Nonviolenza. Femminile plurale. 293



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 293 del 12 marzo 2011

 

In questo numero:

1. Ancora intorno al 13 febbraio

2. Eugenia Bonetti: Donne, non merci

3. Castalda Musacchio intervista Olivia Guaraldo

4. Stefano Rodota': La bandiera della dignita'

5. Lidia Ravera: La piazza dopo la piazza

6. Francesca Rigotti: Le donne cambiano il mondo

7. Dacia Maraini: La guerra sotterranea contro ogni donna

8. Barbara Romagnoli: Dal 13 febbraio al 6 maggio

9. Rosangela Pesenti: Anche a Cortenuova, se non ora quando?

 

1. EDITORIALE. ANCORA INTORNO AL 13 FEBBRAIO

 

Riproponiamo qui, in ordine cronologico, ancora altri interventi intorno alla manifestazione del 13 febbraio 2011 promossa dall'appello delle donne "Se non ora, quando?".

 

2. RIFLESSIONE. EUGENIA BONETTI: DONNE, NON MERCI

[Riportiamo il testo dell'intervento di suor Eugenia Bonetti in piazza del Popolo, a Roma, domenica 13 febbraio 2011, durante la manifestazione in difesa della dignita' della donna.

Per un profilo di suor Eugenia Bonetti si veda l'incipit del discorso che segue]

 

Il mio saluto caloroso e affettuoso e il mio grazie a tutto il mondo femminile qui presente per chiedere il rispetto per la dignita' della donna.

Sono suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, vissuta in Africa per 24 anni, dal 1993 impegnata in un centro Caritas di Torino dove ho conosciuto il mondo della notte e della strada e dove ho incontrato il volto, le storie, le sofferenze, la disperazione e la schiavitu' di tante donne portate in Italia con il miraggio di una vita confortevole per trovarsi poi nelle maglie della criminalita'.

Dal 2000 lavoro a Roma come responsabile dell'Ufficio "Tratta donne e minori" dell'Usmi (Unione Superiore Maggiori d'Italia) per coordinare il servizio di centinaia di religiose che operano sulle strade, nei centri di ascolto, nei centri di detenzione ed espulsione e soprattutto nelle case-famiglia per il recupero di tante giovani vite spezzate.

Sono qui a nome di queste suore che ogni giorno operano silenziosamente e gratuitamente con amore, coraggio e determinazione nel vasto mondo dell'emarginazione sociale per ridare vita e speranza. Sono qui per dare voce a chi non ha voce, alle nuove schiave, vittime della tratta di esseri umani per sfruttamento lavorativo e sessuale, per lanciare un forte appello affinche' sia riconosciuta la loro dignita' e ripristinata la loro vera immagine di donne, artefici della propria vita e del proprio futuro. A nome loro e nostro, che ci sentiamo sorelle e madri di queste vittime, diciamo basta a questo indegno e vergognoso mercato del mondo femminile.

Questo grido nasce dalla nostra esperienza concreta, dalla nostra vita vissuta ogni giorno a contatto con tante giovani trafficate e sfruttate dai nostri stessi stili di vita e alle quali sono negati i fondamentali diritti umani. Purtroppo l'immagine che viene trasmessa in tanti modi e forme, dai media, dalla pubblicita' e dagli stessi rapporti quotidiani tra uomo e donna e' l'immagine del corpo della donna inteso solamente come oggetto o strumento di piacere, di consumo e di guadagno, misconoscendo invece l'essenziale che lo stesso corpo umano racchiude: una bellezza infinita e profonda da scoprire, rispettare, apprezzare e valorizzare.

Le costanti notizie di cronaca che in queste ultime settimane si susseguono in modo spudorato sui nostri giornali e nelle trasmissioni televisive e radiofoniche ci sgomentano e ci portano a pensare che siamo ancora molto lontani dal considerare la donna per cio' che e' veramente e non semplicemente un oggetto o una merce da usare. Quale immagine stiamo dando della donna e del suo ruolo nella societa' e nella famiglia a prescindere dai fatti di cronaca, dalla veridicita' o meno di cio' che ci viene presentato?

In questi ultimi tempi si e' cercato di eliminare la prostituzione di strada perche' dava fastidio e disturbava i sedicenti benpensanti. E abbiamo voluto rinchiuderla in luoghi meno visibili, pensando di aver risolto il problema, ma non ci rendiamo conto che una prostituzione del corpo e dell'immagine della donna e' diventata ormai parte integrante dei programmi e notizie televisive, della cultura del vivere quotidiano e proposta a tutti, compresi quei bambini che volevamo e pensavamo di tutelare. Tutto questo purtroppo educa allo sfruttamento, al sopruso, al piacere, al potere, senza alcuna preoccupazione delle dolorose conseguenze sui nostri giovani che vedono modelli da imitare e mete da raggiungere.

La donna e' diventata solo una merce che si puo' comperare, consumare per poi liberarsene come un qualsiasi oggetto "usa e getta". Troppo spesso la donna e' considerata solo per la bellezza e l'aspetto esterno del suo corpo e non invece per la ricchezza dei suoi valori veri di intelligenza e di bellezza interiore, per la sua capacita' di accoglienza, intuizione, donazione e servizio, per la sua genialita' nel trasmettere l'amore, la pace e l'armonia, nonche' nel dare e far crescere la vita. Il suo vero successo e il suo avvenire non possono essere basati sul denaro, sulla carriera o sui privilegi dei potenti, ma deve essere fondato sulle sue capacita' umane, sulla sua bellezza interiore e sul suo senso di responsabilita'.

Durante questi lunghi anni di impegno e servizio alla donna la nostra rete di religiose si e' allargata e consolidata non solo in Italia ma anche nei Paesi di origine, transito e destinazione. Abbiamo creato le basi per un vero lavoro educativo di informazione, prevenzione e reintegrazione, come pure di condanna per quanti, in modi diversi, usano e abusano del corpo della donna la cui dignita' non si puo' mercanteggiare o pagare perche' e' un dono sacro da rispettare e custodire. Non possiamo piu' rimanere indifferenti di fronte a quanto oggi accade in Italia nei confronti del mondo femminile. Siamo tutti responsabili del disagio umano e sociale che lacera il Paese.

