'ipotesi antropologica.
6. CONTRO LA VIOLENZA
[Estratto dalla scheda su "Giuliano Pontara: le ragioni della nonviolenza" ripubblichiamo qui il seguente testo]
Elenchiamo alcune ragioni essenziali per cui occorre essere rigidamente contro la violenza. Citiamo da Giuliano Pontara, voce Nonviolenza, in AA.VV., Dizionario di politica, Tea, Torino 1992:
1. il primo argomento "mette in risalto il processo di escalation storica della violenza. Secondo questo argomento, l'uso della violenza (...) ha sempre portato a nuove e piu' vaste forme di violenza in una spirale che ha condotto alle due ultime guerre mondiali e che rischia oggi di finire nella distruzione dell'intero genere umano";
2. il secondo argomento "mette in risalto le tendenze disumanizzanti e brutalizzanti connesse con la violenza" per cui chi ne fa uso diventa progressivamente sempre piu' insensibile alle sofferenze ed al sacrificio di vite che provoca;
3. il terzo argomento "concerne il depauperamento del fine cui l'impiego di essa puo' condurre (...). I mezzi violenti corrompono il fine, anche quello piu' buono";
4. il quarto argomento "sottolinea come la violenza organizzata favorisca l'emergere e l'insediamento in posti sempre piu' importanti della societa', di individui e gruppi autoritari (...). L'impiego della violenza organizzata conduce prima o poi sempre al militarismo";
5. il quinto argomento "mette in evidenza il processo per cui le istituzioni necessariamente chiuse, gerarchiche, autoritarie, connesse con l'uso organizzato della violenza, tendono a diventare componenti stabili e integrali del movimento o della societa' che ricorre ad essa (...). "La scienza della guerra porta alla dittatura" (Gandhi)".
A questi argomenti ne vorremmo aggiungere altri due:
6. un argomento, per cosi' dire, di tipo epistemologico: siamo contro la violenza perche' siamo fallibili, possiamo sbagliarci nei nostri giudizi e nelle nostre decisioni, e quindi e' preferibile non esercitare violenza per imporre fini che potremmo successivamente scoprire essere sbagliati;
7. soprattutto siamo contro la violenza perche' il male fatto e' irreversibile (al riguardo Primo Levi ha scritto pagine indimenticabili soprattutto nel suo ultimo libro I sommersi e i salvati).
Agli argomenti contro la violenza Pontara aggiunge opportunamente un ultimo decisivo ragionamento: "I fautori della dottrina nonviolenta sono coscienti che ogni condanna della violenza come strumento di lotta politica rischia di diventare un esercizio di sterile moralismo se non e' accompagnata da una seria proposta di istituzioni e mezzi di lotta alternativi. Di qui la loro proposta dell'alternativa satyagraha o della lotta nonviolenta positiva, in base alla duplice tesi a) della sua praticabilita' anche a livello di massa e in situazioni conflittuali acute, e b) della sua efficacia come strumento di lotta" per la realizzazione di una societa' fondata sulla dignita' della persona, il benessere di tutti, la salvaguardia dell'ambiente.
7. ALCUNE PROPOSTE DI DEFINIZIONE DELLA NONVIOLENZA
[Estratti dal nostro lavoro "La nonviolenza contro la guerra" ripubblichiamo qui i seguente brani]
Rompere la complicita'
Alla base della nonviolenza vi e' la consapevolezza che il potere ingiusto ed oppressivo si regge anche sulla complicita' delle vittime e degli indifferenti: la nonviolenza e' in primo luogo un appello a rompere la complicita' con l'ingiustizia, a toglierle il consenso, ad uscire dalla passivita', a prendersi la propria responsabilita', a lottare per la verita' e la giustizia.
