Archivi. 34



 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XII)

Numero 34 del 3 febbraio 2011

 

In questo numero:

Aldo Capitini: Teoria della nonviolenza (parte seconda e conclusiva)

 

TESTI. ALDO CAPITINI: TEORIA DELLA NONVIOLENZA (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)

[Riproduciamo ancora una volta l'opuscolo che riporta alcuni testi di Aldo Capitini, Teoria della nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1980 (richiedibile presso la redazione di "Azione nonviolenta", e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org).

Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' ancora quella a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori, Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); ma notevole ed oggi imprescindibile e' anche la recente antologia degli scritti a cura di Mario Martini, Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004, 2007; delle singole opere capitiniane sono state recentemente ripubblicate: Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989, Edizioni dell'asino, Roma 2009; Elementi di un'esperienza religiosa, Cappelli, Bologna 1990; Colloquio corale, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2005; L'atto di educare, Armando Editore, Roma 2010; cfr. inoltre la raccolta di scritti autobiografici Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; La religione dell'educazione, La Meridiana, Molfetta 2008; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007; Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008; Aldo Capitini, Guido Calogero, Lettere 1936-1968, Carocci, Roma 2009. Opere su Aldo Capitini: a) per la bibliografia: Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Bibliografia di scritti su Aldo Capitini, a cura di Laura Zazzerini, Volumnia Editrice, Perugia 2007; Caterina Foppa Pedretti, Bibliografia primaria e secondaria di Aldo Capitini, Vita e Pensiero, Milano 2007; segnaliamo anche che la gia' citata bibliografia essenziale degli scritti di Aldo Capitini pubblicati dal 1926 al 1973, a cura di Aldo Stella, pubblicata in Il messaggio di Aldo Capitini, cit., abbiamo recentemente ripubblicato in "Coi piedi per terra" n. 298 del 20 luglio 2010; b) per la critica e la documentazione: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Mario Martini (a cura di), Aldo Capitini libero religioso rivoluzionario nonviolento. Atti del Convegno, Comune di Perugia - Fondazione Aldo Capitini, Perugia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Gian Biagio Furiozzi (a cura di), Aldo Capitini tra socialismo e liberalismo, Franco Angeli, Milano 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; Maurizio Cavicchi, Aldo Capitini. Un itinerario di vita e di pensiero, Lacaita, Manduria 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; Alarico Mariani Marini, Eligio Resta, Marciare per la pace. Il mondo nonviolento di Aldo Capitini, Plus, Pisa 2007; Maura Caracciolo, Aldo Capitini e Giorgio La Pira. Profeti di pace sul sentiero di Isaia, Milella, Lecce 2008; Mario Martini, Franca Bolotti (a cura di), Capitini incontra i giovani, Morlacchi, Perugia 2009; Giuseppe Moscati (a cura di), Il pensiero e le opere di Aldo Capitini nella coscienza delle giovani generazioni, Levante, Bari 2010; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; e Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell'Italia del Novecento, Donzelli, Roma 2006; c) per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato ed i volumi bibliografici segnalati sopra; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org]

 

Carattere della nonviolenza

Della nonviolenza si puo' dare una definizione molto semplice: essa e' la scelta di un modo di pensare e di agire che non sia oppressione o distruzione di qualsiasi essere vivente, e particolarmente di esseri umani. Perche' questa scelta? Per amore: ecco, vediamo subito che si tratta di una cosa positiva, appassionata. Ma e' l'amore che non si ferma a due, tre esseri, dieci, mille (i propri genitori, i figli, il cane di casa, i concittadini, ecc.); e' amore aperto, cioe' pronto ad amare altri e nuovi esseri, o ad amare meglio e piu' profondamente gli esseri gia' conosciuti. E qui si capisce uno dei caratteri essenziali della nonviolenza bene intesa: essa non e' mai perfetta e non finisce mai, appunto perche' e' una cosa dell'anima; e' un valore, e' come la musica, la poesia, e si puo' sempre fare nuova musica, nuova poesia; e la vecchia musica, la vecchia poesia, possono essere vissute piu' profondamente.

Il paragone con la musica ci fa comprendere anche un'altra cosa: come nessuno puo' desiderare di ascoltare e comporre la "musica ", tutta la Musica; ma desidera ascoltare e comporre "delle musiche particolari e concrete"; cosi nessuno abbraccia l'astratta "Nonviolenza", ma compie atti particolari di nonviolenza, in situazioni concrete. La nonviolenza e', dunque, dire un tu ad un essere concreto e individuato; e' avere interessamento, attenzione, rispetto, affetto per lui; e' avere gioia che esso esista, che sia nato, e se non fosse nato, noi gli daremmo la nascita: assumiamo su di noi l'atto del suo trovarsi nel mondo, siamo come madri.

Nell'agire secondo la nonviolenza ha grande rilievo non uccidere, non dare la morte. Si potrebbe obbiettare: quella persona morra' ugualmente, prima o poi. Rispondiamo che anzitutto c'e' una grande differenza; e noi stiamo parlando con serieta', per cui l'atto nostro ha il suo valore non nel fatto, ma nel proposito. E' ben diverso che io uccida mia madre e che essa muoia assistita amorevolmente da me. Sono non solo due modi di vivere diversi, ma due mondi. Inoltre: chi ci dice che la morte sia un fatto costante, ineliminabile? Abbiamo tentato di non dare la morte ne' col pensiero ne' con l'atto, per vedere se la realta' ci seguisse? Che ragione abbiamo noi di rimproverare la realta' che da' dolore e morte, se diamo dolore e morte? Sicche' chi non da' la morte, produce due cose: in se', tanto e' l'appassionamento all'esistenza delle persone, il senso della loro presenza anche se muoiono; e nella realta' introduce un'iniziativa che la puo' trasformare.

