Nonviolenza. Femminile plurale. 265



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 265 del 6 agosto 2009

In questo numero:
1. Monica Giorgi: Sfumature anarchiche in Simone Weil (parte prima)
2. Et coetera

1. MAESTRE. MONICA GIORGI: SFUMATURE ANARCHICHE IN SIMONE WEIL (PARTE PRIMA)
[Da "A. rivista anarchica", anno 39, n. 345, giugno 2009]

"I miei contemporanei hanno preferito giudicarmi in mille modi diversi ma
bastava semplicemente che ammettessero che l'oggetto della mia ricerca era
l'umanita' e l'oggetto del mio amore erano gli ultimi, i diseredati"
(Simone Weil)
*
Antefatto
L'opportunita' di ordinare in scrittura lo studio su Simone Weil e' sorta
grazie all'organizzazione di un incontro tra compagni e compagne, amiche e
amici del Circolo anarchico "Carlo Vanza", avvenuto in Locarno il gennaio
scorso e per dar seguito al mio desiderio di far conoscere, proprio in quel
luogo, una piccola, ma per me essenziale, parte del pensiero della filosofa
francese, della quale quest'anno ricorre il centenario della nascita.
La loro presenza, il loro ascolto, il loro interesse e le loro obiezioni
sono state un dono prezioso che mi ha permesso di assolvere ad almeno due
obblighi.
Il primo e' verso il mio caro amico Paolo Finzi che ricordo di aver deluso
un po' con la decisione di privilegiare, per la stesura del lavoro di tesi,
lo studio e la scrittura su un'autrice - Clarice Lispector - a discapito di
Simone Weil che era comunque nel mio cuore in attesa di avvicinarla. I
motivi di tale rinvio stavano nella intuizione, se non proprio nella
consapevolezza, di non essere capace, pronta ad affrontare una relazione di
studio e di analisi con la dovuta distanza che consentisse uno scrivere
mostrativo piu' che dimostrativo. Non intendevo svolgere un lavoro
ideologico condizionato dalla stretta ricerca delle coincidenze con il
pensiero anarchico. Il fatto di sentirmi troppo implicata in esso non
favoriva di fatto quella indipendenza necessaria. La presa a carico di una
scrittrice che mi era piu' estranea in questo senso mi avrebbe aiutata. E
cosi' e' stato. Con notevoli guadagni per la riuscita del lavoro allora
svolto, per l'avvaloramento attuale di una concezione dell'anarchia, in me
al tempo ancora un po' troppo stereotipata, che invece la leggerezza
acquisita nello spogliarmene, esercitandomi in altro, ha sortito.
Rendendomi, credo, meno incapace di cogliere le differenze e le prospettive
impreviste che sento stare all'origine di qualcosa di essenziale, di vero.
Discuterne con altri/e (mi) offre la misura di quel che vado aspirando.
L'altro obbligo, evidentemente, e' verso Simone Weil: obbligo immenso,
insolvibile a fronte di una pensatrice a dir poco sconvolgente: per la
profondita' del pensiero e per il costante impegno, per l'inesauribile
lavorìo di scavo tra politica e morale a partire da se', per l'amore della
verita' anche quando, anzi soprattutto quando, essa tocca cose dell'altro
mondo... che sembrano non stare ne' in cielo ne' in terra, fuori di lei e
dentro di lei, fuori di se' in un se' di mistero. Il tutto testimoniato da
una varieta' di scritti, dai Quaderni alle lettere, dagli articoli
improntati nell'urgenza del momento alle poesie (comprendenti un dramma,
Venezia salva), fino ad una miriade di appunti, taccuini, fogli sparsi. Una
simile vastita' mi ha posto in una condizione per cui le dovute cesure, le
scansioni, i tagli e le selezioni, per dire appena qualcosa di lei, vengono
avvertite come dolorose perdite dell'altro ancora che l'esistenza e l'opera
di Simone Weil rimandano.
Nadia Fusini sul quotidiano "La Repubblica" ha elaborato, nell'autunno
scorso, un testo sulla figura della filosofa francese tra mito greco e
orrore nazista. L'ha intitolato "Simone Weil la guerriera". Di fatto, la
solitudine, di cui Simone riconosce i frutti moltiplicati dell'amicizia, non
l'ha mai indotta in un'esistenza appartata, nella turris eburnea cara, non
di rado, a qualche "intellettuale". Il mondo intero e' la sua patria, come
recita una canzone anarchica, ma e' anche il mondo che si costruisce nella
concretezza di relazioni vive, quotidiane. Le frequentazioni intense e non
dispersive la fanno essere li' dove oppressi e vinti, deboli e prigionieri
richiamano la sete di giustizia: fino alla morte che non avrebbe voluto
fallire in un letto di sanatorio, ad Ashford nel Kent, come invece avvenne.