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La nonviolenza e' lotta
E' lotta contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro la menzogna. E' lotta perche' ogni essere umano sia riconosciuto nella sua dignita'; e' lotta contro ogni forma di sopraffazione; e' lotta di liberazione per l'uguaglianza di tutti nel rispetto e nella valorizzazione della diversita' di ognuno. E' la forma di lotta piu' profonda, quella che va piu' alla radice delle questioni che affronta. E' lotta contro il potere violento, cui si oppone nel modo piu' completo, rifiutando la sua violenza e rifiutando di riprodurre violenza. Afferma la coerenza tra i mezzi ed i fini, tra i metodi e gli obiettivi. Tra la lotta e il suo risultato c'e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e la pianta. Chi lotta per la liberazione di tutti, deve usare metodi coerenti. Chi lotta per l'uguaglianza deve usare metodi che tutti possano usare. Chi lotta per la verita' e la giustizia deve lottare nel rispetto della verita' e della giustizia. E' lotta contro il male, non contro le persone. E' lotta per difendere e liberare, per salvare e per convincere, e non per umiliare o annientare altre persone. E' lotta fatta da esseri umani che non dimenticano di essere tali. Che non si abbrutiscono, che non vogliono fare del male, bensi' contrastare il male. E' lotta per l'umanita'. La nonviolenza e' il contrario della vilta'. E' il rifiuto di subire l'ingiustizia; e' il rifiuto di ogni ingiustizia, sia di quella contro di me, sia di quelle contro altri. La nonviolenza e' lotta. E' lotta per la verita', e' lotta per la giustizia, e' lotta di liberazione e di solidarieta', e' lotta contro ogni oppressione.
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Otto brevi caratterizzazioni della nonviolenza
La nonviolenza e' forte: puo' opporsi efficacemente alla forza delle armi; puo' sfidare coerentemente i piu' grandi poteri del mondo.
La nonviolenza e' umile: non richiede attitudini eccezionali, pose monumentali, proclami retorici; non richiede ingenti risorse fisiche o finanziarie; richiede limpidezza di condotta ed assunzione di responsabilita'.
La nonviolenza e' concreta: interviene realmente nel conflitto; porta la pace e la giustizia nel suo stesso porsi; si oppone ugualmente alla vigliaccheria ed alla violenza; educa alla dignita' umana.
La nonviolenza e' coerente: e' l'unico modo coerente di lottare contro la violenza; e' l'unico modo coerente di affermare la dignita' di ogni essere umano; e' l'unico modo coerente per ridurre l'ingiustizia e il dolore nel mondo.
La nonviolenza e' il potere di tutti: poiche' tutti possono lottare con la nonviolenza, poiche' la nonviolenza fa appello a tutti, poiche' la nonviolenza rispetta la dignita' di tutti e di ciascuno.
La nonviolenza e' adesione alla verita', e' forza della verita': da Gandhi a Capitini gli amici della nonviolenza sanno che essa e' incompatibile con la menzogna, con i sotterfugi, con gli intrighi e le doppiezze: la nonviolenza e' l'amore per la verita' che irrompe nell'agire politico e sociale, e' il principio responsabilita' (il rispondere al volto dell'altro che muto e sofferente ti interroga - Levinas -, il farsi carico del mondo e dell'umanita' - Jonas -) che si rende operare autentico; e' la critica della ragion pratica che si fa movimento di solidarieta' e di liberazione.
La nonviolenza e' lotta come amore: lotta integrale contro l'ingiustizia e la menzogna, lotta integrale per la comunicazione e la dignita', lotta integrale contro la violenza; lotta integrale per i diritti umani, lotta integrale per un'umanita' di eguali, liberi e fraterni.
La nonviolenza e' utopia concreta, principio speranza, ortopedia del camminare eretti: abbiamo usato queste tre formule del filosofo Ernst Bloch per significare che la nonviolenza e' concreta azione e concreto progetto politico e sociale di dignita' umana e difesa della biosfera; che la nonviolenza e' inveramento della speranza in una lotta coerente e che nel suo stesso farsi e' liberante; che la nonviolenza e' affermazione ed istituzione del diritto e dei diritti, legalita' e democrazia in cammino.
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Necessita' dell'addestramento alla nonviolenza
La nonviolenza non e' ne' un atteggiamento spontaneo, ne' un banale "volersi bene"; bensi': a) una meditata scelta etico-politica di trasformazione delle relazioni personali e sociali, b) un insieme di tecniche di lotta rigorose ed assai elaborate, c) una strategia di lotta profondamente caratterizzata, d) un progetto di relazioni umane e politiche radicalmente alternativo a quelle dominanti. Quindi la nonviolenza non e' affatto "spontanea", va conosciuta e coltivata. Nessuno si sorprende se un soldato deve addestrarsi, nessuno si sorprende se un medico deve studiare: ebbene, la nonviolenza richiede un addestramento e uno studio non inferiori ma superiori a quelli richiesti al soldato ed al medico. Senza studio non e' possibile comprendere la nonviolenza; senza addestramento non e' possibile condurre l'azione nonviolenta. Proprio perche' la nonviolenza e' una proposta politica di lotta di liberazione che nel suo stesso farsi inveri la dignita' umana di ognuno e di tutti, essa richiede un impegno di conoscenza, di preparazione, di discussione, di consapevolezza e di capacita' critica e autocritica assolutamente superiore a quello richiesto in altre forme di organizzazione, in altri ambiti di studio, in altre proposte di azione.