Proprio l'amore per le persone, fino al rispetto della loro esistenza e fin sull'orlo della morte, prende su di se' la presenza di quelle persone, quando e' amore non per uno, due, dieci, ma aperto a tutti. Il nostro agire innocente sente che quelle persone, se muoiono, restano unite all'intima presenza; mentre l'omicida, soltanto se si pente amorevolmente, ritrova in se' la presenza della persona uccisa; altrimenti sente il vuoto intorno a se'.

Con la nonviolenza, dunque, s'impara concretamente che i modi di manifestarsi attuali della realta' (tra cui la separazione, il dolore, la morte) non sono permanenti, ma possono trasformarsi in meglio; e' una prova che vale la pena di tentare, e percio' la nonviolenza e' appello al mondo per una grande mobilitazione dell'unita' amore, con la fede nella trasformazione della realta' stessa.

E' percio' un errore credere che la nonviolenza si collochi nel mondo lasciandolo com'e'; piu' si pensa alla nonviolenza e si cerca di attuarla, piu' si vede che essa ha un dinamismo tale che non puo' accettare il mondo com'e', ma essa porta tutto verso una trasformazione: l'umanita', la societa', la realta'. Come strumento di conservazione del mondo, la nonviolenza e' discutibile; come strumento di trasformazione in meglio, essa ha un valore inesauribile, appunto perche' non fa modificazioni e spostamenti in superficie, ma va nel profondo, al punto centrale.

E un altro e simile errore e' credere che la nonviolenza sia contro le violenze attuali, ma accetti quelle passate, dell'umanita', della societa', della realta'. Se fosse cosi' la nonviolenza sarebbe conservatrice e accetterebbe il fatto compiuto, le prepotenze avvenute, le oppressioni, le monarchie, gli sfruttamenti. La vera nonviolenza non accetta nemmeno le violenze passate, e percio' non approva l'umanita', la societa', la realta', come sono ora. Non accetta la realta' dove il pesce grande mangia il pesce piccolo; e percio' cerca di stabilire unita' amore anche verso gli animali, appunto per iniziare il bene; non accetta che i viventi prendano il posto dei morti, e percio' tende a soccorrere i deboli, gli stroncati; non accetta il potere e la ricchezza privata, e percio' tende a costituire forme di federalismo nonviolento dal basso e forme di aiuto e reciprocita' sociale e fruizione comune di beni sempre piu' larghe. Essa ha come guida instancabile la presenza di tutti, e il principio che ogni singolo essere e' insostituibile.

Percio' essa tende a ridurre ed eliminare gli schemi generici e impersonali. Noi viviamo troppo di questi schemi, e molte volte non ci curiamo d'altro; ma non esistono gli schemi (gli amici, i nemici, i malati, gl'italiani, i religiosi, gli autisti, ecc.); esistono i singoli individui, e la vita fondamentale e' quella che li considera nella loro singolarita' insostituibile. Noi usiamo lo schema, per esempio se cerchiamo un autista, e poi un altro autista, un librario ecc. Ma il progresso e' proprio nel ridurre questo uso di schemi. La guerra invece e' il mostro piu' immane di questo uso di schemi, che divora le singole individualita': non ci sono che i nostri e i nemici; e' percio' sommamente diseducatrice.

Ci avviciniamo cosi ad alcuni punti problematici della nonviolenza. Che cosa succede nella societa' cosi' com'e' ora costituita? La risposta deve richiamare a quello che gia' si e' detto: la nonviolenza non puo' mettersi nel mondo com'e', e lasciarlo tale e quale; la nonviolenza e' lotta (contro se stessi, le proprie tendenze. i propri sogni di quiete), e' dramma tormentoso, e' spinta a scegliere cio' a cui uno tiene di piu', a fare una prospettiva; e se uno continua a vedere la vita come la vedono tutti, trova assurda la nonviolenza; poi vengono le disgrazie e la morte, e uno non ci capisce nulla. Invece la nonviolenza fa una prospettiva che da' una preparazione religiosa per tutte le disgrazie e la morte: l'unita' amore con le persone, come singole e come eternamente presenti, l'unita' amore che si perde di sentirla se noi compiamo atti di violenza e di distruzione delle persone. Tenuto fermo questo senso di eterno, esso si allarga a comprendere tutto cio' che di bello, di buono viene creato, ed uno si sente in un mondo piu' vero di quello apparente nel tempo e transeunte. Ora, in una societa' se io sto inerte, sono colpevole. Ma se io, pur essendo per la nonviolenza, sono attivissimo, e con quella scelta e quella fede la vivo e la concreto e la diffondo con il mio costume, sono a posto verso la societa'. Nella quale percio' saranno due gruppi di persone: quelle che useranno eventualmente la violenza, e quelle che non la useranno, ma esplicheranno una intensa attivita'.

Ci siamo cosi preparati per affrontare una delle obbiezioni piu' insistenti; se usiamo la nonviolenza, trionfano i cattivi. Rispondiamo che, anzitutto, l'uso della violenza non ci da' sufficiente garanzia che trionfino i buoni, perche' l'uso della violenza con efficacia richiede che si facciano tanti compromessi e tanti addestramenti che si perde una parte di quella bonta', di quella elevatezza; e questo si vede dopo le guerre, quando c'e' un diffuso trionfo di violenti, e ci vuole l'azione di nuclei puri per cercare di guarire (ecco la fortuna di idee religiose in ogni dopoguerra). Ora, gli uomini non hanno bisogno soltanto di ordine nella societa', ma che ci siano vette alte e pure. Se per tener testa ai cattivi, bisogna prendere tanti dei loro modi, all'ultimo e' realmente la cattiveria che vince. La cosa e' piu' evidente se i cattivi posseggono armi potentissime, e noi per avere armi piu' potenti ancora, mettiamo tutta la nostra forza: alla fine scompare la differenza tra noi e loro, e c'e' bisogno che sorga una differenza netta tra chi usa le armi potenti, e chi usa altri modi, con fede che essi trasformano il mondo.

