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Minime. 870
- Subject: Minime. 870
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 3 Jul 2009 00:49:13 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 870 del 3 luglio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Un appello al Presidente della Repubblica contro il colpo di stato razzista 2. Contro il ritorno delle leggi razziali in Italia 3. Appello dei giuristi contro l'introduzione dei reati di ingresso e soggiorno illegale dei migranti 4. Le stragi 5. Dacia Maraini: L'esempio 6. Gianfranco Capitta ricorda Pina Bausch 7. Pippo Delbono ricorda Pina Bausch 8. Francesca Pedroni ricorda Pina Bausch 9. Cristina Piccino ricorda Pina Bausch 10. Riletture: Karl Korsch, Il materialismo storico 11. Riletture: Karl Korsch, Karl Marx 12. Riletture: Karl Korsch, Marxismo e filosofia 13. Riletture: Karl Korsch, Scritti politici 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. UN APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CONTRO IL COLPO DI STATO RAZZISTA [Riproponiamo il seguente appello al Presidente della Repubblica che abbiamo gia' diffuso ieri anche in un supplemento straordinario del nostro notiziario. L'indirizzo di posta elettronica della Presidenza della Repubblica e' presidenza.repubblica at quirinale.it] Il colpo di stato razzista compiuto dal governo Berlusconi con la complicita' di una asservita maggioranza parlamentare puo' e deve essere respinto. E' nei poteri del Presidente della Repubblica rifiutare di avallare l'introduzione nel corpus legislativo di misure palesemente in contrasto con la Costituzione della Repubblica Italiana, palesemente criminali e criminogene, palesemente razziste ed incompatibili con l'ordinamento giuridico della Repubblica. Al Presidente della Repubblica in prima istanza facciamo ora appello affinche' non ratifichi un deliberato illegale ed eversivo che viola i fondamenti stessi dello stato di diritto e della civilta' giuridica, che viola i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana. 2. UNA SOLA UMANITA'. CONTRO IL RITORNO DELLE LEGGI RAZZIALI IN ITALIA [Riceviamo e diffondiamo il seguente appello apparso sul quotidiano spagnolo "El Pais" e su vari altri mezzi d'informazione] Le cose accadute in Italia hanno sempre avuto, nel bene e nel male, una straordinaria influenza sulla intera societa' europea, dal Rinascimento italiano al fascismo. Non sempre sono state pero' conosciute in tempo. In questo momento c'e' una grande attenzione sui giornali europei per alcuni aspetti della crisi che sta investendo il nostro paese, riteniamo, pero', un dovere di quanti viviamo in Italia richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica europea su altri aspetti rimasti oscuri. Si tratta di alcuni passaggi della politica e della legislazione italiana che, se non si riuscira' ad impedire, rischiano di sfigurare il volto dell'Europa e di far arretrare la causa dei diritti umani nel mondo intero. Il governo Berlusconi, agitando il pretesto della sicurezza, ha imposto al Parlamento, di cui ha il pieno controllo, l'adozione di norme discriminatorie nei confronti degli immigrati, quali in Europa non si vedevano dai tempi delle leggi razziali. E' stato sostituito il soggetto passivo della discriminazione, non piu' gli ebrei bensi' la popolazione degli immigrati "irregolari", che conta centinaia di migliaia di persone; ma non sono stati cambiati gli istituti previsti dalle leggi razziali, come il divieto dei matrimoni misti. Con tale divieto si impedisce, in ragione della nazionalita', l'esercizio di un diritto fondamentale quale e' quello di contrarre matrimonio senza vincoli di etnia o di religione; diritto fondamentale che in tal modo viene sottratto non solo agli stranieri ma agli stessi italiani. Con una norma ancora piu' lesiva della dignita' e della stessa qualita' umana, e' stato inoltre introdotto il divieto per le donne straniere, in condizioni di irregolarita' amministrativa, di riconoscere i figli da loro stesse generati. Pertanto in forza di una tale decisione politica di una maggioranza transeunte, i figli generati dalle madri straniere "irregolari" diverranno per tutta la vita figli di nessuno, saranno sottratti