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I diritti umani, presi sul serio
Scegliamo la nonviolenza perche' essa e' l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che si prefigge nel suo stesso svolgersi il rispetto dei diritti umani di tutti, non solo di coloro che partecipano all'azione, ma anche di coloro che la subiscono. La nonviolenza non rinvia la realizzazione dei diritti umani ad un futuro successivo alla conclusione della lotta, essa realizza i diritti umani nel corso stesso della lotta. La nonviolenza non nega umanita' agli avversari con cui lotta, essa riconosce l'umanita' degli avversari con cui lotta. La nonviolenza e' lotta intransigente per affermare la dignita' umana di tutti e per affermarla subito. Essa e' nei suoi metodi e nel suo svolgersi coerente con i suoi fini: poiche' il fine e' la dignita' umana e la liberazione dall'oppressione, la lotta nonviolenta nel suo stesso svolgimento deve realizzare la dignita' di tutti e prefigurare la liberazione di tutti. Per questo diciamo che la nonviolenza e' lotta come amore.
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La liberazione umana, subito
Inoltre scegliamo la nonviolenza perche' essa e' l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che realizza nel suo stesso farsi una forma autentica di democrazia diretta, rapporti egualitari e non gerarchici, che prefigura gia' nella sua organizzazione relazioni umane e sociali liberate e liberanti; perche' consente la partecipazione di tutti ed abolisce rapporti di potere e di oppressione. Per questo essa adotta il metodo del consenso, per questo essa non e' solo una forma di lotta ma anche una occasione di costruzione di rapporti umani solidali; per questo nella nonviolenza si richiede una piena limpidezza di comportamenti e una forte lealta' nei confronti di tutti, di sottoporre tutto alla discussione comune, e di scegliere sempre e solo gli obiettivi e le forme di lotta che tutti i partecipanti condividono.
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La nonviolenza e' gestione del conflitto
La nonviolenza e' gestione del conflitto, la cui esistenza essa riconosce e valorizza. La nonviolenza non e' una visioni idilliaca ed illusoria, quindi narcotizzante, dei rapporti sociali; ma la consapevolezza della conflittualita' degli ideali e degli interessi, delle situazioni esistenziali e delle relazioni sociali, dei rapporti economici e politici, degli assetti culturali e ideologici. Essa si propone di intervenire nel conflitto e di farlo umanizzando il conflitto, valorizzandone la dimensione morale e conoscitiva, gestendolo in modo da renderlo fecondo di rapporti umani piu' giusti, lottando incessantemente contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro l'inganno.
Si puo' essere nonviolenti solo nel conflitto, si puo' essere nonviolenti solo se si lotta per la giustizia. Gli indifferenti, coloro che chiudono gli occhi, chi se ne sta chiuso in casa sua, non e' nonviolento. La nonviolenza e' lotta integrale e intransigente contro l'ingiustizia. La nonviolenza e' il contrario della vilta', il contrario dell'egoismo, il contrario della passivita', il contrario del motto fascista "me ne frego". La nonviolenza e' quella specifica forma di gestione del conflitto che ripudia la violenza e si propone come fine precipuo di combatterla e di abolirla.
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La nonviolenza e' una scelta rigorosa
La nonviolenza e' la scelta intellettuale, morale e politica di compiere solo quelle azioni su cui si possa fondare una societa' giusta in cui sia riconosciuta la dignita' di ogni essere umano.
Questo implica il ripudio della menzogna: poiche' sulla menzogna, che e' scelta di confondere ed indurre gli altri all'errore, e' impossibile fondare una societa' giusta e degna.
Implica il ripudio della violenza: poiche' sulla violenza, che e' l'atto di negare dignita' e pienezza di umanita' a chi la subisce, e' impossibile fondare una societa' giusta e degna.
Implica il ripudio del privilegio: poiche' il privilegio, scaturiente dal fatto che ad altri qualcosa e' stato sottratto affinche' potesse darsi una gerarchia di poteri e condizioni, e' incompatibile col riconoscimento della comune fondamentale dignita' di ogni essere umano.
La nonviolenza e' quindi l'uscita dallo stato di irresponsabilita'.