Gia' queste poche considerazioni mostrano quali modi spirituali piu' ricchi scaturiscono dalla nonviolenza. E anche in questo essa ha un grande ufficio nel mondo d'oggi, nel quale sembra che tutto si risolva nell'organizzazione sociale. C'e' il pericolo di restringere l'orizzonte dello spirito. L'organizzazione sociale non e' che un aspetto, e se noi piegassimo tutto ad essa, perderemmo cose anche piu' importanti. E' certo che Gesu' Cristo porto' scompiglio, divisioni, altri modi nell'organizzazione sociale; eppure siamo convinti che egli era ben degno di nascere. Forse col Settecento si e' accentuata questa tendenza politico-sociologica; ma non bisogna dimenticare che la civilta' vuol dire essenzialmente non ripetizione, ma creazione. Per di piu' lo sviluppo tecnico ha portato il beneficio di tali comodi e servizi, che uno si e' affezionato troppo ad essi; e allora la civilta' perde in serieta' confrontata con civilta' passate, che saranno state devote a miti, ma erano piu' evolute. Bisogna quindi tornare ad una gerarchla o prospettiva di valori; e allora si vedra' che i valori che si difendono o acquistano con la violenza sono inferiori a quelli che si difendono o acquistano con l'attivita' nonviolenta.

Insieme con questa prospettiva, che si diffondera' a poco a poco negli uomini, specialmente se dovranno subire una nuova guerra, c'e' un fatto che appare nuovo. Fino ad ora chi ha attuato la nonviolenza in una parte, per esempio in India, non si e' sentito perfettamente unito a chi ha usato la nonviolenza in un'altra parte, perche' uno diceva di farlo per una ragione, uno per un'altra; e ci rientravano miti, dogmi diversi. Oggi c'e' un'unificazione e noi lavoriamo per questo. E l'unificazione delle ragioni della nonviolenza porta, tra l'altro, che consideriamo violenza e nonviolenza non come un fatto privato e personale, ma internazionale. E percio' puntiamo prima di tutto sul fatto guerra, ci opponiamo alla violenza internazionale.

Una volta c'e' stato un pacifismo molto blando, tanto e' vero che davanti alla prima guerra mondiale e alla seconda vacillo'. Esso credeva di arrivare alla pace molto facilmente attraverso la cultura, la scienza, l'interesse al benessere, il cosmopolitismo delle classi dirigenti. Si e' visto poi che non bastavano, e si capisce perche'. Non era stato affrontato il lato religioso del rifiuto della violenza, che cioe' la violenza si rifiuta in nome dell'amore (e non dello star bene), di una realta' liberata dagli attuali limiti (e non della continuazione di una realta' insufficiente), e con una disposizione al sacrificio, ad essere come il seme del Vangelo che muore per far sorgere la nuova pianta. Il vecchio pacifismo era ottimista e di corta vista, il nuovo e' drammatico e di fede nella liberazione dell'uomo-societa'-realta' dagli attuali limiti.

Percio' anche a proposito dell'attuale mondialismo la nonviolenza da' un'ottima guida. Non si oppone, sia perche' c'e' tanta gente che in quella forma esprime per ora quello che vuole la nonviolenza, sia perche' c'e' sempre qualche cosa di educativo in questo dirsi "cittadini del mondo", tanto piu' in presenza a tanti persistenti nazionalismi, e alquanto torbidi: una prima purificazione puo' esser quella di dire, "conveniamo insieme tutti nel mondo", vediamo di intenderci, ascoltiamo e parliamo. La' dove la nonviolenza interviene e' nei primato da dare; il mondialismo dice: facciamo un'assemblea mondiale e un governo, e un codice, e una polizia mondiale; la nonviolenza dice: persuadiamoci dell'interna ragione dell'unita' umana attraverso l'impegno nonviolento, poi vedremo le forme sociali che ne conseguono. Il mondialismo sembra piu' concreto, ma corre il rischio di mantenere la violenza e di appoggiarsi a un impero vincente, e tutto resta quasi come prima; diminuira' qualche guerra, perche' il diritto di farla rimane al centro dell'impero, ma e' grave l'inconveniente che se questo governo mondiale fa ingiustizie, non c'e' scampo (mentre ora, almeno, si puo' mutare Stato). Il mondialismo sembra troppo facile accettarlo (e questa facilita' dovrebbe rendere attenti). La nonviolenza pone impegni precisi, chiede fede; e' difficile, ma va in profondo, si occupa della radice: ha fiducia di trarre da se' e dalla trasformazione che porta nuovi modi anche sociali, diversi dai vecchi del codice, dello Stato, della polizia, della distruzione repressiva.

La nonviolenza, per quello che vede finora, considera ogni rapporto non in senso di autorita', potere, repressione, ma in senso federativo, orizzontale, aperto. Per questo nella societa' circostante porta un modo diverso che agisce sia direttamente per le persone che coltivano in se' questo senso orizzontale, fraterno (e che ne sono trasformate), sia indirettamente per le persone che ricevono questo nuovo agire nonviolento, purche' costante e convinto. Bisogna tener presente questa trasformazione dell'uomo, e allora se si dice che la nonviolenza tende ad un "federalismo nonviolento dal basso", si capisce che non si tratta di un federalismo in cui ognuno resta tale e quale, ma di un federalismo nel quale opera un elemento dinamico, che e' la nonviolenza intesa in quel senso aperto.