E' venuto il momento in cui ciascuno deve fare la sua parte e assumersi le proprie responsabilita'. Per questo come religiose rivolgiamo un forte appello alle autorita' civili e religiose, al mondo maschile e maschilista che non si mette in discussione, alle agenzie di informazione e formazione, alla scuola, alle parrocchie, ai gruppi giovanili, alle famiglie e in modo particolare alle donne affinche' insieme possiamo riappropriarci di quei valori e significati sui quali si basa il bene comune per una convivenza degna di persone umane, per una societa' piu' giusta e piu' libera, con la speranza di un futuro di pace e armonia dove la dignita' di ogni persona e' considerata il primo bene da riconoscere, sviluppare, tutelare e custodire.

A tutti il mio grazie per la vostra attenzione e per il vostro impegno a favore della dignita' della donna.

 

3. RIFLESSIONE. CASTALDA MUSACCHIO INTERVISTA OLIVIA GUARALDO

[Dal quotidiano "Liberazione" del 15 febbraio 2011 col titolo "Olivia Guaraldo: L'ultima mobilitazione? un nuovo femminismo".

Castalda Musacchio, giornalista, scrive sul quotidiano "Liberazione".

Olivia Guaraldo e' docente di filosofia politica all'Universita' di Verona. Tra le opere di Olivia Guaraldo: Corpi che non contano. Femminismo radicale e identita', in "aut aut", n. 298, luglio-agosto 2000; Storylines. Politics, History and Narrative from an Arendtian Perspective, SoPhi, Jyvaskyla (Finlandia) 2001; Politica e racconto. Trame arendtiane della modernita', Meltemi, Roma 2003; Per una nuova poetica della politica. Nota a margine dell'Archivio Arendt, in "Filosofia politica", vol. XVII, n. 2, 2003;"Hannah Arendt" in Raffaella Gherardi (a cura di), La politica e gli stati, Carocci, Roma 2004; Il pensatore scabroso. Note a margine dell'opera di Slavoj Zizek, in "Filosofia politica", vol. XVIII, n. 1, 2004; (a cura di, con Leonida Tedoldi), Lo stato dello Stato. Riflessioni sul potere politico nell'era globale, Ombre corte, Verona 2005]

 

"Questo movimento? Sconfigge e sconfessa un nuovo modello politico-culturale che ha tentato di colonizzare il 'femminile' togliendo a questo persino i suoi lati 'pericolosi', complessi, problematici per renderlo innocuo. Le donne in piazza hanno dimostrato di non voler piu' essere identificate come 'pacchi vuoti'". Oliviera Guaraldo, filosofa e scrittrice, nell'ultima raccolta di saggi da poco uscita in libreria, dal titolo persino premonitore - Filosofia di Berlusconi. Oscenita', nichilismo e fallocrazia nell'Italia contemporanea, Ombre Corte, Verona - fornisce una riflessione ad ampio spettro sulla nuova questione femminile sollevata negli ultimi anni e stigmatizzata dai piu' recenti fatti di cronaca. "E' la riscossa contro un modello che, si', guarda alla femminilita', ma ad una femminilita' muta, che non parla, che si adegua anzi anela ad uno scambio tra sesso e potere - che c'e' sempre stato - senza avere contropartite, senza ambizioni, se non quelle di diventare un puro oggetto dello sguardo maschile, in cui l''osceno' inteso nel senso etimologico del termine, vale a dire tutto quel che e' fuori dalla scena, diventa, invece, la scena".

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- Castalda Musacchio: Migliaia di donne sono scese in piazza. Si tratta, come qualcuno ha detto, di un "remake" da anni '70 o c'e' qualcosa di nuovo in questo movimento?

- Olivia Guaraldo: Sono convinta che ci sia assolutamente qualcosa di nuovo. Qualcosa che in questi anni si e' sedimentato fino ad esplodere. Anche le polemiche che si sono sollevate a destra come a sinistra sul senso stesso di questa mobilitazione, direi, sono state tutte smentite, messe a tacere dalla grande partecipazione.

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- Castalda Musacchio: Nell'ultima raccolta di saggi, appena uscita in edicola, dal titolo Filosofia di Berlusconi, lei si e' occupata proprio di sesso e potere analizzando il ruolo che le donne sono state chiamate ad indossare (se cosi' si puo' dire) in questi anni. Quali sono le sue conclusioni ed in che modo questo movimento e' "nuovo"?

- Olivia Guaraldo: Nel mio saggio ho cercato di tracciare quelli che, secondo me, sono i contorni di quella che chiamo "politica del sesso" messa in atto, naturalmente, non solo da questo governo anche se e' con questo che in un certo senso si "svela". Ed e' cosi' che si scopre come questa abbia assunto una forma netta, definita, come una specie di onda lunga visibile che si e' giocata per anni sul corpo delle donne e che, con quel che e' accaduto, ci consente di guardare, finalmente, in una specie di cristallo puro, quali sono le vere dinamiche innescate da quello scambio tra sesso e potere, che c'e' sempre stato, ma che oggi ha assunto un ruolo diverso.

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- Castalda Musacchio: In che senso "diverso"?

- Olivia Guaraldo: Nel saggio mi occupo soprattutto del rapporto fra i media, il sesso ed il potere. Prendo spunto dai film pseudoerotici degli anni '70 fino ad arrivare a trasmissioni come "Non e' la Rai" per analizzare il ruolo che le donne hanno rivestito in questi anni. Ed e' come se la liberazione della donna andasse pian piano prima volgarizzandosi quasi in una visione "pop" di massa (appunto in film come quelli dei primi anni '70) per attraversare una svolta fondamentale, come in trasmissioni come "Non e' la Rai", dove le donne, messe letteralmente a nudo, non svolgono piu' alcuna funzione, fino ad arrivare alle veline di "Striscia la notizia" dove, addirittura, e' lo sguardo maschile che plasma persino la fisicita' stessa della donna che, a sua volta, si lascia plasmare senza accennare ad una benche' minima di ribellione.

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- Castalda Musacchio: Vuole dire che, nel corso del tempo, si e' modificato persino un modello culturale?