alle madri e messi nelle mani dello Stato. Neanche il fascismo si era spinto fino a questo punto. Infatti le leggi razziali introdotte da quel regime nel 1938 non privavano le madri ebree dei loro figli, ne' le costringevano all'aborto per evitare la confisca dei loro bambini da parte dello Stato. Non ci rivolgeremmo all'opinione pubblica europea se la gravita' di queste misure non fosse tale da superare ogni confine nazionale e non richiedesse una reazione responsabile di tutte le persone che credono a una comune umanita'. L'Europa non puo' ammettere che uno dei suoi Paesi fondatori regredisca a livelli primitivi di convivenza, contraddicendo le leggi internazionali e i principi garantisti e di civilta' giuridica su cui si basa la stessa costruzione politica europea. E' interesse e onore di tutti noi europei che cio' non accada. La cultura democratica europea deve prendere coscienza della patologia che viene dall'Italia e mobilitarsi per impedire che possa dilagare in Europa. A ciascuno la scelta delle forme opportune per manifestare e far valere la propria opposizione. Roma, 29 giugno 2009 Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi, Dacia Maraini, Dario Fo, Franca Rame, Moni Ovadia, Maurizio Scaparro, Gianni Amelio 3. UNA SOLA UMANITA'. APPELLO DEI GIURISTI CONTRO L'INTRODUZIONE DEI REATI DI INGRESSO E SOGGIORNO ILLEGALE DEI MIGRANTI [Riproponiamo il seguente appello] Il disegno di legge n. 733-B attualmente all'esame del Senato prevede varie innovazioni che suscitano rilievi critici. In particolare, riteniamo necessario richiamare l'attenzione della discussione pubblica sulla norma che punisce a titolo di reato l'ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato, una norma che, a nostro avviso, oltre ad esasperare la preoccupante tendenza all'uso simbolico della sanzione penale, criminalizza mere condizioni personali e presenta molteplici profili di illegittimita' costituzionale. La norma e', anzitutto, priva di fondamento giustificativo, poiche' la sua sfera applicativa e' destinata a sovrapporsi integralmente a quella dell'espulsione quale misura amministrativa, il che mette in luce l'assoluta irragionevolezza della nuova figura di reato; inoltre, il ruolo di extrema ratio che deve rivestire la sanzione penale impone che essa sia utilizzata, nel rispetto del principio di proporzionalita', solo in mancanza di altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo. Ne' un fondamento giustificativo del nuovo reato puo' essere individuato sulla base di una presunta pericolosita' sociale della condizione del migrante irregolare: la Corte Costituzionale (sent. 78 del 2007) ha infatti gia' escluso che la condizione di mera irregolarita' dello straniero sia sintomatica di una pericolosita' sociale dello stesso, sicche' la criminalizzazione di tale condizione stabilita dal disegno di legge si rivela anche su questo terreno priva di fondamento giustificativo. L'ingresso o la presenza illegale del singolo straniero dunque non rappresentano, di per se', fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l'espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante: la relativa incriminazione, pertanto, assume un connotato discriminatorio ratione subiecti contrastante non solo con il principio di eguaglianza, ma con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si puo' essere puniti solo per fatti materiali. L'introduzione del reato in esame, inoltre, produrrebbe una crescita abnorme di ineffettivita' del sistema penale, gravato di centinaia di migliaia di ulteriori processi privi di reale utilita' sociale e condannato per cio' alla paralisi. Ne' questo effetto sarebbe scongiurato dalla attribuzione della relativa cognizione al giudice di pace (con alterazione degli attuali criteri di ripartizione della competenza tra magistratura professionale e magistratura onoraria e snaturamento della fisionomia di quest'ultima): da un lato perche' la paralisi non e' meno grave se investe il settore di giurisdizione del giudice di pace, dall'altro per le ricadute sul sistema complessivo delle impugnazioni, gia' in grave sofferenza. Rientra certo tra i compiti delle istituzioni pubbliche "regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati" (Corte