Telegrammi. 423



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 423 del 2 gennaio 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Peppe Sini: Un retore

2. Severino Vardacampi: Cinque principi della nonviolenza

3. Katharine Daniels intervista Binalakshmi Nepram-Mentschel

4. Danilo Dolci: Personalmente

5. Silvia Vegetti Finzi: Finche'

6. Per sostenere il Movimento Nonviolento

7. "Azione nonviolenta"

8. Segnalazioni librarie

9. La "Carta" del Movimento Nonviolento

10. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: UN RETORE

 

Predicare la necessita' della pace e non opporsi alla guerra. Che infame vilta'.

Fare l'elogio della solidarieta' e non opporsi al colpo di stato razzista. Che infame vilta'.

Dichiarare il valore della Costituzione e non difenderla dall'assalto eversivo del governo berlusconiano. Che infame vilta'.

Quale grottesco spettacolo. E ricordo invece Pertini, con cui saremmo saliti sulle barricate.

 

2. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: CINQUE PRINCIPI DELLA NONVIOLENZA

 

1. Chiamiamo nonviolenza la lotta contro ogni violenza che opprime gli esseri umani e devasta la biosfera.

2. Questa lotta non si esercita nel vuoto, ma nella storia: quindi essa e' contestuale, relativa, dialettica, vive nel conflitto e di conflitto e' suscitatrice.

3. Perno della lotta nonviolenta e' la comunicazione come suscitamento e riconoscimento di umanita'.

4. Annettiamo quindi alla nonviolenza tutte quelle pratiche e tutte quelle riflessioni che si caratterizzano per la concretezza e la coerenza con cui si oppongono alla violenza senza riprodurla, con cui si prendono cura delle persone e del mondo senza imporre strutture di dominio, con cui difendono, promuovono ed intrecciano vite e diritti senza costringere in gabbie ideologiche o pratiche.

5. Ne consegue altresi' che e' tempo che le persone amiche della nonviolenza escano dalla subalternita', dalla marginalita', dalle ambiguita', ed affermino la nonviolenza come teoria-prassi di cura del bene comune, di solidarieta' e di liberazione da agire anche ed ormai decisivamente sul piano politico.

 

3. RIFLESSIONE. KATHARINE DANIELS INTERVISTA BINALAKSHMI NEPRAM-MENTSCHEL

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista a Binalakshmi Nepram-Mentschel di Katharine Daniels, fondatrice ed editrice esecutiva di The Women's International Perspective, dal titolo "Con i diritti vengono le responsabilita'"]

 

Nel Manipur, uno stato nell'India del nordest che confina con la Birmania ad est e a sud, un conflitto persiste sin da quando questo regno indipendente fu forzato all'unificazione con l'India dopo che gli inglesi se ne andarono nel 1947. Sebbene il conflitto sia politico in origine, l'influenza delle armi negli ultimi cinquant'anni ha generato crescenti livelli di violenza fra i gruppi etnici della regione. Manipur ha il maggior numero di morti per arma da fuoco di tutta l'India: una violenza che crea 300 vedove l'anno. Pure, raramente il mondo esterno viene a sapere qualcosa di Manipur o del "lento genocidio" che Binalakshmi Nepram ha testimoniato. Binalakshmi promuove il disarmo e la fine della violenza armata tramite la "Rete delle donne sopravvissute alle armi di Manipur" e la sezione indiana di Control Arms. Quest'anno ha ricevuto il Premio per la Pace "Sean MacBride": la cerimonia di consegna si e' tenuta al Nobel Peace Centre di Oslo, in Norvegia, il 23 settembre 2010.

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- Katharine Daniels: Quando hai deciso che il lavoro della tua vita era la causa del disarmo?

