Archivi. 143
- Subject: Archivi. 143
- From: "nbawac at tin.it" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 20 Mar 2013 10:34:44 +0100 (CET)
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)
Numero 143 del 20 marzo 2013
In questo numero:
1. Alcuni testi del mese di agosto 2005 (parte seconda e conclusiva)
2. Un anno e mezzo dopo
3. Qualche delitto di lesa maesta'
4. Minima una postilla su femminismo e nonviolenza
5. La poesia onesta
6. Cominciamo dal Brasile
7. Daemmerung
8. I compiti dell'umanita' nell'eta' atomica
9. Gli ossimori di Strambotto
10. Una persona, un voto
11. En arche'
12. Disarmare vuol dire salvare vite umane
13. Per l'abolizione dei cosiddetti "Centri di permanenza temporanea"
14. Societa'
15. Una postilla
1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI AGOSTO 2005 (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di agosto 2005.
2. UN ANNO E MEZZO DOPO
La riproposizione su questo foglio dell'intervento di Marco Revelli - uno dei non molti intellettuali che alla nonviolenza ha saputo accostarsi con scienza e coscienza - nel dibattito sviluppatosi all'inizio del 2004 sulla nonviolenza in alcune aree della sinistra che oggi va di moda definire "radicale" (forse cercando cosi' di occultare ed invece vieppiu' esibendo una fondamentale incertezza sulla propria storia e sulle proprie scelte, vissute come un "passato che non passa" - et pour cause, come si dice), offre l'occasione per dire due parole che allora non dicemmo. E non le dicemmo perche' per quasi l'intero anno 2004 decidemmo di tacere - condizionati anche da ben materialistiche circostanze personali, di quelle che richiamano alla consapevolezza di quanto sia fragile il tessuto di cui consiste quel sacco che interamente ci contiene e che chiamiamo il nostro corpo, e quanto esposti alla sofferenza, alla malattia e ad altre simili piacevolezze si sia - rispetto a uno spazio politico e a un dibattito pubblico che pure molto ci appassionava, e ci tribolava ancor piu'.
Per un verso ci pareva apprezzabile che finalmente non pochi militanti che venivano da una storia e una cultura per molti versi non lontane (ma per altri sideralmente invece) da quelle di chi scrive queste righe si schiudevano a cogliere una fondamentale verita': la necessita' della scelta della nonviolenza se si vuole ancora agire per la liberazione dell'umanita' ovvero per rivendicare e difendere la dignita' umana di ogni essere umano, o detto altrimenti: se si vuole tentare di fermare la catastrofe in corso. Per un altro verso ci pareva scandaloso che quel dibattito sulla nonviolenza in svolgesse in gran parte tra persone che parlavano di nonviolenza senza minimamente sapere quel che si dicevano, riproponendo anche sovente tutti gli stereotipi piu' stolti che l'ignoranza e la protervia fascista contro la nonviolenza ha costantemente rovesciato; ma certo anche questo era rivelatore: del fatto che in quell'area per molti i conti col totalitarismo e con la propria violenza e menzogna ancora non erano stati fatti, ne' si intendeva farli, ne' a quanto pare si intende farli piu'. Con prevedibili risultati.
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Dicevamo del nostro silenzio: ci pareva che mentre infuriava la guerra e l'Italia vi si trovava oscenamente e orribilmente coinvolta, il cosiddetto movimento per la pace era preda di una coazione a ripetere, a ripetere la propria subalternita' alla guerra, a eludere l'esigenza di una scelta, la scelta della nonviolenza come opposizione concreta alla guerra, passando all'azione diretta nonviolenta nelle forme nitide e intransigenti, effettuali ed efficaci, limpide e coraggiose, che Mohandas Gandhi e Martin Luther King avevano saputo indicare. Invece in quel movimento si e' continuato con le ambiguita', le futilita', le banalita', la confusione, gli spettacolini tutti interni alla societa' dello spettacolo e pertanto immediatamente recuperati dall'egemonia del sistema di potere, e qualche ennesimo episodio per cosi' dire non propriamente edificante che e' difficile dimenticare e giustificare impossibile. Cosa non si fa per strappare mezzo minuto in tivu', continuare a intascare qualche finanziamento o prebenda o incarico a spese del pubblico erario, trotterellare in carriere che porteranno forse assisi allo scranno di un ministero, ma non al rispetto di se'.
Cosi' anche quel dibattito, che poteva essere occasione di accostamento, e di chiarificazione, ci parve invece in ampia misura risolversi in una mistificazione ulteriore; e sebbene produsse almeno un utile convegno e un ancor piu' utile libro degli atti di esso, e tenne aperta se non una prospettiva, almeno un riferimento lessicale, e marco' per alcuni almeno la fine di un tabu' (quello ben staliniano per cui il solo pronunciare la parola nonviolenza e' delitto di leso forcipe della storia, ed implicava l'iscrizione d'ufficio nella rubrica dei nemici di classe o nella migliore delle ipotesi in quella degli utili idioti), per il resto fini' in giochi di corrente, interessi di bottega e prestidigitazione da sottoscala, coi soliti oratori che cambiano giacchetta ad ogni mutar di uditorio. Peccato.