Da quello che si e' detto risulta chiaramente che la nonviolenza tende anche a trasformare le strutture delle comunita', e stabilire rapporti diversi da quelli repressivi. Tuttavia si puo' osservare che l'azione dell'organo di "polizia" in una comunita' e' lontana da quegli eccessi di distruzione e di eccitazione psichica e di impersonalita' che ci sono per gli eserciti e le guerre: quell'azione e' circoscritta, diretta specificamente contro chi porta violenza e con lo scopo piu' di distogliere dalla tentazione che altro. Naturalmente il nonviolento tende ad altro, e a smobilitare polizie e prigioni, ed ha fiducia che questo sia possibile, perche' crede alla superabilita' del male e alla attuabilita' di migliori rapporti umani; e per intanto compie un'opera instancabile perche' la repressione sia umana, non torturatrice, educatrice, non vendicatrice, ma cooperante al bene anche del criminale stesso. Ma si rende anche conto che quello della polizia e della coercizione giudiziaria e' l'ultimo strumento a cui una comunita' rinuncia, e solo quando ci sia un ampio sviluppo di modi nonviolenti di convivenza. Il nonviolento si dedica a questo, specialmente con l'apertura verso il probabile violento, rimovendo le cause, rafforzando l'unita' sociale gia' nell'intimo.

(Da La nonviolenza, oggi, 1962)

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La nonviolenza nei casi personali

Nei rapporti personali (che e' il campo dei "casi" e delle critiche nelle discussioni sulla nonviolenza) la persuasione della nonviolenza si manifesta come tendenza generale, come una direttiva che va applicata pazientemente, e con la buona volonta' di cercare di evitare l'uso della violenza, e con la lealta' di correggersi se si devia, e di affrontare il dolore conseguente. Chi si mette su questa linea puo' errare mille volte, ma fa uno sforzo, apre una via, incide nella realta' abituale e fuga l'inerzia: non merita il rimprovero di chi sta inerte a non tentare nulla. Si', e' vero, e' difficile essere nonviolenti integralmente: e' piu' facile rifiutarsi agli eserciti e alle guerre; ma nell'ambito personale e immediato e' piu' difficile purificare dalla violenza i nostri atti, e ci possiamo trovare in situazioni nelle quali spingiamo la difesa fino alla violenza. L'importante e' non stancarsi di tendere ad attuarla, vivendola nelle sue profonde ragioni; che cosa fa il musicista, se non tendere a realizzare musica meglio che puo'? eppure puo' riuscirgli anche musica non sempre di valore, pura, alta.

Se uno mi assale per colpirmi, che cosa debbo fare? E' chiaro che dal punto di vista della nonviolenza io debbo evitare di colpirlo, e tanto piu' se il mio colpo sarebbe per lui la morte. Se sono capace di tenerlo nella incapacita' di colpirmi, cerchero': lo faro' con il dolore di esser tirato ad un contrasto con una persona ma posso tentare di farlo, e sappiamo che sono costruibili arnesi con i quali si puo' senza uccidere e senza ferire, impedire ad uno di colpire. E' probabile anche che io possa fare dei tentativi di parlare e di distogliere l'avversario. Certo e' che, nel punto estremo, nel quale o muore lui o muoio io, la nonviolenza mi dice quale e' la scelta da fare. E tuttavia le circostanze, le ragioni, significano molto se io decidessi diversamente; e con molto dolore dopo, per la tristezza del caso.

Cosi e' nelle altre ipotesi tormentose. Per esempio: se uno volesse uccidere un bambino? E' molto probabile che vi siano mezzi per immobilizzare chi vuoi compiere quell'atto, e che sia alquanto raro il caso che egli lo possa compiere senza che lo si cerchi di tener fermo e disarmato. In ogni modo, nel caso estremo, si puo' arrischiare anche la propria vita davanti a quella del bambino. Sara' stimabile chi, in omaggio alla nonviolenza e per tutto cio' che essa significa e produce, non compie la violenza di uccidere l'aggressore. Sara' stimabile anche chi compia questa violenza, con il puro scopo di difesa del bambino. Sarebbe un'impostazione errata del problema dire che non c'e' che un modo d'agire; e ogni altro e' delittuoso e traditore. L'atto vale per tutta la sua sostanza, e la sostanza della nonviolenza e' rispettabile tanto quanto quella della difesa, purche' siano entrambe serie e profonde. Del resto, non e' detto che tutte le volte che si opera con violenza si riesca ad impedire il misfatto; mentre se ci si desse a diffondere un'educazione alla nonviolenza si agirebbe anche sul sorgere di atti di violenza dove che siano, perche' nell'intimo siamo tutti un'unita'.

Del resto, la nonviolenza oggi si presenta con un accento straordinario. Appunto perche' la violenza, in atto o potenziale, e' salita a un culmine straordinario, la nonviolenza interviene per coordinare i tentativi di decongestione, e la cosa vale bene il sacrificio di qualcuno di noi se sara' offeso ed egli non reagira' con la violenza. Non che il sacrificio di noi, di altri o di cose, sia cercato di proposito; ma il fatto e' che si sta non salvando la bianchezza delle proprie mani, ma intervenendo perche' l'umanita'-societa'-realta' prendano un nuovo corso, si trasformino. E la trasformazione essenziale, da cui mille altre, e' quella di aprirsi ai singoli esseri, elevandoli coralmente, infinitamente, eternamente, ai valori puri. Il non usare violenza verso singole persone e', insieme, simbolo e realta': volere che i singoli siano presenti e partecipi in eterno; iniziare la realizzazione paradisiaca in terra, che richiede (naturalmente) iniziativa e sacrificio. Quest'aria eccezionale di ora religiosa, di fine di una realta' e di inizio di una realta' migliore, questa luce festiva tocca i sacrifici che la nonviolenza richiede.

