Voci e volti della nonviolenza. 338



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 338 del 2 giugno 2009

In questo numero:
1. Contro la guerra, contro il nucleare, contro il riarmo
2. La prima lettera di Guenther Anders a Claude Eatherly
3. La prima lettera di Claude Eatherly a Guenther Anders

1. EDITORIALE. CONTRO LA GUERRA, CONTRO IL NUCLEARE, CONTRO IL RIARMO

Occorre opporsi al crimine e alla follia dei nuovi cacciabombardieri F-35.
Occorre opporsi al crimine e alla follia della nuova base di guerra
americana a Vicenza.
Ovunque occorre opporsi alla guerra, e innanzitutto alla guerra cui l'Italia
sta prendendo parte in Afghanistan.
Ed occorre opporsi al nucleare, civile e militare.
Con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza.
*
O si costruisce la pace, o l'umanita' soccombera' alla guerra.
O si difende la biosfera o l'umanita' soccombera' con essa.
O si sceglie e si agisce un nitido e intransigente impegno contro il
militarismo e contro il riarmo, contro tutti gli eserciti, tutti i gruppi
armati, tutte le armi e tutte le oppressioni, o per l'umanita' non vi sara'
scampo.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. DOCUMENTI. LA PRIMA LETTERA DI GUENTHER ANDERS A CLAUDE EATHERLY
[Riproponiamo ancora una volta il testo della prima lettera di Guenther
Anders a Claude Eatherly, del 3 giugno 1959, riprendendola dalla
corrispondenza tra Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di
Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea
d'ombra, Milano 1992 (ivi alle pp. 27-34), nella classica traduzione di
Renato Solmi.
Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e
fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di
non comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio
dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in
filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo,
trasferitosi negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri.
Tornato in Europa nel 1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992.
Strenuamente impegnato contro la violenza del potere e particolarmente
contro il riarmo atomico, e' uno dei maggiori filosofi contemporanei; e'
stato il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e tenacia ha pensato
la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che mettono in pericolo la
sopravvivenza stessa della civilta' umana; insieme a Hannah Arendt (di cui
fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli
ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire.
Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961; La
coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e
di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992
(col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando); L'uomo
e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima nell'era della
seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati
Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla
distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale),
Bollati Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso sulle tre guerre mondiali,
Linea d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli
1991; Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e
legittima difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi)
1997. Si vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo
senza mondo, Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar,
Bari 1993; Amare, ieri, Bollati Boringhieri, Torino 2004; L'odio e'
antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2006; Discesa all'Ade, Bollati
Boringhieri, Torino 2008. In rivista testi di Anders sono stati pubblicati
negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra", "Micromega". Opere su
Guenther Anders: cfr. ora la bella monografia di Pier Paolo Portinaro, Il
principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders, Bollati Boringhieri,
Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno scritto, tra altri, Norberto
Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli intellettuali italiani
che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo Cesare Cases e Renato
Solmi.
Claude Eatherly, ufficiale dell'aviazione militare statunitense, il 6 agosto
del 1945 prese parte al bombardamento atomico di Hiroshima. Sconvolto dal
crimine cui aveva partecipato, afflitto da un senso di colpa insostenibile,
considerato pazzo, conobbe il carcere e il manicomio. Si impegno' nella
denuncia dell'orrore della guerra atomica e nel movimento pacifista e
antinucleare. La corrispondenza che ebbe con Guenther Anders tra il 1959 e
il 1961 e' raccolta nel libro Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza
al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992.
Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha
introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del
pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di
generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che
attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte
della propria strumentazione intellettuale; e' impegnato nel Movimento
Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta. Dal risvolto di copertina
del recente volume in cui sono raccolti taluni dei frutti mggiori del suo
magistero riprendiamo la seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha
studiato a Milano, dove si e' laureato in storia greca con una tesi su
Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso un anno a Napoli presso l'Istituto
italiano per gli studi storici di Benedetto Croce, ha lavorato dal 1951 al
1963 nella redazione della casa editrice Einaudi. A meta' degli anni '50 ha
passato un periodo di studio a Francoforte per seguire i corsi e
l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e tradotto
in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa
trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato
da tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della
militanza attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e
nazionali. Ha collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il
pensiero critico", "Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino",
"Notiziario Einaudi", "Nuovi Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni
rossi", "Quaderni piacentini", "Il manifesto", "L'Indice dei libri del mese"
e altri). Fra le sue traduzioni - oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht
(L'abici' della guerra, Einaudi, Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo
dell'artista" nella letteratura tedesca, ivi, 1985), che sono in realta'
edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy Lukacs, Il significato
attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane Hegel e i problemi
della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders, Essere o non
essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max Horkheimer e Th.
W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980); Seymour Melman,
Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti (ivi, 1976);
Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918
(Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo
particolarmente la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria.
Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007]

Al signor Claude R. Eatherly
ex maggiore della A. F.
Veterans' Administration Hospital
Waco, Texas
3 giugno 1959
Caro signor Eatherly,
Lei non conosce chi scrive queste righe. Mentre Lei e' noto a noi, ai miei
amici e a me. Il modo in cui Lei verra' (o non verra') a capo della Sua
sventura, e' seguito da tutti noi (che si viva a New York, a Tokio o a
Vienna) col cuore in sospeso. E non per curiosita', o perche' il Suo caso ci
interessi dal punto di vista medico o psicologico. Non siamo medici ne'
psicologi. Ma perche' ci sforziamo, con ansia e sollecitudine, di venire a
capo dei problemi morali che, oggi, si pongono di fronte a tutti noi. La
tecnicizzazione dell'esistenza: il fatto che, indirettamente e senza
saperlo, come le rotelle di una macchina, possiamo essere inseriti in azioni
di cui non prevediamo gli effetti, e che, se ne prevedessimo gli effetti,
non potremmo approvare - questo fatto ha trasformato la situazione morale di
tutti noi. La tecnica ha fatto si' che si possa diventare "incolpevolmente
colpevoli", in un modo che era ancora ignoto al mondo tecnicamente meno
avanzato dei nostri padri.
Lei capisce il suo rapporto con tutto questo: poiche' Lei e' uno dei primi
che si e' invischiato in questa colpa di nuovo tipo, una colpa in cui
potrebbe incorrere - oggi o domani - ciascuno di noi. A Lei e' capitato cio'
che potrebbe capitare domani a noi tutti. E' per questo che Lei ha per noi
la funzione di un esempio tipico: la funzione di un precursore.
Probabilmente tutto questo non Le piace. Vuole stare tranquillo, your life
is your business. Possiamo assicurarLe che l'indiscrezione piace cosi' poco
a noi come a Lei, e La preghiamo di scusarci. Ma in questo caso, per la
ragione che ho appena detto, l'indiscrezione e' - purtroppo - inevitabile,
anzi doverosa. La Sua vita e' diventata anche il nostro business. Poiche' il
caso (o comunque vogliamo chiamare il fatto innegabile) ha voluto fare di
Lei, il privato cittadino Claude Eatherly, un simbolo del futuro, Lei non ha
piu' diritto di protestare per la nostra indiscrezione. Che proprio Lei, e
non un altro dei due o tre miliardi di Suoi contemporanei, sia stato
condannato a questa funzione di simbolo, non e' colpa Sua, ed e' certamente
spaventoso. Ma cosi' e', ormai.
E tuttavia non creda di essere il solo condannato in questo modo. Poiche'
tutti noi dobbiamo vivere in quest'epoca, in cui potremmo incorrere in una
colpa del genere: e come Lei non ha scelto la sua triste funzione, cosi'
anche noi non abbiamo scelto quest'epoca infausta. In questo senso siamo
quindi, come direste voi americani, "on the same boat", nella stessa barca,
anzi siamo i figli di una stessa famiglia. E questa comunita', questa
parentela, determina il nostro rapporto verso di Lei. Se ci occupiamo delle
Sue sofferenze, lo facciamo come fratelli, come se Lei fosse un fratello a
cui e' capitata la disgrazia di fare realmente cio' che ciascuno di noi
potrebbe essere costretto a fare domani; come fratelli che sperano di poter
evitare quella sciagura, come Lei oggi spera, tremendamente invano, di
averla potuta evitare allora.