Cost., sent. n. 5 del 2004), ma nell'adempimento di tali compiti il legislatore deve attenersi alla rigorosa osservanza dei principi fondamentali del sistema penale e, ferma restando la sfera di discrezionalita' che gli compete, deve orientare la sua azione a canoni di razionalita' finalistica. "Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le societa' piu' avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, si' che (...) non si puo' non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a 'nascondere' la miseria e a considerare le persone in condizioni di poverta' come pericolose e colpevoli". Le parole con le quali la Corte Costituzionale dichiaro' l'illegittimita' del reato di "mendicita'" di cui all'art. 670, comma 1, cod. pen. (sent. n. 519 del 1995) offrono ancora oggi una guida per affrontare questioni come quella dell'immigrazione con strumenti adeguati allo loro straordinaria complessita' e rispettosi delle garanzie fondamentali riconosciute dalla Costituzione a tutte le persone. 25 giugno 2009 Angelo Caputo, Domenico Ciruzzi, Oreste Dominioni, Massimo Donini, Luciano Eusebi, Giovanni Fiandaca, Luigi Ferrajoli, Gabrio Forti, Roberto Lamacchia, Sandro Margara, Guido Neppi Modona, Paolo Morozzo della Rocca, Valerio Onida, Elena Paciotti, Giovanni Palombarini, Livio Pepino, Carlo Renoldi, Stefano Rodota', Arturo Salerni, Armando Spataro, Lorenzo Trucco, Gustavo Zagrebelsky 4. LE ULTIME COSE. LE STRAGI Le stragi di cui ogni giorno, se solo volessimo ascoltare, ci giunge notizia dall'Afghanistan. Le stragi causate dalla nostra guerra, dalla guerra cui l'Italia partecipa, dalla guerra terrorista e stragista cui dovremmo opporci con tutte le nostre forze. Le stragi di cui siamo complici se non ci opponiamo alla guerra. Le stragi che a quanto pare qui in Italia inorridiscono quasi solo me. 5. APPELLI. DACIA MARAINI: L'ESEMPIO [Dal "Corriere della sera" del 30 giugno 2009 col titolo "Se il pignoramento colpisce gli onesti" e il sommario "Dopo 25 anni sentenza di fallimento contro i giornalisti dei 'Siciliani'"] "La mafia e' dovunque, a Palermo, a Catania, a Milano, a Napoli, a Roma, annidata in tutte le strutture come un inguaribile cancro", scriveva Giuseppe Fava nell'83 su "I Siciliani", un giornale battagliero e coraggioso che hanno tentato di mettere a tacere assieme al suo direttore. Fava aveva visto giusto. Oggi sappiamo che la mafia e' una realta' non solo regionale ma nazionale e costituisce una delle ragioni dell'arretratezza del nostro Paese. Se non tagliamo con severita' i rapporti fra le mafie e le strutture dell'amministrazione pubblica, fra le mafie e le banche, fra le mafie e alcune zone buie della magistratura, non ne usciremo, come diceva Fava. Il 5 gennaio dell'84 Giuseppe Fava viene ucciso brutalmente da mani mafiose e il giornale - tutti lo pensano e lo suggeriscono - si accinge a chiudere. Ma i redattori che hanno lavorato con lui, mettendo nell'impresa le loro energie, il loro tempo, il loro coraggio, la loro passione civile, decidono di non chiudere. Sarebbe stato logico che la societa' siciliana li ripagasse non solo comprando il giornale, come ha continuato a fare, ma anche finanziandolo con pubblicita' e sostegno. Invece no. In Sicilia chi con coraggio fa il suo dovere, viene prima o poi punito. Cosi' succede che per anni "I Siciliani" si trovi completamente privato di pubblicita' e sia costretto a firmare cambiali. Molti cittadini comprano il foglio ma nessun industriale o commerciante ci mette piu' una lira. Si cerca in tutti i modi di fare tacere una voce libera. Ora dopo piu' di vent'anni dalla morte del suo direttore, i redattori che nel frattempo hanno inventato altri giornali e altre riviste vengono attaccati con spirito punitivo, per via legale. Alcuni giornalisti fra cui Graziella Proto, Elena Brancati, Claudio Fava, Rosario Lanza e Lillo Venezia, membri del Cda della cooperativa che stampava il giornale, rischiano di perdere le loro case "per il puntiglio di una sentenza di fallimento che si presenta dopo venticinque anni... Il precetto di pignoramento e' stato notificato senza nemmeno curarsi di attendere la sentenza di appello". Una delle case pignorate e' quella in cui