Viene talvolta obbiettato che e' bene arrestare il violento con altrettanta violenza, proprio per il suo bene, per amore di lui, perche' conosca cio' che e' giusto, e trovi, fuori di se', un aiuto di forza per costringere la propria bestialita' e cattiveria. Rispondiamo che se fosse sempre cosi, sarebbe realmente gia' miglior cosa della violenza che trascura la situazione della persona che la riceve. Tuttavia e' da notare che l'efficacia di un tal metodo per migliorare gli altri e' ben discutibile, e nella realta' il violento si vede vinto da una violenza maggiore, e non impara a trasferirsi su un altro piano. Anzi vede che non c'e' che il piano della forza, e che vince chi ne ha di piu'. E' molto male che agli uomini non si porga l'esempio, l'ipotesi, l'insegnamento di tutto un altro modo di comportarsi. E fanno male i sacerdoti ad abdicare, quando abdicano, su questo punto. Inoltre chi usa questa "violenza pedagogico-giuridica", si cristallizza in essa: i romani la usarono, risparmiando i sottomessi e debellando i superbi; ma solo il cristianesimo porto' liberta' e autentica cittadinanza mondiale, e al posto dell'intenzione pedagogico-giuridica, mise la costruttiva e reale apertura dell'anima. In quel modo, opponendo violenza al violento, si ottiene, se mai, un risultato nel momento; mentre opponendo la nonviolenza e i suoi modi si otterra' un risultato piu' lontano, ma veramente di qualita' migliore.

Non si puo' sperare che poco dalla persuasione! viene obbiettato. Ammettiamolo, ma rispondendo: che se non si tenta, non si puo' dire, e bisogna dunque tentare con cuore intrepido; e poi, il valore della nonviolenza non sta nel persuadere subito di colpo: essa afferma se stessa e stabilisce unita' amore, apre una migiore realta'; questo atto viene deposto nell'unita' che lega tutti gli esseri; prima o poi dara' il suo effetto, anzi esso ha cominciato gia' a darlo se c'e' stato chi ha iniziato.

Ma voi persuaderete i buoni, i gia' persuasi; mentre i cattivi non vi daranno ascolto; ci vien detto. Noi non crediamo, invece, che le persone siano divisibili in due gruppi netti, ma se, col parlare di nonviolenza, si riuscisse a ritagliare un gruppo di persuasi, meglio cosi, che non, tacendo sulla nonviolenza, avere tutte persone violente. E poi: tante volte si parla di cattivi, e dei peggiori, che si volgono energicamente al bene; ed e' vero che spesso i fortemente buoni sono dei mancati briganti: che vuol dir questo? che non dobbiamo guardare a nature fisse, precostituite, predeterminate; ma piuttosto a impulsi, esempi, forze spirituali pure che entrano nel campo della vita delle persone; ed e' qui che la nonviolenza puo' fare piu' che puo'.

(Da La nonviolenza, oggi, 1962)

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Ragioni della nonviolenza

1. La nonviolenza prende in considerazione il nostro rapporto con gli altri esseri viventi, con la fiducia di renderlo sempre piu' reciprocamente amichevole, comprensivo, soccorrente, lieto, malgrado le difficolta' che gli altri stessi possono metterci. Questa fiducia non cessa di colpo al confine degli esseri umani e spera anche per gli esseri viventi non umani; ma si rende conto che la storia con la sua spinta vitale ha separato da noi finora questi esseri (animali e piante) in forme di piu' difficile educazione, trasformazione, liberazione.

2. La nonviolenza e' aperta all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo di ogni essere. Quando nel Settecento sono stati banditi i principi di liberta', eguaglianza, fratellanza, non e' stato fatto tutto. La liberta' era piu' la liberta' propria come diritto che la liberta' degli altri come dovere; l'eguaglianza era un bel principio, ma si fermava a meta' perche' restavano i miseri e gli sfruttati; la fratellanza era piu' quella generica con i lontani che quella difficile, nonviolenta e perdonante verso i vicini.

3. La bellezza della nonviolenza e' che essa preferisce non di distruggere gli avversari, ma di lottare con loro in modo nobile e dignitoso, con il metodo nonviolento, che fa bene, prima o poi, a chi lo applica e a chi lo riceve. In fondo e' piu' coraggioso volere vivi e ragionanti gli avversar!, che farli a pezzi.

4. Ma sarebbe errore credere che la nonviolenza consista nel non far nulla, nell'incassare i colpi, le cattiverie e le stupidaggini degli altri. La nonviolenza e' sveglia e attiva, e protesta apertamente, anzi cerca i modi non solo per convincere gli autori delle ingiustizie, ma per informare l'opinione pubblica, di cui ha la massima considerazione: la nonviolenza per nessuna ragione crede che si possa sospendere la liberta' e la possibilita' abbondante di informazione e di critica per tutti, fino all'ultimo essere umano. Anche qui la nonviolenza attua al massimo un principio del Settecento, che la borghesia ha poi alterato a proprio vantaggio: la formazione libera dell'opinione pubblica, comprendente tutti.

5. La nonviolenza puo' rinnovare veramente la vita interna di un paese, perche' nell'insieme di un'opinione pubblica, tutta sveglia e obbiettivamente informata, porta eventuali piani di non collaborazione e perfino, in casi estremi, di disobbedienza civile, che servono a bloccare iniziative autoritarie dall'alto. In Italia un popolo privo di esatta informazione e critica responsabilita' fu portato ad uccidere e a morire, e poi al popolo privo del metodo di opposizione nonviolenta fu imposta una dittatura. L'uso del metodo nonviolento avrebbe salvato e trasformato l'Europa, a cominciare dall'Italia e dalla Germania.