- Olivia Guaraldo: Voglio dire che si e' finito per identificare il "femminile" con un soggetto totalmente appiattito allo sguardo maschile. Oggi si guarda sempre al femminile, ovvio, come del resto e' sempre stato, ma questo "femminile" e' muto, non parla. Addirittura, di fronte ad un gioco di scambio tra sesso e potere, come quello che ci racconta la cronaca di questi giorni, non ha neppure ambizioni. E' come se, in corso, ci fosse una specie di colonizzazione del femminile che toglie a questo persino i suoi lati piu' problematici, complessi, "pericolosi" per renderlo semplicemente innocuo. Ed in questo senso penso che le ultime mobilitazioni stanno tentando di sconfiggere e sconfessare proprio tutto questo. Per questo le ritengo "nuove".

 

4. RIFLESSIONE. STEFANO RODOTA': LA BANDIERA DELLA DIGNITA'

[Dal quotidiano "La Repubblica" del 15 febbraio 2011 col titolo "La bandiera della dignita'" e il sommario "Da molti mesi centinaia di migliaia di persone donne, lavoratori, studenti, mondo della cultura sono mossi da un sentimento comune, la riaffermazione della dignita' umana".

Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo, Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e' Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste "Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al 2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994; Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997; Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano 2006, 2009; Perche' laico, Laterza, Roma-Bari 2009]

 

E' tempo di liberarsi dello spirito minoritario che, malgrado tutto, continua a lambire anche qualche parte della stessa opposizione. E' questa l'indicazione (la lezione?) che viene dai molti luoghi che da molti mesi vedono la presenza costante di centinaia di migliaia di persone che, con continuita' e passione, rivendicano liberta' e diritti: un fenomeno che non puo' essere capito con gli schemi, invecchiati, del "risveglio della societa' civile" o di qualche partito "a vocazione maggioritaria". Non sono fiammate destinate a spegnersi, esasperazioni d'un giorno, generiche contrapposizioni tra Piazza e Palazzo. Non sono frammenti di societa', grumi di interesse.

E' un movimento costante che accompagna ormai la politica italiana, e a questa indica le vie per ritrovare un senso. E' l'opposto delle maggioranze "silenziose" che si consegnano, passive, in mani altrui.

Donne, lavoratori, studenti, mondo della cultura si sono mossi guidati da un sentimento comune, che unifica iniziative solo nelle apparenze diverse. Questo sentimento si chiama dignita'. Dignita' nel lavoro, che non puo' essere riconsegnato al potere autocratico di nessun padrone. Dignita' nel costruire liberamente la propria personalita', che ha il suo fondamento nell'accesso alla conoscenza, nella produzione del sapere critico. Dignita' d'ogni persona, che dal pensiero delle donne ha ricevuto un respiro che permette di guardare al mondo con una profondita' prima assente.

Proprio da questo sguardo piu' largo sono nate le condizioni per una manifestazione che non si e' chiusa in nessuno schema. Le donne che l'hanno promossa, le donne che con il loro sapere ne hanno accompagnato la preparazione senza rimanere prigioniere di alcuni stereotipi della stessa cultura femminista, hanno colto lo spirito del tempo, dimostrando quanta fecondita' vi sia ancora in quella cultura, dove l'intreccio tra liberta', dignita', relazione e' capace di generare opportunita' non alla portata della tradizionale cultura politica. E' qui la radice dello straordinario successo di domenica, della consapevolezza d'essere di fronte ad una opportunita' che non poteva essere perduta e che ha spinto tanti uomini ad essere presenti e tante donne a non cedere alla tentazione di rifiutarli, perche' non s'era di fronte ad una generica "solidarieta'" o alla pretesa di impadronirsi della parola altrui.

Chi e' rimasto prigioniero di se stesso, delle proprie ossessioni, e' il Presidente dal consiglio, al quale era offerta una straordinaria opportunita' per rimanere silenzioso, una volta tanto rispettoso degli altri. E invece altro non ha saputo trovare che le parole logore della polemica aggressiva, testimonianza eloquente della sua incapacita' di comprendere i fenomeni sociali fuori di una rozza logica del potere. La vera faziosita' e' quella sua e di chi lo circonda, privi come sono di qualsiasi strumento culturale e quindi sempre piu' votati al rifiuto d'ogni dimensione argomentativa. Dignita', per loro, e' parola senza senso, parte d'una lingua che sono incapaci di parlare.

Nelle diverse manifestazioni, invece, si coglie la sintonia con le dinamiche che segnano questi anni. Le grandi ricerche di Louis Dumont ci hanno aiutato nel cogliere il passaggio dall'homo hierarchicus all'homo aequalis. Ma nei tempi recenti quel cammino si e' allungato, ha visto comparire i tratti dell'homo dignus, e proprio la dignita' segna sempre piu' esplicitamente l'inizio del millennio, costituisce il punto d'avvio, il fondamento di costituzioni e carte dei diritti. Sul terreno dei principi questo e' il vero lascito del costituzionalismo dell'ultima fase. Se la "rivoluzione dell'eguaglianza" era stato il connotato della modernita', la "rivoluzione della dignita'" segna un tempo nuovo, e' figlia del Novecento tragico, apre l'era della "costituzionalizzazione" della persona e dei nuovi rapporti che la legano all'innovazione scientifica e tecnologica.

"Per vivere - ci ha ricordato Primo Levi - occorre un'identita', ossia una dignita'". Solo da qui, dalla radice dell'umanita', puo' riprendere il cammino dei diritti. E proprio la forza unificante della dignita' ci allontana da una costruzione dell'identita' oppositiva, escludente, violenta, che ha giustamente spinto Francesco Remotti a scrivere contro quell'"ossessione identitaria" che non solo nel nostro paese sta avvelenando la convivenza civile. La dignita' sociale, quella di cui ci parla l'articolo 3 della Costituzione, e' invece costruzione di legami sociali, e' anche la dignita' dell'altro, dunque qualcosa che unifica e non divide, e che cosi' produce rispetto e eguaglianza.

