Telegrammi. 728



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 728 del 3 novembre 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Il 2 novembre al cimitero di Viterbo il "Centro di ricerca per la pace" ha reso omaggio alle vittime della guerra

2. Un appello del Movimento Nonviolento, dell'Associazione per la pace, di Peacelink e del Centro di ricerca per la pace di Viterbo per il 4 novembre: Ogni vittima ha il volto di Abele

3. Lino Cattabianchi: Quattro novembre e dintorni

4. Marco Malagola: Il messaggio del Ponte della Pieta', Quarona 14 agosto 1944

5. Enrico Rossi: Sui pilastri della nonviolenza

6. Segnalazioni librarie

7. La "Carta" del Movimento Nonviolento

8. Per saperne di piu'

 

1. INCONTRI. IL 2 NOVEMBRE AL CIMITERO DI VITERBO IL "CENTRO DI RICERCA PER LA PACE" HA RESO OMAGGIO ALLE VITTIME DELLA GUERRA

 

Il 2 novembre 2011 al cimitero monumentale cittadino "S. Lazzaro" di Viterbo una delegazione del "Centro di ricerca per la pace" ha reso omaggio alle vittime di tutte le guerre.

Dinanzi alle lapidi in ricordo delle vittime della guerra - nel cimitero cittadino di Viterbo ve ne e' anche una che ricorda alcune vittime austro-ungariche della prima guerra mondiale -, sono stati letti alcuni versetti dal libro biblico di Giobbe, alcuni versi dalla Divina Commedia dantesca, alcuni versi dal Faust di Goethe, alcuni versi dal Colloquio corale di Aldo Capitini.

*

Conclusa la commemorazione, il responsabile della struttura pacifista viterbese, Peppe Sini, ha successivamente dichiarato: "Il primo diritto di ogni essere umano e' il diritto di non essere ucciso, il diritto di vivere e di essere aiutato a vivere una vita degna. La guerra, che consiste dell'uccisione di esseri umani, e' pertanto assoluta nemica dell'umanita', e' crimine supremo. In tanto l'umanita' potra' dirsi civile, in quanto sapra' far cessare tutte le guerre e tutte le uccisioni. Solo la pace salva le vite. Ogni vittima ha il volto di Abele".

La visita e l'omaggio alle tombe dei defunti fa parte della settimana di iniziative al cui centro vi sara' la commemorazione nonviolenta "Ogni vittima ha il volto di Abele" che si svolgera' il 4 novembre, giorno in cui analoghe iniziative nonviolente si svolgeranno in molte citta' italiane su invito del Movimento Nonviolento, dell'Associazione per la pace, di Peacelink, oltre che del Centro di ricerca per la pace di Viterbo.

 

2. INIZIATIVE. UN APPELLO DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO, DELL'ASSOCIAZIONE PER LA PACE, DI PEACELINK E DEL CENTRO DI RICERCA PER LA PACE DI VITERBO PER IL 4 NOVEMBRE: OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE

[Riproponiamo il seguente appello]

 

Intendiamo proporre per il 4 novembre l'iniziativa nonviolenta "Ogni vittima ha il volto di Abele".

Proponiamo che il 4 novembre si realizzino in tutte le citta' d'Italia commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze.

Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.

*

Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente. Non devono dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; non devono essere in alcun modo ambigue o subalterne; non devono prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, devono essere rigorosamente nonviolente.

Occorre quindi che si svolgano in orari distanti e assolutamente distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri armati, quei poteri che quelle vittime fecero morire.

Ed occorre che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio.

Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche' convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita' e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.

*

A tutte le persone amiche della nonviolenza chiediamo di diffondere questa proposta e contribuire a questa iniziativa.

Contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni.

Per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

*

Movimento Nonviolento

per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Associazione per la pace

per contatti: tel. (+39) 348392146, e-mail: luisamorgantini at gmail.com, sito: www.assopace.org

Peacelink

per contatti: e-mail: info at peacelink.it, sito: www.peacelink.it

Centro di ricerca per la pace di Viterbo

per contatti: e-mail: nbawac at tin.it, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

3. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO D ABELE. LINO CATTABIANCHI: QUATTRO NOVEMBRE E DINTORNI

[Ringraziamo Lino Cattabianchi (per contatti: lino.cattabianchi at alice.it) per questo intervento.

