Nonviolenza. Femminile plurale. 294



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 294 del 13 marzo 2011

 

In questo numero:

1. Barbara Bertoncin intervista Lea Melandri

2. Barbara Bertoncin intervista Luisa Muraro

 

1. RIFLESSIONE. BARBARA BERTONCIN INTERVISTA LEA MELANDRI

[Dalla bella rivista "Una citta'" (sito: www.unacitta.it) n. 182 del marzo 2011 col titolo "Femminista non si puo' dire" e il sommario "Un dibattito, quello sul 13 febbraio, che non a caso ha rimesso assieme le femministe storiche, perche' i temi erano quelli di allora: il corpo, la sessualita'...; l'ambivalente dimensione della cura, un potere sostitutivo usato dalle donne in mancanza d'altro; l'assenza, nel femminismo, della parola amore. Intervista a Lea Melandri".

Barbara Bertoncin e' giornalista e saggista, scrive sulla rivista "Una citta'". Opere di Barbara Bertoncin: (a cura di), Come la pioggia, Donne marocchine raccontano il loro impegno, Una Citta', Forli' 2010.

Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Tra le opere di Lea Melandri segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Amore e violenza, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

 

Lea Melandri, femminista e saggista, tiene corsi presso la Libera Universita' delle Donne di Milano. Ha scritto, tra l'altro, L'infamia originaria (Erba Voglio 1977, Manifestolibri 1997), Come nasce il sogno d'amore (Rizzoli 1988, Bollati Boringhieri 2002), Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta (Fondazione Badaracco - Franco Angeli 2008). E' uscito in questi giorni Amore e violenza. Il fattore molesto della civilta' (Bollati Boringhieri 2011).

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- Barbara Bertoncin: Il dibattito scatenato dalla manifestazione del 13 febbraio, curiosamente, ha visto le femministe storiche assumere delle posizioni molto simili, nonostante le divisioni che in passato le avevano viste in conflitto.

- Lea Melandri: E' vero. Chi ha seguito un po' il mio percorso sa che ho scritto a lungo e in modo critico rispetto al "pensiero della differenza", cosi' come ha preso forma negli scritti della Libreria delle donne di Milano. Il mio rapporto con Luisa Muraro, cominciato nel 1967, ha avuto non pochi momenti di divergenza. In quest'occasione, invece, il femminismo storico ha assunto posizioni molto simili. Cio' non deve stupire, perche' al centro della manifestazione c'erano i temi fondamentali di quella che e' stata la rivoluzione del movimento delle donne degli anni Settanta. Mi riferisco al corpo, alla sessualita', al rapporto di potere tra i sessi: temi insoliti per la vita pubblica. In quegli inizi, infatti, si manifestava sulla questione della maternita', dell'aborto, della violenza sessuale, del divorzio, cioe' su quello che e' stato storicamente il "privato" e che il femminismo e' andato a ridefinire dicendo: "Nella vita personale e' stata confinata gran parte della storia non scritta della politica e della cultura". Molti rapporti di potere passano all'interno delle case, nei rapporti di coppia, nella famiglia, attraverso una sessualita' che e' stata ridotta a funzione procreativa o messa al servizio del piacere maschile. La grande rivoluzione degli anni Settanta e' stata portare allo scoperto una materia ritenuta tradizionalmente "non politica", confinata nel vissuto del singolo.

Le vicende essenziali degli esseri umani - il nascere, l'amore, la sessualita', l'invecchiamento, la morte - sono state, paradossalmente, considerate insignificanti per la storia, per la politica e per la cultura.

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- Barbara Bertoncin: Qual e' il grande cambiamento tra gli anni Sessanta e la situazione attuale?

- Lea Melandri: Oggi il corpo, il privato, la vita intima, la fanno da protagonisti nella vita pubblica. In virtu' di che cosa? Purtroppo non solo e non tanto come effetto della cultura del femminismo, e tanto meno nei modi in cui ci si era prospettate il cambiamento.

Noi partivamo dal corpo - il luogo piu' lontano della politica - ma con l'idea che da li' potesse nascere uno sguardo nuovo e diverso per interrogare la vita pubblica, le sue istituzioni, i suoi saperi.

La grande ambizione di quel movimento si esprimeva in una formula che ora, a distanza, fa tenerezza: "modificazione di se' e del mondo", dicevamo.

Rossana Rossanda ebbe allora a dire: "Sono andate nelle lande piu' deserte, persino nell'inconscio", riconoscendo che nello scavo in profondita' inesplorate c'era qualcosa che scardinava la storia della sinistra: non un suo complemento ma una "cultura antagonista", che la metteva in discussione alla radice. Non a caso, ai livelli alti della cultura e della politica, il femminismo trovo' un muro. Lo ha riconosciuto poco tempo fa la stessa Rossanda, a cui mi lega una lunga amicizia: "Non vi abbiamo contrastato, vi abbiamo proprio osteggiato", mi ha detto. Al che le ho risposto: "Beh, dovevi dirlo prima, forse qualcosa cambiava!".

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- Barbara Bertoncin: Tu hai visto con sospetto soprattutto questa chiamata in soccorso rivolta alle donne...

- Lea Melandri: Diciamo la verita': la questione sesso-denaro-potere comincia molto prima del 13 febbraio. La discussione risale a piu' di un anno fa con la "questione Noemi" e l'uscita pubblica di Veronica Lario. Ricordo che il primo articolo che ho scritto allora si intitolava "Antiberlusconismo e conflitto tra i sessi". Gia' li' avevo visto delinearsi qualcosa che destava in me una certa diffidenza. In particolare mi insospettiva veder incanalata tutta la questione uomo-donna, che e' enorme e complessa, nella figura e nel ruolo del Presidente del Consiglio.

Il mio timore era che, incanalando la problematica del conflitto tra i sessi e il tema sesso-denaro nella figura di Berlusconi, inevitabilmente il dibattito non solo si sarebbe impoverito, ma ne sarebbe uscito completamente deformato.

Una vicenda che parla dei nessi tra sfera personale e sfera politica si riduceva al privato di una figura pubblica di alto rilievo: la politicita' della questione veniva solo dal fatto che toccava un'istituzione della politica.