Le manifestazioni di questi tempi, e quella di domenica con evidenza particolare, rivendicano il diritto a "un'esistenza libera e dignitosa". Sono le parole che leggiamo nell'articolo 36 della Costituzione che descrivono una condizione umana e sottolineano il nesso che lega inscindibilmente liberta' e dignita'. Piu' avanti, quando l'articolo 41 esclude che l'iniziativa economica privata possa svolgersi in contrasto con sicurezza, liberta' e dignita' umana, di nuovo questi due principi appaiono inscindibili, e si puo' comprendere, allora, quale lacerazione provocherebbe nel tessuto costituzionale la minacciata riforma di quell'articolo, un vero "sbrego", come amava definire le sue idee di riforma costituzionale la franchezza cinica di Gianfranco Miglio. Intorno alla dignita', dunque, si delinea un nuovo rapporto tra principi, che vede la dignita' dialogare con inedita efficacia con liberta' e eguaglianza. Questa, peraltro, e' la via segnata dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Qui, dopo aver sottolineato nel Preambolo che l'Unione "pone la persona al centro della sua azione", la Carta si apre con una affermazione inequivocabile: "La dignita' umana e' inviolabile".

Proprio questo quadro di principi costituisce il contesto all'interno del quale i diversi movimenti si sono concretamente mossi, individuando cosi' quella che deve essere considerata la vera agenda politica, la piattaforma comune delle forze di opposizione. Diritti delle persone, lavoro, conoscenza non si presentano come astrazioni. Ciascuna di quelle parole rinvia non solo a bisogni concreti, ma individua ormai pure forze davvero "politiche", che si presentano con evidenza sempre maggiore come soggetti attivi perche' quei bisogni possano essere soddisfatti.

Viene cosi' rovesciato le schema dell'antipolitica, e si pone il problema della capacita' dei diversi gruppi di opposizione di trovare legami veri con questa realta'. I segnali venuti finora sono deboli, troppo spesso sopraffatti dalle eterne logiche oligarchiche, dagli egoismi identitari di ciascun partito o gruppo politico. Si lamenta che ai problemi reali non si dia il giusto risalto. Ma chi e' responsabile di tutto questo? Non quelli che con quei problemi si sono identificati, si' che oggi la responsabilita' di farli entrare nel modo corretto nell'agenda politica ufficiale dipende dalla capacita' dei partiti di trovare il giusto rapporto con i movimenti presenti nella societa', di essere per loro interlocutori credibili.

Torna cosi' la questione iniziale, perche' proprio questo e' il cammino da seguire per abbandonare ogni spirito minoritario e ridare vigore ad una vera politica di opposizione. Le manifestazioni di questi mesi, infatti, dovrebbero essere valutate partendo anche da un dato che tutte le analisi serie sottolineano continuamente, e cioe' che Berlusconi non ha il consenso della maggioranza degli italiani, non avendo mai superato il 37%. Il bagno di realta' di domenica, che ne accompagna tanti altri, dovrebbe indurre a volgere lo sguardo verso la vera maggioranza, perche' solo cosi' un vero cambiamento e' possibile.

 

5. RIFLESSIONE. LIDIA RAVERA: LA PIAZZA DOPO LA PIAZZA

[Dal quotidiano "L'unita'" del 16 febbraio 2011 col titolo "La piazza dopo la piazza".

Lidia Ravera e' nata a Torino e vive a Roma; scrittrice, giornalista, sceneggiatrice per il cinema e la televisione; tiene abitualmente corsi e laboratori di scrittura. Tra le opere di Lidia Ravera: (con Marco Lombardo Radice), Porci con le ali, Savelli, 1976; I compiti delle vacanze, Mondadori, 1997; Ammazzare il tempo, Mondadori, 1978; Bambino mio, Bompiani, 1979; Bagna i fiori e aspettami, Rizzoli, 1986; Se lo dico perdo l'America, Rizzoli, 1988; Voi grandi, Theoria, 1990; Tempi supplementari, Armando, 1990; Due volte vent'anni, Rizzoli, 1992; In quale nascondiglio del cuore. Lettera a un figlio adolescente, Mondadori, 1993; Il paese di Eseap, Lisciani & Giunti, 1994; Sorelle, Mondadori, 1994; Nessuno al suo posto, Mondadori, 1996; Compiti delle vacanze, Mondadori, 1997; Maledetta gioventu', Mondadori, 1999; Ne' giovani ne' vecchi, Mondadori, 2000; Un lungo inverno fiorito e altre storie, La Tartaruga, 2001; Il paese all'incontrario, Giunti, 2002; La festa e' finita, Mondadori, 2002; Il freddo dentro, Rizzoli, 2003; In fondo, a sinistra..., Melampo, 2005]

 

In piazza in mezzo alle altre. Contenta. Quella pulsazione segreta. Quel calore. Attraversando a fatica la folla, mi piaceva chiedere "scusa, mi fai passare?" e prendermi il sorriso di chi avevo toccato sulla spalla. Sembra stupido, ma in una citta' diventata ringhiosa come Roma, dove in auto senti urla belluine e insulti a sfondo sessista, e' un sollievo, essere fra sorridenti. Sentirsi comunita'. Piccoli regali del vivere.

Dunque stavamo li', ad ascoltare testimonianze e discorsi. Non comizi. Un palco poco piazzaiolo. Tutti tonetti pacati, tutti pensieri puliti. Quasi nessuna eccedenza logorroica sui risicati tempi dell'attenzione di massa. Ho pensato: bello, le donne. E' un'altra voce. Un altro timbro. Altre parole. Un altro stile. Ho realizzato di essere stanca dell'invadenza di genere: sempre ascoltare il maschio stentoreo politico. In televisione: azzannando l'avversario, masticandolo con le fauci spalancate. In piazza: trionfando su qualsiasi dubbio o angoscia collettiva.

No, non sto dicendo che siamo "belline e dolci". Sto dicendo che non siamo stridule, non siamo esenti da dubbi, abbiamo il gusto delle sfumature. O forse sto solo godendo delle buone novita'. Per esempio: lo spirito unitario. Sono state brave le ragazze del comitato promotore a non barricarsi dietro gli steccati. Hanno composto un bouquet vario: testimoni, poete, una femminista, una sindacalista, una "dall'altra parte" (Ma ha difeso Andreotti! Pazienza...), un uomo che pratica la riflessione di genere come femminismo insegna... Si sono piazzate orgogliosamente nel presente. Pagando la voglia di palingenesi con qualche storica esclusione. Ho pensato: sarebbe bello che questa piazza trovasse la sua rappresentanza. Non un partito che ci mette sopra il cappello. Un qualcosa che nasce di li'... Sogno troppo?