e' nato e cresciuto Giuseppe Fava. Ma il paradosso, che fa pensare appunto a una punizione per via burocratica, e' che il creditore principale, l'Ircac, e' un Ente regionale disciolto da anni. In una citta' come Catania, che ha un debito colossale dovuto a cattiva amministrazione, una citta' in cui gli sprechi sono all'ordine del giorno, ci si accanisce contro dei giornalisti coraggiosi che hanno avuto il solo torto di dire le cose come stanno e che sono gia' stati puniti brutalmente dalla mafia. Daro' il buon esempio mandando 200 euro alla Fondazione Giuseppe Fava, presso il Credito siciliano, agenzia di Cannizzaro, 95021 Acicastello (CT) IBAN IT22A0301926122 000000557524. Causale: "Per I Siciliani". Spero che altri mi seguano. 6. LUTTI. GIANFRANCO CAPITTA RICORDA PINA BAUSCH [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo luglio 2009 col titolo "Bausch, il teatro perde il suo corpo" e il sommario "Addio alla piu' grande coreografa e danzatrice del mondo. Da Wuppertal, cuore carbonifero d'Europa, ha esportato i suoi spettacoli e insegnato alla fine del '900 un'arte scabrosa. Ci sono dei momenti in cui si resta senza parole, perduti e disorientati. A questo punto comincia la danza"] Pina Bausch e' morta ieri a mezzogiorno, dopo un breve ricovero, molto riservato, perche' lei non amava parlare della sua malattia, e non gradiva che alcuno gliene parlasse. Ha continuato, si immagina facilmente, fino all'ultimo a fumare, a prendere un bicchiere con le mani eleganti, a guardare il mondo con i suoi occhioni leggendari, sempre sgranati e attenti anche davanti alla piu' piccola delle creature. Ma con lei, che era nata nella Solingen delle mitiche lame nel 1940, e aveva quindi 69 anni, se ne va davvero un pezzo del '900. Un pezzo importante perche' da quarant'anni Philippina Bausch, detta Pina, e affettuosamente dai giovani danzatori anche "la zia Pina", ha plasmato l'immaginario di diverse generazioni. Dopo molte esperienze di studio, tecniche e affinamento di stili diversi, ha inventato un linguaggio tutto suo, il teatrodanza, che si e' rivelato fondamentale per raccontare e per leggere il mondo. Un linguaggio che dopo di lei e' divenuto patrimonio comune, strumento collettivo perche' ha unito e miscelato per sempre gli strumenti della rappresentazione, con tutte le loro possibilita', la loro storia, i loro segreti, con quello del corpo, della sua libera espressione, della sensuale padronanza. Qualcosa che riguarda tutti, e che tutti, volendo, possono usare ed esprimere. Il suo e' stato un assoluto teatro della seduzione. Del dolore quando questa non si realizza e non conquista l'altro; del piacere quando la vicinanza dei corpi scatena energie e fiamme che possono diventare incontrollabili. Detto cosi' potrebbe risultare pura retorica, ma chiunque abbia visto uno dei suoi mille spettacoli, sa che c'era dentro un eros, un ineffabile afflato fisico che a volte poteva risultare perfino inconfessabile. Una visione del corpo femminile e di quello maschile poetica e realista, che non nascondeva il conflitto tra i generi, ma anzi ne esaltava la potenza che, differenziandoli, rendeva merito ad entrambi. Laica ed egualitaria, totalmente emancipata nonostante l'apparenza da distinta fraulein, la bellissima Pina aveva una saggezza sorniona, un sesto senso ineluttabile per capire situazioni oscure o indagare oltre la patina dell'esteriorita'. Ne fanno fede i suoi tanti spettacoli dedicati ognuno a una citta' (a parte Roma che ne ebbe due, Viktor capostipite del genere, e poi Oh Dido). Per decine d'anni ha disegnato il proprio personale atlante, visitando instancabilmente (e senza accusare mai stanchezza e stress), e approfondendo ogni volta con i suoi danzatori/attori, una realta', un paese, una cultura. Con immagini "ingenue" alternata ad altre forti, molto forti, che hanno fatto epoca. Lei era cosi', in grado di mescolare il carnale e l'etereo, il quotidiano e il sublime, e di farti danzare tutto questo davanti agli occhi, mentre l'orecchio s'incantava ad un flusso che, mixandoli, rovesciava il nord e il sud del mondo. E le scene allusive e scultoree (prima di Rolf Borzik e poi di Peter Pabst, entrambi suoi fidi, come la costumista Marion Cito) bloccavano