Dall'intervista in "Coi piedi per terra" n. 388 riprendiamo la seguente breve scheda biografica: "Sono nato a Pescantina (Vr) nel 1953, mi sono laureato a Padova in Lettere classiche nel 1977, ho iniziato a insegnare nel '79, prima alle medie e poi dall'88 alle superiori (nei tecnici). Dal 1980 al 1990 mi sono impegnato direttamente in politica e sono stato assessore alla cultura dal 1980 al 1985. Dal 1991 ho cominciato a scrivere per i giornali di Verona ("Verona fedele", "Verona Sette" (che non c'e' piu'), "La Cronaca" (che non c'e' piu'), "L'altro Giornale". Nel 1995 sono approdato all'"Arena", il piu' diffuso quotidiano di Verona. Mi occupo di corrispondenza locale (Pescantina-Bussolengo). Ho scritto innumerevoli articoli, speciali, un libro su una istituzione benefica di inizio secolo, due saggi storici ("Appunti per un bibliografia su Pescantina dal 1965 al 2005" e "Don Luigi Castagna, il fascismo e l'edificazione delle Scuole di Religione a Pescantina 1939-1940" pubblicati nell'Annuario storico della Valpolicella 2004-2005 e 2006-2007 edito dal Centro di Documentazione per la Storia della Valpolicella. Continuo ad insegnare e a scrivere"]

 

Scrivo queste righe alla fine della lettura di un libro dal quale non mi so ancora separare: Il farmacista di Auschwitz, di Dieter Schlesak (edito da Garzanti). Vi si racconta della banalita' del male, del passaggio nella selva oscura del male senza provare per esso nessun sentimento morale di rivolta della coscienza.

Stamattina, coi miei ragazzi ho letto il primo canto della Commedia: anche li' Dante si ritrova nella selva oscura "aspra e forte", ma sente che per definire questo fenomeno deve ricostruire la sua coscienza del bene e del male. Il Poeta ci indica la strada della ragione/Virgilio per arrivare "a riveder le stelle".

Ecco, la guerra e' sempre un tradimento della ragione, cioe' della coscienza e delle sue richieste piu' impellenti. Oggi come ieri.

Un sentimento che accomuna i fanti del Piave, gli alpini di Rigoni Stern nella neve russa e i compagni di pena di Primo Levi che si accorgono del sole primaverile che arriva mentre stanno per essere selezionati per il gas nel cortile di Auschwitz.

Un delicato confine per l'umanita'.

 

4. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. MARCO MALAGOLA: IL MESSAGGIO DEL PONTE DELLA PIETA', QUARONA 14 AGOSTO 1944

[Ringraziamo Raniero La Valle (per contatti: raniero.lavalle at tiscali.it) per averci messo a disposizione questa testimonianza di padre Marco Malagola, francescano, datata Roma, 25 aprile 2008]

 

Sono un francescano, ottantenne.

Vorrei scrivere qualcosa di quegli anni turbolenti che hanno funestato e insanguinato la Val Sesia dall'armistizio dell'otto settembre '43 al 25 aprile '45. Di quel periodo si affolla nella mia mente un fiume di ricordi. Con i miei confratelli, studenti di liceo, vivevo nel convento di Sant'Antonio di Padova a Varallo Sesia, in provincia di Vercelli. In comunita' eravamo sufficientemente al corrente di quanto accadeva nella regione, grazie al nostro professore di filosofia, padre Giulio Mietta, osservatore attento nella situazione di conflitto che si era creata dopo quel tragico e disastroso armistizio. Ricordo che la situazione andava di giorno in giorno terribilmente peggiorando e coinvolgeva tutti i settori della vita pubblica con pesanti ripercussioni sulla popolazione.