E' l'uscita dalla solitudine, dal solipsismo, dall'egoismo: il riconoscimento che comune e' il dolore, e quindi occorre un impegno comune contro il dolore. Ed in primo luogo contro quel dolore che essendo prodotto dagli uomini e' compito degli uomini abolire: la violenza, l'oppressione dell'uomo sull'uomo.
E' rispondere al muto appello del volto dell'altro che ci si disvela nella sua radicale sofferenza e nella sua irriducibile alterita'.
E' sentirsi ognuno responsabile di tutto.
Pertanto la nonviolenza non e' quieto vivere o compiacenza: al contrario, la nonviolenza denuncia l'ingiustizia, suscita il conflitto, combatte senza requie la violenza e la menzogna, e' lotta intransigente e inesauribile.
Inoltre la nonviolenza non e' affatto masochismo, piacere di soffrire, gratificazione nell'essere vittima: al contrario, la nonviolenza e' il rifiuto di essere vittima. La nonviolenza e' lotta contro gli oppressori e contro la vilta'; e' lotta perche' le vittime cessino di essere tali. E' lotta come amore, e' volontà di felicita' condivisa.
La nonviolenza non e' una fede: essa non chiede giuramenti, non ha dogmi, non vuole ne' riti ne' vittime. Essa e' eminentemente ragione, comunicazione, umanita'; quindi apertura, critica, ricerca.
Riassumendo, la nonviolenza e' quella condotta che istituisce la civile convivenza: contrastando l'ingiustizia e non riproducendola; e' quella condotta che non nega valore all'umanita': riconoscendola, difendendola e promuovendola in ogni essere umano; e' quella condotta che non contraddice se stessa: affermando la coerenza tra mezzi e fini, la continuita' tra rigore logico e rigore morale, ripudiando e combattendo la violenza e la menzogna.
8. PER LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA
[Estratto dal nostro lavoro "La nonviolenza contro la guerra" ripubblichiamo qui il seguente testo]
Premessa: necessita' di una scelta, la nonviolenza
Crediamo che il movimento per la pace, se vuol essere non solo un soggetto sociale che si oppone alla guerra quando essa si scatena, ma anche un soggetto politico e culturale che costruisce la pace con azione politica coerente, concreta e incessante, debba necessariamente fare la scelta della nonviolenza, ovvero di aprire e ispirare la propria riflessione e la propria iniziativa alla teoria-prassi della nonviolenza, teoria-prassi che nella storia del dibattito morale e dell'azione politico-sociale del nostro secolo e' uno dei maggiori contributi all'impegno di liberazione umana, di affermazione della dignita' umana.
Crediamo che sia necessario che si esca dagli equivoci, dalle confusioni, dalle immagini stereotipate e caricaturali della nonviolenza; crediamo che sia necessario che il movimento per la pace cessi di essere subalterno anche in questo ambito. Che si disponga a conoscere la nonviolenza per quello che essa e', e la smetta di subire la definizione mistificata e farsesca che della nonviolenza danno i signori della guerra e coloro che, consapevolmente o meno, cercano di scimmiottarli.
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Parte prima: alcune ipotesi di definizione
Proponiamo qui, ancora una volta, alcune ipotesi di definizione affinche' di esse si possa discutere con rigore concettuale, morale e politico.
1. La nonviolenza non e' un'ideologia di ricambio
Intendiamo dire che la nonviolenza non e' una ideologia da sostituire ad altre ideologie. Al contrario: ciascuna delle persone che si sentono impegnate per la pace, la giustizia sociale, la dignita' umana, mantenga ed approfondisca le sue opinioni politiche, o filosofiche, o religiose, o morali. La nonviolenza, per dirla con Capitini, e' una "aggiunta", una proposta di approfondimento, di rigorizzazione intellettuale e morale, di rendere piu' coerente dal punto di vista logico e morale la propria riflessione e la propria azione. Si puo' essere liberali e nonviolenti, socialdemocratici e nonviolenti, comunisti e nonviolenti; razionalisti e nonviolenti, idealisti e nonviolenti, materialisti e nonviolenti; cristiani e nonviolenti, musulmani e nonviolenti, buddhisti e nonviolenti; atei e nonviolenti; utilitaristi e nonviolenti, contrattualisti e nonviolenti; e cosi' via: tutte le opzioni etiche, filosofiche, politiche e religiose, che siano sinceramente ed autenticamente ispirate alla dignita' umana e alla promozione dei diritti umani, sono pienamente compatibili con la teoria-prassi della nonviolenza. La nonviolenza non e' una proposta ideologica concorrenziale, bensi' una proposta teorico-pratica di analisi critica e di azione concreta che puo' sposarsi con varie tradizioni culturali e che rispetta e valorizza le diversita'. La nonviolenza non chiede abiure, ma approfondimento.