In un primo tempo avevo usato come titolo per la mia ricerca il termine
"tracce". "Sfumature" segnala, invece, un'intermittenza, avvertita durante
il percorso di studio, tra il forzare l'autrice in una vicinanza troppo
prossima al senso di un'ideologia anarchica scontata, il che e' un
controsenso in verbis oltre che nei fatti, e il vederla a distanza, in una
remota vicinanza. Il problema sussiste in me per quella rischiosa
immedesimazione - schiacciata sul cercare le compiacenti affinita' - che non
lascia partorire niente di nuovo e della quale ho accennato, all'inizio del
mio discorso, essere il motivo del rimando.
*
Concezioni eretiche
Perche' ci sia passaggio, movimento inalterato e fedele al testo occorre
schivare la tentazione dell'interpretazione. Tanto piu' se il pulsare
intermittente e sfumato ha il ritmo di un respiro vitale, che ho desiderato
ritrovare nella discussione con le altre/i. Inserisco subito un'affermazione
resa a posteriori: cio' che avvicina e allontana Simone Weil al pensiero
anarchico e' la sua indipendenza simbolica che la fa stare ovunque senza
appartenere ad alcuno schieramento. E' anarchica e non e' anarchica; non e'
comunista e non e' socialdemocratica; non e' cristiana e lo e' ad altro ed
eccedente livello: con l'assunzione della figura umana-divina di Cristo in
senso particolare e con la lettura del tutto originale dei movimenti del
cristianesimo primitivo, espulsi come eretici dal potere temporale della
chiesa. Sono elementi questi ultimi non estranei alla tradizione del
pensiero e delle esperienze anarchiche. A questo proposito ricordo la
posizione di Simone Weil, riscontrabile nella Lettera a un religioso, sulla
possibilita' di lasciarsi battezzare e di entrare nella chiesa. Simone, nel
1942, circa un anno prima di morire, a En-Calcat, dove attende nell'abbazia
benedettina alle cerimonie della settimana santa, sottopone un questionario
a padre Clement per valutare quella eventualita' con la determinazione pero'
di non dover rifiutare a priori alcune verita', considerate ed espulse dalla
chiesa in quanto eretiche. Lei non le avrebbe mai smentite in quanto, come
si esprime, "le ha dentro". Pertanto l'interlocuzione con la chiesa comporta
che questa si misuri con la "vocazione" di lei. Simone riposiziona un
rapporto non di mera forza ma di ordine, dove sono le verita' esperienziali
di chi le testimonia ("Chiesa, La grande" secondo l'espressione di
Margherita Porete) a dare credito parziale, e sempre contrattabile, alla
"chiesa, la piccola". Le condizioni irrinunciabili vengono poste da Simone
nell'apertura della formulazione interrogativa, non sul piano
incontrovertibile dei contenuti di principio. Le domande nella fattispecie
di quel questionario chiedono l'ammissibilita' circa:
- il rifiuto della concezione della storia conclamata dalla chiesa,
sostenendo invece la possibilita' di incarnazioni precedenti a quella di
Cristo e la considerazione di grave errore quello che ha spinto Israele ad
attribuire a Dio gli ordini di sterminio;
- l'accettazione da parte della chiesa di alcune opinioni di Marcione,
ritenendo la conoscenza di Dio piu' diffusa in alcuni paesi non cristiani
che in quelli cristiani, considerando inoltre le opere gnostiche, di
mistica, i testi vedici, taoisti e tutto cio' che e' scorporato dal dominio
culturale delle istituzioni storiche come fonte di ricerca per la verita'.
Padre Clement non le nasconde che tali opinioni sono da considerarsi
eretiche. E lei non entra, sta sulla "soglia", in quella fertile
contraddizione tra cio' che e' e non e', che costituisce la specificita' del
suo fare pensiero e del suo essere, come dice Nadia Fusini, La guerriera:
una guerriera che lavora sempre su due fronti, quello simbolico e quello
reale.
Il rifiuto dell'attribuzione che ha fatto del dio di Israele un dio degli
eserciti, potente e sterminatore, assume un significato singolare, piu' di
antigiudaismo che di antisemitismo, giacche' l'opposizione di Simone Weil
alle concezioni ebraiche avviene in ambito teologico e non razziale (1);
tanto piu' singolare se si tiene presente l'origine ebraica di Simone Weil.
*
La cosa impalpabile
Nasce a Parigi, il 3 febbraio del 1909. Suo padre, Bernard Weil, era nato a
Strasburgo nel 1872 da una famiglia di commercianti ebrei di origine
alsaziana. Medico, si professava, a differenza dei suoi genitori, ateo. La
madre, Salomea Reinherz, era nata a Rostov sul Don nel 1879 da una ricca e
colta famiglia ebrea di origine galiziana: quando essa aveva due anni, la
famiglia si trasferi' ad Anversa. Donna intelligente ed energica,
presiedera' con grande cura all'educazione di Simone e di suo fratello
Andre', nato nel 1906 e distintosi come eminente matematico.