La situazione era grave. Le distribuzioni di cibo venivano fatte con frequenza ridotta e, a volte, a intervalli di qualche settimana. Il quadro era desolante; la carenza di generi alimentari e il razionamento delle derrate fondamentali non garantivano pane a sufficienza; i piu' colpiti erano i bambini e gli anziani. Noi frati andavamo questuando nei paesi circostanti presso i contadini, affidandoci alla generosita' della gente: raccoglievamo qualche patata, castagne, mele, rape, e cosi' via. Si tirava realmente la cinghia. Si imparava e ci si educava ad aver bisogno di poco e a semplificare la vita. I movimenti impediti e la penuria dei mezzi di trasporto acuivano le difficolta'. Vi era poi lo stillicidio dei posti di blocco e l'assillo del coprifuoco che limitavano la liberta' di movimento, con gravi danni nei casi di emergenza, malattie e necessita' di ricovero urgente presso le strutture sanitarie.

Tensione, paura e sfiducia nel domani gravavano nell'aria. Ogni giorno giungevano notizie di violenze, imboscate, scontri armati con morti e feriti, incendi mirati di case e di villaggi interi per rappresaglia. Rammento di aver assistito, dalla finestra della mia cella, alla macabra scena di una fucilazione simulata sul piazzale delle scuole: esattamente come un tiro al bersaglio, e il bersaglio erano i prigionieri, partigiani di turno. Una vera palestra del terrore.

Il convento divento' subito un rifugio e il crocevia di incontri. Si trattava per lo piu' di prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento della pianura padana, di militari italiani che, sorpresi dall'annuncio dell'armistizio, abbandonavano alla disperata le caserme con mezzi di fortuna e, in travestimenti borghesi, raggiungevano i paesi d'origine o prendevano la via della montagna per sfuggire all'internamento forzato in Germania. C'erano sbandati che bussavano alla porta del convento a tutte le ore del giorno, evitando la pericolosita' della sera e della notte, normalmente sottoposte a severo coprifuoco. Evitavano le rotabili piu' battute e approdavano a Varallo attraverso la fitta boscaglia circostante, stralunati dalle fatiche e dalle emozioni.

Era un vivere a rischio. Noi ci si dava da fare in tutti i modi per alleviare sofferenze e disagi, rincuorare e offrire speranza. Non mancavano, com'era d'aspettarsi, le incursioni improvvise dei nazifascisti, alla ricerca di presunti fuggiaschi; le forti e insistenti scampanellate alla porta del convento annunciavano il loro arrivo. Era il provvidenziale campanello d'allarme che ci permetteva di nascondere tutto cio' che c'era da nascondere e far finta di niente. I miliziani esigevano con autorita' l'incontro con il superiore, un fratone alto e grosso con il sigaro in bocca sempre acceso, e iniziava il serrato balletto degli interrogatori, facilmente immaginabili. Grazie a Dio ne siamo sempre usciti indenni. Il nostro contributo andava ben oltre. Non ci si limitava alla semplice francescana accoglienza. I nostri nuovi amici, fuggiaschi e clandestini, non si trattenevano in convento piu' di tanto; sarebbe stato un rischio troppo pericoloso per tutti. Il loro intento era uno solo: raggiungere al piu' presto la Svizzera attraverso i valichi del monte Rosa. Come e con chi realizzare il loro sogno se non con l'apporto del nostro sostegno e della nostra guida? Si trattava allora di organizzare la marcia di accompagnamento, studiandone attentamente i percorsi. Si partiva scaglionati in piccoli gruppi, seguendo sentieri di montagna meno battuti che erano logicamente i piu' malagevoli; cio' significava allungare di molto il percorso programmato.

