Telegrammi. 544
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- Date: Tue, 3 May 2011 00:36:16 +0200 (CEST)
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 544 del 3 maggio 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Il baccanale dei terroristi
2. Mao Valpiana: Trentottesimo giorno di digiuno nonviolento collettivo a staffetta per opporsi alla guerra e al nucleare
3. Laura Carlsen: Chiamata alla resistenza nonviolenta
4. Elena Ribet intervista Christine Weise
5. Sylvie Coyaud: Mary-Claire King
6. Per sostenere il Movimento Nonviolento
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. PEPPE SINI: IL BACCANALE DEI TERRORISTI
La piu' grande e scellerata potenza stragista del mondo, gli Stati Uniti d'America, gode dell'assassinio di un uomo ritenuto a capo di una assai piu' piccola e non meno scellerata organizzazione stragista.
Politicanti pluriomicidi - in America, in Russia, in Italia - eruttano proclami di trionfo, e misti alle loro parole tu vedi da quelle bocche colare bava e sangue, e masticati brani di carni umane.
*
Un omicidio e' sempre un omicidio.
Ogni assassinio, ogni strage, ogni guerra e' sempre un crimine contro l'umanita' intera.
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Cessino le uccisioni.
Cessino le guerre.
Vi e' una sola umanita', unica ed infinitamente plurale, incarnata in innumerevoli esseri umani ciascuno diverso da ogni altro e tutti eguali nel diritto fondamentale che ogni altro diritto fonda: il diritto a non essere uccisi.
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Cessino le uccisioni.
Cessino le guerre.
Si aboliscano eserciti ed armi.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
2. INIZIATIVE. MAO VALPIANA: TRENTOTTESIMO GIORNO DI DIGIUNO NONVIOLENTO COLLETTIVO A STAFFETTA PER OPPORSI ALLA GUERRA E AL NUCLEARE
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento.
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' segretario nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre 2007; un'altra recente ampia intervista e' in "Coi piedi per terra" n. 295 del 17 luglio 2010]
La nonviolenza e' forza della verita'.
E allora cerchiamola questa verita', diciamola questa verita'.
Costruire e gettare bombe e missili dagli aerei e' un atto di terrorismo. Chi lo fa e' un terrorista, tanto quanto il dittatore che fa sparare sul proprio popolo, tanto quanto chi ha lanciato aerei contro palazzi civili.
I popoli si possono liberare dalla dittatura di un regime con la nonviolenza. Farlo con le armi significa rafforzare il regime e legittimarlo ad un repressione ancora piu' sanguinosa.
Ammazzare un terrorista senza processo, significa agire per vendetta. La vendetta di sangue non ha nulla a che fare con la giustizia e la forza della legge.
Le Nazioni Unite nel loro preambolo si sono poste l'obiettivo di togliere il flagello della guerra dal futuro delle prossime generazioni. Se legittimano atti di guerra, le Nazioni Unite tradiscono se stesse, e perdono ogni credibilita'.
La Costituzione italiana ripudia la guerra, se il governo e il Presidente della Repubblica legittimano atti di guerra, sono fuori dalla lettera e dallo spirito della Costituzione.
L'energia nucleare e' pericolosa, dannosa, costosa. Molti cittadini italiani, seguendo le procedure previste dall'ordinamento vigente, hanno presentato una richiesta di referendum per abolire una legge che vorrebbe introdurre il nucleare in Italia. Il governo sta tentando un imbroglio per evitare il referendum e togliere agli elettori il diritto di esprimersi sul quesito referendario. Il governo che si comporta cosi' e' un governo antidemocratico e come tale e' delegittimato. Attualmente viviamo in un paese con un governo antidemocratico e anticostituzionale.
Queste sono semplici verita', che hanno una forza in se', nel momento stesso in cui le diciamo. La nonviolenza e' forza della verita'.
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Il digiuno che stiamo conducendo e' un gesto di nonviolenza attiva, e' un atto di speranza, e' un fatto concreto contro la guerra e la sua preparazione, contro il nucleare che uccide il presente e il futuro.
Sono 130 le amiche e gli amici della nonviolenza che hanno finora aderito al digiuno promosso dal Movimento Nonviolento "per opporsi alla guerra e al nucleare".
Questa iniziativa nonviolenta prosegue dal 27 marzo scorso, e nuovi aderenti hanno gia' annunciato la loro partecipazione almeno fino a lunedi' 9 maggio. Ma altri ancora si stanno aggiungendo, e si proseguira' oltre. Si digiuna in ogni parte d'Italia, da Trieste a Palermo, da Torino a Venezia, da Verona a Bari.
La nonviolenza e' contagiosa; abbiamo iniziato con un digiuno di 48 ore, che sta proseguendo da 38 giorni.
Chi desidera aderire al digiuno lo puo' comunicare a: azionenonviolenta at sis.it (indicare nome, cognome, citta', giorno o giorni di digiuno).
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Di seguito l'elenco dei digiunanti aggiornato alle ore 19 del 2 maggio 2011.