 

6. RIFLESSIONE. FRANCESCA RIGOTTI: LE DONNE CAMBIANO IL MONDO

[Dal quotidiano "L'unita'" del 17 febbraio 2011 col titolo "E poi ci sono donne che con pazienza cambiano il mondo".

Francesca Rigotti (Milano 1951) dopo aver insegnato presso la facolta' di Scienze politiche dell'Universita' di Goettingen, e' attualmente docente di dottrine e istituzioni politiche presso la facolta' di Scienze della comunicazione dell'Universita' di Lugano; ha pubblicato diverse monografie dedicate alla metaforologia filosofico-politica e all'etica; suoi saggi sono comparsi in numerose riviste italiane e straniere; svolge attivita' di consulenza editoriale e di recensione libraria, soprattutto per il quotidiano "Il Sole - 24 Ore". Tra le opere di Francesca Rigotti: L'onore degli onesti, Feltrinelli, Milano; La verita' retorica, Feltrinelli, Milano]

 

Le donne cambiano il mondo.

- Come fai a saperlo?

- Che cosa?

- Che le donne cambiano il mondo, l'hai appena detto!

- Ho trovato delle tracce, dei documenti, ho visto le foto, l'ho letto sui giornali.

- Tu credi ai giornali, ti fidi delle foto, di Internet, di Facebook?

- Si', anche se con un po' di cautela, altrimenti come farei ad accumulare esperienza e conoscenza, se non attraverso la testimonianza di altri? Non posso certo fare tutto da sola, affidarmi soltanto alla mia memoria, alla mia ragione e alla mia percezione: la mia conoscenza sarebbe troppo limitata!

(Questa, cara lettrice e caro lettore, non è la recensione dell'ultimo libro di Nicla Vassallo, che discute e analizza proprio quest'ordine di problemi: Per sentito dire. Conoscenza e testimonianza, Milano, Feltrinelli, 2011) ed e' frizzante e intelligente come lei che e' un filosofo donna. Questo e' un dialogo immaginario condotto in quello stile. Continuo).

- Giusto. Dunque quali testimonianze hai raccolto?

- Ecco: non sono mai stata in Birmania ma ho letto che li' c'e' una donna tenace e coraggiosa che non si e' mai data per vinta e che ha un nome pieno di significato, per noi europei. Si chiama Aung San Suu Kyi, san sou ki, sans souci, senza pene, senza affanni, e' cosi' sembra che viva e lotti, col sorriso sulla bocca e un fiore nei capelli, anche se e' stata segregata per tantissimi anni.

- Che bello, e poi?

- Poi ci sono tantissime donne, centinaia di migliaia, le ho viste alla tv e in foto sui siti web e anche di persona, alla piccola manifestazione cui ho partecipato, donne italiane che manifestavano la propria dignita' violata dal presidente del consiglio del loro paese e da pratiche che continuano a trascurarle e umiliarle.

- Dai, racconta ancora.

- Ti diro' allora che in una piccola repubblica in mezzo alle montagne c'e' un consiglio federale, un governo cioe', composto in maggioranza da donne.

- Parli della Svizzera? Ma li' le donne non hanno ottenuto il voto soltanto nel 1971?

- Proprio la Svizzera: pensa quanta strada hanno fatto in pochi anni. E quelle ministre sono donne normali, sai, non persone reclutate per la loro avvenenza o il loro opportunismo.

- Fortunato quel paese. Non sembra proprio cosi' vicino all'Italia.

- E dove cambiano ancora il mondo le donne?

- Dove scendono anch'esse in piazza per abbattere i dittatori, anche se sono cosi' poche che nemmeno si vedono nelle immagini dei telegiornali.

 

7. RIFLESSIONE. DACIA MARAINI: LA GUERRA SOTTERRANEA CONTRO OGNI DONNA

[Dal "Corriere della Sera" del 21 febbraio 2011 riprendiamo il seguente articolo dal titolo "La guerra sotterranea contro ogni donna".

Dacia Maraini, nata a Firenze nel 1936, scrittrice, intellettuale femminista, e' una delle figure piu' prestigiose della cultura democratica italiana. Un breve profilo biografico e' in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 47. Tra le opere di Dacia Maraini segnaliamo particolarmente: L'eta' del malessere (1963); Crudelta' all'aria aperta (1966); Memorie di una ladra (1973); Donne mie (1974); Fare teatro (1974); Donne in guerra (1975); (con Piera Degli Esposti), Storia di Piera (1980); Isolina (1985); La lunga vita di Marianna Ucria (1990); Bagheria (1993). Vari materiali di e su Dacia Maraini sono disponibili nel sito www.dacia-maraini.it Si veda anche l'intervista nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 247]

 

Colpiscono i dati: a Roma sono diminuiti gli scippi, le rapine, i furti, ma aumentano le violenze contro le donne. Come interpretare questo fenomeno, che non riguarda solo Roma ma tutta l'Italia? Non si tratta solo di citta' piu' o meno sicure. Si tratta di un degrado culturale che le donne sono le prime a pagare.

Voglio ricordare che lo stupro e' un'arma di guerra. Non lo dico io, l'ha stabilito l'Onu. Lo stupro non ha niente a che fare con il desiderio sessuale, ma con l'umiliazione di un corpo che si vuole punire. Colpendolo nel luogo piu' sacro e piu' potente, il luogo dove prende piacere e da' la vita. Qualcuno potrebbe chiedersi: ma perche' un'arma di guerra in tempo di pace? La risposta e' che dentro ogni pace pretesa covano delle guerre sotterranee che oppongono una cultura di genere che si ritiene minacciata nei suoi privilegi, contro l'altro genere. Lo stupratore e' spesso il soldato inconsapevole che partecipa a un conflitto piu' grande di lui.