2. La nonviolenza e' uno sforzo di illimpidimento nel nostro ragionare
Intendiamo dire che la nonviolenza ci chiede non una fede, ma un impegno critico; la nonviolenza e' l'impegno ad essere rigorosi nel nostro ragionamento, a prefiggerci la coerenza logica ed operativa tra cio' che vogliamo e cio' che facciamo, tra cio' che pensiamo e cio' che diciamo, tra cio' che siamo e cio' che vorremmo essere. La nonviolenza e' un appello alla ragione. Ed in quanto appello alla ragione e' un appello al riconoscimento della nostra ragione che implica il riconoscimento della ragione altrui, e delle ragioni altrui. La scelta della nonviolenza e' la scelta di sottoporre ad un'analisi critica rigorosa le nostre opinioni, le nostre ragioni, le nostre scelte, le nostre azioni, la nostra situazione, le nostre relazioni con gli altri. Quando diciamo illimpidimento intendiamo dire che questo appello al rigore logico e' anche un appello al rigore morale: fare luce sui nostri ragionamenti, sui nostri fini e sui nostri mezzi, sulle nostre motivazioni e sulle nostre conclusioni, implica anche sottoporre il nostro sapere, il nostro giudizio e il nostro agire ad un esame rigoroso e non fazioso: e' un esercizio a metterci in discussione ed a sottoporci a un giudizio; e' un esercizio utile per accorgerci dei nostri errori, dei nostri limiti, della complessita' dei problemi, del groviglio delle motivazioni, della difficolta' di stabilire quale sia l'azione giusta. E per fare qualche esempio: e' logicamente sostenibile lottare contro la guerra senza lottare contro la violenza? E' logicamente sostenibile affermare la dignita' umana se non la si rispetta nel rapporto concreto con le persone che abbiamo intorno o di fronte? E' logicamente sostenibile lottare per l'uguaglianza ed usare o avallare metodi che implicano gerarchia, privilegi, oppressione? La nonviolenza ci convoca ad essere onesti con noi stessi. Ha scritto una volta Tolstoj una riflessione che suona all'incirca cosi': "Non credero' mai alla buona fede rivoluzionaria di chi si fa vuotare il vaso da notte da qualcun altro". La nonviolenza e' quella teoria-prassi che ci chiede di essere limpidi nei nostri ragionamenti.
3. La nonviolenza e' una proposta di instaurare la coerenza tra cio' che diciamo si debba fare e cio' che concretamente facciamo
Siamo credibili quando diciamo di contrapporci all'ingiustizia, se poi nel nostro agire riproduciamo ingiustizia? I nostri proclami di solidarieta', di uguaglianza, di liberazione, sono credibili se la nostra condotta stessa li smentisce? La nostra lotta per la pace, la democrazia, la giustizia, i diritti umani, la liberazione dei popoli e delle persone, la salvaguardia dell'ambiente, puo' essere efficace se non permea la nostra concreta azione nella vita quotidiana, se non informa la nostra azione politica anche ai livelli del dibattito, dell'organizzazione, del concreto immediato suo svolgersi? La nonviolenza ci invita a vivere come vorremmo vivere; ci invita ad agire come crediamo che sia giusto agire. Ci chiede di contrastare l'ingiustizia cominciando da noi stessi, rompendo la nostra complicita' con l'ingiustizia. Chiediamo anche agli altri di fare qualcosa contro l'ingiustizia e la violenza, ma solo dopo aver cominciato noi stessi.
4. La nonviolenza e' la scoperta dell'altro nel suo esserci e nel suo essere irriducibile a noi, nel suo essere e restare diverso, nel suo diritto di essere altro
Dovrebbe essere ormai chiaro per tutti che l'uguaglianza tra gli esseri umani si fonda sulla loro diversita', e che lottare per l'uguaglianza implica lottare per il rispetto delle diversita': si riconosce piena uguaglianza ad ogni essere umano solo quando si riconosce ad ogni essere umano la sua unicita', la sua irriducibile diversita' da ogni altro. Questo implica assumere i diritti umani come base di ogni azione per la giustizia sociale; questo implica la consapevolezza che per promuovere l'uguaglianza occorre offrire ad ognuno cio' di cui lui, proprio lui, ha bisogno. La convivenza e la solidarieta' si fondano reciprocamente: i diritti e l'uguaglianza non esistono in astratto, esistono nella concreta azione solidale che rispetta ed aiuta, che riconosce e sostiene; vi e' una dialettica tra uguaglianza e diversita', se uno dei due termini e' negato anche l'altro si impoverisce e si trasforma nella caricatura di se stesso (o peggio ancora, diventa occasione di rinnovata oppressione).