Ma allora cio' non era possibile: il meccanismo dei comandi funziono'
perfettamente, e Lei era ancora giovane e senza discernimento. Dunque lo ha
fatto. Ma poiche' lo ha fatto, noi possiamo apprendere da Lei, e solo da
Lei, che sarebbe di noi se fossimo stati al Suo posto, che sarebbe di noi se
fossimo al Suo posto. Vede che Lei ci e' estremamente prezioso, anzi
indispensabile. Lei e', in qualche modo, il nostro maestro.
Naturalmente Lei rifiutera' questo titolo. "Tutt'altro, dira', poiche' io
non riesco a venire a capo del mio stato".
*
Si stupira', ma e' proprio questo "non" a far pencolare (per noi) la
bilancia. Ad essere, anzi, perfino consolante. Capisco che questa
affermazione deve suonare, sulle prime, assurda. Percio' qualche parola di
spiegazione.
Non dico "consolante per Lei". Non ho nessuna intenzione di volerLa
consolare. Chi vuol consolare dice, infatti, sempre: "La cosa non e' poi
cosi grave"; cerca, insomma, di impicciolire l'accaduto (dolore o colpa) o
di farlo sparire con le parole. E' proprio quello che cercano di fare, per
esempio, i Suoi medici. Non e' difficile scoprire perche' agiscano cosi'. In
fin dei conti sono impiegati di un ospedale militare, cui non si addice la
condanna morale di un'azione bellica unanimemente approvata, anzi lodata; a
cui, anzi, non deve neppure venire in mente la possibilita' di questa
condanna; e che percio' devono difendere in ogni caso l'irreprensibilita' di
un'azione che Lei sente, a ragione, come una colpa. Ecco perche' i Suoi
medici affermano: "Hiroshima in itself is not enough to explain your
behaviour", cio' che in un linguaggio meno lambiccato significa: "Hiroshima
e' meno terribile di quanto sembra"; ecco perche' si limitano a criticare,
invece dell'azione stessa (o "dello stato del mondo" che l'ha resa
possibile), la Sua reazione ad essa; ecco perche' devono chiamare il Suo
dolore e la Sua attesa di un castigo una "malattia" ("classical guilt
complex"); ed ecco perche' devono considerare e trattare la Sua azione come
un "self-imagined wrong", un delitto inventato da Lei. C'e' da stupirsi che
uomini costretti dal loro conformismo e dalla loro schiavitu' morale a
sostenere l'irreprensibilita' della Sua azione, e a considerare quindi
patologico il Suo stato di coscienza, che uomini che muovono da premesse
cosi' bugiarde ottengano dalle loro cure risultati cosi' poco brillanti?
Posso immaginare (e La prego di correggermi se sbaglio) con quanta
incredulita' e diffidenza, con quanta repulsione Lei consideri quegli
uomini, che prendono sul serio solo la Sua reazione, e non la Sua azione.
Hiroshima-self-imagined!
Non c'e' dubbio: Lei la sa piu' lunga di loro. Non e' senza ragione che le
grida dei feriti assordano i Suoi giorni, che le ombre dei morti affollano i
Suoi sogni. Lei sa che l'accaduto e' accaduto veramente, e, non e'
un'immaginazione. Lei non si lascia illudere da costoro. E nemmeno noi ci
lasciamo illudere. Nemmeno noi sappiamo che farci di queste "consolazioni".