6. Trasformare la situazione interna dei paesi vuoi dire anche avere un continuo promovimento di campagne giuste e rinnovatrici, in cose piccole e in cose grandi, e senza portare il terrorismo della guerra civile nelle strade e nelle case. E' un metodo nuovo, il tenere attiva una societa' con il metodo nonviolento, controllando e smascherando, protestando e agitando, sacrificandosi e cosi educando i giovanissimi a cercare coraggiosamente di migliorare le societa' dal di dentro. Anche qui la nonviolenza salva i giovani, occupandoli bene (rivoluzione permanente).

7. La nonviolenza e' strettamente congiunta col punto a cui e' giunta la guerra, con la sua attrezzatura tecnica e le armi nucleari. L'esasperazione della ferocia e della vastita' distruttiva della guerra, specialmente dopo Hiroshima, ha posto il problema di arrivare a un altro modo di condurre le lotte e la stessa difesa. Come ci si difende alle frontiere da missili che varcano i continenti e in pochi minuti distruggono citta', specialmente le industrie, i civili? Si puo' arrischiare una tale strage e un tale avvelenamento dell'educazione delle generazioni? Dietro e dopo le soluzioni provvisorie dell'equilibrio del terrore, mentre e' enorme nel mondo la fabbricazione di armi di tutte le specie e la loro distribuzione anche ai popoli sottosviluppati, la nonviolenza prepara la svolta storica del possesso in tutto il mondo di un metodo di lotta che esclude la distruzione dei nemici, attraverso la non collaborazione con il male, la solidarieta' aperta dei giusti. Questo metodo non ha bisogno di armi e percio' di appoggiarsi ad una nazione con industrie capaci di darle, come sono costretti a fare i guerriglieri violenti, che usano anche i vecchi modi del terrorismo tra gli avversari e della tortura dei prigionieri.

8. Il metodo nonviolento esige prima di tutto qualita' di coraggio, tenacia, sacrificio, e di non perdere mai l'amore; poi esige un addestramento fisico e psicologico, ma possibile anche per persone di forze modeste. Un metodo in cui un cieco puo' essere piu' utile di un gigante. Cosi il metodo nonviolento si rivela come la possibilita' di partecipazione attiva, appassionata ed eroica, di persone che non hanno altro che il loro animo e le loro giuste esigenze: la nonviolenza le valorizza, illumina, e rende presenti anche moltitudini di donne, di giovinetti, folle del Terzo Mondo, che entrano nel meglio della civilta', che e' l'apertura amorevole alla liberazione di tutti. E allora perche' essere cosi' esclusivi (razzisti) verso altre genti? Oramai non e' meglio insegnare, si', l'affetto per la terra dove si nasce, ma anche tener pronte strutture e mezzi per accogliere fraternamente altri, se si presenta questo fatto? La nonviolenza e' un'altra atmosfera per tutte le cose e un'altra attenzione per le persone, e per cio' che possono diventare.

9. Davanti a questa svolta storica in anni e decenni, il prevalere di gruppi violenti per un certo periodo rimane un episodio. L'unica forza che scava loro il terreno e' la nonviolenza, ma ci puo' volere pazienza, tempo, costanza. E' vero che un atto di violenza puo' fronteggiare un altro atto di violenza, ma poi? Nel quadro generale e' meglio attuare un altro metodo. Si possono conservare ancora forze coercitive per piccoli fatti, di ordine quotidiano, ma nel piu' e nell'insieme e' il metodo del rapporto nonviolento che va risolto e articolato sempre piu'. In esso, nel fatto che esso e' amorevolezza, approfondimento dell'unita', festa della vicinanza, inizio di una storia nuova con nuovi modi di realizzarsi, sta il compenso per i sacrifici della lotta nonviolenta e per il ritardo delle vittorie.

10. La nonviolenza e' la porta da aprire per non sentirsi soli. La nonviolenza cerca sempre di essere con gli altri. E questo e' molto importante oggi, perche' sta dilagando il bisogno di una democrazia diretta, dal basso, con il controllo di tutti su tutto. Contro i poteri imperiali dei capi degli eserciti e delle industrie che li servono (private o statali), la democrazia diretta costituira' i suoi strumenti con la continua guida della nonviolenza, per smontare la varia violenza dei potenti (violenza burocratica, giudiziaria, nella scuola, nel lavoro, negli enti di assistenza, nella stampa e nella radio), non con assalti sanguinari che non trasformerebbero, ma con la preparazione al controllo serio e aperto.

11. Dire nonviolenza e' come dire apertura in tutti i campi, occuparsi degli esseri viventi in modo concreto e aiutarli (che e' anche un modo per avere forza in se stessi); tenersi pronti per sostenere cause giuste e meritare il nome di essere perfettamente leale; riconoscere che negli errori degli altri c'e' sempre una qualche responsabilita' e possibilita' attiva per noi; perdonare facilmente al passato nella serieta' di impegni migliori per il futuro; invidiare Dio che puo' conoscere piu' da vicino tutti gli esseri e aiutarli infinitamente; tendere a costituire comunita' di vita con piu' persone e famiglie in modo che ci sia uno scambio piu' attivo e un'educazione comune dei piccoli; essere piu' sensibili ad ogni altro valore pratico e contemplativo (l'onesta', l'umilta', la musica, ecc.); essere piu' fermi nella serieta' e severita' quando occorra (per esempio contro le ingiuste e molli raccomandazioni); cercare di estendere il rispetto della vita quando e' possibile (per esempio col vegetarianesimo, ma facendolo bene perche' non sia dannoso) e assecondare dalla fanciullezza la zoofilia; utilizzare l'appassionamento universale per la massima valorizzazione degli esseri per arricchire l'attenzione nel tu rivolto a un singolo essere, perche' non sia isolato e stagnante; attuare quotidianamente la gentilezza costante, senza ipocrisia e con franchezza; portare in ogni situazione un'aggiunta di ragionevolezza umana e di comprensione reciproca; garantire una riserva di serenita' per il fatto che la nonviolenza e' qualche cosa di piu' rispetto alla semplice amministrazione della vita.