Si procedeva parlando quel tanto che era necessario, perche' diverse erano le nazionalita' dei nostri occasionali compagni e le nostre conoscenze linguistiche erano veramente scarse. C'erano inglesi, americani, australiani, georgiani, russi; e si', ricordo benissimo, c'erano anche ebrei. Non mancavamo di portare con noi, avvantaggiati dalle profonde e quasi invisibili tasche del saio, qualche dizionario tascabile inglese-italiano come indispensabile ausilio per meglio intenderci e scambiarci informazioni. Ci raccontavano del loro Paese, delle loro famiglie, delle storie personali. Lontani dalle loro case, era un conforto sentirsi scortati verso la liberta' da giovani fraticelli, quasi ragazzi, con i quali fraternizzare e condividere sogni e speranze. Ci affidavano gli indirizzi dei loro cari perche' noi si provvedesse a inoltrare le comunicazioni e far sapere che i mittenti erano vivi.

Giunti a un punto concordato del percorso, li consegnavamo a guide del posto che a loro volta li affidavano a una nota guida alpina valsesiana, Leo Colombo, che li accompagnava, credo attraverso Macugnaga e il passo del Moro, fino alla Svizzera, porto agognato e sicuro del loro desiderio. Commovente il momento dell'addio. Ci si abbracciava da fratelli gustando il sapore e la bellezza della fraternita' umana e del suo mistero; che non e' utopia, ma qualcosa da scoprire e costruire giorno dopo giorno per un mondo senza guerre e divisioni. Per essi la strada era ancora molto lunga; li vedevamo dileguarsi, in fila indiana, fino a scomparire nel fitto boscoso della montagna. Dopo queste rischiose operazioni riprendevamo la strada del ritorno, soddisfatti e ricchi di umanita' per l'aiuto offerto a quei poveri sfortunati amici. Si rifaceva buona parte del percorso d'andata ma, giunti a un certo punto, ci si immetteva sulla strada provinciale meno stancante e piu' facilmente percorribile.

Ricordo che una volta incorremmo in uno sgradito incontro. Avvistammo da lontano, giu' nel fondo valle, tre camionette militari tedesche che salivano nella nostra direzione; le avremmo quindi necessariamente incrociate. Ci fu un attimo di panico generale. Non avevamo il tempo di dileguarci nella vicina boscaglia.

Dopo pochi minuti ci trovammo le camionette davanti a noi. Si arrestarono di colpo. Scesero tre soldati. Capimmo che si trattava di SS. Ci chiesero dove eravamo diretti. Rispondemmo che tornavamo da una scampagnata in montagna ed eravamo diretti al nostro convento di Varallo. Ci chiesero altre cose e anche se avevamo visto o incontrato persone lungo la strada. Rispondemmo decisamente di no. Ricordo che uno di noi, il piu' spiritoso di tutti, non si perito' di offrire loro una manciata di caldarroste... Per farla breve, la passammo liscia. Se ci avessero perquisiti per bene, con quelle tasche piene di materiale compromettente, saremmo finiti tutti al "fresco".

Il Ponte della Pieta' e' il luogo tristemente noto per i fatti di sangue, riguardanti entrambe le parti in lotta durante quegli anni violenti. Che dire? E' mancata la pieta' al "Ponte della Pieta'"! Eppure il nome "Pieta'" - cosi' chiamata perche' li', sulla strada, vi era una cappelletta con un dipinto della deposizione, poi demolita a fine '800 per i lavori di costruzione della strada ferrata - avrebbe dovuto evocare compassione assieme a un deciso altola' ai massacri che da quel ponte si sono ripetutamente consumati. Il conflitto tra i due schieramenti aveva registrato nel '44 un'accentuata ripresa in intensita' e in efferatezza. Lo dimostra quanto sto per raccontare che puo' servire da testimonianza storica.

*

Era il 14 agosto 1944. Mi trovavo in convento e per motivi di salute ero in procinto di partire per Novara.

La linea ferroviaria era stata fatta saltare qualche settimana prima nel tratto Varallo-Romagnano, per cui occorreva raggiungere Romagnano con mezzi di fortuna e di la' proseguire in treno per Novara. Sul punto di lasciare il convento, padre Giulio - che non si risparmiava nella mediazione per lo scambio e il rilascio dei prigionieri partigiani o fascisti - mi fece intendere, tra il sibillino e il misterioso, che lungo la strada, con ogni probabilita', sarei andato incontro a una brutta sorpresa. Al momento non compresi a cosa alludesse di preciso; ma, purtroppo, cosi' fu.