Forse non se ne rende conto, ma violentando una donna da' sfogo a una diffusa e antica rabbia maschile che non sopporta la perdita delle gerarchie tradizionali e trova offensiva ogni insubordinazione femminile. Avvilire, mortificare, castigare una donna per quello che e', sta alla base dello stupro. Non a caso nelle guerre piu' antiche era considerato un diritto del vincitore abusare delle donne del vinto. Era un modo per sancire, anche simbolicamente, la propria superiorita'. Sporcare il ventre femminile, lacerarlo, avvilirlo fa parte della strategia del dominio. Ma poiche' oggi la guerra fra i sessi non e' ammessa, anzi si opera in nome della parita' di diritti, le tecniche di sottomissione si spostano dalla prigionia familiare, dall'esclusione dei mestieri, dall'uso delle punizioni corporali, alla continua e insistita svalutazione del pensiero e dell'autonomia femminile.

Nel momento che si dichiara libero il suo corpo, lo si relega al libertinismo: sei libera di spogliarti, di agghindarti, di venderti, ma non di camminare tranquillamente per strada di notte. La paura di un corpo indipendente, autonomo, che pretende di scegliere il proprio piacere, puo' fare impazzire chi, nonostante le pretese di parita', crede nella sottomissione di un sesso da parte dell'altro. Da li' alla violenza il passo e' breve e molti lo compiono senza neanche rendersi conto della gravita' di cio' che fanno. Un poco di sesso, che sara'? Dopotutto le donne vogliono questo no? "Vis grata puellis", dicevano i latini: "la forza piace alle fanciulle". Perfetta razionalizzazione di un atto di prepotenza. Ma lo stupro colpisce anche chi non lo subisce. E' una ferita sociale che tocca tutti. Perche' oltre a limitare le liberta' femminili (quante ragazze avranno paura di uscire sole?) distrugge la fiducia nell'altro sesso, che e' la base di ogni rapporto erotico e amoroso.

 

8. RIFLESSIONE. BARBARA ROMAGNOLI: DAL 13 FEBBRAIO AL 6 MAGGIO

[Ringraziamo Barbara Romagnoli (per contatti: barbara0romagnoli at gmail.com) per averci messo a disposizione questo suo intevrento apparso nel sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/) l'8 marzo 2011 col titolo "13 febbraio: un confronto sottovalutato" e il sommario "Dopo l'8 marzo... spero che venga un 6 maggio in cui a dominare sia il rosso".

Dal sito www.barbararomagnoli.info riprendiamo il seguente breve profilo: "Barbara Romagnoli e' nata a Roma nel 1974, giornalista professionista dal 2004, aspirante apicoltrice. Attualmente collabora con Editori Laterza e la Iowa State University - College of Design, Rome Program. E' laureata in filosofia con una tesi su "Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo", da allora si interessa di studi di genere e femminismi, ha partecipato a seminari, incontri, workshop e convegni sulla storia e i movimenti politici delle donne in Italia e all'estero. Da diversi anni docente per corsi di formazione, fra cui "Indipendent Radio and Media" presso Novi Sad (Serbia) nell'ambito del progetto Radio Radionica, promosso da Cie e Radio Popolare Network. Dal 1999 al 2004 ha lavorato presso la rivista "Carta", ha collaborato come freelance con varie testate (fra cui "Marea", "BCC Magazine", "Liberazione", "Peacereporter", "Amisnet", "Carta", "Aprile", "Nigrizia", "Left", "La nuova ecologia", "Confronti", "em mondialita'", "Noi donne"). Fra il 2002 e il 2005 e' stata coordinatrice del progetto Radio Carta (magazine radiofonico settimanale distribuito a circa 25 radio su territorio nazionale). Ha lavorato come ufficio stampa per convegni ed eventi culturali (fra cui Eurovisioni 2007 e 2008, Parole per cambiare, parole per piacere - Fiera della piccola editoria, 2005) e presso l'ufficio stampa della Sottosegretaria ai Diritti e Pari Opportunita', presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (2007-2008). Ha vissuto due anni in Olanda a Leiden, dove ha imparato a convivere con il vento. Ha fatto parte per diversi anni del collettivo A/matrix con cui ha condiviso la passione per la politica, il femminismo e la buona tavola"]

 

Il 13 febbraio sono scesa in piazza per curiosita' e non per convinzione. Non mi piaceva l'appello e mi e' dispiaciuto il modo in cui da piu' parti si e' liquidato il dibattito scaturito subito fra chi aderiva e chi no, uno scambio d'idee secondo me interessante e ricco di stimoli, sorto anche in luoghi non sospetti come puo' essere un quotidiano come il "Corriere" o nei bus che attraversano la citta', animato da donne di diversa eta' e provenienza.

La sensazione che ho avuto e' che sia stato un confronto sottovalutato, mentre avrebbe avuto senso amplificarlo, comunicarlo maggiormente all'opinione pubblica, renderlo manifesto per quello che era. Ovvero una discussione che ciclicamente riemerge, anche con toni accesi o conflittuali, che va avanti da tempo, perche' - come e' stato detto da piu' parti - le femministe non sono state zitte ne' tantomeno disattente.

Molte, fra le amiche e compagne piu' convinte di me, hanno invece pensato che fossero discorsi fra le solite femministe snob ed elitarie, le teoriche che si tolgono dalla mischia. Ecco, penso che questo sia stato uno degli errori di quella giornata. Perche' se e' vero che c'era bisogno di riprendere parola pubblica - da questo punto di vista e' stato un indubbio successo e sono contenta per chi ci ha creduto piu' di me - dall'altro non si puo' ingenuamente far passare la vulgata che basta la sciarpa bianca a creare il collante o che non fossero importanti i contenuti con cui si scendeva in piazza. Molti degli argomenti che ho sentito non mi appartenevano, mi erano distanti.

E' stata una sensazione spiazzante, arrivare a Piazza del Popolo e sentir a pelle un forte senso d'estraneita'. Si' certo, c'erano donne con cui condivido idee e politica da anni, sconosciute e giovani con le quali potrei avere molto da dire, ma ce n'erano altrettante con cui non condivido nulla oltre al visibile dato biologico o al fatto che come me non vogliono (o non vogliono ora) Berlusconi. Ecco, avrei preferito che si dicesse che era una piazza per mandare a casa il governo. In quel caso e considerato in che situazione versa il nostro paese, mi sarei fatta meno problemi a manifestare vicino a tante piccole Santanche' o avrei potuto ascoltare con meno fastidio la lezioncina di etica di Bongiorno.