- Binalakshmi Nepram-Mentschel: Nel Natale del 2004, mentre ero in visita a delle leader della comunita' in un villaggio del Manipur. Udii dei colpi di arma da fuoco. Prima che riuscissi a capire cosa stava accadendo, qualcuno mi disse che un giovane uomo di 27 anni era stato ucciso. Le donne accompagnarono da me questa giovane donna, di circa 24 anni, affinche' testimoniasse su quel che era accaduto. Era vedova da un'ora, il suo nome era Rebika, e non aveva neppure potuto asciugarsi le lacrime mentre parlava in pubblico dei tre uomini armati che avevano trascinato suo marito fuori di casa e gli avevano sparato a bruciapelo. Ma non era questo il piu' grande orrore che vidi quel giorno. L'orrore fu quando sua madre scoppio' in lacrime dicendo: "Cosa mangerai adesso? Avrebbero dovuto sparare anche a te". Questo fu il punto di svolta della mia vita, Kate. Quel giorno compresi che non potevo essere semplicemente una scrittrice che faceva ricerche sulle cause della violenza. Ma cosa si poteva fare con le donne come Akham Rebika, con le sopravvissute? Avevo 200 rupie in tasca, l'equivalente di circa 5 dollari. Le diedi a lei assieme al mio numero di telefono e le dissi: "Tua madre puo' averti parlato cosi', ma tu devi vivere, devi vivere per scoprire chi ha ucciso tuo marito, per trovare giustizia per te stessa nel suo ricordo". Raccogliemmo donazioni insieme e comprammo una macchina per cucire, la demmo ad Akham Rebika e le spiegammo che anche se riusciva a guadagnare solo 800 rupie al mese (15-20 dollari) non sarebbe morta di fame.

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- Katharine Daniels: Perche' la madre di Rebika credeva quel che credeva? Cosa disse di quel che avevate fatto per sua figlia?

- Binalakshmi Nepram-Mentschel: Nella maggior parte dell'India le entrate principali di una famiglia - giacche' la societa' e' ancora molto patriarcale - vengono dagli uomini. Cosi', quando l'uomo muore, ci si domanda come sopravviveranno gli altri membri della famiglia. Il pensiero della madre era: "Avrebbero dovuto ucciderti perche' chi portava a casa il pane e' morto". Questo e' il modo in cui le donne sono derubate dei loro diritti economici e di giustizia. E' questa situazione particolare, non il semplice sopravvivere in poverta', ma il sopravvivere in poverta' nella violenza di una zona di conflitto che ci induce a lavorare per il miglioramento delle condizioni economiche delle sopravvissute. Se vogliamo apportare cambiamenti nella nostra societa', gli stomaci delle nostre donne devono essere pieni, e devono poter risparmiare qualche soldo per l'istruzione dei loro figli. In questo modo lavoriamo alla trasformazione della violenza nella nostra societa'.

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- Katharine Daniels: Come se la sta cavando Akham Rebika con la sua macchina per cucire?

- Binalakshmi Nepram-Mentschel: Il clima da noi e' molto tropicale. Ci sono un sacco di moscerini e zanzare, per cui devi avere una tenda per proteggerti. Rebika cuce tende di questo tipo, guadagna qualcosa e continua a vivere. Abbiamo fatto questa piccola cosa per lei per istinto. Ma quando abbiamo visto la sua gratitudine, il fatto ci ha dato ispirazione. Oggi lavoriamo con circa 100 donne sopravvissute come lei. E abbiamo molte altre centinaia di Akham Rebika, perche' ogni anno qualcosa come 400 persone sono uccise dalle armi da fuoco nella mia regione. E' un lento genocidio di cui il mondo non sa nulla.

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- Katharine Daniels: Puoi dirmi di piu' sugli attori del conflitto?