Il ritrovamento di un piu' ampio senso anarchico, l'ho ricevuto
paradossalmente - avverbio di valore considerevole, come ho gia' cercato di
specificare in merito allo stare weiliano sulla linea della contraddizione e
del conflitto - proprio nei contorni simbolici dove meno me lo aspettavo:
nell'assunzione della necessita', nella tensione verso la trascendenza,
nella liberta' spirituale che cresce nell'obbligo d'amore per il mondo.
Simone Weil intesse la sua filosofia, senza farne discorso sul metodo, in
questa trama. "La vera filosofia non costruisce niente, appunta nei
Quaderni, il suo oggetto le e' dato, sono i nostri pensieri; essa ne fa solo
l'inventario. Se incontra delle contraddizioni non dipende da essa
sopprimerle, a rischio di mentire". Vorrei sgombrare il campo da scontati
giudizi che fanno del pensiero e dell'opera di Simone Weil una sorta di
rifugio intimista e di accettazione quietista. Tali apparenze insorgono
quando, cercando di nominare l'innominabile e non potendone sostenere
l'abissalita' da cui proviene, il lavoro del simbolico sfuma in altro. La
cosa impalpabile che e' il simbolico - non e' l'ordine sociale, ne' combacia
con il reale, ne' si riduce all'immaginario e va ben oltre il politico
ristretto a luoghi deputati - insomma, quando quella cosa sfumata che e' il
simbolico entra in campo, la sua parola e' l'antideologico per eccellenza.
E' quel suo essere e non essere al contempo che mi induce a dichiarare
Simone Weil piu' realista del re. In traduzione adeguata al contesto in cui
mi trovo, e' meglio dire: piu' anarchica di chi anarchica/o espressamente si
dichiara.
Dunque: obbligo (diritto dell'altro), tensione alla trascendenza, rapporto
con dio, spirito e liberta' nella necessita' sono istanze che fanno forse
rabbrividire chi si appella alla storia libertaria e anarchica. Ma lasciate
che sia Simone Weil a dispiegarle, a partire da se' come parte di se' senza
assolutizzazioni, citandole una per una:
"Filosofia (compresi i problemi della conoscenza, ecc.), cosa esclusivamente
in atto e in pratica. Per questo e' tanto difficile scrivere al riguardo.
Difficile cosi' come un trattato di tennis o di corsa a piedi, ma in misura
superiore".
"Si ritiene che il pensiero non impegni, ma esso solo impegna e la licenza
di pensare racchiude ogni licenza".
"Preferisco dannarmi obbedendo al Dio, che salvarmi disobbedendoGli".
"Ci sono due modi contrari di concepire la regalita': fare del proprio idolo
Dio [e questo lo riconosce come il modo presieduto dal nazionalismo, dal
totalitarismo, dalla concezione del popolo eletto e dalla prescrizione
iconoclasta] o fare di Dio il proprio idolo; fare del proprio desiderio la
legge, o fare della legge il proprio desiderio. Dio quaggiu' e'
destabilizzante. L'amicizia con lui non da' alcun potere [il potere di chi
non ha potere] ma finche' e' presente nella sua verita' ai pensieri degli
uomini nessun potere terrestre raggiunge la stabilita'".
"La liberta' autentica non e' definita da un rapporto tra desiderio e
soddisfazione, ma da un rapporto tra pensiero e azione. Non nella
impossibile quanto formale coerenza logica tra pensiero e azione, ma nella
consapevolezza della loro materiale virtualita' d'espressione: il pensiero
e' agente e l'azione da' da pensare...".
Occorre ricordare che fin quando Gustave Thibon, il filosofo e agricoltore
presso il quale Simone si reca a lavorare come contadina negli anni
dell'esilio a Marsiglia (1940-1942), non pubblica La pesanteur et la grace
nel 1947, (pubblicazione postuma come quasi tutti gli scritti della filosofa
francese, approntati sempre per interlocuzioni e studi richiesti dalle
problematiche del momento), la notorieta' di Weil era rimasta confinata
negli ambienti sindacali e politici della sinistra, considerata
un'intellettuale presente con una carica radicale in tutti i dibattiti
sociali e ideologici degli anni '30. Il merito di quella pubblicazione sta
nell'aver rivelato al pubblico, ma anche a quanti l'avevano frequentata da
vicino, un pensiero filosofico-religioso nuovo e per molti aspetti
sconcertante. A me preme sottolineare ancora una volta come il suo pensiero
sia lavorato sempre su due piani: uno a carattere teologico e l'altro
politico, con l'effetto di provare un'unita' di impegno che risulta
trasformativa di se' e dello stato di cose presenti. In altre parole si
mette in gioco nel cercare l'efficacia simbolica tra spazio pubblico e
privato.