Partii dunque da Varallo alla volta di Romagnano con altri tre passeggeri su un carretto di fortuna. Arrivati a Quarona, una pattuglia del battaglione d'assalto Pontida ci impedi' di proseguire il cammino. La cittadina era sinistramente deserta. Qualche minuto dopo, ecco transitare velocemente un autocarro militare tedesco scoperto. Feci appena tempo a intravedere sull'automezzo cinque individui, stretti tra militari nazifascisti. Fu allora che collegai quanto mi aveva detto padre Giulio nel lasciare il convento. Non ebbi il minimo dubbio che si stesse preparando un'esecuzione capitale. Presi immediatamente la decisione: seguire il percorso dell'automezzo per rendermi conto di quanto potesse accadere.

Lasciai i miei compagni di viaggio sul carretto e, tutto solo, mi incamminai, deciso, dove presumevo si potesse verificare qualcosa di molto triste. Fatto un breve tratto di strada, venni bloccato da un militare, armato di tutto punto, che volle sapere dove intendevo recarmi. Risposi secco: "Conforti religiosi" e lui, stranamente, mi lascio' proseguire. Dopo un po', ancora un altola' di un secondo militare. Stessa domanda e stessa risposta. Evidentemente pensavano che fossi sacerdote e, di conseguenza, autorizzato a compiere la mia missione.

Proseguii ancora ed eccomi apparire sul fondo, oltre la curva, la sagoma grigiastra di quel maledetto ponte. Mi resi immediatamente conto della situazione. In basso, sulla sinistra della strada, dove ora e' sistemata la lapide commemorativa, sostavano, in piedi, cinque giovani, indubbiamente gli stessi che avevo intravisto sul camion militare. Sul loro viso si notava una mestizia profonda, l'incredulita' nella propria sorte. Nel frattempo, sul ponte, alcuni militari trafficavano per mettere a punto la macabra operazione; altri erano sparsi a semicerchio intorno.

Mi diressi verso i cinque partigiani. Nel vedermi arrivare, sembro' loro che fosse giunta l'ora della speranza. Li guardai amabilmente in volto. Ebbi appena il tempo di dire: "Coraggio, il Signore e' con voi" che fui preso di forza per un braccio e trascinato da una parte. Era il comandante del plotone, un giovane ufficiale attorno ai vent'anni. "E' gia' molto che lei sia qui - mi apostrofo' - sappia che i miei uomini sono morti senza alcun conforto religioso. Non si permetta di muovere un dito altrimenti la faccio cacciare via". Detto questo, i cinque vennero fatti salire sulla scarpata della ferrovia a destra della strada, e poi sul parapetto del ponte. Vennero fissate alle rotaie del treno le estremita' di cinque corde e al collo di ciascuno fu applicato il nodo scorsoio.

Quando tutto fu pronto per l'ultimo atto, il comandante del plotone, in piedi, a poca distanza, pronuncio' un breve discorso nel quale motivava le ragioni dell'esecuzione capitale, riferendosi soprattutto alle luttuose precedenti imboscate partigiane contro reparti nazifascisti. Io rimasi ritto sulla strada, solo; attorno, militari in assetto di guerra visibilmente tesi, per timore di un eventuale attacco partigiano di sorpresa. Dall'alto del ponte i cinque patrioti mi guardavano imploranti, ma serenamente rassegnati. La scena era terribilmente impressionante. Attorno, un silenzio profondo. Fu allora che, immediatamente, appena il comandante ebbe finito di parlare, e fu una frazione di secondi, presi la parola. Una inconscia forza interiore mi spinse a intervenire e mi mise sulla bocca parole di estremo e cristiano saluto a quei poveri ragazzi. "Miei cari fratelli, - gridai - e' giunto il momento del vostro incontro con il Signore. E' giunto il momento di mettere nelle mani di Dio le vostre anime. Come Gesu' voi siete giustiziati. Innocenti come lui, perseguitati come lui. Dall'alto della croce Gesu' ha perdonato ai suoi crocifissori. Perdonate anche voi!". Dal ponte, ricordo benissimo, un sommesso, ma chiaro segno di perdono.