Io ho seguito attentamente il dibattito cosi' come e' emerso allora e ricordo bene che a discutere del corpo delle donne, di sessualita', denaro e potere, erano quasi sempre solo uomini. Ogni tanto qualcuno faceva riferimento allo slogan del femminismo, "il personale e' politico", ma piu' in la' non si andava. In quell'occasione la cosa piu' ovvia sarebbe stata chiamare qualcuna delle donne che si sono occupate di questi temi, ma nessuna di noi e' stata anche soltanto intervistata.

Segui' poi la chiamata alla mobilitazione da parte di due giornali - "La Repubblica" e "L'unita'" - che quasi mai si erano occupati della cultura femminista. Nel momento in cui viene allo scoperto la questione Berlusconi-Noemi-D'Addario, improvvisamente la parola femminismo torna in auge. Per tanti anni era stata impronunciabile. Quando mi invitavano a conferenze e mi chiedevano "Lei come vuol essere presentata?", io dicevo: "saggista, scrittrice, femminista". "Ah, signora, no. Femminista non si puo' dire". Quasi fosse una parolaccia.

Non solo, sempre nel corso di quella estate, a un certo punto, sulla "Repubblica" leggo un articolo di Nadia Urbinati che parla del "silenzio del femminismo". Non ci ho visto piu': il silenzio era stato "sul femminismo", non "del femminismo"! Mandai anche una lettera a Corrado Augias che, ovviamente, non venne pubblicata.

Questo per dire che l'impressione di strumentalita', in quella chiamata alla "rivolta delle donne", non era poi cosi' peregrina. Quando dico che delle donne ci si occupa solo quando servono, intendo questo.

E' una storia vecchia. Nell'immaginario dei sessi che abbiamo ereditato, le donne sono o i corpi erotici che provocano un'irrefrenabile desiderio maschile (quindi dannazione, colpa e peccato) o lo spirito integro che puo' salvare una civilta' in declino. La donna angelicata e la prostituta sono due figure classiche. Per questo, a proposito del 13 febbraio, io ho scritto "Noi non siamo l'esercito della salvezza", e Luisa Muraro: "Noi non siamo le truppe ausiliarie". In sostanza, intendevamo dire: "Noi non ci stiamo a essere la risorsa a cui si ricorre solo nel bisogno".

Quindi le critiche, i dubbi, gli interrogativi sono venuti a ragione, secondo me, ed e' emblematico che siano partiti da chi su questi temi riflette e scrive da oltre quarant'anni. Spero tuttavia che questa volta le donne abbiano la forza di restare in relazione fra di loro, anche confliggendo, contrastandosi, ma senza contrapporsi, senza pensare che chi muove critiche sia un nemico, uno che lotta "contro".

Io ho sofferto molto per questa logica contrappositiva. Sui palchi, a Roma e a Milano, c'erano amiche a me molto care, con cui lavoro da anni e che si sono viste attaccate dai miei articoli sugli appelli del 13 febbraio.

Nei collettivi femministi degli anni Settanta non mancavano divergenze, ma non era cosi' importante il fatto che alcune aderissero e altre no a una manifestazione. Alcune andavano e altre no. Importante era che discutevamo sempre insieme, nelle stesse assemblee, prima, durante e dopo. Quello che contava era la riflessione che accompagnava questi avvenimenti e che durava mesi, anni. Alle manifestazioni di allora tante donne del femminismo non sono mai venute. Quando Luisa Muraro, Lia Cigarini, Daniela Pellegrini hanno detto: "Noi non andiamo", io non ho potuto fare a meno di pensare: "Beh, non sono mai andate". Io invece andavo sempre e anche il 13 febbraio ho partecipato, sia pure con un certo disagio, per tutto quello che degli appelli non avevo condiviso.

Non vorrei che ora il fatto di esserci state o meno diventasse la ragione di altre divisioni. Il movimento delle donne e' articolato. Gli uomini se ne dicono e se ne fanno di tutti i colori tra di loro. Perche' noi dobbiamo essere sempre un corpo unico, indifferenziato al proprio interno? Quando vedono che abbiamo divergenze tra noi, il commento e' "beghe tra donne". Come mai il femminismo non dovrebbe avere posizioni diverse? Perche' non possiamo sostenere un conflitto? Il conflitto non e' la guerra. Il conflitto e' la vita, e' la liberta' di poter dire sono d'accordo, non sono d'accordo, e' fonte di grande vitalita'.

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- Barbara Bertoncin: Le femministe sono state accusate di non aver fatto abbastanza per impedire che si diffondesse questa immagine degradata del femminile ridotto a corpo in vendita, corpo esposto, corpo immagine eccetera...

- Lea Melandri: In realta' noi sul corpo delle donne abbiamo scritto e detto tantissimo. Se almeno qualcosa fosse stato raccolto, forse l'immagine del femminile che vediamo oggi in televisione e nella pubblicita' sarebbe un po' diversa. Purtroppo i mezzi di comunicazione non hanno mai dato voce al modello che andava nascendo da una consapevolezza nuova dei rapporti uomo-donna. Di questi altri modi di essere donna, che si venivano diffondendo nella societa', i media non si sono occupati.

A pensarci bene, il "bunga bunga" noi lo vediamo tutte le sere negli studi tv. Berlusconi, usando del suo potere e della sua ricchezza, e' come se avesse trasferito nelle sue ville un format televisivo, ad uso esclusivo proprio e dei suoi amici. Ma la domanda e' legittima: perche' c'e' stata esitazione a denunciare il degrado crescente nella rappresentazione del femminile? Perche' non siamo intervenute tempestivamente? Perche' non abbiamo fatto manifestazioni prima?

Direi che ha contato per molte la preoccupazione di sembrare moraliste e bacchettone, il rischio di contrapporre alla donna che si esibisce come corpo erotico, l'immagine dignitosa della brava moglie, della buona madre, della inappuntabile professionista.

Qui si tocca una questione di fondo. Noi abbiamo sempre sostenuto che c'e' offesa alla dignita' delle donne, alla loro liberta', anche quando vengono ridotte al ruolo di madre, non solo quando si pongono come oggetto del desiderio. Il corpo femminile e' "al servizio" sia quando da' piacere sessuale sia quando si prodiga per la conservazione della vita.