Simone Weil rappresenta un punto di riferimento privilegiato, se non
addirittura originale, per la politica delle donne, che e' chiamata anche
politica del simbolico. La filosofa francese ha sempre trascurato, anzi
rifiutato quando richiesta, di mettere a tema la donna e la sua condizione.
Di se' considera una sfortuna essere nata donna. Questa sua, per certi
aspetti oscura avversione, e' recuperata, in forma altra, nell'attenzione
riversata agli effetti sul corpo rispetto alle pratiche di lavoro e di
riflessione, effetti che hanno e sono immediatamente effetti d'anima. Come
dire, stretta connessione nella vita della mente in anima e corpo. Mi sento
di poter affermare che proprio l'essere andata al di la' del femminismo
emancipazionista, con l'assunzione della singolarita' del corpo e dei
corpi - anima e anime incluse - rende Simone Weil una madre simbolica del
femminismo della differenza e della politica del simbolico. Per questi temi
rimando al saggio di Wanda Tommasi, alla folta bibliografia in esso presente
e ai molteplici scritti pubblicati dalla comunita' filosofica femminile
Diotima.
*
Due parole a immagine di un linguaggio
Vorrei spendere due parole per limitare un discorso infinito. Le due parole,
alla lettera, sono: apeiron e anarche'. Le ho scelte per ovvi motivi.
Nei Quaderni, l'apeiron e' citato spesso insieme al suo autore,
Anassimandro, filosofo presocratico ed uno dei primi fisici naturalisti.
Simone Weil lo annota come spunto di riflessione ulteriore relativamente al
discorso sulla scienza e la conoscenza. Lo abbina inoltre ad un contesto per
certi versi spiazzante: le fiabe araucane, Fiabe "de nunca acabar", ossia
Fiabe che non finiscono mai. Infinite dunque, come infinito, indefinito sono
alcune delle traduzioni date al termine greco. Di fatto Simone Weil, che
conosce il greco antico, lo scrive in originale e lo traduce in piu' sensi:
immateriale, caso, illimitato, Dio. Le sue traduzione avvengono non solo
alla lettera, dal greco al francese e qui, malamente da parte mia,
nell'italiano, ma su piani-mondi che concernono l'immagine creante realta',
come dimostrano i significanti di caso e di Dio. Sono in circolazione mondo,
parola, linguaggio, realta' e qualche barlume di verita'. Cio' che intriga
la filosofa francese e' inoltre la cosiddetta formula di Anassimandro: "Le
cose che sono difatti subiscono l'una dall'altra punizione e vendetta per la
loro ingiustizia, secondo il decreto del Tempo". La formula (le) sembra una
dichiarazione della presenza del male, in senso ontologico e non morale, che
rimanda ad un bene puro, infinito... Tanto che l'insito carattere
negativo-distruttivo e' impresso in termini positivi-creanti quando lei
scrive: "L'apeiron di Anassimandro e' la madre del Timeo, la materia pura,
indifferente, specchio della giustizia. E' il contrario del bene, ma non e'
il male; e' il correlativo del bene. Il male non e' il contrario del bene,
come l'errore non lo e' della verita'". L'assunzione del conflitto e' da lei
riletta all'origine delle cose quando cosi' trascrive: "Anassimandro,
ingiustizia della cose. Se le cose non fossero ingiuste, ci sarebbe
equilibrio, cioe' immobilita'. Il divenire e' il male. Al contrario
l'indeterminato origine e fine degli esseri, nutrice e tomba, e' di per se'
perfettamente puro". Sembra stia a dire che l'infinito lo si intuisce dal
finito, la giustizia dall'ingiustizia, l'increato dal creato, l'immateriale
dal materiale, il positivo dal negativo, il fare dal disfare, e cosi' via?
La formula dei contrari di Anassimandro, dipanata nel lemma apeiron, si
dispiega secondo Weil in "rotture compensate".
L'altra parola da spendere e' anarche'. Il motivo e' ancora piu' ovvio:
mostrare le sfumature anarchiche. Stando ai miei riscontri, Simone Weil la
cita una sola volta come sostantivo e nell'accezione negativa di disordine:
"[...] anarchia della produzione", che determina spreco, guerra,
sovrapproduzione, stoccaggio, concorrenza ecc. ecc. Come aggettivo e' piu'
spesso usata e viene fissata nell'idealita', nella purezza: anarche' come
massima espressione dell'ordine, ricorda Eliseo Reclus. Anche Simone allude
ad un'armonia atemporale, eterna e impossibile nel mondo terreno ma non meno
reale, sebbene avvertita nella forma dell'irreale. Come quell'apeiron
indeterminato, origine e fine degli esseri, di per se' perfettamente puro.