Altro e' parlare di dignita' delle donne. Anche perche' cosi' genericamente buttata la' mi e' sembrato un ennesimo discorso neutro, un pacato e sereno discorso politicamente corretto, di veltroniana memoria, lanciato da donne che si saranno pure stufate, o che finalmente avranno aperto gli occhi, ma che non hanno nulla da dire a chi da anni cerca di cambiare l'immaginario e le culture che nutrono la nostra societa' sessista. Donne che non sono disposte ad ascoltare percorsi diversi dai loro, curioso soprattutto per le piu' grandi che dal femminismo provengono.

L'appello era scritto con una lingua di fatto conservatrice che non e' nel mio orizzonte, che non vorrebbe esserlo piu', altrimenti ci si accontenta, e non si gode, nel senso di gioire per un desiderio che si avvera o una rivoluzione che si mette in moto davvero.

Ascoltando e leggendo la distinzione fra donne perbene e donne permale - anche questa minimizzata - o a sentir parlare di soglia della decenza superata, mi e' tornato in mente quando nel 2007 si cerco' di mettere su la "cosa rossa". Anche allora mi chiesero, come giovane femminista precaria, cosa ne pensassi. Risposi che non sapevo che farmene, non mi piaceva il contenitore e non ne capivo i contenuti. Mi e' accaduta la stessa cosa leggendo l'appello di "Se non ora quando", ma la delusione e' stata maggiore.

Perche' da anni con tante altre donne lavoriamo per far passare i contenuti radicali che il femminismo ha consegnato anche a noi piu' piccole, perche' se accettiamo sempre la logica del male minore non andiamo da nessuna parte, perche' se non alziamo noi la posta in gioco, resteremo intrappolate negli stessi stereotipi e pregiudizi che vorremmo combattere, perche' di fatto a catalizzare la grande partecipazione al 13 e' stato il messaggio - lanciato chiaro e forte - che ci sono delle donne che si sacrificano per la loro vita e quella della loro famiglia e altre che vendono il loro corpo e basta.

La realta' e' molto piu' complessa e lo sappiamo. Mi rifiuto di mettere sullo stesso piano Minetti o Ruby, che usano la loro bellezza e il loro corpo per avere potere e denaro, e le donne che liberamente e senza pretesa alcuna usano il loro corpo diversamente da come vorrebbe la morale cattolica, borghese o moderatamente di sinistra. La Minetti o chi per lei equivale, per quanto mi riguarda, a tante altre donne che senza necessariamente prostituirsi agiscono potere sulle altre donne, fanno della femminilita' un abito ambiguo e spesso autoritario.

Accettare di annullare le differenze anche fra noi donne, per una presunta causa di forza maggiore fosse anche il berlusconismo, rischia di creare un pensiero unico femminile che e' molto pericoloso oltre a fare il paio con il pensiero maschile dominante.

Questi sono i motivi per cui il 13 febbraio non mi restera' nel cuore. Ma sono ottimista e voglio sperare che dopo l'8 marzo, che non sfugge a retoriche sulla presunta femminilita' e improbabile sorellanza o su sante alleanze di ogni tipo, venga un 6 maggio in cui a dominare sia il rosso e non il bianco. Perche' se le piazze del 13 aderiranno allo sciopero generale e lo riempiranno di contenuti femministi davvero faremo un passetto avanti. Perche' se si fermano le donne, davvero si ferma il paese. E ne avremmo tanto bisogno, per riprendere in mano il futuro nostro e di chi ci sta accanto.

 

9. RIFLESSIONE. ROSANGELA PESENTI: ANCHE A CORTENUOVA, SE NON ORA QUANDO?
[Ringraziamo Rosangela Pesenti (per contatti: e-mail: rosangela_pesenti at yahoo.it, sito: www.rosangelapesenti.it) per questo intervento.

Rosangela Pesenti, laureata in filosofia, da molti anni insegna nella scuola media superiore e svolge attivita' di formazione e aggiornamento. Counsellor professionista e analista transazionale svolge attivita' di counselling psicosociale per gruppi e singoli (adulti e bambini). Entrata giovanissima nel movimento femminista, nell'Udi dal 1978 di cui e' stata in vari ruoli una dirigente nazionale fino al 2003, collabora con numerosi gruppi e associazioni di donne. Fa parte della Convenzione permanente di donne contro tutte le guerre, della Convenzione delle donne di Bergamo, collabora con il Centro "La Porta", con la rivista "Marea" e la rivista del Movimento di cooperazione educativa. Tra le opere di Rosangela Pesenti: Trasloco, Supernova editrice, Venezia 1998; (con Velia Sacchi), E io crescevo..., Supernova editrice, Venezia 2001; saggi in volumi collettanei: "Antigone tra le guerre: appunti al femminile", in Alessandra Ghiglione, Pier Cesare Rivoltella (a cura di), Altrimenti il silenzio, Euresis Edizioni, Milano 1998; "Una bussola per il futuro", in AA. VV., L'economia mondiale con occhi e mani di donna, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta, Bergamo 1998; AA. VV., Soggettivita' femminili in (un) movimento. Le donne dell'Udi: storie, memorie, sguardi, Centro di Documentazione Donna, Modena 1999; "I luoghi comuni delle donne", in Rosangela Pesenti, Carmen Plebani (a cura di), Donne migranti, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta, Bergamo 2000; "Donne, guerra, Resistenza" e "Carte per la memoria", in AA. VV., Storia delle donne: la cittadinanza, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta, Bergamo 2002; Caterina Liotti, Rosangela Pesenti, Angela Remaggi e Delfina Tromboni (a cura di), Volevamo cambiare il mondo. Memorie e storie dell'Udi in Emilia Romagna, Carocci, Firenze 2002; "Donne pace democrazia", "Bertha Von Suttner", "Lisistrata", in Monica Lanfranco e Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne Disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003; "I Congressi dell'Udi", in  Marisa Ombra (a cura di), Donne manifeste, Il Saggiatore, Milano 2005; "Tra il corpo e la parola", in Io tu noi. Identita' in cammino, a cura dell'Udi di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, 2006]

 

In un paese della Bassa pianura bergamasca, 1.600 abitanti circa, i laureati della mia generazione sono ben pochi, ma il caso vuole che uno, autoctono, oggi residente in un comune vicino, sia diventato per passione uno storico, in particolare dell'eta' medievale a partire dalla famosa battaglia di Cortenuova, il paese in questione, e sempre il caso vuole che una, la sottoscritta, immigrata da un paese vicino nell'ormai lontano 1978 per scelta di convivenza, sia una storica, una studiosa, per passione e mestiere, di storia delle donne.