E dispiacere ancor piu' grande e' che ancor oggi cola' si continui da molti, da troppi a vaneggiare di una nonviolenza ridotta al suo opposto, imbroglio verbale e squallida arlecchinata.
Ed invece, una volta di piu' diciamolo: la nonviolenza e' lotta, la piu' nitida e la piu' intransigente contro ogni oppressione, e' pratica di liberazione concreta e cogente, materialisticamente effettuale; la nonviolenza e' nonmenzogna, riconoscimento di umanita' nel riconoscere, nell'agire e fin nel suscitare il conflitto necessario; la nonviolenza e' inveramento di umanita', coscienza che la verita' e' incarnata nelle persone, che il mondo merita la nostra cura, che il pane va condiviso ed una e la stessa e' la lotta di tutte e tutti affinche' a tutti e tutte sia riconosciuta liberta', dignita', responsabilita'; la nonviolenza e' quel sentire ed agire - pratico e teoretico a un tempo - per la liberazione dell'umanita' che umanita' libera e invera gia' nel suo farsi, e che della qualita' umana - dispiegata in autonomia e relazionalita' - di tutti gli esseri umani e' sollecita e certa, e nel suo lottare nulla, nulla, nulla vuol riprodurre della violenza del potere che opprime, e sa che i mezzi - come ebbe a dire una volta il buon Marcuse - pregiudicano i fini. Ma fermati qui vecchio Giobbe, e riprendi fiato. Gia'.
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Un anno e mezzo dopo, lo abbiamo pur voluto scrivere una buona volta.
Ed anche oggi abbiamo dato sfogo alla nostra ben nota dispepsia, ed abbiam fatto della prosa ancora, caro signor Jourdain.
3. QUALCHE DELITTO DI LESA MAESTA'
Che anche in alcune insigni personalita' della nonviolenza vi siano tratti autoritari, aspetti equivoci e fin nevrotici, e' cosa di cui non ho mai dubitato. Ma non e' li' la nonviolenza.
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Cosi' come anche Omero talvolta sonnecchia, anche Gandhi talvolta le spara grosse. E' immenso suo merito aver concepito i suoi pensieri e il suo agire come contestuali, sperimentali, evolutivi ed aperti, con una capacita' di autocritica e di autocorrezione che infinitamente mi commuove. Chi abbracciasse la nonviolenza con atteggiamento totalitario, non ha abbracciato la nonviolenza.
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Ogni volta che sento fare l'elogio di cio' che e' al di la' della ragione umana, ohibo', un brivido mi percorre la schiena.
Ogni volta che sento enunciare un'idea in forma di dogma, ahime', sento che i ceppi e i roghi non sono lontani.
Ogni volta che sento evocare i supremi interessi di qualcosa che va al di la' della concreta esistenza corporale delle persone e della dignita' che in ogni singolo essere umano e' incarnata, sento tornare il passo dell'oca.
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L'unica fondazione ragionevole della nonviolenza mi pare esser quella che muove dal riconoscimento dell'umanita' cosi' com'e'.
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Poiche' la violenza e la menzogna denegano l'umana dignita', devastano il mondo e impediscono la convivenza, la scelta della nonviolenza - che e' l'opposizione piu' nitida e piu' intransigente alla violenza e alla menzogna - e' necessaria.
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Chiesero una volta a un mio compaeano cosa mai fosse questa nonviolenza.
Essa e' tre cose, rispondeva quello: in primo luogo e' lotta, poi e' ancora lotta, e infine e' lotta ancora. E' lotta contro la violenza e la menzogna, e' lotta contro l'ignoranza e la vilta', e' lotta contro cio' che offusca e che corrompe. E' lotta per recare aiuto all'oppresso, e' lotta per invigilare se stessi, e' lotta per sciogliere e incontrare. E' lotta per il futuro, e quindi e' lotta per il presente, e dunque e' lotta per il passato. E' l'internazionale futura umanita' riconosciuta nei compiti dell'ora.
4. MINIMA UNA POSTILLA SU FEMMINISMO E NONVIOLENZA
Breve una considerazione su un tema che forse piu' di ogni altro mi sta a cuore: dal mio punto di vista l'esperienza del movimento e del pensiero delle donne (il femminismo, o i femminismi, per usare questa formula forse riduttiva ma utile comunque ad intenderci) e' l'esperienza decisiva della nonviolenza in cammino.
Personalmente infatti ritengo che la nonviolenza abbia fatto le sue prove maggiori nelle esperienze storiche del movimento operaio (con discontinuita' e contraddizioni talora molto forti, so bene), ed in quello delle donne (qui con una continuita' e chiarezza che trovo cruciali), ancor piu' che in alcune longeve tradizioni religiose e filsoofiche o nella nuova peraltro assai variegata sensibilita' ecologica.
Non si tratta di annettere il femminismo alla nonviolenza, ma precisamente il contrario: riconoscere che nel femminismo la nonviolenza ha trovato il suo principale luogo di elaborazione e verifica, di pratica critica e critica pratica, di messa al mondo e messa in valore.