Perche' non dovrebbe offendere lo sfruttamento che viene fatto del lavoro di cura, un lavoro gratuito, non riconosciuto come tale e considerato "naturale" compito femminile?

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- Barbara Bertoncin: Un altro rimprovero che e' stato mosso alle femministe e' di non essersi occupate delle istituzioni...

- Lea Melandri: Io appartengo a quella parte di femminismo che non ha sottoscritto lo slogan che faceva da titolo al libro della Libreria delle donne, Non credere di avere dei diritti...

Io credo che i diritti siano importanti, che le leggi abbiamo un valore forte. Il fatto che ci siano una legge sull'aborto, sul divorzio, oltre a modificare le condizioni reali e materiali nei rapporti fra uomini e donne, ha anche un valore simbolico. Quando un cambiamento viene iscritto in una legge diventa visibile. Non sono quindi pregiudizialmente contraria, penso pero' che le leggi e i diritti non scalfiscano la realta' a fondo, anche perche' spesso non vengono applicati. Basta andare in un asilo o in una scuola elementare per accorgersi che i modelli del maschile e del femminile sono gia' presenti, precocemente, nei bambini.

C'e' poi un altro discorso da fare. Ci possono essere diritti e leggi che garantiscono una presenza delle donne nelle istituzioni, nella vita pubblica, e che siano invece le donne stesse a non volerne usufruire. Lo rilevava gia' Sibilla Aleramo all'inizio del '900. Vanno bene - diceva - l'emancipazione, l'uguaglianza, ma quando sono le donne stesse che, obbedendo ad altre regole interne, di educazione, non ne vogliono sapere?

Si puo' conquistare il cinquanta e cinquanta nelle candidature e non trovare le donne disposte a candidarsi. Questo pone un interrogativo che ci costringe a spostare l'attenzione altrove. Non si tratta di escludere la strada delle leggi: sono convinta, ad esempio, che una legge che imponga il congedo parentale obbligatorio per gli uomini - Susanna Camusso ha espresso questa posizione - qualche effetto lo produrrebbe. Nel Nord Europa qualche risultato c'e' stato. Pero' anche li': basta l'imposizione dall'alto per cambiare profondamente le cose? Io penso di no.

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- Barbara Bertoncin: Tu definisci quello tra uomo e donna un "dominio particolarissimo". Puoi spiegare?

- Lea Melandri: Perche' e' cosi' difficile portare allo scoperto, dopo millenni, la questione uomo-donna? Se siamo ancora qui a parlarne, e' perche' sicuramente non e' un domino come gli altri. E' una violenza che si e' confusa con l'amore. Nasce un rapporto d'amore e, chissa' come, da li' dentro, escono pulsioni aggressive. Gli omicidi in famiglia la dicono lunga su questa confusione, ma anche su quello che e' stato un tema centrale nella storia del femminismo: cioe' la ricerca dell'autonomia di pensiero. Nel momento in cui abbiamo cominciato a raccontarci le nostre vite ci siamo infatti accorte di quanto il nostro modo di vivere, di percepirci, fosse segnato dalla visione del mondo dell'uomo.

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- Barbara Bertoncin: Tu in questo pero' vedi anche una corresponsabilita' femminile...

- Lea Melandri: Se e' vero che le donne hanno in mano la vita degli uomini - li mettono al mondo, li accudiscono da piccoli, li seguono nella scuola, li curano fino alla morte - come mai gli uomini crescono cosi' male? e' chiaro che una domanda va posta anche alle donne. E' una questione che sollevo da sempre e ogni volta l'obiezione e': "Colpevolizzi le donne". Ora, e' vero che le donne sono all'origine vittime di un dominio, che le ha costrette all'obbedienza, alla sottomissione, sfruttate eccetera. Resta il fatto che gli uomini nascono dalle donne. Come mai un tenero figlio diventa un truce violentatore? Se lo chiedeva anche Virginia Woolf, che tendeva pero' a rispondersi: "e' la societa' maschile che li corrompe".

Io penso che invece la vicenda vada dipanata all'origine. Chi ti mette al mondo e' visto da un bambino come una potenza, non una vittima. Si puo' fare anche l'ipotesi che il dominio, all'origine, sia stato la risposta, il modo maschile di tenere a bada questa potenza.

Sono temi che il femminismo ha intuito, senza andare fino in fondo. Per esempio il problema dell'amore, e della confusione tra amore e violenza, non e' stato analizzato. Amore e' una parola che nel femminismo si sente pochissimo.

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- Barbara Bertoncin: Nel sacrificio di se' delle donne, in questo prodigarsi per la vita dell'altro, anche rinunciando alla propria esistenza, tu vedi qualcosa di piu' drammatico che nell'uso del corpo femminile in chiave erotica.

- Lea Melandri: Io ho lavorato molto su questo tema perche' penso che nella maternita', e nel modo con cui viene esteso indebitamente il ruolo materno, ci siano dei nodi da affrontare.

Oggi e' molto piu' facile spostare l'attenzione sul corpo erotico, che non sul versante del materno. Perche' quest'enfasi sul tema della sessualita'? Noi siamo imbevuti di cultura cattolica, per cui un comportamento scandaloso sessualmente viene riportato subito a categorie morali: le donne "per bene" e le donne "per male". Difficile nel nostro paese dire "la sessualita' e' un fatto politico".

Infatti l'appello di Concita De Gregorio era rivolto "alle madri, alle sorelle, alle donne che curano le loro famiglie, alle brave professioniste", indicate come "le donne reali". E le altre cosa sono? Le Barbie delle pubblicita', le veline, le escort sono solo figure di cartapesta?

Dobbiamo avere il coraggio di dire che sono reali anche loro e di chiederci come mai oggi la liberta' per alcune donne vuol dire "il corpo e' mio e lo vendo io, a chi mi pare, a quanto mi pare", che non e' esattamente quello che dicevamo negli anni Settanta.

Parlavamo allora di riappropriazione del nostro corpo, un corpo espropriato nel momento in cui viene ridotto a obbligo procreativo, a sessualita' di servizio. Era un discorso che andava alla radice, vedendo l'alienazione piu' profonda della donna nel fatto di non essere riconosciuta come individuo, come persona, in nome di un'ideologia secondo cui le donne essenzialmente apparterrebbero piu' alla natura che alla storia.