"Un futuro del tutto impossibile, come l'ideale degli anarchici spagnoli, e'
molto meno degradante, differisce molto meno dall'eterno che non un futuro
possibile. Anzi, non degrada affatto se non per l'illusione di possibilita'.
Se e' concepito come impossibile, trasporta nell'eterno. Il possibile e' il
luogo dell'immaginazione, e quindi della degradazione. Bisogna volere o cio'
che precisamente esiste, o cio' che non puo' affatto essere; meglio ancora
ambedue. Cio' che e' e cio' che non puo' essere sono ambedue fuori del
divenire", scrive nei Quaderni.
Apeiron e Anarche', contemplandole come meri segni, riflettono, o meglio a
me fanno intuire, una incontrovertibile semiotica del mistero, al di la' del
loro rispettivo, seppur vagamente assonante, significato e oltre ogni
conferibile significazione. I due lemmi sono articolati in radice negativa:
alfa privativo in peiron e alfa privativo in arche'. La ricongiunzione con
il prefisso negativo, per entrambi, in-a-materia (peiron = materia) e
in-a-principio (arche' = principio, ordine, inizio) determina un
significante del tutto sensato, un semema sufficientemente preciso da non
far perdere il filo del senno, per non uscir folli: immateriale, amateriale,
imprincipio, non principio, disordine. Dunque apeiron e anarche' contengono
nell'immateria la materia e la non-materia, ossia la materia pura, e nel
non-principio il principio e il non principio, altrimenti detto increazione
ab aeterno, senza inizio e senza fine.
I suggestivi logoi di affermare negando e negare affermando sono riportati
nell'ermeneutica (De interpretatione) di Aristotele come le due
specificazioni del discorso enunciativo. Catafatico indica l'affermazione,
apofatico la negazione. Entrambi vengono in seguito utilizzati nell'ambito
del discorso teologico. La teologia affermativa costruisce un discorso
positivo riguardo a Dio in quanto gli attribuisce al grado sommo tutte le
perfezioni appartenenti al mondo creato. La teologia negativa dichiara
invece l'impossibilita' di affermare alcunche' di positivo su Dio. Per la
teologia negativa Dio e' Nulla, perche' i caratteri della sua esistenza
sfuggono a ogni sforzo di definizione umana. Il riferimento ad Aristotele mi
serve per dire che, a ridosso dei due lemmi considerati, l'essere e il
non-essere convivono in un solo essere dicibile in tono apocatafatico. Ora
la teologia weiliana e l'ideale anarchico condividono un dio impotente, un
concreto nulla di dio e un costrutto decreante. La linguistica ha anche un
puntuale modo di definire la relazione tra i segni. La chiama relazione
partecipativa. Distinguendola da quella oppositiva e funzionale...
Le due parole a immagine di linguaggio mi sembrano parlare una lingua
consonantica. Dicono di un principio sottrattivo riscontrabile nella pratica
dell'astensionismo anarchico; riecheggiano la pars construens nel motivo del
destruens. Simone Weil coglie la doppia realta' nel Tao che e' via e
verita', meta e fine, azione non-agente e non-azione agente. L'immagine
weiliana della creazione consiste nel mettere al mondo in gesto sottrattivo,
come la madre mette al mondo la propria creatura ritraendosi. La propensione
verso l'ordine ideale - per quanto impossibile - e' decifrabile attraverso
lo specchio rovesciato di cio' che non si e', di cio' che esiste in assenza.
La disposizione ad accogliere una porzione pur minima di infinito e'
ponderabile attraverso quel che manchiamo; secondo la dicitura lacaniana,
amare e' dare cio' che non si ha. "Dio - risponde Simone Weil a padre
Perrin, l'interlocutore dell'ultima ora che in lei riconosce il dono della
grazia divina - Dio si compiace dei rifiuti; pratica il recupero degli
scarti".
Le due parole sono diventate un lungo discorso in cui sto rischiando di
perdermi. Voglio dire semplicemente che lottare sulla base di un non starci
al miraggio del potere e della delega e' un lottare affermativo molto piu'
di un'adesione irriflettuta e convenzionalmente accettata. La sottrazione e'
un'operazione magica (meno per meno da' piu'). Cio' mi sembra molto
anarchico e sicuramente e' (stato) molto weiliano.
*
Alcuni dati biografici... per dire il tipo...