Dopo di che, un ordine spietato... un tonfo... uno stridore di corde... corpi volteggianti e penzolanti nel vuoto a ridosso della fiancata del ponte. Una scena raccapricciante. Poi, la violenza dello strattone fece spezzare una corda, e, qualche istante dopo, un'altra corda. Due partigiani, uno dopo l'altro, piombarono ansimanti e boccheggianti, ma ancora vivi, sulla strada sottostante. Mi avvicinai subito al primo, meno giovane degli altri, che giaceva stramazzato a terra. Il nodo scorsoio si era allentato. Il poveretto poteva appena farfugliare parole indistinte.

Gli presi il capo tra le mani. Lo baciai. Ci guardammo con occhi inondati di pieta'. Gli porsi il crocefisso da baciare... non avevo che quello, unito alla corona del saio, ma per la seconda volta, incredibilmente, il comandante, che nel frattempo era sceso in tutta fretta dal ponte, mi strattono' con rabbia, mi trascino' al lato della strada e, urlando, proferi' minacce indefinibili, imponendomi di andarmene e interessarmi dei fatti miei.

Confesso che non ci vidi piu', mi sentivo un piccolo Davide contro il gigante biblico. Lo affrontai a viso aperto, ci fu un acceso scontro verbale e, con quanta voce avevo in corpo, gli rinfacciai la crudelta' di quanto stava succedendo. Invocai in nome della giustizia e del diritto internazionale la revoca della condanna per i due patrioti che giacevano a terra, imploranti, ancora in vita. E poi non potei astenermi dal minacciare il giudizio di Dio su quanti si rendevano responsabili di una simile atrocita' contro l'uomo e l'umanita'. Alle mie parole il comandante non fiato'. Rimase visibilmente sconvolto e profondamente turbato. Ma ormai la situazione precipitava e non ebbe il coraggio della disubbidienza alle autorita' superiori. Mentre si udivano gli ultimi rantoli degli altri tre patrioti, i due vennero trascinati, stremati e barcollanti, sul ponte; fissate nuovamente le corde alle rotaie, rimesso il laccio al collo dei due sopravvissuti, di nuovo, giu', precipitati nel vuoto. Con gli occhi rivolti a quei giovani martiri della liberta', inginocchiato sulla strada polverosa, assistevo, pregando, all'ultimo atto della straziante Via crucis. Guardai l'orologio. Erano le 16,25.

Rimasi ancora brevemente inginocchiato sulla strada, poi, raccolto nei miei pensieri, ripercorsi la strada per Quarona. Ritrovai la cittadina ancora semideserta. Un sacerdote, suppongo del posto, al quale raccontai succintamente come si erano svolte le cose, mi porto' in un bar accanto a bere qualcosa di forte. Stravolto com'ero, ne avevo veramente bisogno. Raggiunsi poi i miei compagni di viaggio per riprendere la strada verso Romagnano. Passammo ancora sotto quel ponte, sotto quei corpi senza vita, appesi nel vuoto...

Una grande tristezza m'invase. Pensavo tra me: le loro anime saranno certamente in paradiso. Il santo cappellano delle carceri di Torino, Giuseppe Cafasso, chiamava i condannati a morte "i suoi santi impiccati". Penso di poterli chiamare anch'io cosi': "I miei santi impiccati". Come diretto e unico testimone della dolorosa tragedia e' stata poi mia premura trovare il modo di inviare una lettera di conforto alle famiglie delle povere vittime, descrivendo brevemente la conclusione del loro sacrificio, esprimendo ammirazione non solo per i sentimenti che animavano il loro patriottismo, ma anche per quelli non meno nobili della loro fede.