Dobbiamo quindi essere molto attente al protagonismo che va assumendo il "femminile" nella vita pubblica. Il femminile e' l'identita', il ruolo che gli uomini storicamente hanno attribuito alle donne. Il famoso "valore D", di cui parlano sempre "Il Sole - 24 ore" o il "Corriere della sera", non sono altro che le doti femminili tradizionali che oggi vengono richieste dalla nuova economia, dai servizi sociali.

Per questo tutta questa enfasi sulla femminilizzazione dell'economia e della politica va accolta con spirito critico. E' proprio mettendo in discussione "femminile", "femminilita'" che abbiamo costruito la nostra autonomia, affermando che non siamo un corpo al servizio della sessualita' maschile, ma nemmeno le custodi della continuita' della vita.

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- Barbara Bertoncin: Dicevi che la dimensione della cura e' un luogo di potere femminile molto ambivalente, puoi spiegare?

- Lea Melandri: Su questo bisogna avere le idee chiare. La cura e' un potere. Rendersi indispensabili agli altri e' stato un drammatico potere sostitutivo che le donne hanno usato in mancanza anche di altri poteri. Far da madre a un bambino, ma anche a un uomo adulto, che si puo' benissimo curare da solo, che e' perfettamente autonomo, e' una estensione indebita della maternita'. Da questa dedizione totale all'altro, che crea dipendenza, nasce fatalmente una pulsione aggressiva volta a rompere il legame.

E' una materia molto complessa, tanto più che oggi e' in campo tutto l'arco delle problematiche che ha sollevato il femminismo - anche perche' sono saltati i confini tra privato e pubblico. Per questo dico che non ci stiamo alle semplificazioni e non ci stiamo soprattutto a incanalare queste tematiche dentro a battaglie che vengono da luoghi della politica e della cultura che del femminismo non hanno mai tenuto alcun conto. E' giusto essere molto sospettose, attente e vigilanti su questo.

Tornando al discorso sulla cura, io penso che il fatto che un bambino si trovi davanti il corpo femminile dall'infanzia fino alla tomba abbia un'influenza negativa sulla sua formazione, che lo spinga inevitabilmente a posizioni di difesa. Io ho insegnato a lungo nei corsi 150 ore a uomini e donne e quando parlavamo di queste questioni gli uomini dicevano: "Ma come? Le donne sono fortissime. A casa e' mia moglie che comanda!". Sotto un certo aspetto gli uomini dicono il vero, perche' se sono le donne che li nutrono, li curano, si prendono la responsabilita' dei figli, e' chiaro che ai loro occhi appaiono potenti.

La fragilita' maschile e' innegabile: gli uomini conoscono le donne nel momento in cui sono piu' dipendenti, piu' bisognosi, inermi. Le armi le tirano fuori dopo, forse proprio per reazione a una minaccia permanente, quella di essere infantilizzati. Fuori, nella vita pubblica, si sentono adulti, liberi, poi rientrano a casa e tornato bambini, affidati a donne mogli-madri. E' vero che la storia fin qui conosciuta sta cambiando, ma molto lentamente.

La vicenda che ha confinato le donne nel ruolo di madri e' insomma estremamente intricata.

Come possiamo intervenire? La prima cosa da fare, a mio avviso, e' assumere i rapporti uomo-donna come una questione politica, culturale, sociale, fondamentale; partire con un'azione educativa fin dagli asili, dai primi livelli di scuola, altrimenti non cambia niente. E' necessario che si parli del rapporto uomo-donna e non di "questione femminile", come se si trattasse solo di uno svantaggio da colmare. Io penso che gli uomini dovrebbero essere presenti fin dagli asili nido nella cura dei bambini. Sapere quanto costa - in termini di energie fisiche, psichiche e affettive - allevare un bambino o prendersi cura di un malato o di un anziano, e' una lezione di vita e umanita' importantissima. L'ho capito negli anni in cui ho assistito mia madre in ospedale, dove c'erano soprattutto donne. Penso che questo sia un vuoto da colmare nell'esperienza maschile.

Perche' gli uomini non sono nella scuola ai livelli primari? Perche' quello dell'insegnante e' sempre stato il mestiere perfetto per le donne, in quanto permetteva loro di avere tempo per la famiglia, dopodiche' quell'occupazione, in quanto femminile, e' stata svalutata...

Tra l'altro, a ben pensarci, e' davvero paradossale: nella scuola le donne sono chiamate a trasmettere la cultura che le ha cancellate!

 

2. RIFLESSIONE. BARBARA BERTONCIN INTERVISTA LUISA MURARO

[Dalla bella rivista "Una citta'" (sito: www.unacitta.it) n. 182 del marzo 2011 col titolo "Mai state zitte" e il sommario "Le critiche all'appello per il 13 febbraio erano volte a dare alla manifestazione l'impronta della soggettivita' femminile evitando il rischio grave di dividere le donne fra 'per bene' e 'per male'; il dibattito da riprendere sulla prostituzione; il problema della diversita' della sessualita' maschile. Intervista a Luisa Muraro".

Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici femministe, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"]

 

Luisa Muraro, filosofa, femminista, tra le fondatrici della comunita' filosofica "Diotima" presso l'Universita' di Verona, fa parte della Libreria delle donne di Milano e della rivista "Via Dogana" dagli inizi.

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- Barbara Bertoncin: Alla vigilia della manifestazione del 13 febbraio, alcune donne avevano avanzato critiche e perplessita' sulla formulazione dell'appello. In particolare non era piaciuta la distinzione tra donne "per bene" e donne "per male". Anche tu sei intervenuta...

- Luisa Muraro: Per capire il dibattito che si e' aperto attorno alle manifestazioni del 13 febbraio per me e' importante ricordare alcuni precedenti. Gia' in passato Concita De Gregorio e altre donne avevano espresso una specie di sollecitazione impaziente, e anche polemica, nei confronti delle donne percha' - a loro dire - le donne non reagivano come avrebbero dovuto davanti a certi problemi e a certi scandali.