quegli attimi in scatti dell'eternita'. Solo a nominare tutti quei titoli ci si puo' commuovere: hanno scandito una sorta di adolescenza collettiva, a partire dalla fine degli anni Settanta. Bandoneon, Kontakthof non a caso rieditata in anni recenti con danzatori anziani e poi con bambini, le sue prime apparizioni ai festival e nei teatri d'opera, la rassegna alla Fenice, le sue Tanz Oper memorabili, l'esplosione in Germania di 1980 in quello stesso anno, che era poi quello dell'Orestea di Stein di cui nel ricordo rimane la complementare altra faccia dello specchio. E poi Nelken e decine di altri che ci vorranno libri per raccontarli (pure se gia' oggi ne esistono anche in italiano di grande pregio, con i testi di Leonetta Bentivoglio e le immagini di Francesco Carbone che hanno dedicato a lei tanto lavoro). Tra tutti i suoi spettacoli, quella sorta di perla nera costituita da Cafe' Mueller. Che aveva il brivido di vederla protagonista in scena, tra quelle austere sedie da caffe' di una sala di eterna attesa. In mezzo ai suoi fidi primi danzatori (Airaudo, Minarik, Mercy, lo stesso Borzik) c'era lei a danzare la disperazione col corpo sonante assieme alle melodie di Henry Purcell. Spettacolo meraviglioso, e ogni volta triste fino alle lacrime. Anche se lei era la perfezione di un corpo rispetto al dolore e alla sua elaborazione. Uno spettacolo che lei ha molto amato, e che ha riproposto nel tempo (una apparizione mitica ad Avignone, nella cour d'honneur). Lo doveva ripresentare anche lo scorso anno a Londra, tanto che piu' d'uno aveva prenotato l'aereo. Poi desistette, forse addirittura fu ricoverata gia' allora in gran riserbo. Come stavolta, che pero' e' rimasta a Wuppertal, la citta' mineraria della Ruhr che lei ha reso celeberrima nel mondo, come non era riuscito neanche a Wenders che sotto la monorotaia volante aveva spinto la sua Alice nelle citta'. Bausch ci si era installata, vi aveva fondato la sua compagnia, e alternando l'ospitalita' offerta dai due teatri esistenti, quello d'opera e quello di prosa, ne ha fatto un sito capitale. Da quel cuore carbonifero d'Europa, lei ha sublimato ed esportato danza in tutto il mondo. Ha formato artisti ed allevato spettatori, ha creato un gusto e ha insegnato alla fine del Novecento un'arte nuova, basilare ed elementare all'apparenza, quanto profonda e scabrosa nei suoi significati. O nei suoi sensi, come sarebbe meglio dire. Pina era molto diretta, per quanto garbata. La grazia era la sua corazza, ma la verita' non la spaventava. Non faceva discorsi fumosi, ma lasciava parlare i suoi spettacoli e i corpi e le composizioni dei suoi attori/danzatori. Nel ricordo di lei si mescolano ambienti diversissimi: con una coppa di champagne omaggiata da mezza Parigi all'Opera Garnier, o dalle autorita' tedesche e indiane al debutto a Delhi del Bamboo Blues in arrivo sabato a Spoleto; e allo stesso modo, ma forse con maggiore entusiasmo, nel campo rom a ballare al termine della sua tournee romana, e addirittura ad una festa assai notturna di Muccassassina. O all'osteria di Testaccio, davanti alle predilette vongole sugli spaghetti, lasciare sconcertato il gestore gentile che voleva farla riparare all'interno dall'acquazzone di giugno, mentre lei preferiva restare ai tavoli all'aperto, e la pioggia che le riempiva il bicchiere le pareva una citazione dell'Eden biblico. Pina Bausch non amava la forma ingessata delle interviste, ma dopo cena, davanti a un bicchiere di rosso, amava moltissimo raccontare i suoi viaggi, la sua vita, il suo "punto di vista". Che aiutavano non poco a capire la nascita del suo teatro e della sua danza. Con Pina, e il suo teatrodanza, se ne va un'amica che sapeva far vedere allo spettatore le sue cose piu' segrete, meno risolte, forse anche piu' scabrose, in una rappresentazione che le rendeva piu' accettabili, e piu' comprensibili. 