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Non vorrei infatti che si pensasse che la nonviolenza fosse un corpus espresso o sancito da alcuni autori, certo ammirevoli, che ne detengano pertanto una sorta di diritto alla "interpretazione autentica" per il mero fatto che piu' di altri l'hanno saputa riconoscere, nominare e tematizzare, mentre altre ed altri ne hanno fatto esperienza senza pero' darne una concettualizzazione e una lessicizzazione specifica.
Ammiro sinceramente quelle personalita' che hanno saputo chiarire e dichiarare, tematizzare, sperimentare e testimoniare la nonviolenza nella sua peculiarita', ma cio' non toglie che con le posizioni, le scelte e il linguaggio loro io ad esempio mi trovi non di rado in dissenso, e su punti non marginali (nella mia biografia, nella mia cassetta degli attrezzi, nella mia weltanschauung - e quindi anche nel mio essere, essere divenuto, una persona amica della nonviolenza - Leopardi, Marx e Hannah Arendt sono di gran lunga piu' rilevanti di Gandhi, che pure con tutto il cuore onoro).
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La nonviolenza, io credo, e' un campo di esperienze e riflessioni di straordinaria ampiezza e in straordinario sviluppo, ed ogni esperienza ed ogni persona che ad essa si accosta in sincerita' e serieta' ad essa altresi' apporta ipso facto contributi originali: cosicche' ogni tematizzazione di essa resta quindi sempre solo uno dei punti di vista possibili, tutti provvisori ed aperti allo svolgimento, alla critica, alla verifica e alla falsificazione. Non vi e', fortunatamente, un canone.
E mi sembra, ad esempio, che la ricca, articolata e preziosa elaborazione di Giuliano Pontara lungo i suoi molti chiarificatori lavori confermi l'opportunita' di un approccio consapevole della necessaria, felice pluralita'.
Per quanto personalmente mi concerne, ad esempio, della nonviolenza condivido e propongo una nozione complessa e contestuale, di "insieme di insiemi", dialetticamente legata alle condizioni del suo concreto farsi e riflettersi nel vivo della lotta contro la violenza e la menzogna; tematizzazione che so bene essere per piu' versi assai diversa rispetto a quelle, che tutte ritengo preziose e nutrienti, proposte da molte altre e molti altri testimoni, militanti, studiose e studiosi.
5. LA POESIA ONESTA
E' quello che resta da fare ai poeti, scrisse una volta Saba, che sapeva tutto e sapeva dirlo nella lingua di tutti. E che resta da fare ai giornalisti? resta da fare, dunque direi, l'informazione onesta.
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Mi diceva il cuoco che da' l'ultimo ritocco a quanto esce da questa cucina che quasi non capita giorno che non debba rinunciare a far arrivare alle mense testi anche notevoli, ma insozzati dal turpiloquio, infestati dalla propaganda, farciti di menzogne propalate sia in buona che in cattiva fede, drogati dalle esagerazioni, dal pregiudizio, dagli insulti, dalle sciocchezze, dal corrosivo veleno del disprezzo. Quando si tratta di minuzie tacitamente corregge o cassa e porta in tavola il resto poiche' anche questo fa parte dell'umile suo mestiere. Ma non di rado togliere o attenuare quelle espressioni toglie al testo alcunche' di sostanziale, e delle due l'una: o si pubblica con quel linguaggio o niente. Rumina, mastica amaro, e decide, dunque, niente. Anche perche' quel linguaggio veicola un'ideologia, e non senza motivo lo si dice linguaggio da caserma.
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Mi ha sempre colpito che anche persone egregie, finanche amiche della nonviolenza, quasi non riescano a esprimere un giudizio se non offendono qualcuno. Ho sempre pensato che questa incapacita' denoti una fondamentale incertezza, un'incrinatura, un tormento e uno scacco.
E mi ha sempre indignato che persone egregie, finanche amiche della nonviolenza, non esitino talora a dire e scrivere menzogne palesi, ad assumere atteggiamenti irresponsabili e fin ignobili, pensando che qualche piccolo cedimento o piaggeria al sentire dell'orda possa pur concedersi: e non sanno che da quel pertugio il male dilaga e travolge dapprima i piu' deboli, i piu' confusi, e infine tutti.
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E non parlo della gran parte della sinistra che si proclama pacifista, di quella sedicente radicale, di quella che si timbra antagonista: qui il vizio totalitario e' talmente palese che sorprende piuttosto la cecita' di molti nostri compagni di cammino a fronte di certe esibizioni di maschilismo, autoritarismo, militarismo e peggio da cui nulla di buono nessuno puo' attendersi.
Predico queste cose, avendo grato per pulpito questa panchina dei giardinetti, da una trentina d'anni: forse sara' anche perche' sono un povero vecchierel canuto e stanco, ma proprio per questo non posso ammettere che si dimentichi da quale passato proveniamo tutti.
Quando squadristi degli anni settanta, poi divenuti artisti ammirevoli e ammirati, vengono portati sugli scudi (sugli scudi, infatti) come fulgido esempio di parola vera e maestri di verita', io ricordo le persone cui le lore truppe la testa ruppero, ed altre vittime ancora.