5. La nonviolenza e' la scelta di praticare qui e adesso cio' per cui diciamo di batterci, di prefigurare qui e adesso il modello di relazioni sociali e di societa' che riteniamo meriti di essere costruito
Chi si sente impegnato per la pace, la democrazia, la giustizia sociale, la dignita' umana, la difesa della biosfera, deve agire in modo da realizzare questi valori nella sua stessa azione. Deve quindi rinunciare, per una necessita' di carattere logico, ovvero per una esigenza di rigore intellettuale (e quindi altresi' morale, e quindi politico), ad usare la violenza (incompatibile con la scelta della pace), ad agire in modo autoritario o subdolo (incompatibile con la democrazia), a perseguire privilegi (incompatibili con la giustizia sociale), ad opprimere, sfruttare o umiliare altri (incompatibilita' con il rispetto della dignita' di ogni essere umano), a danneggiare, contaminare, distruggere l'ambiente, ed a sottrarre, sperperare, esaurire risorse (incompatibilita' con la difesa della biosfera e con i diritti delle generazioni future).
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Parte seconda: quattro principi caratterizzanti della nonviolenza
In sintesi, caratterizzeremmo la scelta teorico-pratica della nonviolenza secondo i seguenti quattro principi.
1. Il principio della ragione
La nonviolenza e' la scelta, nel nostro agire politico e sociale, della ragione come criterio fondativo del nostro giudicare e del nostro operare; scegliere la ragione implica anche riconoscere la ragione degli altri, e quindi la democrazia come metodo deliberativo, il rispetto e la promozione dei diritti umani come fondamento della civile convivenza.
2. Il principio della lotta
La nonviolenza e' la scelta, nel nostro agire politico e sociale, della lotta come dovere morale di rottura della complicita' con la menzogna e l'ingiustizia; scegliere la lotta significa assumere un ruolo attivo e responsabile, passare dalla mera scelta intellettuale all'azione pratica, quindi dal piano conoscitivo al piano morale e politico.
3. Il principio della responsabilita'
La nonviolenza e' la scelta, nel nostro agire politico e sociale, della responsabilita', nel duplice senso: di rispondere all'appello dell'altro, senza pretendere di assimilarlo o annullarlo; di essere responsabili nei confronti degli altri e del mondo. Ha scritto don Milani nella sua indimenticabile Lettera ai giudici: "Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi. E cosi' siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrera' 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei rispondera' solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perche' pazzo. Dunque quel delitto non e' mai avvenuto perche' non ha autore. C'e' un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non e' ormai piu' una virtu', ma la piu' subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo ne' davanti agli uomini ne' davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto".
4. Il principio della comunicazione
La nonviolenza e' la scelta, nel nostro agire politico e sociale, della comunicazione come riconoscimento della comune umanita' anche con le persone con cui siamo in contrasto. La lotta nonviolenta si fonda sulla comunicazione, la comunicazione e' riconoscimento di umanita', appello all'umanita', prova di umanita'. La nonviolenza e' quindi lotta come amore; la nonviolenza e' primato della comunicazione, costruzione di ponti anche nel cuore del conflitto; in quanto lotta contro l'ingiustizia, nel suo stesso lottare la nonviolenza costruisce giustizia. Senza comunicazione non e' possibile lotta nonviolenta.
Parte terza: motivi tattici, strategici, teorici ed esistenziali della scelta della nonviolenza
La lotta nonviolenta umanizza il conflitto; la lotta nonviolenta riduce ipso facto la violenza (rispetto ad altre forme di lotta contro l'oppressione essa non raddoppia la violenza, ma se non altro la dimezza); la lotta nonviolenta e' appello alla ragione; e' esempio educativo; essa mobilita tutti, puo' essere praticata da tutti, e' "il potere di tutti"; la lotta nonviolenta e' limpida e coerente nei suoi fini e nei suoi mezzi; la lotta nonviolenta non abbrutisce chi la pratica; la lotta nonviolenta comunque riduce le sofferenze e migliora il mondo; la lotta nonviolenta e' un'alternativa necessaria.
9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
10. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1251 del 21 aprile 2013
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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