12. La nonviolenza non sta in un individuo astratto, ma e' da individui a individui in situazioni, strutture, grandi problematiche e urgenti realizzazioni. Un modo in cui si fa presente e', come abbiamo visto, quello del pacifismo integrale. Il che vuol dire non solo il rifiuto di collaborare alla guerra e guerriglia, e a cio' che inevitabilmente le accompagna, il terrorismo contro i civili e la tortura sui prigionieri; ma anche la scelta del disarmo unilaterale, unito all'addestramento all'azione del metodo nonviolento. Percio' la nonviolenza indica il pericolo dell'equilibrio del terrore, durante il quale eserciti e industria alimentano di armi tutto il mondo, da cui conflitti grandi e piccoli; indica gli spegnimenti della democrazia che vengono fatti per allinearsi in grandi blocchi politico-militari; mostra l'immenso consumo di denari nelle spese militari invece che nello sviluppo civile. Le Nazioni Unite, come insieme di sforzi per dominare razionalmente le situazioni difficili e per provocare continuamente la cooperazione, sono sostenibili, anche perche' tutte le trasformazioni rivoluzionarie che la nonviolenza porta, sono sempre il fondamento e l'integrazione di quelle decisioni razionali e giuridiche che gli uomini prendono, quando esse sono un bene per tutti. Certo, il nonviolento non si scalda per il governo mondiale, che potrebbe diventare arbitrario e oppressivo, ma per il suscitamento di consapevoli e bene orientate moltitudini nonviolente dal basso.

13. La nonviolenza vuole la liberazione di tutti, e non cessa mai di portare l'eguaglianza a tutti i livelli. Ora un problema molto importante e' che l'uomo non subisca la violenza mediante il lavoro. Il lavoro e' uno dei modi che l'uomo ha (non il solo) per esprimere la sua personalita', ed e' percio' positivo, un diritto-dovere, una partecipazione alla comunita'. Ma va sempre piu' realizzato il fatto che ogni lavoro e' verso tutti, e in certo senso pubblico, non privato e sottoposto a condizioni di servitu' e di sfruttamento. Difendere e sviluppare la posizione di tutti i lavoratori vuol dire renderli sempre piu' capaci di eguaglianza di fruizione della vita comune, nei beni materiali e nei beni culturali, mediante la formazione nell'adolescenza e mediante il tempo libero, e capaci di partecipazione attiva, civica, critica, costruttiva. Percio' i provvedimenti per cui la proprieta' viene resa pubblica e controllata, cioe' aperta e non chiusa (socialismo) snidano la violenza sostanziale di chi si vale della proprieta' per alienare gli uomini staccandoli dal loro pieno sviluppo nonviolento e creativo sul piano orizzontale di tutti.

14. Il grande fatto della meta' di questo secolo e' il discorso sul potere. La nonviolenza, meglio di ogni altro atteggiamento, puo' indicare quanta violenza si annidi nel vecchio potere. Si e' constatato che la statalizzazione della proprieta' non toglie la durezza del potere. Non basta far cadere le posizioni della proprieta' privata perche "il potere operaio" abbia il diritto di tutto costruire. Il problema non e' che nuova gente arrivi, in un modo o in un altro, al potere; ma che il potere sia esercitato in modo nuovo; altrimenti e' meglio continuare a lottare e formare un terreno piu' favorevole per arrivare ad un "potere nuovo", magari cominciando da forme di potere locale, dove e' meglio possibile attuare tipi di "potere aperto", che conta sulla costante collaborazione degli altri e possibilmente di tutti.

15. Che fa la nonviolenza davanti alla legge? La scruta per intenderla, per integrarla con l'animo, per migliorarla, per ridurre la violenza. La legge, come decisione razionale, che riguarda azioni da comandare o da impedire, non puo' essere respinta senz'altro per sostituirla con la naturale istintivita' individualistica umana. La legge e' una conquista della ragione, e spesso merita di essere aiutata. Ma il nonviolento l'aiuta a modo suo. L'accetta quando e' molto buona. Consiglia di sostituire progressivamente alla esclusiva fiducia nei mezzi coercitivi, lo sviluppo di mezzi educativi e di controllo cooperante di tutti. Fa campagne per sostituire leggi migliori, quando le attuali sono insoddisfacenti e sbagliate. Errato e' insegnare a ubbidire sempre alle leggi e a non volerle riformare, come se non esistesse la coscienza e la ragione. La nonviolenza aiuta a capire che non basta dire: "Noi siamo autonomi e ci diamo percio' le nostre leggi". Bisogna aggiungere: "E le nostre leggi hanno l'orientamento di realizzare la nonviolenza come apertura all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo di tutti".