Filosofa, insegnante, operaia, contadina, scrittrice, mistica, credente e
miscredente, dentro le cose divine e fuori dalla chiesa, Simone Weil mi
appare la singolare guerriera senza eserciti, la cui breve esistenza - muore
a trentaquattro anni, il 24 agosto del 1943 - occorrerebbe misurare in base
all'intensita', alla profondita' con cui e' stata vissuta. Si intuirebbe,
forse, che i due ordini di misura sono di ordine sghembo, particolare; non
coincidono affatto, nemmeno secondo una proporzionalita' indiretta; trovano
contatto in un punto di mistero che resta la cifra di quel mistero riflesso
che compone la Vita.
Di intelligenza precoce, si laurea nel 1931 e si dedica all'insegnamento. La
scoperta della condizione operaia l'avvicina ben presto al sindacalismo
rivoluzionario e la spinge anche a vivere quella condizione in prima persona
(1934). Nel '36 si unisce alla colonna Durruti, "come soldato, nei ranghi".
Al 1938, dopo una settimana trascorsa a Solesmes, risale l'interesse,
qualcosa di piu' vivente di un interesse culturale, per i problemi
religiosi, destinati a diventare centrali nell'ultimo scorcio della sua
vita. L'attenzione ad essi rivolta non diminuisce l'impegno per quelli
operai e sindacali, anzi li approfondisce e li significa sotto una diversa
concezione della politica non piu' ristretta nei luoghi deputati dei
costituiti poteri temporali.
All'arrivo dei tedeschi lascia Parigi per rifugiarsi con la famiglia a
Marsiglia; nel '42 si imbarca con i genitori per l'America da dove riesce
caparbiamente a ricongiungersi alla resistenza di France libre a Londra, con
l'intento di essere impiegata nella lotta antinazista in azioni di
sabotaggio, "preferibilmente pericolose", come da sua richiesta. L'addio ai
genitori viene da Simone "giustificato" in questi termini: "Se avessi piu'
vite ve ne dedicherei una, ma ho solo questa". A Londra redige il Progetto
di una formazione di infermiere di prima linea: donne, lei compresa,
disposte al sacrificio della vita per prestare i primi soccorsi ai feriti
direttamente sul campo di battaglia, presenza che avrebbe dato coraggio
morale, ben diverso dal fanatismo dei nazisti, ai combattenti. L'azione, che
non avrebbe posto eccessivi problemi organizzativi, avrebbe avuto
un'efficacia simbolica nello scenario della guerra. Il progetto fu
sottoposto a De Gaulle, che pero' non l'approva. Si dice anche che abbia
esclamato: "Ma e' pazza?".
Gustave Thibon, il filosofo contadino che possiede una fattoria nell'Ardeche
e presso il quale Simone svolge lavori agricoli, racconta cosi': "Ogni sera
si sedeva su una panchina di pietra vicino alla fontana [...] e la' mi
leggeva a lungo Platone sostenendo, con mille spiegazioni, il mio incerto
procedere di grecista. I suoi doni pedagogici erano prodigiosi: se essa
sopravvalutava volentieri le possibilita' di cultura di tutti gli uomini,
sapeva anche mettersi al livello di chiunque per insegnargli qualsiasi cosa.
Sia nell'insegnare la regola del tre a un ragazzino ritardato sia
nell'iniziarmi agli arcani della filosofia platonica, essa metteva se stessa
e tentava di ottenere dal suo discepolo quella qualita' di estrema
attenzione che, nella sua dottrina, si identificava alla preghiera" (2).
Simone Petrement, l'amica che scrivera' la piu' completa biografia sulla
Weil, la incontra per l'ultima volta a meta' settembre del 1941. E' colpita
soprattutto dalla sua grande dolcezza e serenita': "Di una bonta' piu'
tenera, piu' calma, ora la sua compagnia era, piu' che mai, di un fascino
estremo".
Alain (Emile Chartier), il filosofo maestro durante gli studi alla Normale
parigina, nel commento al prezioso scritto intitolato Manifesto per la
soppressione dei partiti politici, la considera "una mente di prim'ordine";
i politici di professione nei raggruppamenti della sinistra di lei dicono:
"... ci chiedeva la luna...".