Il primo precedente e' l'appello "Usciamo dal silenzio" per difendere la legge 194 sull'interruzione di gravidanza, legge la cui modificazione stava diventando merce di scambio tra politici italiani e vaticani. In quell'occasione alcune, in risposta polemica a quell'invito, avevano coniato uno slogan giusto e spiritoso, "Mai state zitte". Infatti il femminismo in Italia non ha mancato di far sentire la sua voce, con i mezzi di cui dispone. In definitiva a Milano ne e' nata una grande manifestazione, ma con una parola d'ordine modificata: non "usciamo dal silenzio" ma "siamo uscite dal silenzio". Anche nel recente appello della direttrice dell'"Unita'", Concita De Gregorio, "Dove siete donne? Diciamo 'ora basta'", lanciato dopo lo scandalo che porta il nome di Ruby Rubacuori, si sente prevalere questo atteggiamento di implicita accusa alle donne di non indignarsi abbastanza o di non manifestare la loro indignazione. Si tenga presente che sui giornali, sulle riviste, in televisione, alle donne che non fanno parte del mondo dello spettacolo o del do ut des politico, raramente viene offerto spazio per dire quello che pensano. Io stessa, che sono tra le femministe piu' conosciute, dovrei fare anticamera, cioe' chiedere, aspettare e stare alle condizioni. Il che non e' facile per una donna normalmente impegnata nella vita di tutti i giorni. Una volta, in occasione di un pubblico dibattito, mi proposi di correggere un duplice errore ripetuto da molti (la legge 194 presa per una legge abortista; le femministe confuse con i radicali che parlavano di diritto all'aborto, mentre noi abbiamo chiesto la sua depenalizzazione senza farne un diritto), percio' mi rivolsi al "Corriere della sera", sede del dibattito e del tenace errore; ho avuto lo spazio che chiedevo ma per averlo sono stata mezza giornata al telefono. Dopodiche' ti senti dire: perche' state zitte? Insomma, una cosa doppiamente irritante. Questo, in breve, e' l'antefatto piu' polemico.

Poi c'e' la questione di merito. Ci sono state due chiamate nazionali alla manifestazione, l'appello lanciato da Concita de Gregorio e sottoscritto da altre, seguito da un manifesto intitolato "Se non ora quando?". L'appello, secondo me e molte altre, conteneva delle cose inaccettabili. La piu' inaccettabile era quella di dire che tutte le donne che non scelgono la prostituzione devono andare a manifestare la loro indignazione dicendo: "Ora basta". Da qui, l'idea di donne italiane che vanno a manifestare la loro dignita' provviste di carta d'identita' e rivestite di una sciarpa bianca. Con qualche correzione, questo spirito perbenista si ritrova anche nel documento successivo che indice le manifestazioni per il 13 febbraio.

Invitata da una giovane amica a firmare il primo appello, che stava raccogliendo molte firme, ho scritto un testo che ha girato parecchio in internet sul perche' non l'avrei firmato: respingevo la separazione fra le donne coinvolte nello scandalo e le altre. Ho spiegato che per me una donna che si prostituisce non sta vendendo tutta se stessa, c'e' una parte di lei che resta riservata. Infatti, parlando con donne che si prostituiscono, quasi nessuna, se non proprio per somma provocazione, accetta di essere chiamata, non dico nel termine volgarissimo che si usa, ma neanche "prostituta". Non dicono: "Io sono una prostituta", bensi' "Mi prostituisco", presentandola come un'attivita' in cui non si identificano totalmente. Percio' la separazione cui accennavi, di quelle per bene e di quelle per male, e' sbagliata umanamente e politicamente. La correzione e' servita; alla manifestazione di Roma, il 13 febbraio, una giovane donna si e' emblematicamente rivolta a Ruby Rubacuori (che in realta' si chiama Karima El Mahrug), collegandola idealmente alla manifestazione. Nella pratica femminista, non assumiamo le identita' imposte, ne' le imponiamo alle altre, ma ascoltiamo quello che l'altra ha da dire di se' e che vuole dire. A proposito di identita': nella preparazione delle manifestazioni, nella fase ancora perbenista, su Facebook si faceva il gioco di assumere identita' storiche evocando i nomi di grande donne del passato: "Io sono Anna Kuliscioff", "Io sono Rosa Luxemburg", "Io sono Sibilla Aleramo": a una mia giovane amica ho suggerito di presentarsi con il soprannome di Karima e cosi' lei ha fatto: "Io sono Ruby Rubacuori".

*

- Barbara Bertoncin: L'altra tua critica riguardava il fatto di appellarsi solo alle donne.

- Luisa Muraro: Il Berlusconi e' andato al potere - e che potere - grazie a complicita', debolezze e stupidita' del ceto politico maschile: dovevano fermarlo subito e non l'hanno fatto, gli hanno dato un credito che non dovevano dargli. Questa la critica mia e di altre: perche' chiamate le donne quando le responsabilita' sono maschili?

Anche questo difetto d'impostazione e' stato parzialmente corretto perche' a un certo punto si e' deciso di far confluire nella manifestazione delle donne anche quella gia' programmata da un gruppo di personaggi della televisione.

L'aver criticato e discusso per dieci giorni e' servito a impostare e a far vivere diversamente l'iniziativa: la manifestazione ha preso un taglio che a giudizio di molte donne e di alcuni commentatori e' stato qualcosa di nuovo, di inedito. Io non ci sono andata, ma mi sono fatta raccontare da molte in molte citta'.

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- Barbara Bertoncin: In piazza ognuna ha portato il suo pezzo d'indignazione, di delusione e di rivendicazione. Le giovani donne hanno portato anche la loro precarieta'...

- Luisa Muraro: Quello di non aver un mercato del lavoro che ti offra delle opportunita' di autorealizzazione e' un problema di sostanza, vitale; l'impossibilita' di investire in qualcosa che ti piace, che ti corrisponde, per cui ti sei preparata, e' qualcosa di molto duro da accettare. Il 13 febbraio si e' manifestato per tanti motivi e con umori molto vari. E' probabile, come dici tu, che le donne piu' giovani abbiano portato soprattutto la rabbia e la protesta per lo stato delle cose dal punto di vista del loro lavoro. Nel suo discorso, fatto a Roma, Alessandra Bocchetti ha dato voce anche ai loro sentimenti. Si tratta di persone giovani, maschi e femmine, che sono cresciute con progetti di vita che ora si rivelano non realizzabili. Non e' una cosa da poco veder fallire un pezzo di vita, dover ricominciare a pensarsi in altri termini, molto piu' faticosi. Non mi sembra che i giovani siano rassegnati a questa svolta, per ora insistono perche' gli si aprano le porte che si sono chiuse, alcuni tuttavia cercano di capire e di attrezzarsi per il futuro, altri invece emigrano.