7. LUTTI. PIPPO DELBONO RICORDA PINA BAUSCH [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo luglio 2009 col titolo "Il ricordo di un allievo speciale. Lei era il mio sogno, la passione, la vita, tutto"] Pina Bausch l'ho conosciuta nell'87. Andai a Wuppertal per farle vedere Il tempo degli assassini. La prima volta non venne e io l'avevo fatto proprio per lei, ma erano presenti gli attori della sua compagnia. Tornarono e stavolta c'era anche Pina. Finito lo spettacolo, era rimasta in sala, c'era solo lei. Ma ho saltato una tappa: conoscevo la sua arte perche' avevo assistito, a Wuppertal, ad Arien, lo spettacolo nell'acqua. Era stato un incontro straordinario. Non avevo mai visto niente di simile: era il teatro, la vita, l'emozione, tutto. In quel periodo, avevo delle cicatrici in un occhio a causa di un herpes mal curato e vedevo strani riflessi nell'acqua. Ma l'esperienza era stata talmente forte che le avevo dimenticate. Eppure il primo contatto fisico che ebbi con Pina fu una sua carezza sull'occhio ferito. Anni dopo, quando venne da me, le raccontai la mia emozione per il suo spettacolo e lei: "Ne hai visto solo uno? Dovrai vedere tutti gli altri". Cosi' feci e restai. E' nato da li' questo amore, questa passione cosi' grande. Per me era diventato un sogno, "il" sogno. Lei lavorava soltanto con danzatori di livello eccelso. Pero' mi chiese di fermarmi. Lasciai tutto e rimasi a Wuppertal dove e' iniziato il mio viaggio con questa signora. Un viaggio pieno di incontri e momenti particolari. Abbiamo anche condiviso il tempo delle vacanze e c'e' stata la straordinaria conoscenza con Bobo'. Pina ne era affascinata. Lui e' stato il solo a avere il coraggio di mandarla via: "Devi tornare dopo - le disse una volta - noi stiamo provando...". L'unico a non avere soggezione. Pina riusciva a essere circondata sempre da un alone di soggezione. Non perche' fosse una donna rigida, ma perche' era un'artista grande, anche nel quotidiano. Sentivi che avevi davanti a te qualcuno profondamente libero, come un bambino. L'ultima volta, a Parigi, le consigliai di andare da un medico. Aveva problemi di respirazione, ma si arrabbio' moltissimo. Siamo rimasti a parlare a lungo e le ho detto delle cose che non le avevo mai confessato. Anche che avevo preso quel suo atteggiamento di insicurezza sul mondo. Pina diceva sempre "non so....". Quando glielo ricordavo, ripeteva che, in effetti, ci sono cose cosi' grosse di cui non possiamo sapere proprio nulla. Quel giorno mi ha detto una frase molto bella: "Io e te siamo vicini, cerchiamo entrambi la verita'". Le sue ultimissime parole? "La prossima volta non mi consigliare di andare dal medico. Al limite, se vieni con un dottore molto bello e affascinante, potrei ricredermi...", aveva scherzato. Per me, la sua morte e' stata come perdere una gamba, lei e' stata una parte importante della mia vita. Certo, adesso si parlera' di tutto cio' che ha rappresentato nel teatro, nell'arte. Ma io mi chiedo: come faro' a non vederla piu'? Mi sembra impossibile. I grandi maestri sono scomparsi, l'arte e' tutta una rappresentazione, c'e' un momento di vuoto e una nostalgia di un passato che riguarda tutto, anche la politica. Ci sembra di ricordare i tempi degli ideali, delle passioni, i tempi di lotta e dell'arte. Insomma, i tempi di Pina Bausch. Ma lei non tornera'. 8. LUTTI. FRANCESCA PEDRONI RICORDA PINA BAUSCH [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo luglio 2009 col titolo "In scena. Dagli anni fecondi del Tanztheater all'amore per l'India"] Vorremmo poter scrivere questo pezzo tra vent'anni. Invecchiati noi come lei. La crocchia di capelli tirata sulla nuca diventata bianca mentre ancora le sue danzatrici, i suoi danzatori continuerebbero a raccontarci la nostra storia, la', dalla scena. E invece siamo qui, in un pomeriggio assolato che improvvisamente ha assunto altri toni, il colore del dolore e della perdita, qui a scrivere di Pina Bausch che ci ha lasciati. Di quella sua danza fatta di sentimenti, di intimita' che si rivelano nel gesto, di umori e lacrime e sorrisi, di incontri tra uomini e donne. A scrivere di una donna che ha amato la danza sempre, sia che si fosse negli anni Settanta di Blaubart o negli anni Novanta e Duemila, da Danzon del '95 fino a oggi, con lavori come Agua o Sweet Mambo dove la danza scorre come un fiume in piena per bellezza e umanita'. "Certe cose - diceva Pina - si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ma ci sono anche dei momenti in cui si resta senza parole, perduti e disorientati, non si sa piu' che fare. A