Padre Perrin riporta, nell'introduzione per Attesa di Dio, una serie di
riscontri espressi su di lei e da lei. Un giovane operaio, suo compagno di
lotta, racconta: "Simone non ha mai fatto politica. Se tutti fossero come
lei, non vi sarebbero piu' sventurati". "Le Puy fu la sua prima cattedra,
scrive Perrin, la' pote' testimoniare concretamente la sua autentica
comunione con la miseria altrui. Per aver diritto al sussidio di
disoccupazione gli operai erano costretti a dure fatiche. Simone li vedeva,
per esempio, spaccare pietre; e come loro e con loro volle maneggiare il
piccone. Li accompagno' in non so quale tentativo di rivendicazione in
prefettura. Giunse al punto di trattenere per se' soltanto una somma
corrispondente al sussidio di disoccupazione, distribuendo il resto dello
stipendio agli altri. Il giorno in cui riscuoteva lo stipendio, la porta
della giovane professoressa di filosofia era assediata da una fila di suoi
protetti. Piu' tardi spinse la sua delicatezza sino a donare largamente il
suo tempo, strappato ai libri tanto amati, per giocare a carte con qualcuno
di loro, per tentare di cantare con altri". L'essersi messa, in quanto
richiesta dagli stessi disoccupati, alla testa di quel movimento scatena
grande scandalo nella stampa conservatrice. Si fanno pressioni grossolane
sulle autorita' accademiche perche' venga allontanata dal liceo, ma queste,
anche per la solidarieta' del sindacato, delle sue stesse allieve e della
Lega dei diritti dell'uomo, preferiscono non intervenire con sanzioni
disciplinari. Al contrario la lotta dei disoccupati ha successo. Un duro
commento di Simone alla campagna di stampa promossa contro di lei in quanto
insegnante e donna e' espresso nell'articolo "Une survivance du regime des
castes".
In L'azzurro del cielo, Georges Bataille, intellettuale del Cercle
communiste democratique, conosciuto dalla Weil nell'ambito della
collaborazione alla rivista "La Critique sociale", delinea una
trasfigurazione di Simone Weil nel personaggio di Louise Lazare: "Era sui
venticinque anni, brutta e visibilmente sporca... Il cognome, Lazare, si
addiceva al suo aspetto macabro meglio del nome proprio. Era strana, anzi
piuttosto ridicola... Era, in quel momento, la sola persona che mi aiutasse
a sfuggire alla prostrazione... Portava abiti neri, sgraziati e macchiati.
Pareva non vedesse nulla davanti a se', spesso urtava i tavoli passando.
Senza cappello, i capelli corti, irti e spettinati le creavano ali di corvo
intorno alla faccia. Aveva un gran naso di ebrea magra, la carnagione
giallastra usciva da quelle ali sotto gli occhiali cerchiati d'acciaio...
Esercitava un suo fascino, e per la lucidita' e per le sue idee di
allucinata. Quel che mi interessava di piu' in lei, era l'avidita' morbosa
che la spingeva a dare la sua vita e il suo sangue alla causa dei
diseredati. Riflettevo: dev'essere un sangue povero di vergine sporca".
In una particolare circostanza, quando e' arrestata sotto l'accusa di
gollismo, interrogata a lungo viene minacciata di essere gettata in carcere
dove "lei, professoressa di filosofia, si sarebbe trovata a contatto con le
prostitute", Simone replica: "Ho sempre desiderato conoscere quell'ambiente
e l'unico modo per potervi entrare sarebbe per me proprio la prigione". A
queste parole, il giudice ordina di rimetterla in liberta' come una folle
innocua.
Giunta a New York, ricorre a tutte le conoscenze e vecchie amicizie per
farsi richiamare a Londra ed entrare nella resistenza: "Ve ne prego, fatemi
venire a Londra, non lasciatemi consumare di dolore qui! ... Sono sull'orlo
della disperazione". Una volta a Londra, affossato dalla Commissione per la
guerra il suo progetto di essere paracadutata sul campo di battaglia nella
Francia occupata, si nutre per quel poco a cui i razionamenti del periodo di
guerra costringevano la popolazione francese.
Poco prima di morire, in una toccante lettera alla madre, Simone,
commentando le figure dei folli nelle tragedie di Shakespeare e nella
pittura di Velazquez, scrive: "Cara M., non senti l'affinita', l'analogia
profonda tra questi folli e me - malgrado la Scuola Normale, l'agregation e
gli elogi della mia 'intelligenza'?... Scuola, ecc., sono nel mio caso delle
ironie in piu'. Si sa bene che una grande intelligenza e' spesso
paradossale, e talvolta farnetica un po'... Gli elogi della mia intelligenza
hanno lo scopo di evitare la domanda 'Dice il vero o no?'. La mia
reputazione d''intelligenza' e' l'equivalente pratico dell'etichetta di
folli di questi folli. Come preferirei la loro etichetta!".
*
Oltre Proudhon e Marx: confronti
Dire che Simone Weil e' un'outsider rende conto solo in parte della
raffinatezza e del rigore con cui la filosofa francese esprime il lavoro del
pensiero. Mai dimentica il rapporto tra pensiero e azione, giacche' in tal
rapporto legge la "liberta' autentica". Non di una coerenza tra il pensato e
l'agito si tratta; viceversa l'abbinamento indice un'analogia asimmetrica,
non perfettamente coincidente l'uno sull'altra. Apre spazi dove circolano la
liberta' di pensare e di agire, a partire da se', dalla propria riconosciuta
parzialita' che non sconfessa la parzialita' dell'altro e di altro
impensato. Credo che l'appellativo di "guerriera", conferito a Simone da
Nadia Fusini, trovi senso proprio in questa analogia. In altra immagine, la
vedo come chi, sul filo della contraddizione, procede senza risolverne i
termini, con passi di ulteriorita' che nessuna rete di salvataggio sostiene.