Quando si chiude un occhio, e l'altro pure, sulle responsabilita' di chi a suo tempo incitava all'omicidio come una delle belle arti, trovando (poiche' ogni Ivan Karamazov trova il suo Smerdjakov) uditori e discepoli di lui piu' rozzi e belluini i quali sedotti dall'eloquio fiorito, e ritenendo che il miglior modo di dire fosse fare, quei deliri trasferirono dal mondo delle parole al mondo degli eventi, io non posso non pensare alle persone che non potranno parlare mai piu' poiche' il colpo del sicario le ha dirotte per sempre dalla luce del giorno e la vita che a tutti e' dolce per sempre ha loro strappato.
Quando si pretende di spacciare per nostri compagni di lotta i giovin signori che han costruito le carriere loro tra proclami insensati, protervo mentire, provocazione di pestaggi e mutilazioni, e incedere finanche sui cadaveri - e insieme alla violazione delle piu' elementari regole del civile convivere dediti altresi' all'accaparramento di pubblici denari e favori in forme tanto sordide quanto esemplari, mi chiedo qual concetto si abbia delle nostre facolta' mentali, per non dire del nostro morale sentire.
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Dovremmo fare i conti con tutto cio'.
Poiche' soltanto se sapremo assumere posizioni politiche e morali limpide, rigorose, coerenti potremo riuscire a contrastare la violenza dispiegata da un sistema di potere dominante che ha fatto della guerra, del terrorismo, della devastazione della biosfera e della violazione della dignita' umana e finanche del diritto alla vita dei quattro quinti dell'umanita' la sua oscena cifra, macabro il suo sigillo.
Un'azione per la pace, la giustizia, i diritti umani, la difesa della biosfera, ha come ineludibile premessa, come "conditio sine qua non", la scelta della nonviolenza e della nonmenzogna.
E la scelta della nonviolenza e della nonmenzogna implica anche il dovere di fare i conti con le ambiguita', le contraddizioni, le insufficienze nostre, ed a maggior ragione una critica serrata e una lotta senza ipocrisie, senza coni d'ombra, contro gli errori e gli orrori del passato e del presente commessi anche dai movimenti di opposizione, di contestazione, di alternativa. Implica la ricostruzione storiografica, l'analisi concettuale, il ripudio morale e il contrasto politico rispetto alla violenza nei e dei movimenti.
Sono cose su cui ha scritto parole di verita' Anna Bravo in un suo saggio di qualche mese fa che esortava a promuovere una ricerca e una riflessione finalmente non reticenti sulla violenza nei e dei movimenti degli anni settanta (diciamo: nel periodo che va grosso modo dalla strage di piazza Fontana alla strage della stazione di Bologna).
Sara' un caso che quella discussione sembra essere stata chiusa prima ancora di aprirla?
Sara' un caso che gran parte degli interventi abbiano sorvolato sulla questione decisiva che li' si poneva?
Sara' un caso che su una seria proposta di ricerca e di riflessione di una storica di indiscutibile autorevolezza scientifica e morale si siano rovesciate cataste di insulti o sdegnosi, sprezzanti e fin irridenti silenzi da parte di molti che se dovessero fare i conti con le loro stesse parole e gesta d'antan ne avrebbero di cose di cui lavarsi la coscienza?
Sara' un caso che su questa necessaria - e fin terapeutica e profilattica - proposta di ricerca e di riflessione una ben coalizzata "Santa alleanza" (che aggruma le forze della reazione, quelle del riformismo immobile, come quelle dell'eversione funzionale a che nulla cambi, i clericali di tutti i culti sacrificali e i cicisbei di tutti i salotti frivoli e giulivi e gli eterni inerpicanti postulatori a stanze dei bottoni sempre piu' interne, astratte, disumanate) sia riuscita ad imporre la censura piu' ferrea, la rimozione piu' illune? Santi numi, me ne sono accorto solo io? Sogno o son desto?
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Resta la necessita' di fare i conti con un passato che ancora non passa, e di prendere una buona volta una posizione chiara sulla violenza come forma della lotta politica, una posizione che dica quella semplice cosa che va assolutamente, necessariamente, urgentemente detta, pena il condannarsi alla coazione a ripetere errori ed orrori, e non in forma di farsa ma in nuova cupa tragedia. E la cosa che va assolutamente, necessariamente, urgentemente detta a me pare che sia la seguente: che solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita', che il ripudio della violenza e' l'atto politico fondamentale e fondativo che la distretta attuale esige, che la scelta della nonviolenza e' condizione necessaria, se non sufficiente, perche' un'azione collettiva, uno spazio pubblico, una politica e finanche non piu' che una mera convivenza ancora si dia.
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Mi pare che questa sia la lezione grande dell'unico movimento collettivo che ha saputo restar coerente all'impegno di liberare le persone anziche' cancellarle, di inverare l'umana dignita' di tutti gli esseri umani, di opporsi sempre all'oppressione e alla menzogna: il movimento delle donne, che e' - come su questo foglio si scrive sovente - la decisiva esperienza storica e per cosi' dire la corrente calda della nonviolenza in cammino.