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- Barbara Bertoncin: Tu comunque non eri contro la manifestazione...

- Luisa Muraro: Io ho criticato l'appello, ma non ho parlato contro la manifestazione, la mia posizione e' stata di contribuire a dare alla manifestazione l'impronta della soggettivita' femminile e della politica delle donne. Tanto e' vero che il secondo testo che ho scritto, quello pubblicato sul "Corriere della sera", mi hanno raccontato che e' stato letto e applaudito nel corso della manifestazione di Venezia in campo Santa Margherita. Ho ricevuto critiche e consensi. Ricordo con simpatia la giovane donna che mi ha scritto: "e' la mia prima manifestazione, io non mi faro' strumentalizzare, ci voglio andare", facendo quasi intendere: per favore, non rovinarmela, non sciuparmela.

D'altra parte, secondo me era ora di dare una smentita a quelli che dicevano: "Ma dove sono finite le donne? Sono sparite, non parlano". Sono anni che i giornali continuano con questo ritornello, perche' non hanno capito che la politica delle donne non ha le caratteristiche della politica tradizionale: organizzazione, comunicati stampa... Un giornalismo piu' attento non avrebbe difficolta' a registrare il fiorire di iniziative e di sapere che il femminismo produce da decenni in questo Paese.

Insomma c'era anche da andare a dire: "Noi ci siamo, noi esistiamo". Alcune sono andate in piazza con dei loro manifesti. All'Udi di Palermo hanno discusso l'appello "Se non ora quando?", lo hanno commentato criticamente, hanno scritto un loro testo e il 13 febbraio sono andate a distribuirlo in piazza, e lo stesso in altre citta'. Quindi la manifestazione e' come virata in un senso piu' femminista, piu' all'insegna della politica delle donne. Con uomini pero'. Questa e' una novita', la presenza di uomini che erano accettati e partecipavano.

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- Barbara Bertoncin: Tu, che hai fatto tante lotte per la liberta' femminile, che idea ti sei fatta delle cosiddette "ragazze dell'Olgettina"?

- Luisa Muraro: La questione la tiri fuori molto giustamente. A suo tempo, intervistata da Radio Popolare: "Sono complici o vittime?", "Ne' l'una ne' l'altra cosa - ho risposto -, sono una controparte". Sul sito Dea (www.donnealtri.it), qualche giorno fa, il 23 febbraio, Letizia Paolozzi, che e' tra quelle che hanno criticato la manifestazione ma senza antagonismo, ha proposto un consuntivo di come sono andate le cose dicendo cose, a mio avviso, condivisibili fra le quali che bisogna porsi la domanda che mi fai tu. Il titolo del suo contributo e' Prostituzione: anche noi donne ripensiamoci. Io ho posto questo tema anche alla redazione di "Via Dogana" perche' bisogna che ci pensiamo.

Letizia Paolozzi ha ricordato anche l'impegno di Roberta Tatafiore su questo terreno.

A suo tempo incontrammo Carla Corso e Pia Covre che avevano fondato il movimento delle Lucciole e vennero alla Libreria delle donne; su "Via Dogana" c'e' un testo che racconta quell'incontro. Quindi non siamo del tutto nuove a queste tematiche. Io ne ho discusso piu' volte, sempre a un livello un po' informale, con Francoise Collin, che ha fondato la rivista teorica piu' valida del femminismo francese, che purtroppo ha cessato le pubblicazioni (in Italia siamo state piu' tenaci). Lei e' nettamente opposta alla prostituzione; l'ho ascoltata a un dibattito alla Maison des sciences de l'homme di Parigi, un'istituzione importante del pensiero sociologico, cui partecipavano anche femministe sostenitrici della liberta' di prostituzione, che chiedevano lo sdoganamento di questa attivita' femminile. Questa era anche la posizione di Roberta Tatafiore. Francoise, invece, e' rimasta ferma nella sua posizione, che in parte e' anche la mia e di molte altre donne, per cui il commercio sesso-soldi non e' un lavoro come gli altri e non e' una pratica accettabile.

Credo che oggi si debba tornare a parlarne, che per me significa soprattutto lottare per impedire la banalizzazione della prostituzione.

Da destra, forse per difendere il capo del governo dalla ripugnanza che suscita il suo uso delle donne, e' partita una campagna, capeggiata da Sgarbi e altri, volta appunto a banalizzare la prostituzione. Purtroppo, da sinistra hanno risposto in una maniera che giudico moralistica. E' moralismo prendere le distanze da certi comportamenti femminili senza vedere che in un certo uso maschile dei corpi femminili, c'e' una questione immediatamente politica, come piu' volte ha mostrato e dimostrato Ida Dominijanni. C'e' indubbiamente anche la questione del decoro del capo del governo, della figura che fa l'Italia, pero', a restare a questo livello, o si cade nell'ipocrisia (che tra l'altro ha gia' colpito duramente il mondo cattolico a proposito della pederastia) o si finisce in un moralismo strumentale, fatto per attaccare Berlusconi.

Sappiamo che quest'uso dei corpi femminili, della sessualita' femminile, della "presenza" di giovani donne belle, da mettere li' per ornamento, si pratica in tanti modi. Si tratta di una mercificazione degli esseri umani: che le interessate pretendano dei soldi in cambio, questo mi pare l'aspetto meno problematico.

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- Barbara Bertoncin: Tu ritieni pero' che qui ci sia dell'altro...

- Luisa Muraro: Il circuito sesso-potere-soldi, questo e' l'aspetto che non bisogna banalizzare e che non e' affatto facile da rompere. Non dobbiamo fare le cose troppo facili quando si discute di questa faccenda, perche' c'e' di mezzo la sessualita' maschile. La sessualità maschile e' molto diversa da quella femminile. Ora, se si va a specificare che cos'e' questa differenza sembra che sfugga, ma quando sei in rapporto con un uomo sai bene che salta fuori.