Hanno finora digiunato a staffetta: Mao Valpiana (Verona), Caterina Del Torto (Ferrara - Verona), Elisabetta Pavani (Ferrara), Raffaella Mendolia (Mestre - Venezia), Lucia Grieco (Mestre - Venezia), Sergio Paronetto (Verona), Daniele Lugli (Ferrara), Maddalena Soffi (Verona), Domenico Letizia (Caserta), Alessandro Pizzi (Soriano - Viterbo), Luca Giusti (Genova), Massimiliano Pilati (Trento), Piercarlo Racca (Torino), Angela Dogliotti Marasso (Torino), Enrico Peyretti (Torino), Rocco Pompeo (Livorno), Caterina Bianciardi (Livorno), Mirella Martini (Mestre - Venezia), Vincenzo Benciolini (Verona), Gabriella Falcicchio (Bari), Albachiara Orlando e Stefano Daga (Oristano), Gavina Galleri (Cagliari), Giovanni e Graziella Ricchiardi (Torino), Mira Mondo (Condove - Torino), Claudia Pallottino (Torino), Evelina Savini (Jesi), Angela Genco (Jesi), Angela Liuzzi (Jesi), Pier Cesare Bori (Bologna), Marzia Manca (Cagliari), Tommaso Gradi (Ferrara), Laura Cappellari (Pedavena - Verona), Aurora Bedeschi (Ferrara), Marco Baleani (Gubbio), Silvana Valpiana (Verona), Claudia Capra (Brescia), Paolo Predieri (Brescia), Adriano Moratto (Brescia), Anna Zonari (Ferrara), Tiziana Valpiana (Verona), Marina Nardovino (Verona), Carmine Buro (Prato), Pier Cesare Bori (Bologna), Pietro Del Zanna (Poggibonsi), Pierpaolo Loi (Monserrato - Cagliari), Raffaele Ibba (Cagliari), Maria Erminia Satta (Tempio Pausania), Andrea Zanetti (Orvieto), Lucia Agrati (Roma), Claudia Bernacchi (Padova), Marzia Manca (Cagliari), Maria Elena Sulis (Cagliari), Ignazio Carta (Cagliari), Frate Antonio Santini (Trieste), Ettorina Rubino (Trieste), Massimiliano Brignone (Torino), Danilo Villa (Monza), Maria Grazia Misani (Monza), Stefano Panozzo (Padova - Bruxelles), Tiziana Cimolino (Trieste), Francesca Cimolino (Trieste), Arianna Salan (Verona), Beatrice Pascucci (Cesena), Marco Rizzinelli (Marcheno - Brescia), Liliana Obad (Trieste), Gianfranco Aldrovandi (Guastalla), Paolo Predieri (Brescia), Pier Cesare Bori (Bologna), Giorgio Pellis (Trieste), Marzia Manca (Cagliari), Raffaele Ibba (Cagliari), Pietro Del Zanna (Poggibonsi), Marco Baleani (Gubbio), Paola, Giovanni, Benedetta Baleani (Gubbio), Alessandro Capuzzo (Trieste), Giorgio Pellis (Trieste), Anna Bellini (Ferrara), Claudia Pallottino (Torino), Massimiliano Brignone (Torino), Serena Pulcini (Trieste), Gloria Germani (San Casciano - Firenze), Teresa Piras (Iglesias), Edvino Ugolini (Trieste), Cristina Cometti (Milis - Oristano), Enrico Peyretti (Torino), Peppe Sini (Viterbo), Pasquale Dioguardi (Livorno), Mao Valpiana (Verona), Jolanda Spallitta (Alessandria), Enrico Gabbioneta (Sesto ed Uniti - Cremona), Raffaele Barbiero (Forli' - Cesena), Marco Rizzinelli (Marcheno - Brescia), Anna Bellini (Ferrara), Marco Palombo (Isola d'Elba - Roma), Tiziana Cimolino (Trieste), Rosaria Totino (Trieste), Antonio Poce (Ferentino - Frosinone), Tiziana Valpiana (Verona), Alessandro Natalini (Perugia), Loretta Viscuso (Verona), Cinzia Picchioni (Torino), Raffaele Ibba (Cagliari), Teresa Gargiulo (Salerno), Liliana Obad (Trieste), Caterina Giustolisi (Firenze), Andrea Ferralasco (Genova), Paolo Predieri (Brescia), Loredana Caletti (Sesto ed Uniti - Cremona), Antonio Santini (Trieste), Luciano Ferluga (Trieste), Tonino Bisceglia (Varazze - Savona), Furio Semerari (Bari), Gabriella Falcicchio (Bari), Gianni D'Elia (Rivalta di Torino), Ettorina Rubino (Trieste), Alessio Di Florio (Casalbordino - Chieti), Andrea Salvoni (Barga - Lucca), Marzia Manca (Cagliari), Samuele Venturi (Castel San Pietro Terme - Bologna), Graziella Prendivoi (Trieste), Luca Dorizzi (Verona), Marco Palombo (Isola d'Elba - Roma), Anna Bellini (Ferrara), frate Antonio Santini (Trieste), Francesco Spagnolo (Roma), Adriano Moratto (Brescia), Francesco Montanari (provincia Pesaro-Urbino), Aldo Matzeu (Settimo San Pietro - Cagliari), Francesco Comina (Bolzano/Bozen), Pierpaolo Loi (Monserrato - Cagliari), Luca Alberghi (Faenza - Ravenna), Massimiliano Brignone (Barbania - Torino), Claudia Pallottino (Barbania - Torino), Cinzia Picchioni (Torino), Teresa Gargiulo (Castellamare di Stabia - Napoli), Giovanni Mannino (Acireale - Catania), Lorenzo Porta (Firenze), Massimiliano Pilati (Lavis - Trento), Raffaella Mendolia (Mestre - Venezia), Anna Pau (Settimo San Pietro - Cagliari), Saverio Ciarrocchi (San Benedetto del Tronto), Silvana Valpiana (Verona), Elena Buccoliero (Ferrara), Daniele Lugli (Ferrara), Maria Longhi (Vicenza), Saverio Ciarrocchi (San Benedetto del Tronto), Antonio Saulle (Trieste), Marco Iannelli (Roma), Paolo Predieri (Brescia), Franca Maria Bagnoli (Pescara), Antonio Santini (Trieste), Liliana Obad (Trieste), Maddalena Soffi (Verona), Michele Boato (Mestre), Maria Cossu (Mestre), Marzia Manca (Cagliari), Giusi Danelon (Trieste), Anna Bellini (Ferrara), Marco Palombo (Isola d'Elba - Roma), Anna Bravo (Torino), Marco Rizzinelli (Marcheno - Brescia), Adalgisa Freddi (Marcheno - Brescia), Maurizio Grotta (Verona), Cinzia Picchioni (Torino), Graziella Prendivoi (Trieste), Anna Pau (Settimo San Pietro - Cagliari), Sandro Capuzzo (Trieste), Bruno Salvador (Treviso), Massimiliano Brignone (Barbania - Torino), Raffaele Ibba (Cagliari), Aldo Matzeu (Settimo San Pietro - Cagliari), Ignazio Carta (Cagliari), Maria Elena Sulis (Cagliari), Giovanni Chianchini (Chieti), Adriano Sincovich (Trieste), Daniele Taurino (Fiumicino - Roma), Tiziana Cimolino (Trieste), Pasquale Dioguardi.