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Fare un notiziario che su questo rifletta ed inviti a riflettere, con chiarezza di dettato, pluralita' di voci, ricerca comune ed impegno all'ascolto della parola altrui, mi pare che sia buona cosa. Ma occorre anche che esso sia tale che sappia ad un tempo ascoltare e farsi ascoltare, che trovi e si faccia trovare dalle tante e dai tanti che in questo cammino si sentono gia', e che forse sono ancora alla ricerca di un luogo in cui parlarsi e ascoltarsi, ragionare insieme per insieme agire.
Manca nel panorama editoriale italiano - cosi' gremito di giornali che ripetono il sempiterno canto del pensiero unico e della propaganda che attossica e uccide - un quotidiano per la nonviolenza. E' necessario, direi; e' anche possibile? E in qualche modo e misura questo foglio riesce a prefigurarne gia' alcuni tratti, a suscitare un'attesa, a convocare a un incontro?
Me lo chiedo, e lo chiedo alle signorie loro, delle quali, senza tema di smentita, mi proclamo e sono servo umilissimo.
6. COMINCIAMO DAL BRASILE
Per dirsela chiara: non potremo mai impedire i crimini e le guerre se non cominciamo a impedire l'uso, e quindi la detenzione, il commercio e la fabbricazione delle armi.
E' ora di cominciare. In Brasile si sta cominciando: il referendum per proibire il commercio delle armi da fuoco che si svolgera' tra poche settimane ci riguarda, riguarda l'umanita' intera. Poiche' e' un passo decisivo verso il disarmo, e senza disarmo molte persone moriranno ancora di morte violenta.
Per quanto e' in nostro potere aiutiamo i nostri compagni di lotta brasiliani a far riflettere tutte e tutti sul fatto che le armi sono sempre nemiche dell'umanita', costituiscono "in re ipsa" una minaccia alla nostra vita, e poiche' siamo noi umani a fabbricarle, siamo noi umani che possiamo abolirle.
Adesso.
7. DAEMMERUNG
La guerra terroristica in corso con le sue terroristiche ricadute su scala planetaria, l'aids che sta decimando un continente, il flagello della fame e della distruzione della biosfera, l'Europa che da un decennio ha riaperto i campi di concentramento, la superpotenza americana nelle mani del dottor Stranamore, un'orda di razzisti, neofascisti e giulivi conviventi con la mafia al governo, e questi stanno a fare le primarie.
8. I COMPITI DELL'UMANITA' NELL'ETA' ATOMICA
[Il seguente articolo e' apparso nel fascicolo di dicembre 2002 del mensile dell'Associazione italiana amici di Raoul Follereau (Aifo) "Amici dei lebbrosi", ed e' stato gia' ripubblicato anche su questo foglio nel n. 453 del dicembre 2002, ma ci e' parso opportuno riproporlo ancora]
Quando ci viene posta la domanda se il pericolo atomico esista ancora, la nostra risposta e': esso non abbandonera' mai piu' l'umanita'. Occorre sapere che da quell'agosto 1945 fino alla fine della civilta' umana questa minaccia sempre incombera' su tutti noi esseri umani presenti e venturi, e sempre e sempre dovremo lottare contro di essa.
*
Lo colse e lo seppe dire in modo ineguagliabile Guenther Anders, il grandissimo filosofo che dedico' l'intera sua vita a lottare contro gli orrori di Auschwitz e di Hiroshima affinche' non potessero ripetersi mai piu'.
Ha scritto, tra altri indimenticabili testi, una breve riflessione dal titolo Tesi sull'eta' atomica, la cui lettura a noi pare imprescindibile (per i lettori italiani la traduzione perfetta di Renato Solmi e' disponibile nella rete telematica, e comunque puo' essere richiesta in formato elettronico al Centro di ricerca per la pace di Viterbo, e-mail: nbawac at tin.it) [lo abbiamo riproposto piu' volte integralmente su questo foglio, da ultimo nel n. 1013 - ndr -].
Scrive Anders:
"Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e' cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel giorno siamo onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni momento, cio' significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti. Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e' l'ultima: poiche' la sua differenza specifica, la possibilita' dell'autodistruzione del genere umano, non puo' aver fine - che con la fine stessa.
Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come "dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato il problema morale fondamentale: alla domanda 'Come dobbiamo vivere?' si e' sostituita quella: "Vivremo ancora?' Alla domanda del "come" c'e' - per noi che viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo che l'eta' finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei tempi, non abbia mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo". Poiche' crediamo alla possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci apocalittici; ma poiche' lottiamo contro l'apocalissi da noi stessi creata, siamo (e' un tipo che non c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi".
Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.
Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi atomici, ma la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di tutti gli uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici dovrebbero allearsi contro la minaccia comune. Organizzazioni e manifestazioni pacifiche da cui sono esclusi proprio quelli con cui si tratta di creare la pace, si risolvono in ipocrisia, presunzione compiaciuta e spreco di tempo".
Cosi' l'incipit di questo fondamentale saggio, ma tutto il testo e' da leggere e meditare.