Certo, ci sono uomini che "si inclinano", che sono convinti dal modo femminile di intendere il corpo, il piacere, per cui ci puo' essere gioia, scherzo, reciprocita'. Tuttavia, la sessualita' maschile ha delle caratteristiche che sono un po' meccaniche. Chiunque abbia fatto l'amore con un uomo lo sa. Dopodiche', se l'uomo vuole un po' di bene alla sua compagna, cerchera' di venire incontro a un'esigenza femminile di vicinanza, di compagnia. Non sempre: io ricordero' sempre lo shock che ho avuto di fronte a un uomo, non uno sconosciuto qualsiasi ma un uomo fine, sofisticato, colto: costui, il giorno dopo la prima volta, e' sparito per una settimana senza dire niente. Alle mie rimostranze, beh, ha reagito come se volessi intrappolarlo! Io ero traumatizzata perche' credevo che dovessimo in qualche maniera "commentare", magari al telefono, con un cenno... invece niente.

Ci sara' sempre conflitto su questo terreno, temo, perche' per un uomo, lo scambio soldi-sesso non e' cosi' odioso come puo' apparire a una donna. Poi c'e' la storia del potere, che e' una brutta bestia.

Quando ci si mescola il potere, ecco che la liberta', quel poco di liberta' che abbiamo, se ne va; ecco che la mente comincia a lavorare in funzione di quel che, nella disparita' di potere, puo' favorire, portare avanti... Io lo so per via dell'Universita', ma non e' certo l'unico ambito in cui agiscono queste dinamiche. Per questo dicevo che sciogliere il nodo sesso-potere non e' tanto facile.

Ovviamente qui non faccio riferimento alle vicende grottesche che hanno visto coinvolto il capo del governo: penso che a questo scandalo, prima o poi, si possa mettere fine. Io mi riferisco alla questione di fondo.

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- Barbara Bertoncin: Volevi aggiungere qualcosa sulla prostituzione...

- Luisa Muraro: Si', tornando a quello che dice Letizia Paolozzi, penso che della prostituzione si debba tornare a parlare, a discutere. Perche' e' impossibile banalizzare una cosa che - senza soluzione di continuita' - finisce nella tratta delle donne e dei bambini e bambine costretti a prostituirsi, con tutto l'orrore che si insinua la' dentro. Perche' le prostitute non sono tutte donne libere e consenzienti, molte non lo sono affatto, e non perche' siano in stato di bisogno soltanto, ma perche' sono in stato di servitu', di schiavitu'.

Capisco, d'altra parte, che le donne adulte e consapevoli di se', come quelle del movimento delle lucciole, vogliano banalizzare il mercato sessuale. Ma nel suo insieme, banale non e' affatto, neanche quando c'e' consenso e consapevolezza adulta. Mi ha colpito, nell'incontro con Carla e Pia, che una di loro ha detto: "Io non bacio mai il cliente sulla bocca". Ecco, questo e' il simbolo del voler riservare il dono di se' allo scambio gratuito. Ed e' su questo che bisogna lavorare per contrastare la banalizzazione che sembra andare avanti con la liberta' crescente di giovani donne che ancora non hanno maturato una consapevolezza di se' e del valore della propria persona. Lo dice anche Emma Fattorini nel dibattito che ha preceduto le manifestazioni del 13 febbraio, sul "Corriere della sera": pur riconoscendo la giustezza di certe critiche fatte all'appello, ha aggiunto: "Ma io devo fare qualcosa perche' le mie studentesse sentano e capiscano la miseria di offrire il loro corpo in cambio di soldi". Ecco, questo argomento continuera' a presentarsi nella discussione.

Cosa diciamo noi di queste cose? Ma, piu' che dire, c'e' da agire politicamente nello stile del femminismo. Il punto di leva della liberta' femminile e' la presa di coscienza, il potenziamento della soggettivita' femminile, e' lo stabilirsi di rapporti forti donna con donna, affinche' ci sia una valorizzazione di questa loro differenza. Io resto convinta che le donne, la sessualita' non la banalizzino veramente mai.

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- Barbara Bertoncin: Nei Paesi nordeuropei prevale la linea che vede la donna che si prostituisce solo come vittima, non si prende neanche in considerazione che ci sia un atto di liberta'...

- Luisa Muraro: La questione e' che se c'e' liberta', questa e' espressione di soggettivita'. Cioe' non puoi separare la liberta' dall'espressione della soggettivita'. E la soggettivita' libera si esprime facendo il male e facendo il bene, per dirla come San Tommaso. Il proibire tutte le forme di prostituzione per legge si fonda su una precisa considerazione e cioe' che se si accetta il commercio del sesso, si aprono le porte a cose nefande. Vero. Ma a me questo interessa relativamente. Per me il punto forte e' che l'espressione della tua soggettivita' deve essere libera e capace di valorizzare te in primissima persona. E quindi dissuaderti dal darti via per soldi, dal dare via la tua vita, la tua giovinezza.

Il femminismo nordico si prolunga in un femminismo di Stato, senza soluzione di continuita'. In Italia, invece, c'e' un femminismo di Stato e c'e', molto differente, un femminismo autonomo, nel quale io mi riconosco. Mi sono spesso confrontata con Kari Elisabeth Boerresen, eccellente teologa femminista.

Lei, per esempio, e' arrivata a rivendicare una legge dello Stato che intervenga sulla Chiesa affinche' smetta di escludere le donne dal sacerdozio. Come se il sacerdozio avesse le caratteristiche di un diritto, come fosse una carica, un lavoro. A quelle che le hanno obiettato che si cadrebbe in una specie di femminismo di Stato, lei ha risposto: "Infatti, e' quello che ci vuole!".

Ma per tornare alla prostituzione, la nostra legge approssimativamente mi pare buona (lo dico senza avere una competenza specifica), perche' colpisce la prostituzione unicamente in chi la sfrutta e la favorisce, mentre la persona che si prostituisce e quella che ne usufruisce sono fuori dal tiro della legge. Una legge non puo' fare tutto, non puo' sostituirsi alla libera scelta delle persone.

*

- Barbara Bertoncin: Lea Melandri ha detto che le e' piaciuto il tuo articolo e sorridendo ha commentato come le "vecchie femministe", che non erano mai d'accordo, si siano trovate in sintonia davanti al rischio di una certa semplificazione...