Proseguono: martedi' 3 maggio: Rosaria Totino (Trieste), Silvana Valpiana (Verona), Oriana Gorinelli (Rivalta di Torino), Marzia Manca (Cagliari); mercoledi' 4 maggio: Marino Bergagna (Trieste), Marco Palombo (Isola d'Elba - Roma), Marco Rizzinelli (Marcheno - Brescia), Adalgisa Freddi (Marcheno - Brescia), Anna Bellini (Ferrara); giovedi' 5 maggio: Francesco Lo Cascio (Palermo); venerdi' 6 maggio: Raffaele Ibba (Cagliari), Teresa Gargiulo (Castellamare di Stabia - Napoli), Giovanni Mannino (Acireale - Catania), Marco Baleani (Gubbio), Marco Iannelli (Roma); sabato 7 maggio: Giovanni Chianchini (Chieti), Marco Iannelli (Roma); lunedi' 9 maggio: Mirella Mancini (Mestre - Venezia).
Evelina Savini (Jesi), Angela Genco (Jesi), Angela Liuzzi (Jesi) porteranno avanti il digiuno a staffetta, alternandosi, fino alla fine della guerra; Pasquale Dioguardi digiunera' tutti i lunedi'; Oriana Gorinelli digiunera' tutti i martedi'; Anna Bellini, Adalgisa Freddi, Marco Palombo e Marco Rizzinelli digiuneranno tutti i mercoledi'; Marco Baleani, Teresa Gargiulo, Raffaele Ibba e Giovanni Mannino digiuneranno tutti i venerdi'; Marco Iannelli digiunera' tutti i venerdi' e i sabato; Giovanni Cianchini digiunera' tutti i sabato. Alessandro Natalini e Marzia Manca digiuneranno un giorno a settimana.
3. RIFLESSIONE. LAURA CARLSEN: CHIAMATA ALLA RESISTENZA NONVIOLENTA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo.
Laura Carlsen e' direttrice dei Programmi per le Americhe del Centro per la Politica Internazionale di Citta' del Messico (www.cipamericas.org)]
Quando George W. Bush lascio' la Casa Bianca il resto del mondo respiro' di sollievo. La "dottrina della sicurezza nazionale" fatta di attacchi unilaterali, dell'invasione dell'Iraq motivata dal falso pretesto delle armi di distruzione di massa, e dell'abbandono dei forum multilaterali, aveva aperto una nuova fase nelle aggressioni statunitensi. Nonostante ad essere sotto i riflettori fosse il Medioriente, la crescente minaccia di un intervento armato americano gettava la sua lunga ombra su molte parti del mondo. Due anni piu' tardi, quel senso di sollievo ha lasciato il posto a profonda preoccupazione. Dopo aver sperato in qualcosa di almeno simile a politiche di buon vicinato e di (relativa) non ingerenza, ci troviamo a fronteggiare una nuova ondata di militarizzazione in America Latina sostenuta e promossa dall'amministrazione Obama.
In alcuni paesi, la militarizzazione gia' caratterizza la vita quotidiana; soldati con fucili d'assalto pattugliano i quartieri e convogli armati monopolizzano le strade. Per Haiti, Honduras, Messico e Colombia, le speranze di tornare ad una civile coesistenza pacifica sono state distrutte da questa ondata. In altri paesi, come Costa Rica, le nuove politiche concertate fra governi conservatori e il Dipartimento della difesa statunitense stanno forzando restrizioni civili e costituzionali con il coinvolgimento degli eserciti. Paura, caos e segretezza sono gli attrezzi preferiti per abbattere le barriere che frenano la militarizzazione.
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I costi della militarizzazione
Un esame di questo nuovo scenario rivela standard di vita deteriorati, aumento della violenza, migrazioni forzate, spostamento di priorita' nei finanziamenti dai bisogni di base della popolazione alle armi ed allo spionaggio, e violazioni dei diritti civili e dei diritti umani. Nella nostra regione, il paradigma anti-terrorista di Bush e' stato convertito - con ben poche differenze - nella guerra ai narcotici. Questo passaggio retorico serve a distanziare le politiche attuali dalla screditata dottrina della sicurezza nazionale dell'amministrazione Bush, che era largamente impopolare in America Latina, una regione che non e' interessata dalle minacce del terrorismo internazionale. I promotori della guerra alle droghe, invece, possono almeno puntare il dito su un problema reale e dei cattivi "classici".
Il pensiero "macho" se ne esce di nuovo con la solita vecchia storia del bene contro il male che si confrontano sul campo di battaglia sociale, con il solo possibile risultato di avere un vincitore e uno sconfitto. Come cittadini, noi siamo meri spettatori, chiamati ad ignorare la corruzione massiccia che cancella i confini fra i due contendenti e ad accettare il fatto che la battaglia non finira' mai.