questo punto comincia la danza e per motivi del tutto diversi dalla vanita'". La vanita', si', ci piace ricordare questo accenno di Bausch alla vanita' come spinta non determinante per la danza, scelta di linguaggio mai in Pina decorativa. Nelle sue corse per la scena, nei movimenti ampi delle braccia, nei movimenti sinuosi delle sue donne fasciate in abiti di seta, dritto al cuore arrivava un perche', una necessita' di usare in quel preciso punto del pezzo un gesto di danza, un respiro coreografico. La sua Sagra della primavera resta un punto fermo nella storia della danza del Novecento, ma anche in altri pezzi dove la "danza danza" sembra piu' nascosta come in quel Kontakthof del 1978, ripreso negli anni Duemila con anziani e poi con adolescenti, la struttura coreografica nel suo matrimonio con la drammaturgia e' qualcosa che fa la differenza. Tanti anni fa, nel 1997, a Palermo, durante un'intervista le chiedemmo se era cambiato qualcosa nel suo rapporto con la danza. Lei rispose: "La danza e' sempre presente nei miei pezzi. I miei lavori fanno parte di un unico grande pezzo e all'interno di questo percorso non e' semplice dare spiegazioni. La danza comunque per me e' sempre importante. Il tuo io e' cio' che il corpo rivela nelle relazioni con le persone. E parlare con il corpo e' cosi' naturale, meraviglioso". Eccola ai suoi esordi di ballerina, studiare alla Folkwangschule di Essen diretta dal maestro della danza espressiva tedesca Kurt Jooss: si era nella culla culturale del Tanztheater, tra i protagonisti dell'ausdruckstanz tedesco, una danza che parlava di "cosa muove le persone". Bausch prosegue la formazione a New York alla Juilliard School of Music dal 1959 al 1962, studiando con maestri come Paul Taylor, Antony Tudor e con quell'Alfredo Corvino che poi volle come maitre nel suo Wuppertal Tanztheater. Sarebbe potuta restare in America, ma invece torno' in Germania, con il suo maestro Kurt Jooss che aveva fondato il Folkwang-Ballett. La sua interpretazione della madre nel capolavoro di Jooss Il tavolo verde resta un cammeo tra i suoi primi ruoli. Ma pensare a Pina Bausch in questo momento e' anche sentire scorrere nell'anima la nostra vita di spettatore. Rivedersi ben prima di fare il mestiere di critico alla Scala dopo Konkakthof nel 1983, discutere con altri amici ventenni di fronte a qualcosa che avrebbe cambiato il nostro modo di guardare, e' camminare per Venezia durante la retrospettiva alla Fenice nell'85, e' avere di fronte agli occhi Cafe' Mueller, Nelken, Viktor, Palermo Palermo. E' sentire, con stringimento, che, indipendentemente dal mestiere scelto, c'e' un prima e un dopo Pina Bausch. Del suo sguardo sull'uomo sentiremo la mancanza. 9. LUTTI. CRISTINA PICCINO RICORDA PINA BAUSCH [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo luglio 2009 col titolo "Bausch e il cnema" e il sommario "Fellini la volle in E la nave va, Almodovar in Parla con lei. Poi Akerman e il progetto di un film in 3D con Wenders. Quelle relazioni privilegiate con i registi. Gitai: Era un arco sul Novecento"] Nel '98, quando arrivo' a Roma per creare O Dido, capitava spesso di incontrarla insieme al regista Matteo Garrone. Lo spettacolo sarebbe poi divenuto una riflessione sulla citta' a cui Pina Bausch diceva di sentirsi intimamente vicina cosi' come l'aveva scoperta tornandoci a distanza di molto tempo, alla fine degli anni Novanta. Non era la Roma dei salotti che cercava Bausch ne' quella dei locali di tendenza, la sua scommessa era di entrare nella geografia nascosta eppure cosi' visibile tanto da essere divenuta luogo di scontro politico e culturale quotidiano. Era la Roma dei migranti che raccontava O Dido, che ne hanno mutato gli equilibri, le architetture, le relazioni urbane. La Roma dei campi Rom e dei locali africani, dei ritrovi cinesi al Casilino e fuori dal centro. Garrone quella trasformazione l'aveva mostrata con precisione poetica dal suo primo Terre di mezzo, e uno dei segni forti nei suoi film e' proprio questa capacita' di scoprire i luoghi e di saperne narrare i cambiamenti. Pina Bausch esercitava un forte fascino sul cinema. Non poteva essere altrimenti pensando alla sua fisioniomia lunare, al volto intenso, alla gestualita' che