- Luisa Muraro: Mi fa piacere. In verita' siamo sempre state vicine. Lea vedeva una distanza che io non vedevo, infatti quando si va al dunque, ecco che siamo d'accordo.

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- Barbara Bertoncin: Per qualcuna, i recenti scandali sono stati piu' un attacco alla dignita' degli uomini...

- Luisa Muraro: Questo e' un punto che e' stato molto discusso perche' la manifestazione era impostata in modo da far credere che le donne scendevano in piazza per difendere la propria dignita'. Molte hanno giustamente obiettato che la loro dignita' era in buone mani, le loro. Altre e altri, che la minaccia riguardava piuttosto la dignita' maschile. Nel Veneto si e' registrato un appoggio dato alla manifestazione anche del clero e delle religiose, un appoggio motivato forse dalla parola d'ordine "dignita' della donna", non insolita al discorso e al linguaggio cattolico. Ma ambigua, come risalta a uno sguardo storico. Storicamente la tradizionale predicazione cattolica ha affidato la tenuta della famiglia, e indirettamente del tessuto sociale, alle donne e alle loro virtu' di moralita', di fedelta', di devozione e soprattutto di sopportazione di certi comportamenti maschili, fra i quali l'infedelta' e il ricorso alla prostituzione. Mentre agli uomini e' stata concessa - forse perche' i preti sanno che cos'e' la sessualita' maschile - una specie di licenza morale, a cominciare dalla prostituzione che non e' mai stata combattuta dalla Chiesa cattolica.

Vengo al punto: una mia ex studentessa dell'Universita' di Verona diventata suora, una suora molto brava e impegnata come ce ne sono tante oggi, ha fatto una dichiarazione di adesione alla manifestazione vedendoci l'occasione per dare visibilita' alle donne nella loro vita quotidiana e far emergere altri modelli di donne. Ma l'articolo che le da' voce, ha un titolo "13 febbraio: le donne sfilano per la dignita'", che altera il pensiero di lei in una maniera tutt'altro che innocua. La dignita' della persona e' un tema centrale del pensiero cattolico e tale deve restare, ma se si comincia a coniugarla al femminile bisogna mettersi in allarme, perche' all'orizzonte spunta quella "superpretesa etica" nei confronti della donna. Per la Chiesa vecchio stile, infatti, la dignita' della donna va difesa non solo dall'abuso maschile ma anche dalla liberta' femminile!

*

- Barbara Bertoncin: Dicevi che c'e' stato un uso strumentale di questa mobilitazione da parte dei due principali quotidiani nazionali.

- Luisa Muraro: Si', da una parte il "Corriere della sera" e dall'altra "La Repubblica". "La Repubblica" e' il giornale che due anni fa, meritoriamente, ha pubblicato le lettere di Veronica Lario. Certo, in funzione antiberlusconiana, sacrosanta, e meno male che l'ha fatto. All'epoca noi siamo subito intervenute, invece la sinistra - comprese le signore che hanno un giornale da dirigere - per qualche giorno e' stata zitta. Perche'? Forse perche' gli uomini l'hanno sentita come una questione che riguardava anche i loro comportamenti sessuali, forse perche' si voleva difendere a tutti i costi la separazione tra pubblico e privato, classico bastione della morale sessuale borghese. Alla vigilia della recente mobilitazione, il "Corriere della sera", avendo avuto sentore che alcune femministe avevano criticato l'appello, ci ha dato spazio. Guarda un po' come si riesce ad avere voce... Mentre "Repubblica" dava spazio ai difensori. Qual e' il guaio di questa cosa? Che e' il solito schema della politica degli uomini, quello di fare schieramenti (salvo poi mercanteggiare tutto e di tutto). Cosi' abbiamo dovuto lottare perche' non prevalesse una logica della contrapposizione; la discussione aperta nel campo delle donne aveva innanzitutto il senso di un interrogarci sul senso di quella iniziativa, su come andare, se andare.

Qualcuno l'ha capito, qualcuno invece no: penso all'intervento di Adriano Sofri, veramente molto stonato. Il 15 febbraio, infatti, sulla "Repubblica", nelle primissime righe, prima di inneggiare alla bellezza della recente manifestazione, Sofri ha attaccato le persone che avevano avanzato delle critiche. Alberto Leiss nel sito di Dea gli ha subito risposto pacatamente dicendo: no, le critiche appartengono a un modo di muoversi liberamente. Io stessa sul "Corriere della sera" del 10 febbraio ho aperto il mio intervento con un sincero "Viva le manifestazioni". Sapevo che mi chiedevano il pezzo perche' ero di quelle che avevano mosso delle critiche, e ho deciso di rompere lo schieramento, a rischio che non lo pubblicassero. L'hanno pubblicato. Il fatto e' che va sempre cosi'. Bisogna giocare d'astuzia. Come dice il Vangelo, bisogna avere la semplicita' delle colombe, ma anche la prudenza dei serpenti... perche' te la fanno sotto il naso!

Si', se non stai attenta, te la fanno sotto il naso. Per mesi ci siamo chieste: che cosa sarebbe questo neo-femminismo apparso un anno fa e come mai i mezzi d'informazione, sempre restii a dare spazio al movimento delle donne, gli danno tanto spazio? C'erano degli indizi sparsi, alcuni chiarissimi come l'enfasi sulle quote rosa e sul terribile ritardo dell'Italia; l'ultimo e' venuto con l'8 marzo con quella strana parola d'ordine di restituirgli un serio significato politico, come se lo avesse mai perso. Sommandoli, risulta che e' in corso un tentativo di riscrivere il femminismo cancellando l'originalita' del femminismo italiano. Il trucco consiste nel fingere che il movimento fosse finito e ora sarebbe ricominciato ex novo. Falso, perche' il movimento in Italia si e' sviluppato in continuita' con lo slancio degli inizi, che vuol dire: presa di coscienza della differenza femminile, rottura con la politica maschile del potere, valore delle relazioni non strumentali. Sul movimento delle donne, tentano di fare quello che hanno fatto i frati del Medioevo: raschiare via gli scritti dei grandi autori pagani per scriverci sopra le loro prediche. Si chiama palinsesto. Le donne contano sempre di piu' e chi sta dalla parte del potere cerca di tirarle dalla propria parte.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 294 del 13 marzo 2011

 

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