Una volta che gli eserciti abbiano il compito di combattere i loro stessi concittadini sul suolo nazionale, lo spostamento del focus dai cartelli della droga all'obiettivo piu' vasto di occuparsi di qualsiasi supposta sfida allo stato e' un passo breve, storicamente provato. E' un passo che mette tutti i dissidenti, anche e specialmente quelli nonviolenti, fra le maglie dell'apparato repressivo statale. Cio' che vediamo oggi in America Latina e' che dietro agli scopi dichiarati ci sono gli obiettivi a lungo termine di controllare le risorse naturali e di garantirsi l'accesso ad esse: se necessario, con l'uso della forza.
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Le donne chiamano alla resistenza nonviolenta
In tutta la nostra regione le donne, fra i settori piu' vulnerabili e formalmente meno "potenti" della societa', si sono organizzate contro la violenza. Il loro ruolo fondamentale nei movimenti per la pace e contro la guerra non ha nulla a che fare con le argomentazioni fondamentaliste per cui le donne avrebbero un collegamento biologico piu' forte con la vita, che le porterebbe ad opporsi alle guerre. Abbiamo abbastanza esempi di donne, in politica e nella societa', che hanno promosso guerra e militarizzazione per smentire questa affermazione, e numerosi esempi di uomini che rifiutano di sostenere le guerre.
L'impegno delle donne che si organizzano contro la militarizzazione nasce dalle loro specifiche coscienze ed esperienze, e dai ruoli che rivestono nelle comunita'. Dalle "Femministe Resistenti" che hanno scelto di contrastare il colpo di stato in Honduras, alle Madri di Ciudad Juarez, in Messico, e' stata la terrificante violenza seminata dalle strategie di confronto armato e dal militarismo a motivare le donne alla mobilitazione per la pace e la democrazia. Cio' che hanno sperimentato le spinge ad agire.
Un'altra ragione che spiega il diffuso attivismo delle donne nei movimenti antimilitaristi e' che esse corrono rischi particolari sotto l'occupazione militare. Sono, o possono essere, vittime della violenza sessuale e di crimini basati sul genere, incluso l'uso sistematico dello stupro come arma di guerra e dell'abuso sessuale come punizione per le insubordinazioni. E' da un po' di tempo che sappiamo che lo stupro e l'abuso sessuale non sono meri atti individuali di soldati o "bottino di guerra": sono tattiche di dominio che impiegano i corpi delle donne come mezzi per raggiungere scopi politici e militari. Nondimeno, e' stato solo di recente che le Nazioni Unite hanno riconosciuto la violenza sessuale come crimine di guerra e questione riguardante la sicurezza internazionale. Nonostante l'adozione della Risoluzione 1325 dieci anni fa, l'impunita' relativa a questi casi continua, favorita dall'indifferenza dell'opinione pubblica, dalla debolezza dei sistemi giudiziari e dal potere detenuto dalle stesse forze militari responsabili degli abusi.
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L'organizzarsi delle donne nelle nazioni sotto assedio
L'Haiti di oggi e' un tragico esempio di violenza sessuale diffusa in un ambiente militarizzato. Nonostante la presenza di 12.000 soldati appartenenti alla Missione stabilizzatrice delle Nazioni Unite, dopo il terremoto del 12 gennaio 2010 centinaia e centinaia di casi di stupro sono stati denunciati nei campi profughi; un'ong ha riportato la cifra di 230 stupri in 15 campi totali solo fra gennaio e marzo dello stesso anno, una cifra statistica che sfortunatamente appare essere solo la punta dell'iceberg. La concentrazione del volontariato internazionale e lo spiegamento di truppe non sono serviti a proteggere le donne haitiane. Le testimonianze di quelle violentate nei campi profughi attestano che i soldati non rispondono alle loro denunce e notano che la militarizzazione del paese ha indirizzato un enorme ammontare di risorse alle truppe, risorse che se fossero state canalizzate in cibo e alloggi avrebbero tolto le donne da condizioni ad alto rischio. Il caso di Haiti mette in luce una volta di piu' l'importanza dello sviluppo di analisi basate sul genere dall'inizio degli sforzi per la pace, al fine di raggiungere una visione complessiva delle violenze e di rendere maggiormente inclusiva la definizione di "sicurezza".
Il contributo dato dalle donne ai movimenti antimilitaristi nei loro paesi non e' solo questione di sostegno ad organizzazioni popolari o di rappresentazione, sebbene siano entrambe cose importanti. Le donne hanno anche le loro specifiche richieste, in merito ai loro diritti umani ed all'uguaglianza di genere. Questa agenda deve essere un pilastro nella costruzione di giustizia sociale e pace duratura.
Quale che sia l'urgenza delle lotte contro la militarizzazione in numerosi luoghi, le donne non hanno messo da parte l'agenda femminista, ne' l'hanno lasciata per occuparsene "piu' tardi". Come spiega Adelay Carias delle "Femministe Resistenti": "Le immediate necessita' di contrastare l'esercito, di fermare la repressione e di tornare all'ordine costituzionale sono cio' che ci ha motivate e guidate in questa lotta. Ma anche, sin dall'inizio, abbiamo capito che era venuto il momento di porre le nostre richieste, di ampliare i confini del nostro progetto... I nostri slogan "No ai colpi di stato, no ai colpi alle donne", "Basta con il femminicidio", "Ne' lo stivale del soldato ne' la tonaca del prete contro le lesbiche", "Fuori i rosari dalle nostre ovaie", si potevano udire in tutte le citta' in cui abbiamo sfilato chiedendo pace, liberta', eguaglianza, democrazia, giustizia".