E, di certo, non per dimostrare un compiacente coraggio che Simone mostra
avere in se', ma che e' coraggio visibile solo allo sguardo dell'altro.
Filosofa dunque della contraddizione, della liberta' correlata, a sua volta,
alla necessita' accolta quale radicamento dove operare metodicamente. In una
pagina dei Quaderni, Simone annota: "Proudhon, Verhaeren... sfuggire alla
necessita'? come i bambini? ma ci si perderebbe questa vita preziosa e cio'
si paga con una schiavitu' di altro tipo - innanzitutto di fronte alle
passioni - poi di fronte alla potenza collettiva della societa'".
Tra i molti scritti di Proudhon, va ricordato il Sistema delle
contraddizioni economiche. Filosofia della miseria. Nel titolo l'autore
assume la contraddizione come leva del suo trattare. Una certa affinita' tra
lui e lei e' riscontrabile, almeno a prima vista. Nell'introduzione a questo
voluminoso testo, Alfredo Bonanno considera Proudhon essere un pensatore
"contraddittorio", non solo come giudice di una situazione contraddittoria
ma anche come indagatore utilizzante un metodo contraddittorio, nella piena
coscienza dei limiti del metodo stesso.
L'analisi di Proudhon sulla proprieta' (Che cos'e' la proprieta') scorre su
due valenze: la proprieta' come struttura portante del privilegio sociale;
la proprieta' quale cardine della resistenza degli individui e dei gruppi al
dominio dello stato. La proprieta' e' un furto, la proprieta' e' la
liberta'. Secondo Proudhon, quel che appartiene a ciascuno non e' quel che
ciascuno puo' possedere, ma quel che ciascuno ha il "diritto di possedere; e
cio' che abbiamo il diritto di possedere e' cio' che basta al nostro lavoro
e al nostro consumo". La soluzione proudhoniana evidenzia un margine
problematico che resta inconsiderato: il nostro - di chi?, chi lo
definisce?, come lo si riconosce? come lo si mette in circolo,
eventualmente?...
L'approccio di Weil articola un discorso che, se inizialmente ha
un'affinita', riconducibile alla struttura contraddittoria della proprieta',
successivamente se ne distanzia. Il "diritto di possedere" proudhoniano e'
superato in questi termini: "il senso della proprieta' non e'
un'appropriazione giuridica ma del pensiero che si appropria delle cose tra
cui l'uomo spende la vita". Trascurando l'astrazione giuridica anche nella
forma giusnaturalistica, Weil allude ad una necessita' obbligante agganciata
al pensare e all'agire in presenza, nel qui-ora. Con l'attenzione rivolta
alle condizioni di esistenza, allo stato presente delle cose.
Nell'analisi puntuale delle contraddizioni economiche, l'attenzione di
Proudhon sullo stato dell'economia slitta nelle proposte organizzative di
associazioni con funzione autonoma in cui il massimo di liberta' individuale
dovrebbe conciliarsi con il massimo di armonia sociale. Si tratta di
proposte auspicabili e condivisibili, ma sono appunto auspicabili. La
distanza fra la situazione di quel tempo allora presente e una situazione a
venire e' colmata teoricamente con uno scatto nel futuro. Il movimento
simbolico di Proudhon sembra dar conto di una insostenibilita' della
contraddizione, percepita come qualcosa da risolvere, almeno teoricamente.
Simone Weil fa della contraddizione il luogo del pensiero pensante e agente
in contesto. La sua attenzione e' rivolta alle condizioni di esistenza, al
regime accettabile nella realta' di quel luogo che e' la fabbrica
"taylorizzata". Per lei, la necessita' e' il punto di appoggio d'Archimede:
radicamento su cui far leva per ri-sollevarsi. In altre parole, come gia'
accennato, la liberta' trova le sue radici nella necessita'.
Giugno del 1934: l'insegnante di filosofia Simone Weil chiede al Ministero
un anno di congedo "per studi personali". Il 4 dicembre e' assunta presso
una delle officine della societa' Alsthom a Parigi, impiegata alla pressa.
(parte prima - segue)

2. ET COETERA

Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa,
militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria,
operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti,
lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a
lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione,
sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna
come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della
Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento".
Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di
raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato
poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua
permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte
piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia
(Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori),
La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La
Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della
liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria
(Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono
fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da
Giancarlo Gaeta.
Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Eadem, Simone Weil. Un'intima estraneita', Citta' Aperta, Troina
(Enna) 2006; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia,
Milano 1994.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 265 del 6 agosto 2009

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