*

Non avevo neppure 18 anni quando ho conosciuto la violenza brutale contro l'uomo, immagine di Dio. Oggi conservo ancora nel cuore e negli occhi lo sconcertante scenario di quell'afoso pomeriggio di agosto. Fu il trauma psicologico e d'immagine piu' scioccante della mia vita. Ricordo che nei giorni successivi, per diverse notti mi appariva la macabra scena del ponte. In quei terribili momenti, oltre l'aiuto di Dio, mi fu compagno il coraggio che non ho mai smarrito, semmai rafforzato, portandolo con me durante gli anni della mia vita missionaria nel profondo della giungla della Papua Nuova Guinea, e oltre...

Mi viene di pensare a Dietrich Bonhoeffer, uno dei grandi teologi protestanti, protagonista della resistenza al nazismo che pago' con la vita la sua testimonianza e fedelta' al Vangelo. Fu deportato nel campo di concentramento di Flossenburg. Anche lui, come i martiri del Ponte della Pieta', fu impiccato, a 39 anni, nell'aprile 1945.

La resistenza italiana che inizio' spontanea contro l'occupazione nazista, ritengo che fu in minima parte una guerra civile tra italiani a causa dell'esistenza della Repubblica di Salo'. Si percepiva la resistenza non tanto come lotta contro il fascismo, ma come Resistenza, cioe' come dovere e morale politica. In realta' e' stata una sollevazione di popolo, un autentico movimento popolare anche, se vogliamo, non perfettamente organizzato; il che si comprende benissimo quando si e' costretti a vivere sotto pesante occupazione militare. Si trattava di un movimento spontaneo, alla base del quale c'era una grande volonta' di liberazione, tutti protesi verso il raggiungimento di una vita libera e pacifica dopo quasi sei anni di guerra mondiale che aveva ridotto l'Europa a un cumulo di macerie.

Purtroppo i morti sono stati tanti, troppi, da entrambi gli schieramenti. Tante le famiglie in lutto, troppe. "La guerra e' contro la ragione", affermava Giovanni XXIII nella "Pacem in terris". "Quando capiremo la lezione dei morti, allora finira' l'odio e ogni divisione": e' una affermazione di Primo Mazzolari che mi sembra, anche oggi, quanto mai valida. Si tratta di non spegnerne la memoria e soprattutto la lezione. Le vittime degli olocausti, di tutti gli olocausti, insegnano agli uomini di oggi a non ripeterli piu'. I morti sono tutti uguali, tutti, a qualunque denominazione politica o razziale appartengano. La morte, che San Francesco chiamava "sorella", e' madre di tutti. E' nella morte che ci ritroviamo fratelli. Pace e perdono sono sinonimi. "Non c'e' pace senza giustizia, non c'e' pace senza perdono", predicava Giovanni Paolo II. Rifiutare il perdono significa rifiutare la pace. I martiri del Ponte della Pieta' hanno perdonato e non smettono di insegnare.

A noi accoglierne il messaggio.

*

Per doverosa documentazione vorrei completare la mia testimonianza con due documenti che ho potuto attingere agli uffici competenti del Comune di Quarona. Il primo riguarda l'ordinanza, in data 14 agosto 1944, redatta e sottoscritta dal comandante del plotone di esecuzione, sottotenente Franco Maria Bartoli, che comandava il presidio di Quarona. Vi si legge: "D'ordine del comandante il settore di operazione, i cadaveri dei cinque banditi impiccati oggi 14 agosto al Ponte della Pieta' non potranno essere tolti prima di domani 15 agosto alle ore 17,00. Si raccomanda l'osservanza di quanto sopra onde evitare rappresaglie". Il secondo riguarda la comunicazione di morte che l'allora comandante della I Compagnia del I Battaglione d'Assalto Gnr Pontida, capitano Pasqualini, in data 16 agosto 1944, invio' all'ufficio di Stato Civile di Quarona. "Si comunica, per le annotazioni e le comunicazioni prescritte dalla legge, che il giorno 14 agosto 1944, alle ore 17,00, in localita' Ponte della Pieta', sono stati giustiziati mediante impiccagione, i seguenti banditi, rei confessi, per tradimento alla Patria, e appartenenza a bande armate fuorilegge: 1) Pescio Augusto, nato il 18 gennaio 1912 a Villadossola, residente a Borgosesia, Via Varallo, 26; 2) Bordiga Aldo, nato a Camasco di Varallo il 10 agosto 1914, residente a Borgosesia, Via Fratelli Antongini, 3; 3) Lazzi Vincenzo, nato a Bari il 7 gennaio 1921, residente a Bari, Via Quintino Sella, 106; 4) Boccardo Gino, nato a Andria il 20 luglio, residente a Vercelli, Via Val Sesia, 27; 5) Francese Gino, nato a Vercelli il 29 luglio 1926, residente a Vercelli, Via Marcello Prestinari, 26".