Yolanda Becerra, dell'Organizzazione popolare delle donne della Colombia, sottolinea che nel suo paese il movimento delle donne contro la militarizzazione e per la pace con giustizia, sta lottando "per tutti i diritti: il diritto di avere una vita dignitosa, il diritto di scegliere, il diritto di parlare, il diritto di mangiare pur essendo poveri...". Nell'agosto dello scorso anno, le donne colombiane hanno tenuto l'"Incontro internazionale delle donne e dei popoli d'America contro la militarizzazione" per costruire reti, discutere dei conflitti armati da una prospettiva di genere e "cercare modi per disarticolare la logica della guerra". Donne da tutto il mondo hanno partecipato all'evento, che era legato alle proteste contro l'accordo per permettere la presenza militare statunitense in almeno sette basi dell'esercito colombiano.
Le donne pagano un prezzo salato per la loro resistenza. Le femministe honduregne hanno presentato un rapporto il 2 novembre 2010 alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani in cui documentano centinaia di casi di stupro, abuso sessuale e violazione di diritti umani, nonche' l'assassinio di donne della resistenza per mano dei fautori del colpo di stato.
Alla colombiana Yolanda Becerra, dopo che aveva ricevuto molteplici minacce, la stessa Commissione garanti' delle misure protettive.
La senatrice Piedad Cordoba, nota oppositrice della militarizzazione del suo paese e sostenitrice di una soluzione negoziata del conflitto, descrisse la situazione della Colombia all'incontro internazionale succitato. Parlo' dei quattro milioni di rifugiati interni che sono il risultato della militarizzazione del paese e del "trasferimento di piu' di cinque milioni di ettari di terra, appartenenti ai campesinos, agli interessi della grande industria che finanzia i corpi paramilitari" e concluse: "Questa e' la ragione per cui le donne hanno deciso: non daremo piu' figli alla guerra. E' impossibile usare la guerra per fermare la guerra. La pace non e' solo una bella parola. La pace e' la necessita' di discutere come distribuire i benefici dello sviluppo, e' discutere dei destinatari della ricchezza. Ci stiamo confrontando con uno stato che militarizza il pensiero, che militarizza persino il desiderio, l'amore, l'amicizia. Qualsiasi cosa accada, dobbiamo usare le nostre voci per protestare contro la guerra".
La risposta del governo alle coraggiose parole di Cordoba fu velocissima. Neppure un mese dopo la sua partecipazione al meeting delle donne contro la militarizzazione, le fu tolto il seggio al Senato e fu bandita da qualsiasi carica pubblica per 18 anni. Il governo della "sicurezza democratica", l'ultima versione della militarizzazione, l'ha accusata di contatti con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). Cordoba aveva in effetti partecipato alle negoziazioni ufficiali con le Farc - che sono solo un'altra espressione delle strutture militari patriarcali - ed ottenuto il rilascio di numerosi ostaggi. Dice che le misure del governo non la deruberanno della sua voce e continua a giocare un ruolo importante nel movimento per la pace.
Ora le donne messicane stanno cominciando a soffrire cio' che le loro colleghe colombiane conoscono da decenni. La militarizzazione del Messico, tramite il pretesto della "guerra alla droga" e le iniziative statunitensi, ha raggiunto livelli scioccanti, cosi' come il numero delle persone uccise grazie ad essa. In Messico, come in Colombia, sono le donne le prime linee delle nuove organizzazioni contro la militarizzazione.
Fu una donna, la madre di un giovane assassinato, ad interrompere il discorso di Calderon a Ciudad Juarez nel febbraio 2010. Grido' la sua protesta contro la fallita strategia di sicurezza che ha fatto della citta' territorio occupato, e che ha aumentato di piu' di dieci volte il numero degli omicidi. Sono state le donne ad alzarsi in piedi e a voltare la schiena a un presidente che aveva promesso sicurezza ed ha consegnato morte. E continuano ad essere le donne, all'interno di movimenti propri o misti, quelle che rigettano l'affermazione del governo - ripetuta sino alla nausea - che le morti dei loro figli sono prezzi ragionevoli da pagare per la lotta al crimine organizzato. Sul confine nord del Messico, i difensori dei diritti umani sono stati giustiziati o esiliati. I loro casi sono diversi da quelli delle giovani donne vittime del femminicidio, tuttavia l'impunita' regna sovrana per i persecutori di entrambi.
La militarizzazione ha un impatto diretto sulle vite delle donne e sulle forme della loro resistenza. Daisy Flores delle "Femministe Resistenti" racconta la sua esperienza: "Nel giro di un anno, abbiamo dovuto imparare a convivere con la tristezza, con il senso di impotenza, con la rabbia, la paura e la disperazione. Per quanto la dittatura cerchi di mostrarsi con una bella faccia, ti basta camminare per la strada per sapere che il paese e' ora di proprieta' dell'esercito. Per cui, abbiamo dovuto essere creative: apprendere come fronteggiare le minacce, come non essere uccise, arrestate, stuprate o rapite. E nonostante i rischi ci rifiutiamo di rinunciare all'idea di democrazia, democrazia vera, quella che ci hanno rubato con i loro fucili, con i gas lacrimogeni, con i pestaggi e gli omicidi. Per questo continuiamo a protestare, anche se cio' mette a rischio le nostre vite".
Le reti di solidarieta' fra donne a livello internazionale sino ad ora hanno funzionato sporadicamente o in modo effimero. Le donne che si oppongono alla militarizzazione in situazioni di conflitto, e le loro famiglie, sono esposte al rischio di assassinio, abuso sessuale, violenza fisica e psicologica. Dobbiamo costruire reti di risposta rapida, di modo che nessuna donna che alzi la voce contro la militarizzazione si trovi da sola. Il processo deve essere velocizzato, prima che la militarizzazione diventi un aspetto "normale" della vita e distrugga il tessuto sociale che e' la base per una pace durevole.