In un paese cosi' piccolo una curiosa casuale parita' di genere nell'amore per una disciplina, la storia, generalmente poco apprezzata.

Quest'anno l'amministrazione, di centrosinistra da dodici anni (e anche prima dal 1975 al 1980) celebra con solennita' (ben due iniziative) i 150 anni dell'Unita' d'Italia e, come sempre, invita lo storico locale, peraltro un caro stimato amico.

Io, la "storica", invitata non lo sono mai: ho cresciuto qui i miei figli che sono diventati uomini, sono la profe conosciuta da molti alunni e alunne, a me si sono rivolte le mamme e insegnanti che hanno organizzato due anni fa un'assemblea per discutere la pseudoriforma Gelmini, sono la donna a cui si rivolgono persone e istituzioni per iniziative varie, ma nel paese in cui abito lo spazio pubblico sembra mi sia vietato, vige nei miei confronti un'interdizione che ha il sapore antico del "vade retro strega" se non fosse il dato storico, ben piu' recente, che ha escluso un'intera generazione politica di donne, la stessa che negli anni '70 aveva portato tutto il Paese a un livello di democrazia piu' vicino ai principi dichiarati nella Costituzione.

L'amministrazione ha il diritto di organizzare le manifestazioni pubbliche invitando gli esperti che preferisce e su questo non vi e' dubbio, e non porrei la questione se pensassi che e' solo personale.

Sono convinta invece che la questione riguardi proprio l'interdizione dello spazio politico alle donne che hanno autonomia di pensiero: in un paese cosi' piccolo le scelte sono molto visibili e se le donne come me sono condannate all'invisibilita' sociale vincono le immagini televisive, contro le quali non abbiamo potere.

Se per l'amministrazione comunale di Cortenuova non e' importante la parola, la memoria e la presenza delle donne in piazza, a ricordare la storia di questo Paese accanto agli uomini, vengono cancellate anche le tante parole condivise il 13 febbraio nella piazza di  Bergamo come in tante piazze d'Italia e del mondo.

In quel momento ci siamo ritrovate unite da rabbia e amarezza per le tante sconfitte accumulate negli ultimi anni, non solo a causa di una vendetta patriarcale particolarmente arrogante e di un governo francamente misogino, ma anche per l'insipienza di una politica che ci considera inessenziali o decorative, a destra come a sinistra.

Ci siamo ritrovate e riconosciute nella tenacia delle nostre vite e nella certezza di un cammino fatto insieme, di una storia accumulata che non potranno impunemente cancellare e anche per questo a Bergamo ci siamo date un nuovo appuntamento il 13 marzo.

Non sara' l'ennesima esclusione, non sara' l'interdizione a vita dai luoghi pubblici del territorio che abito a cambiare il mio impegno: nessuna mortificazione puo' fermare la mia lotta e testimonianza di sempre, ma sono convinta che il momento storico richieda anche da me quella presa di parola alla quale mi sono sottratta per anni proprio qui dove abito.

Ho taciuto perche' il silenzio ti toglie almeno una fatica dalle tante di cui e' fatta ancora la vita delle donne: farsi avanti e' difficile quando il tuo gesto puo' apparire un atto di superba invadenza o di stupida vanita', e' difficile anche per una come me avanzare timide proposte e trovare solo volti chiusi.

E' stato difficile, anche per una come me, mantenere un equilibrio tra l'essere cittadina in molti luoghi e clandestina al mio paese, dove in fondo ci conosciamo tutti e i confini delle esclusioni sono quindi piu' rigidi, le ipocrisie piu' feroci, i pregiudizi piu' tenaci.

Se oggi scelgo di espormi, di fare un passo avanti (e ne avrei fatto volentieri a meno) e' per due motivi: primo, perche' sono convinta che anche i cittadini e le cittadine di Cortenuova  avrebbero diritto alla storia intera, e una volta tanto ad ascoltare una voce nuova che l'eta' non puo' invecchiare, quella delle donne che esistono e rivendicano il proprio posto nella storia di un Paese che deve proprio a loro ben piu' della meta' della democrazia che vale per tutti.

Secondo, perche' non voglio che le persone, donne soprattutto, ma anche uomini, che mi conoscono e mi stimano, pensino che sono disponibile ad andare ovunque venga richiesta la mia presenza e disprezzo invece il "natio borgo selvaggio".

Il programma della celebrazione e' gia' stato distribuito e non si puo' riparare, ma sono convinta che questa sia un'occasione perduta anche nei confronti di quella parte di popolazione che ha molte riserve su questo anniversario, a cui non si puo' offrire solo la retorica dell'inno nazionale.

Sono profondamente convinta che il tessuto politico democratico si puo' ricostruire solo rendendo visibili i soggetti che ne sono titolari, ricostruendo luoghi di dialogo, praticando il confronto, anche partendo dalle periferie, soprattutto partendo dalle periferie, dove potrebbe essere piu' facile ascoltare e discutere le ragioni di tutti.

Senza la presenza autonoma delle donne, fuori dai recinti e dalle tutele maschili, la democrazia non puo' vivere, nel comune di Cortenuova, come nel Parlamento della Repubblica.

Penso anche, come tante, che questo Paese abbia sempre troppo bisogno del coraggio delle donne.

Mi piacerebbe un Paese in cui l'esistenza per le donne non sia sempre anche resistenza.

Care compagne di strada che abitate gli stessi partiti dei miei amministratori, con molte di voi ho condiviso lotte e storie importanti, mi conoscete, per questo e' soprattutto con voi che oggi voglio condividere la domanda che riguarda la mia piccola vita  moltiplicata per quella  di tutte: se non ora, quando?

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 293 del 12 marzo 2011

 

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