*

padre Marco Malagola, francescano

Roma, 25 aprile 2008

 

5. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. ENRICO ROSSI: SUI PILASTRI DELLA NONVIOLENZA

[Ringraziamo Enrico Rossi (per contatti: enrico.rossi at regione.toscana.it) per questo intervento.

Enrico Rossi e' Presidente della Regione Toscana. Nato a Bientina (Pisa) il 25 agosto 1958, dopo la laurea in filosofia, conseguita presso l'Universita' di Pisa, inizia una breve attivita' giornalistica nella redazione del "Tirreno" di Pontedera. Nel 1985 decide di dedicarsi a tempo pieno alla politica e assume l'incarico di assessore e vicesindaco al Comune di Pontedera. Dal 1990 inizia il mandato di sindaco, che dura per nove anni. Nel 1999 lavora al dipartimento delle politiche economiche dei Ds, su incarico della segreteria nazionale. Alle consultazioni regionali del 16 aprile 2000 viene eletto nella circoscrizione di Pisa e assume l'incarico di assessore al diritto alla salute, che mantiene anche nella legislatura successiva. Viene eletto presidente della Regione Toscana nelle consultazioni del marzo 2010]

 

"Non possiamo limitarci a registrare con burocratica indifferenza la presenza di tanti conflitti, a cui anche l'Italia partecipa. Dobbiamo mantenere vivo un anelito di pace". In agosto ho usato queste parole in un messaggio indirizzato alle piu' alte cariche dello stato per sostenere la proposta del vescovo di Tripoli, monsignor Martinelli, per un "cessate il fuoco" in Libia in occasione dell'inizio del Ramadan.

Ripeto questa frase oggi per sottolineare che quell'anelito di pace va coltivato con impegno.

Cio' impone un ripensamento dell'approccio politico alla guerra e un'attenzione maggiore al dialogo con le societa' civili e all'educazione alla pace.

All'indomani di ogni conflitto, nel momento in cui le prospettive di ripresa appaiono lontane e complesse, la vera sfida e' non cadere di nuovo nella trappola della violenza. In questo la politica del dialogo si presenta come lo strumento piu' utile.

L'uso della violenza e la sua istituzionalizzazione non pagano ne' a livello umano ne' a livello strategico. Lo vediamo sia volgendoci verso le questioni internazionali, sia guardando al Mediterraneo degli ultimi mesi.

L'instabilita' sociale e politica quale residuo dei recenti conflitti dovrebbe rappresentare un utile promemoria per la gestione di crisi future.

Allo stesso modo il ricordo delle vittime della guerra dovrebbe servire da stimolo continuo a non ripetere la storia. Insieme alle popolazioni colpite dalla guerra bisogna sostenere un futuro migliore le cui fondamenta vanno costruite oggi sui pilastri della nonviolenza.

Il costo umano di tutte le guerre non e' piu' tollerabile. Per voltare pagina dobbiamo passare alla promozione del dialogo e agli interventi nonviolenti che a monte si fondano sull'educazione a una cultura di pace da portare avanti in ogni occasione.

 

6. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Joel Kotek, Pierre Rigoulot, Il secolo dei campi, Mondadori, Milano 2001, 2002, pp. VI + 618.

- Walter Laqueur (a cura di), Dizionario dell'Olocausto, Einaudi, Torino 2004, 2007, pp. XXXIV + 934.

- Wolfgang Sofsky, L'ordine del terrore, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. X + 524.

 

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

8. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 728 del 3 novembre 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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