Questa e' la grande sfida che tutte noi abbiamo davanti.
4. ESPERIENZE. ELENA RIBET INTERVISTA CHRISTINE WEISE
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo la seguente intervista dal titolo "Intervista a Christine Weise. Buon compleanno Amnesty International. 50 anni di storia, 50 anni di azioni per i diritti umani, tre milioni di persone associate e sostenitrici".
Elena Ribet e' nata nel 1973 a Roma, dove attualmente vive e lavora occupandosi della comunicazione per una onlus che promuove l'integrazione delle persone con disabilita' intellettiva. Si interessa di ecumenismo, teologia e integrazione culturale. Ha presieduto il convegno interreligioso Religione, pace e violenza (5 e 6 aprile 2003, Mappano, Torino). Il suo intervento "La Marialis Cultus: una lettura evangelica" e' inserito negli atti del XV Colloquio Internazionale di Mariologia, Patti (Messina), 16 e 18 aprile 2004 (Edizioni Ami, Roma, 2005). Ha partecipato all'allestimento del musical Israel, dove vai? di Daniel Lifschitz sulle vicende e contraddizioni del popolo ebraico nella storia, curandone anche l'ufficio stampa. Collabora con riviste e periodici fra cui il settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi "Riforma" e il mensile "Noidonne". E' vincitrice del quinto concorso Le donne pensano, le donne scrivono, sezione poesia, promosso dalla Citta' di Torino, VI Circoscrizione, e dal Centro Donna, ed e' stata pubblicata nell'antologia del premio. Tra le opere di Elena Ribet: Diario dei quattro nomi, Edizioni Joker, 2005]
Christine Weise e' presidente di Amnesty International sezione italiana dal 2009. Nata in Germania, ha due figli, due lauree, e da sempre e' attivista per i diritti umani. Sotto la sua presidenza a maggio si celebrera', anche nel nostro Paese, il 50mo compleanno dell'organizzazione.
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- Elena Ribet: Come si festeggeranno i primi 50 anni di Amnesty International?
- Christine Weise: L'evento su cui si concentrera' l'attenzione mondiale e' previsto per il 28 maggio. Ci sara' il brindisi per i diritti umani e per la liberta', a partire da Londra e ovunque nel mondo, dove celebreremo questo momento con tanti eventi contemporaneamente insieme agli attivisti. In Italia i gruppi locali organizzeranno eventi in moltissime citta', nelle piazze e presso i monumenti, coinvolgendo la societa' civile, i soci e le socie. Sara' una giornata dell'attivismo, un momento importante per promuovere le iscrizioni, per la diffusione degli appelli e delle campagne, in particolare quella sulla pena di morte in Usa e Iran. Stiamo convogliando grandi energie in favore della liberta' di espressione, per sensibilizzare sugli individui a rischio e i prigionieri di opinione, per i diritti sessuali e riproduttivi, ad esempio in Nicaragua. Inoltre stiamo promuovendo azioni per la responsabilizzazione delle aziende petrolifere nel delta del Niger, zona di grande ricchezza ambientale, con 30 milioni di abitanti, che da decenni viene inquinata e dove avvengono gravissime violazioni del diritto alla salute e di altri diritti umani.
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- Elena Ribet: Amnesty International continua ad essere un punto di riferimento importante sia come osservatorio dei diritti umani nel mondo, sia come punto nevralgico per azioni urgenti e mobilitazioni. Quanto contano la vostra esperienza e autorevolezza per la risoluzione delle violazioni dei diritti?
- Christine Weise: La forza di Amnesty International sta nella capacita' di collegare due azioni; da una parte la ricerca molto approfondita sui singoli paesi, che sfocia nella pubblicazione di rapporti dettagliati, noti per la loro imparzialita' e precisione; dall'altra parte la capacita' di attivazione immediata di un grande numero di persone in tutto il mondo. Al momento possiamo contare su tre milioni di soci e sostenitori, fra i quali moltissime persone disposte a manifestare in piazza, a scrivere lettere, firmare appelli individuali. In questi 50 anni Amnesty International, grazie alle informazioni accurate che abbiamo raccolto, e' diventata un interlocutore rispettato dall'opinione pubblica, da organizzazioni internazionali e dai governi. Quando Amnesty chiama ad agire, viene ascoltata. Di recente abbiamo fatto appello alle Nazioni Unite sollecitando l'adozione di sanzioni contro il governo libico e dopo una settimana le nostre richieste si sono trasformate in una decisione unanime del Consiglio di sicurezza. Senz'altro l'azione capillare di moltissimi soci che chiedono di fermare l'esecuzione di persone condannate a morte puo' avere effetto. Non sempre si riesce a fermare il boia, o a salvare prigionieri di coscienza, ma e' importante comunque contribuire a una costante educazione ai diritti umani, a far crescere la consapevolezze che la lotta per il rispetto dei diritti umani deve continuare. Ogni generazione deve nuovamente conquistare dei diritti; a volte pensiamo che siamo liberi, che non ce ne sia bisogno, ma la storia ci dimostra che la tendenza a erodere i diritti conquistati e' sempre in agguato, ed e' quindi molto importante che i giovani siano consapevoli, far presente che i diritti spettano a ogni persona e che vanno protetti, che bisogna lottare per questo.
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- Elena Ribet: Quali sono le azioni di Amnesty rivolte specificamente alle donne?