- Binalakshmi Nepram-Mentschel: L'India ha una civilta' molto antica, ma come nazione e' giovane, si e' formata da un conglomerato di svariati regni. Il mio stato, Manipur, era uno di quei regni. Era completamente indipendente sino a che non fu annesso all'India britannica nel 1891. Quando gli inglesi se ne andarono, nel 1947, vi fu l'opportunita' per molti regni, fra cui Manipur, di unirsi all'India. Il nostro re ed il consiglio dei ministri dissero che volevamo restare indipendenti. Ma "l'uomo di ferro" dell'India, Sardar Patel, arresto' il nostro re, lo mise al confino nella sua propria casa ed ottenne la sua firma su un trattato. Parte della gente di Manipur voleva unirsi all'India e parte non lo voleva. Questi ultimi diedero inizio all'insorgenza sin dal 1949. Cosi' nacque il conflitto fra l'India e i gruppi armati del Manipur, conflitto che e' continuato sino ad oggi. Manipur e' la casa di circa 32 gruppi etnici. E' accaduto che molti di essi hanno cominciato ad armarsi a causa del facile accesso alle armi leggere. Abbiamo M-16 americani. Abbiamo armi israeliane. Abbiamo armi inglesi. E le armi cinesi sono quelle piu' a buon mercato. In effetti i giovani tendono a formare gruppi armati con le armi cinesi. Le ragioni per formare un gruppo armato, al di la' del conflitto politico summenzionato, spaziano dalle richieste di autonomia all'inclusione del linguaggio della comunita' nelle trasmissioni radio, dalla richiesta di soccorso ad una comunita' in particolare alla protezione delle foreste. Sappiamo anche che numerosi gruppi armati sono stati creati dalle agenzie di stato per contrastare gli altri. Alla fine, abbiamo una societa' zeppa di pistole e fucili, in mano ad attori statali e non statali, in maggioranza uomini che sanno a stento cos'e' una violazione dei diritti umani. Ed anche se lo sanno, nella nostra parte di India persiste una legge draconiana chiamata "Speciali poteri alle forze armate" che da' all'esercito indiano il potere di arrestare, torturare e persino uccidere persone sulla base di semplici sospetti, e persino i tribunali indiani di piu' alto grado non possono farci nulla. Le vittime sono persone comuni, uomini, donne e bambini. Questi omicidi devono finire.

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- Katharine Daniels: Vi sono obblighi internazionali o responsabilita' internazionali nel dare una risposta a tale stato di cose?

- Binalakshmi Nepram-Mentschel: Si'. Abbiamo lavorato sin dal 2003 con molte organizzazioni da tutto il mondo, in special modo con la Rete internazionale sulle armi leggere (Iansa) per il programma d'azione delle Nazioni Unite relativo al controllo delle armi leggere non legali. Abbiamo lavorato anche con la Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo e con la Cluster Munition Coalition che affronta il problema della bombe a grappolo. Al momento siamo concentrati sul lavoro da fare per ottenere il Trattato sul commercio di armi alle Nazioni Unite nel 2012. Abbiamo unito le nostre mani in questa campagna per affrontare il discorso su come le nostre societa' diventano societa' armate. Se ad esempio tu abbandoni un'arma, non c'e' alcun sistema internazionale per rintracciarla. Le armi leggere sciamano da un conflitto all'altro, da una zona all'altra. Un Trattato internazionale sul commercio delle armi, se dibattuto, discusso e implementato in modo giusto porterebbe un cambiamento fondamentale nel regolamentare le armi leggere. Le leggi nazionali da sole non possono contenere la proliferazione delle armi, perche' la maggior parte delle armi di cui l'India e' inondata non sono prodotte in India. Un Trattato internazionale regolerebbe questa situazione, contribuirebbe a costruire pace.

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- Katharine Daniels: Chi si oppone al Trattato sul commercio delle armi?

- Binalakshmi Nepram-Mentschel: Oltre alle industrie belliche, che temono minori profitti, ci sono molti paesi che si oppongono. Nell'ultima votazione alle Nazioni Unite, 153 paesi hanno detto si' al Trattato, e circa 30 non hanno votato. Sono molto dispiaciuta nel dover dire che il mio paese, l'India, la nazione che ha dato Gandhi al mondo, la nazione che ottenuto la propria indipendenza senza sparare un solo proiettile, ha scelto di astenersi. E' a nazioni come la nostra e le altre che si sono astenute dal voto che vorremmo appellarci: si', ogni nazione ha il diritto all'autodifesa, e se una persona si trova in condizioni di insicurezza, quella persona ha il diritto all'autodifesa. Ma per favore, non usate le armi per commettere violazioni dei diritti altrui. Con i diritti vengono anche le responsabilita'.

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- Katharine Daniels: Parlami del ruolo delle donne negli ambiti della pace e del disarmo.