*
Ma anche un altro grande uomo di pace, Ernesto Balducci, seppe cogliere ed enunciare le novita' tremende e ineludibili dell'eta' atomica: in un discorso che tenne nel 1981, e che poi riprese come introduzione in quel magnifico suo manuale scolastico che e' La pace. Realismo di un'utopia, Balducci ci parlava delle "tre verita' di Hiroshima", e scriveva:
"Le condizioni di fatto sono radicalmente mutate. L'umanita' e' entrata in un tempo nuovo nel momento stesso in cui si e' trovata di fronte al dilemma: o mutare il modo di pensare o morire. Essa vive ormai sulla soglia di una mutazione, nel senso forte che ha il termine in antropologia.
Non serve obiettare, contro il dilemma, che la mutazione non e' avvenuta e noi siamo vivi! Non e' forse vero che l'abisso si e' spaventosamente allargato dinanzi a noi? D'altronde le mutazioni non avvengono con ritmi serrati e uniformi. In ogni caso si puo' gia' dire, con fondatezza, che si sono andate generalizzando alcune certezze in cui e' facile scoprire il riflesso del messaggio di Hiroshima e dunque un qualche inizio della mutazione.
La prima verita' contenuta in quel messaggio e' che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita' intuitiva, di natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si e' dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione più recente e piu' organica e' quella del Rapporto Brandt. L'unita' del genere umano e' ormai una verita' economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e' il Sud a dipendere dal Nord ma e' il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia dello spreco e' resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud e' sottoposto e poi, piu' specificamente, perche' esiste un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi l'aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto, nel solo anno 1979. E piu' comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non e' un prodotto fatale dell'avarizia della natura o dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti nell'industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe' 10 volte di piu' del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non hanno piu' la coscienza tranquilla.
La seconda verita' di Hiroshima e' che ormai l'imperativo morale della pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e' arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressivita' distruttiva. Fino ad oggi e' stato un punto fermo che la sfera della morale e quella dell'istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura e' un sintomo non ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualita'.
La terza verita' di Hiroshima e' che la guerra e' uscita per sempre dalla sfera della razionalita'. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioe' come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio di Benedetto Croce - l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento" fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell'accadimento.
Queste tre verita' non trovano il loro giusto contesto nella cultura e nella pratica politica ancora dominanti. Il pacifismo che esse prefigurano e' anch'esso di tipo nuovo, non in continuita' con quello tradizionale".
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E con chiarezza cristallina nella sua lettera ai giudici del 1965, il priore di Barbiana, don Lorenzo Milani, seppe descrivere la situazione presente: "A piu' riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che e' in gioco la sopravvivenza della specie umana. (Per esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la pace). E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie umana?".
La riflessione morale odierna non puo' piu' eludere i temi che la tecnologia atomica, le armi di sterminio di massa, la contaminazione dell'ambiente pongono alla coscienza umana; si veda ad esempio il fondamentale libro di Hans Jonas, Il principio responsabilita'.
Le armi atomiche, come tutte le armi di distruzione di massa, sono nemiche dell'umanita'. Tutte le armi, in quanto intese a ferire ed uccidere esseri umani, sono nemiche dell'umanita'.
Cosicche' un impegno a tutti e' richiesto oggi, se l'umanita' intera, oltre che l'umanita' che e' in noi stessi individualmente considerati, ci sta a cuore: opporci alle armi: al loro uso, al loro commercio, alla loro produzione.
Se la memoria non mi inganna fu Einstein a dire una volta che non sapeva con quali armi sarebbe stata combattuta la terza guerra mondiale, ma quanto alla quarta era certo che sarebbe stata combattuta con le clave. Se vogliamo impedire stragi immani e un regresso alla preistoria tra dolori indicibili per la superstite umanita', dobbiamo impedire le guerre, e per impedirle dobbiamo impegnarci tutti per il disarmo.
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Ma opporsi alle guerre, agire il disarmo, richiede un impegno ulteriore, anzi due:
a) un impegno di costruzione della pace e di gestione esclusivamente civile dei conflitti, che e' possibile ad una sola condizione: la scelta della nonviolenza;
b) un impegno a pensare e inverare modelli di difesa - dei territori, delle societa' e dei diritti - che siano alternativi a quelli militari e che siano non meno ma piu' efficaci: questi modelli esistono gia', sono quell'insieme di esperienze storiche e di proposte operative che chiamiamo difesa popolare nonviolenta, verso cui occorre orientare al piu' presto la politica della difesa del nostro e di ogni paese.
Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe. Gandhi lo colse molto prima di Hiroshima; dopo Hiroshima ogni coscienza illuminata lo sa.