- Christine Weise: Amnesty ha svolto una grandissima campagna mondiale contro la violenza sulle donne dal 2004 al 2010. Le campagne mondiali hanno solitamente un iter di sei anni, ma vista la gravita' delle violazioni dei diritti umani delle donne l'attenzione su temi specifici resta alta. Abbiamo contribuito a far capire che la violenza contro le donne e' una gravissima violazione dei diritti umani e che le donne hanno esigenze particolari perche' spesso subiscono discriminazioni incrociate, che raddoppiano o triplicano i rischi, pensiamo alle donne sole con figli, oppure alle portatrici di handicap, o alle donne straniere. Come movimento abbiamo capito e fatto capire l'importanza dei diritti sessuali e riproduttivi, abbiamo promosso azioni concrete contro la minaccia della violenza domestica. L'autodeterminazione della donna rispetto al proprio corpo, il controllo della propria fertilita' sono diritti che per le donne vengono continuamente messi in discussione, anche a causa di motivazioni culturali o religiose. Nell'ambito della nostra nuova campagna mondiale, "Io pretendo dignita'", che mette al centro i diritti economici e sociali, abbiamo intrapreso delle azioni contro la mortalita' materna. Nell'Africa subsahariana ad esempio, donne povere che faticano a sfamare i figli non hanno accesso agli strumenti per controllare la propria fertilita' e devono a volte affrontare gravidanze che le indeboliscono enormemente. Nel caso di complicanze in gravidanza o durante il parto, in alcuni paesi dell'Africa subsahariana, muore una donna su otto, mentre nei paesi industrializzati in caso di complicanze la mortalita' materna e' stimata in 1 su 25.000. L'azione di Amnesty ha gia' dato i primi frutti, con due governi africani (Sierra Leone e Burkina Faso) che si sono impegnati a migliorare l'accesso delle donne alle strutture sanitarie.
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- Elena Ribet: Come e' arrivata a questo incarico?
- Christine Weise: Ho conosciuto Amnesty a scuola e mi sono iscritta durante gli studi universitari, mentre trascorrevo un semestre in Italia. Mi sono trasferita poi dalla Germania a Bologna, e c'e' stata una "parentesi" per fare due figli, momento in cui e' difficile coniugare attivita' lavorativa, familiare e il volontariato. Nel 2001, con i bambini un po' piu' grandi, ho sentito la necessita' di un impegno ulteriore. Ogni persona ha bisogno di sentire di poter cambiare il mondo, di essere utile in qualche modo per lo sviluppo delle idee in cui crede, di fare qualche azione concreta nella societa'. Mi riconosco pienamente nella visione e missione di Amnesty, il cui motto potrebbe essere sintetizzato cosi': "tutti i diritti umani per tutti". Se ognuno porta il suo piccolo contributo, attraverso cose anche molto semplici come inviare una lettera, essendo tanti abbiamo una grande forza. Ho voluto contribuire prendendomi delle responsabilita' in prima persona, sono entrata nel comitato direttivo nel 2004, mi sono candidata nel 2009, e sono diventata presidente con l'idea di portare un contributo femminile. A volte e' difficile trovare candidate, perche' come donne abbiamo responsabilita' in molti campi. Non e' facile trovare il tempo e le energie per impegnarsi in un ruolo politico. Da parte mia, che sono una donna normale, ho sentito la responsabilita' di far vedere che si puo' fare.
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- Elena Ribet: Guardando la situazione mondiale, dal Nordafrica, alla Birmania solo per fare due esempi, con le nuove rivoluzioni, le dittature, le proteste, i movimenti... Che effetti possono avere gli avvenimenti di questi giorni rispetto ai diritti umani?
- Christine Weise: Quello che abbiamo visto in queste settimane ha un grandissimo fascino per noi attiviste e attivisti di Amnesty. Ovviamente denunciamo le gravi violazioni commesse su manifestanti pacifici, maltrattati o uccisi. Ma il fermento di liberta', il coraggio di manifestare per i diritti in questi paesi, da cui non ci si aspettava che andassero verso la democrazia, perche' eravamo abituati a vedere i governi reprimere la liberta' di espressione e di associazione, questo fermento di liberta' e' la dimostrazione che qualcosa sta cambiando, Questo contagio che si trasmette da un paese all'altro grazie ai giovani, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione e informazione, che coinvolge anche molte donne in paesi dove i diritti delle donne sono spesso fortemente violati, sono di stimolo per azioni politiche nuove. Queste piazze fanno ripensare all'89, a Budapest, Berlino e Bucarest - e purtroppo anche alla Cina di Tienanmen; ora siamo con il fiato sospeso, mentre si sta sviluppando un'escalation di violenza in Libia. Pero' speriamo che dalla Tunisia all'Egitto, come nell'89 in Europa, prevalga quel sentimento di liberta' che ha fatto crollare il Muro di Berlino. E' una stagione storica in cui c'e' una grande responsabilita' dell'Europa. Allora ebbe un ruolo positivo di aiuto e sostegno concreto, ed e' questo che occorre ora in Nordafrica. Non serve creare paure inutili dicendo che arrivera' un flusso di rifugiati, ma serve intanto agire sull'emergenza umanitaria, attrezzarci per aiutare e accogliere con dignita' le persone. Contemporaneamente, aiutare questi paesi a costruire istituzioni democratiche e possibilita' economiche, perche' i conflitti nascono dove non vengono rispettati i diritti umani: i diritti civili e politici ma anche quelli economici e sociali. L'Europa ha il dovere e l'interesse che questi paesi possano godere di uno sviluppo pacifico, perche' creare barriere culturali non aiuta a costruire un rispetto reciproco. Non serve reagire pensando solo alla sicurezza e alla difesa di una fortezza fatta anche di privilegi. Dobbiamo reagire pensando ai diritti universali per aiutare a costruire un mondo migliore.