- Binalakshmi Nepram-Mentschel: Io come donna, e specialmente come donna che viene da una delle peggiori zone di conflitto del mio paese, ho sperimentato il danno, il dolore, la tragedia che intessono le nostre vite a causa della continua mancanza di pace e giustizia. In molte parti del mondo alle donne si e' sempre detto che il nostro posto e' la cucina, che il nostro ruolo e' avere bambini e crescerli. Non siamo mai nei luoghi dove le decisioni importanti vengono prese, e se ci siamo, dobbiamo metaforicamente indossare gli abiti degli uomini per riuscire ad esserci. Come donne, come donne che sono sopravvissute alla violenza, e' il momento per noi di rovesciare questa situazione, perche' e' attraverso i nostri occhi che si puo' sapere dove e' il dolore: noi sappiamo dove sono le armi, e sappiamo che le armi e la militarizzazione non risolvono i conflitti di questo mondo. Siamo noi che nutriamo al seno il mondo. Ed e' percio' che nel decimo anniversario della storica Risoluzione 1325 delle Nazioni Unite facciamo appello non solo al nostro governo indiano, ma ai governi di tutto il pianeta: noi, le donne, dobbiamo prendere il nostro legittimo posto ai tavoli di negoziazione, perche' abbiamo il diritto di decidere il nostro futuro, il diritto di decidere come porre termine ai conflitti, e il diritto di decidere come costruire strategie affinche' nessun altro conflitto accada in futuro.

 

4. MAESTRI. DANILO DOLCI: PERSONALMENTE

[Da Danilo Dolci, Esperienze e riflessioni, Laterza, Roma-Bari 1974, p. 231 (e' un frammento da "Cosa e' pace", un testo scritto nel 1968).

Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Recentissimo e' il volume che pubblica il rilevante carteggio Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005; Raffaello Saffioti, Democrazia e comunicazione. Per una filosofia politica della rivoluzione nonviolenta, Palmi (Rc) 2007. Tra i materiali audiovisivi su Danilo Dolci cfr. i dvd di Alberto Castiglione: Danilo Dolci. Memoria e utopia, 2004, e Verso un mondo nuovo, 2006. Tra i vari siti che contengono molti utili materiali di e su Danilo Dolci segnaliamo almeno www.danilodolci.it, danilo1970.interfree.it, www.danilodolci.toscana.it, www.inventareilfuturo.com, www.cesie.org, www.nonviolenti.org, www.fondodanilodolci.it]

 

Personalmente, sono persuaso che la pace si identifica con l'azione rivoluzionaria nonviolenta.

 

5. MAESTRE. SILVIA VEGETTI FINZI: FINCHE'

[Da Silvia Vegetti Finzi, "Oscurita' dell'origine e bioetica della verita'", in Stefano Rodota' (a cura di), Questioni di bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993, 1997, p. 187.

Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta, docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938. Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista, collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura' di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari. Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E' membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi, il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri, intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile, intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza, l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico, dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi, Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986; La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992; (con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994; (con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza, Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996; (con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita' femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997; (con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg & Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003; Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005; Nuovi nonni per nuovi nipoti, Mondadori, Milano 2008; La stanza del dialogo, Casagrande, Bellinzona 2009]

 

Il mito di Edipo, e in particolare la sua trascrizione scenica ad opera di Sofocle, dimostrano che la citta' non puo' essere salva finche' il passato non viene ricostruito.

 

6. APPELLI. PER SOSTENERE IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Sostenere economicamente la segreteria nazionale del Movimento Nonviolento e' un buon modo per aiutare la nonviolenza in Italia.

Per informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 

7. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"

 

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.

Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.

E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

 

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Giorgio Colli, Filosofia dell'espressione, Adelphi, Milano 1969, 1982, pp. X + 244.

- Giorgio Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi, Milano 1974, Bompiani, Milano 1977, pp. IV + 186.

- Giorgio Colli, La nascita della filosofia, Adelphi, Milano 1975, 1986, pp. 122.

 

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

10. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 423 del 2 gennaio 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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