16. In questo tempo in cui la nonviolenza allarga e approfondisce le sue responsabilita', essa si trova davanti il potere delle autorita' religiose, e l'urto e' inevitabile. Tali autorita' pretendono di decidere su violenza e nonviolenza. La nonviolenza porta una sua prospettiva, di un sacro aperto e non chiuso, del valore di raggiungere l'orizzonte di tutti come superiore al cerchio dei credenti. Il credente nonviolento finisce col trovarsi piu' volentieri a fianco del nonviolento di un'altra fede che con l'"autorita'" della propria fede. Lo spirito di autoritarismo che pervade tutto il corpo ecclesiastico cerca di scacciare proprio quello spirito della nonviolenza aperto all'interesse per ogni singolo nel suo contributo e nel suo sviluppo, e impone una assenza di violenza che e' passiva obbedienza. Ben altro e' la nonviolenza aperta, che non ha paura di nessuna autorita', ed e' sicura di farsi valere prima o poi.

17. La nonviolenza non e' soltanto una cosa della vita e nella vita. Nel suo sforzo continuo di migliorare il rapporto tra gli esseri, e di congiungere piu' saldamente la vita del singolo con la vita di tutti, avviene effettivamente un'influenza sulla cosi' detta "natura", che e' la vitalita', la volonta' di forza, di vita come vita, come piacere, come guadagno e profitto, come potenza, come riposo utile, come schiacciante energia dal seno stesso della realta' fisica. Il Vesuvio sterminatore osservato dal Leopardi e che uccise tanta gente; l'acqua di un'inondazione, che copre indifferente un sasso e il volto di un bambino, sono aspetti della natura. Ma natura e' anche la vitalita' che spinge il bambino a nascere e a crescere; la forza che ci affluisce ogni giorno mediante il cibo, il riposo, l'aria. Non si puo' tagliare da noi tutta la natura; ma si puo' scegliere: o svilupparci come bruta natura, o svilupparci come crescente nonviolenza verso gli esseri, rimediando la crudelta' della natura e proseguendola nel buono, nel vivo, trasformandola progressivamente. Perche' al limite estremo c'e' la sua trasformazione e il suo portarsi al servizio di tutti gli esseri affratellati. Un atto di nonviolenza e' percio' anche un atto di speranza in questa trasformazione della cruda forza della natura.

18. Ma la nonviolenza non soltanto progredisce come rapporto. Essa qualche volta ha a che fare direttamente con la morte: e' rifiuto di dare quella morte determinata, e' constatazione dell'impotenza davanti ad una morte, e' l'improvviso trovarsi a dire un tu ad un essere che ci sembra non lo riceva piu' perche' e' morto. Il nonviolento, che fonda molto della sua decisione sul rispetto della vita, puo' anche semplicemente confermare, davanti alla morte, il proposito di non darla, e accomunare i morti in una cara memoria dei singoli e in una generale pieta'. Ma puo' anche considerare ogni morte come una crocifissione che la natura fa di ogni essere, come l'impero di Roma la faceva per i ribelli; e se ogni morte e' una crocifissione, il morto non e' spento ma risorge nella compresenza di tutti. Cosi la nonviolenza puo' condurre a vivere questo grande mistero della compresenza di tutti, viventi e morti.

19. Vista ora nell'insieme di queste possibili attuazioni e prese di influenza e di azione su una realta' che oggi parrebbe cosi' contraria ad essere penetrata dalla nonviolenza, essa mostra il suo posto, l'aggiunta che fa al mondo presente. E' facile la profezia che ancora gli imperi militari-industriali del mondo concentreranno forze immani. Ma la nonviolenza ha cominciato ad aprire in ogni paese un conto, in cui ognuno puo' depositare via via impegni e iniziative. Se si pensa alla creativita' teorica e pratica di pochi decenni, si sente la crescita potenziale di una Internazionale della nonviolenza. Bisogna riconoscere che, indipendentemente dalle altre sue teorie, Gandhi, con la formazione del metodo di azione nonviolenta, ha dato il piu' grande contributo all'era della nonviolenza; e cosi ogni altro grande attuatore del metodo nonviolento, e suo testimone, ci e' fratello e padre. Nessuna paura e nessuna fretta, nessuna gelosia e nessuna presunzione, per l'organizzazione: possono sorgere innumerevoli centri per l'addestramento alle tecniche del metodo nonviolento.

20. E se da questo largo quadro torniamo al semplice e singolo individuo che prende interesse per la nonviolenza, che prova a sceglierla, che vede di poter resistere al pensiero della violenza come soluzione, che non s'impiglia nella casistica dello schiaffo e del non schiaffo, del bambino ucciso e non ucciso, perche' non tutto sta li', e bisogna rifarsi al quadro generale, vediamo che Io stesso processo di sviluppo c'e' in grande come c'e' in piccolo, nel mondo e nel singolo individuo. Noi abbiamo ancora molta violenza addosso, come ce l'ha il mondo. Se uno per togliersela si isolasse da eremita, sbaglierebbe, perche' si priverebbe di tutte le occasioni per far progredire in se' e nel mondo la nonviolenza, che e' amore concreto, e per riprenderla, se l'avesse trascurata.

(Dalla rivista "Azione nonviolenta", agosto-settembre 1968)

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Tanto dilagheranno violenza e materialismo che ne verra' stanchezza e disgusto; e dalle gocce di sangue che colano dai ceppi della decapitazione salira' l'ansia appassionata di sottrarre l'anima ad ogni collaborazione con quell'errore, e di instaurare subito, a cominciare dal proprio animo (che e' il primo progresso), un nuovo modo di sentire la vita: il sentimento che il mondo ci e' estraneo se ci si deve stare senza amore, senza una apertura infinita dell'uno verso l'altro, senza una unione di sopra a tante differenze e tanto soffrire. Questo e' il varco attuale della storia.

(Da Elementi di un'esperienza religiosa, 1936)

 

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Numero 34 del 3 febbraio 2011

 

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