5. PROFILI. SYLVIE COYAUD: MARY-CLAIRE KING
[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it
Sylvie Coyaud "nata a Parigi, residente a Milano, parla di scienza alla radio dal 1987 e ne scrive su D. La Repubblica delle Donne, Il Sole - 24 Ore, varie testate on-line (e non); e anche sul suo blog. Va fiera di premi, medaglie e riconoscimenti per la divulgazione, in particolare che nel 2003 degli astronomi abbiano dato il suo nome a un asteroide e nel 2009 degli entomologi a un bel buprestide verde dai grandi occhi rossi, l'Agrilus coyaudi. Ultimo libro: La scomparsa delle api, Mondadori, 2008. Penultimo: Lucciole e Stelle, brevi storie di ricerche serie e no, La Chiocciola, 2006"]
Mary-Claire King (Chicago 1946 - vivente).
Laureata in matematica a 19 anni, nel 1973 ottiene il dottorato in genetica all'universita' della California, a Berkeley, con un modello teorico il quale prevede che noi e gli scimpanze' abbiamo tra 98 e 99% di geni comuni. Dopo un periodo di ricerca all'universita' di San Francisco, diventa professore a Berkeley, che lascera' nel 1996 per l'universita' di Washington, a Seattle.
D'estate insegna da volontaria all'universita' di Santiago e nel 1973, dopo il golpe contro il governo Allende, vede i militari rastrellare i suoi studenti, da allora non ha piu' smesso di militare contro guerre e dittature. All'inizio degli anni Ottanta e' a Buenos Aires dalle nonne della Plaza de Mayo che cercano di rintracciare i nipotini desaparecidos. Dalle gocce di sangue prelevate ai parenti crea un test per accertare in quale famiglia erano nati i ragazzi che i militari rivendicano come figli propri. Con un test simile smentisce il presidente Reagan, dimostrando che e' stato un battaglione addestrato dall'esercito americano e non i guerriglieri ad aver sterminato i 750 abitanti di El Mozote nel Salvador. E cosi' in Bosnia, in Ruanda o in Medioriente per conto del Tribunale internazionale per i crimini contro l'umanita', o in California per aiutare i braccianti messicani che si ammalano di tumore nei campi irrorati con erbicidi e pesticidi.
Milita anche contro la "privatizzazione" dei geni umani. Paradossalmente nel 1990 e' stata lei a identificare il gene Brac1 e le mutazioni ereditarie che contribuiscono al cancro al seno. A clonare il gene pero' e' un ricercatore dell'universita' di Salt Lake City. Dieci anni dopo la societa' Myriad Genetics, anch'essa di Salt Lake City, mette in commercio un test per determinare la percentuale rischio di tumore al seno, sfruttando un brevetto che le attribuisce il monopolio del gene e di qualsiasi metodo per la sua analisi. Myriad si ritiene anche titolare del gene Brca2 identificato insieme a Mary-Claire King da ricercatori inglesi dell'universita' di Cambridge, perche' ha acquistato la spin-off che ne aveva la licenza. Ma l'universita' fa valere in tribunale che il brevetto e' suo e in attesa che la causa si concluda, lo regala alla fondazione Cancer Research Uk. L'Ufficio brevetti europeo che nel 2001 aveva riconosciuto quelli di Myriad, ritorna sulla propria decisione ed esclude il Brca2. A Mary-Claire King non basta. Con i ricercatori dell'Istituto Curie identifica decine di mutazioni su altri sette geni del cancro al seno e alle ovaie, e l'Istituto ne deriva un test molto piu' preciso e al prezzo di 650 euro, invece dei 3.000 dollari necessari per quello Myriad.
L'azienda ne vende lo stesso da 35 a 38 milioni all'anno, con alti margini di profitto garantiti dal fatto che negli Stati Uniti nessun brevetto americano su un gene umano e' mai stato invalidato - ne sono stati concessi ventimila, quasi tutti negli Stati Uniti che difendono strenuamente la propria "economia basata sulla conoscenza"; sono il primo produttore ed esportatore al mondo di proprieta' intellettuale, e non solo nel settore biotech, si pensi a Microsoft o a Google.
Nel maggio 2009 pero', associazioni di ricercatori, medici, pazienti e volontari, fondazioni e private cittadine, e l'American Civil Liberties Union intentano una causa non a Myriad, bensi' all'Ufficio brevetti statunitense per aver concesso a un "prodotto della natura" una tutela riservata per legge alle "invenzioni dell'ingegno". Il 29 marzo 2010, il giudice dichiara invalidi i brevetti sui due geni. Per i quotidiani americani e' "una bomba", per gli esperti di diritto, "una sentenza che lascia a bocca aperta", per l'Aclu "una vittoria del popolo americano".
"E' un primo passo, ma importante per pazienti e medici" dice Mary-Claire King senza troppe illusioni: Myriad fara' appello con l'appoggio dell'intera industria biotech. Pero' mentre stava aspettando la sentenza, ha "ricevuto un regalo". Tre ricercatori le hanno anticipato una scoperta (pubblicata nel maggio 2010 dalla rivista "Genomics" sotto un titolo insolitamente sarcastico: "Metastasi del brevetto per il gene Brca1") di cui i prossimi giudici dovranno tenere conto. Nelle banche dei geni - dove sono raccolte le descrizioni di ciascuno - hanno trovato, depositate anni prima, le sequenze del Brca1 che nella richiesta di brevetto Myriad descriveva come inedite.
6. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.
Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Pierre Bornecque, Profil d'une oeuvre: Rousseau, Les reveries, Hatier, Paris 1978, pp. 80.
- Henri Dumazeau, Profil d'une oeuvre: Malraux, La condition humaine, Hatier, Paris 1974, 1982, pp. 96.
- Arnaud Laster, Profil d'une oeuvre: Prevert, Paroles, Hatier, Paris 1972, 1980, pp. 80.
- Yves Rey-Herme, Profil d'une oeuvre: De Gaulle ecrivain, Memoires de guerre, Hatier, Paris 1978, pp. 80.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 544 del 3 maggio 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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