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Alcune letture particolarmente utili sono le seguenti:
- Guenther Anders, Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki, Einaudi, Torino 1961 (con in appendice le Tesi sull'eta' atomica);
- Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima, ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, Linea d'Ombra, Milano 1992;
- Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1994;
- Ernesto Balducci, Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia, Principato, Milano 1983;
- Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 1979, 1984; Il terzo assente, Sonda, Torino-Millano 1989;
- Adriano Buzzati-Traverso, Morte nucleare in Italia, Laterza, Roma-Bari 1982;
- Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 1981, Bompiani, Milano 1988; La coscienza delle parole, Adelphi, Milano 1984;
- Documenti del processo di don Milani, L'obbedienza non e' piu' una virtu', Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1969 (raccolta di materiali più volte ristampata dallo stesso e da altri editori);
- Theodor Ebert, La difesa popolare nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984;
- Hans Jonas, Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1990, 1993;
- Robert Jungk, Gli apprendisti stregoni, Einaudi, Torino 1958, 1982;
- Domenico Gallo, Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985;
- Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1996;
- Enrico Peyretti, Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, in "La nonviolenza e' in cammino", n. 390 del 20 ottobre 2002;
- Giuliano Pontara, Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995;
- Arundhati Roy, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002;
- Bertrand Russell, L'autobiografia, 3 voll., Longanesi, Milano 1969, 1971;
- Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, 3 voll., Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1997;
- Edward P. Thompson, Opzione zero, Einaudi, Torino 1983;
- Simone Weil, L'Iliade poema della forza, in Eadem, La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi, Milano 1974;
- Virginia Woolf, Le tre ghinee, La Tartaruga, Milano 1975, Feltrinelli, Milano 1987.
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Alcuni film particolarmente interessanti sono i seguenti:
- Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore, 1963;
- Akira Kurosawa, Sogni, 1990; Rapsodia d'agosto, 1991;
- Alain Resnais, Hiroshima mon amour, 1959.
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Alcuni riferimenti particolarmente utili sono i seguenti:
- Centro di ricerca per la pace di Viterbo, e-mail: nbawac at tin.it
- IPPNW, sito: www.ippnw.org
- Movimento Nonviolento, sito: www.nonviolenti.org
- Peacelink, sito: www.peacelink.it
9. GLI OSSIMORI DI STRAMBOTTO
I pacifisti col passamontagne.
I partiti bombardieri per la pace.
I difensori dei diritti umani che hanno aperto i campi di concentramento.
10. UNA PERSONA, UN VOTO
Sarebbe ora che ogni essere umano contasse per un essere umano su tutte le questioni che l'intera umanita' riguardano.
E sarebbe ora che chiunque vive in un luogo avesse sempre pieno diritto di parola e di rappresentanza in quel luogo in cui vive.
Sarebbe ora che in materia di diritto di voto si uscisse dall'arcaico e crudele principio dello jus sanguinis e si applicasse invece quello ragionevole e solidale dello jus soli.
Sarebbe ora che chiunque vive in Italia, in Italia lavora, in Italia contribuisce con la sua fatica e la sua intelligenza al benessere comune si vedesse riconosciuto il diritto all'elettorato attivo e passivo, dai Comuni al Parlamento.
Una persona, un voto: e' lo storico motto delle grandi lotte per i diritti civili che aprirono la via al riconoscimento dell'inerenza di tutti i diritti umani ad ogni essere umano.
Una persona, un voto: e' il programma della democrazia contro tutte le dittature.
Una persona, un voto: per me che scrivo queste righe e' cio' che mi ha insegnato Nelson Mandela, e un'altra cosa ancora mi ha insegnato: che il regime dell'apartheid puo' e deve essere abbattuto, e solo allora comincia una vera, civile, umana convivenza, che tutti accoglie, e tutti libera. E una terza cosa mi ha insegnato ancora: che finche' tu resisti alla barbarie, l'umanita' non e' ancora sconfitta.
Una persona, un voto: e' ora che sia cosi' anche in Italia.
11. EN ARCHE'
Tu parola che agisci nel mondo
che sei il fare piu' proprio dell'uomo
tu miscuglio di labbra e di vento
tu fantasma di sguardi e di sogni
tu parola che sgorghi dal cuore
tu tempesta di sabbia e di spade
tu che ordini morte ed amore
tu che il mondo fai esistere ancora
tu che uccidi, che sani, che doni
volto e luce, e di sale e di sasso
puoi tremenda negare la vita
puoi far nascere il nuovo e la quiete
rompi ancora una volta le sbarre
fammi uscire da questa prigione
sii benigna, sii lieve, sii amica
tendi un ponte, un sentiero ci apri.
12. DISARMARE VUOL DIRE SALVARE VITE UMANE
Il referendum che si svolgera' in Brasile tra poche settimane, con il quale si chiedera' alla popolazione di quell'immenso paese se vuole che sia abolito il commercio delle armi (un commercio il cui esito e' uno stillicidio di persone assassinate, rese invalide e ferite - si vedano i dati terrificanti contenuti nella scheda che abbiamo pubblicato anche nel n. 1034 di questo foglio) e' un appuntamento che riguarda l'umanita' intera.
Le armi uccidono, uccidono esseri umani. Piu' armi circolano, piu' esseri umani sono esposti alla morte; meno armi vengono prodotte e diffuse, meno persone moriranno assassinate. E' di una estrema semplicita'.
Il disarmo e' oggi la prima urgenza per l'umanita' tutta. E deve andare dalle armi di sterminio di massa, in primo luogo quelle nucleari, chimiche e batteriologiche la cui potenza assassina e' tale da mettere in pericolo l'intera civilta' umana e la stessa biosfera; fino alle armi come i fucili e le pistole, le cosiddette "armi leggere" che - ci dicono le statistiche elaborate dai piu' prestigiosi istituti di ricerca - provocano anch'esse stragi di dimensioni immani.