quasi modellava la pellicola. La vollero Federico Fellini in E la nave va e Pedro Almodovar in Parla con lei. Amos Gitai insieme a Pina Bausch ha lavorato piu' volte: la troviamo in Golem, l'esprit de l'exile ('91) e in Berlin-Jerusalem ('89), entrambi film della diaspora, dell'esilio come mito e linguaggio cinematografico. Gitai all'epoca viveva in "esilio volontario" a Parigi, Berlin-Jerusalem intreccia la storia di due donne, una tedesca, l'altra russa che viaggiano verso Gerusalemme. Pina Bausch - racconta Gitai - era stata anche una aiuto prezioso per Dans la vallee de la Wupper ('93) che il regista israeliano aveva girato a Wuppertal su un caso di omofobia e di antisemitismo. "E' una notizia che mi ha rattristato moltissimo, non sapevo che fosse malata" ci dice al telefono Amos Gitai. E aggiunge: "Nei miei film e' stata attrice e anche coreografa, abbiamo lavorato spesso insieme, la sentivo molto vicina. Lei per me, come Fassbinder, rappresentava un ponte tra la cultura della seconda guerra mondiale e il pensiero contemporaneo. Nel suo lavoro c'e' una ricerca che porta dall'espressionismo e dal dadaismo all'oggi, affermando nella cultura tedesca la stessa necessita' di sperimentazione. E il desiderio di creare qualcosa che riuscisse a superare il disastro della seconda guerra mondiale". Su di lei aveva concentrato la macchina da presa anche Chantal Akerman, Un jour Pina Bausch a demande' ('89) e' un viaggio di cinque settimane durante le quali la regista segue la compagnia per l'Europa. Piu' che un documentario il film prende la forma di una raccolta d'appunti, molto intima, che traccia una relazione, tra Akerman e Bausch, quasi di rispecchiamento: il lavoro dell'artista, il conflitto tra liberta' personale e autocontrollo, l'allenamento, la fatica della ricerca scivolano nell'esperienza dell'una e dell'altra. Anche Wenders voleva girare un film insieme a Pina Bausch, in settembre doveva partire Pina girato in 3D cosi' da rendere la fisicita' della danza (c'erano tre spettacoli di Bausch, Cafe' Muller, The Rite of Spring, Full Moon). "Il 3D porta il pubblico direttamente sul palcoscenico, le due dimensioni dello schermo cinematografico non sono in grado di catturare il lavoro di Pina Bausch, ne' a livello emozionale ne' esteticamente" aveva detto Wenders. Anche se la sua presenza imprimeva a ogni fotogramma un segno indelebile. 10. RILETTURE. KARL KORSCH: IL MATERIALISMO STORICO Karl Korsch, Il materialismo storico. Antikautsky, Laterza, Bari 1971, 1972, pp. LXIV + 160. L'opera del 1929 in cui Korsch (1886-1961) nel vivo della polemica con Kautsky efficacemente esplicita la sua posizione. Con un ampio saggio introduttivo di Gian Enrico Rusconi. 11. RILETTURE. KARL KORSCH: KARL MARX Karl Korsch, Karl Marx, Laterza, Bari 1969, 1974, pp. XL + 368. Elaborata negli anni '30, pubblicata in inglese nel '38 e successivamente rielaborata fino al 1950, un work in progress la cui lettura o rilettura vivamente consigliamo. Traduzione di Augusto Illuminati (condotta sull'edizione critica del 1967), introduzione di Giuseppe Bedeschi, nota filologica di Goetz Langkau. 12. RILETTURE. KARL KORSCH: MARXISMO E FILOSOFIA Karl Korsch, Marxismo e filosofia, Feltrinelli, Milano 1966, Sugarco, Milano 1978, pp. 182. La fondamentale opera del 1923 (l'anno in cui apparve anche Storia e coscienza di classe di Lukacs, su cui l'autore fece in tempo a scrivere nove righe di consonanza in un poscritto qui a p. 84), poi ripubblicata ampliata nel 1930; con tre appendici e l'"Anticritica" del '30. Traduzione di Giorgio Backhaus. 13. RILETTURE. KARL KORSCH: SCRITTI POLITICI Karl Korsch, Scritti politici, Laterza, Roma-Bari 1975, 2 voll. per complessive pp. XLVIII + 442. Una raccolta di scritti ancora di straordinario interesse (un esempio per tutti: le folgoranti "Dieci tesi sul marxismo oggi" del 1950, il testo che chiude la raccolta ed e' veramente ancor oggi illuminante). Introduzione e cura di Gian Enrico Rusconi. Traduzioni di Carlo Bertorelle (dal tedesco) e Chiara Saraceno (dall'inglese). 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 870 del 3 luglio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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