E quindi occorre premere affinche' gli stati si orientino verso il disarmo, e insieme premere perche' si impegnino per il disarmo anche le singole persone. Occorre smantellare gli arsenali, riconvertire a produzioni civili le industrie armiere, distruggere le armi in circolazione, proibirne oltre che l'uso la fabbricazione, il commercio e la detenzione.
Quel fondamento di tutti gli ordinamenti giuridici che e' l'impegno a proteggere e promuovere la vita delle persone, se rettamente inteso vincola ad agire per il disarmo, poiche' il disarmo e' l'unico modo concreto per garantire quell'impegno a salvare le vite anziche' metterle in pericolo.
E quindi non ci dovrebbe neppure essere bisogno di un referendum: dovrebbero essere i parlamenti a legiferare senza esitazione la proibizione di produrre e diffondere strumenti di morte. Ma se i parlamenti un atto cosi' semplice e saggio non riescono a farlo, scandalosamente paralizzati dall'azione contraria della potente lobby dei mercanti di morte, allora ben venga il referendum. Ma occorre allora vincerlo il referendum: gli amici brasiliani impegnati per salvare la vita di tutti ci dicono che c'e' bisogno dell'aiuto di tutte le persone di volonta' buona, poiche' in vista del voto le industrie armiere operanti in Brasile stanno dispiegando una forte azione di propaganda menzognera e manipolatrice dagli effetti mortiferi.
Dobbiamo sostenere la campagna per il si' al referendum contro il commercio delle armi in Brasile. E' necessario vincere il referendum oggi in Brasile, per salvare subito un numero enorme di vite umane, e per riproporre domani l'iniziativa anche altrove. Per riuscire, paese dopo paese, a liberare l'umanita' dagli strumenti che danno la morte...
13. PER L'ABOLIZIONE DEI COSIDDETTI "CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA"
[Poiche' i cosiddetti "centri di permanenza temporanea" (in sigla: Cpt) altro non sono che campi di concentramento in cui vengono barbaramente reclusi, privati di diritti, esposti a minacce e violenza persone che nessun reato hanno commesso, persone nel nostro paese giunte in fuga da guerre, dittature, fame e crudelta' fin inenarrabili, persone che avrebbero invece diritto a solidarieta', assistenza e riconoscimento di umanita', ben a ragione ogni persona onesta prova vergogna e colpa perche' simili strutture nel nostro paese e nel nostro ordinamento esistano ancora; ben a ragione ogni persona onesta sente di dover fare qualcosa affinche' i campi di concentramento aboliti siano e si ripristini anche in Italia per ogni persona il rispetto di quei fondamentali diritti umani che sono scritti nella Costituzione della Repubblica, e nella Dichiarazione universale del 1948, quei diritti senza il riconoscimento dei quali non si da' convivenza civile, non si da' convivenza tout court]
I campi, e nei campi l'umanita'.
I campi, e nei campi la morte.
I campi, e nei campi la verita'.
I campi, e nei campi l'orrore.
I campi, e nei campi la corte
degli antimiracoli, il dolore
senza pieta', senza voce.
E in questo guscio di noce
tutto sta il nostro sentire:
i campi, sei tu che li devi abolire.
14. SOCIETA'
Rappresentanti della societa' civile? Ma se lo sanno tutti che in Italia c'e' solo la societa' incivile.
15. UNA POSTILLA
L'articolo di George Lakey costituisce un utile contributo alla riflessione sulla nonviolenza, ma nella nostra presente situazione potrebbe forse dar luogo a un equivoco.
E l'equivoco e' il seguente: che si possa ancora condurre un dibattito sulla liceita' o addirittura preferibilita' della scelta della violenza, piuttosto che della nonviolenza, nell'azione politica di trasformazione della societa' in una prospettiva di solidarieta' e di liberazione, di resistenza all'oppressione, di costruzione di rapporti di giustizia.
Questo dibattito da lunga data non ha piu' ragione di esistere. Dopo i gulag e dopo i lager, dopo Auschwitz e dopo Hiroshima, chiunque voglia coerentemente effettualmente concretamente impegnarsi per la difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, cosi' come per la liberazione dell'umanita' dallo sfruttamento, dall'oppressione e dalla guerra, cosi' come per la salvaguardia della biosfera, cosi' come per costruire relazioni di giustizia, eque e solidali, ebbene, deve fare la scelta della nonviolenza.
Chi ancora propugna la tesi della liceita' dell'uso della violenza con cio' stesso si fa servo e complice dei signori della guerra e del terrore, riproduce la logica che presiede alle stragi, denega ipso facto la dignita' e i diritti umani di ogni essere umano, riproduce e sostiene il sistema di potere che sta recando l'umanita' alla catastrofe.
Che anche nel movimento per la pace trovino ancora spazio e ascolto lugubri figuri dai comportamenti e dalle ideologie militariste, patriarcali, totalitarie e razziste, e' uno scandalo da denunciare e contro cui lottare in modo limpido e intransigente. Nessuna ambiguita' e' ammissibile. Non si da' impegno per la pace, la solidarieta' e la giustizia se non si esce dalla confusione e dall'ambiguita'. la scelta della nonviolenza e' il passo indispensabile da compiere. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIV)
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Numero 143 del 20 marzo 2013
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