No, io dicevo per noi. Per noi il fatto che Lei non riesce a "venire a capo"
dell'accaduto, e' consolante. E questo perche' ci mostra che Lei cerca di
far fronte, a posteriori, all'effetto (che allora non poteva concepire)
della Sua azione; e perche' questo tentativo, anche se dovesse fallire,
prova che Lei ha potuto tener viva la Sua coscienza, anche dopo essere stato
inserito come una rotella in un meccanismo tecnico e adoperato in esso con
successo. E serbando viva la Sua coscienza ha mostrato che questo e'
possibile, e che dev'essere possibile anche per noi. E sapere questo (e noi
lo sappiamo grazie a Lei) e', per noi, consolante.
"Anche se dovesse fallire", ho detto. Ma il Suo tentativo deve
necessariamente fallire. E precisamente per questo.
Gia' quando si e' fatto torto a una persona singola (e non parlo di
uccidere), anche se l'azione si lascia abbracciare in tutti i suoi effetti,
e' tutt'altro che semplice "venirne a capo". Ma qui si tratta di ben altro.
Lei ha la sventura di aver lasciato dietro di se' duecentomila morti. E come
sarebbe possibile realizzare un dolore che abbracci 200.000 vite umane? Come
sarebbe possibile pentirsi di 200.000 vittime?
Non solo Lei non lo puo', non solo noi non lo possiamo: non e' possibile per
nessuno. Per quanti sforzi disperati si facciano, dolore e pentimento
restano inadeguati. L'inutilita' dei Suoi sforzi non e' quindi colpa Sua,
Eatherly: ma e' una conseguenza di cio' che ho definito prima come la
novita' decisiva della nostra situazione: del fatto, cioe', che siamo in
grado di produrre piu' di quanto siamo in grado di immaginare; e che gli
effetti provocati dagli attrezzi che costruiamo sono cosi' enormi che non
siamo piu' attrezzati per concepirli. Al di la', cioe', di cio' che possiamo
dominare interiormente, e di cui possiamo "venire a capo". Non si faccia
rimproveri per il fallimento del Suo tentativo di pentirsi. Ci mancherebbe
altro! Il pentimento non puo' riuscire. Ma il fallimento stesso dei Suoi
sforzi e' la Sua esperienza e passione di ogni giorno; poiche' al di fuori
di questa esperienza non c'e' nulla che possa sostituire il pentimento, e
che possa impedirci di commettere di nuovo azioni cosi tremende. Che, di
fronte a questo fallimento, la Sua reazione sia caotica e disordinata, e'
quindi perfettamente naturale. Anzi, oserei dire che e' un segno della Sua
salute morale. Poiche' la Sua reazione attesta la vitalita' della Sua
coscienza.
*
Il metodo usuale per venire a capo di cose troppo grandi e' una semplice
manovra di occultamento: si continua a vivere come se niente fosse; si
cancella l'accaduto dalla lavagna della vita, si fa come se la colpa troppo
grave non fosse nemmeno una colpa. Vale a dire che, per venirne a capo, si
rinuncia affatto a venirne a capo. Come fa il Suo compagno e compatriota Joe
Stiborik, ex radarista sull'Enola Gay, che Le presentano volentieri ad
esempio perche' continua a vivere magnificamente e ha dichiarato, con la
miglior cera di questo mondo, che "e' stata solo una bomba un po' piu'
grossa delle altre". E questo metodo e' esemplificato, meglio ancora, dal
presidente che ha dato il "via" a Lei come Lei lo ha dato al pilota
dell'apparecchio bombardiere; e che quindi, a ben vedere, si trova nella Sua
stessa situazione, se non in una situazione ancora peggiore. Ma egli ha
omesso di fare cio' che Lei ha fatto. Tant'e' che alcuni anni fa,
rovesciando ingenuamente ogni morale (non so se sia venuto a saperlo), ha
dichiarato, in un'intervista destinata al pubblico, di non sentire i minimi
"pangs of conscience", che sarebbe una prova lampante della sua innocenza; e
quando poco fa, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno, ha
tirato le somme della sua vita, ha citato, come sola mancanza degna di
rimorso, il fatto di essersi sposato dopo i trenta. Mi pare difficile che
Lei possa invidiare questo "clean sheet". Ma sono certo che non accetterebbe
mai, da un criminale comune, come una prova d'innocenza, la dichiarazione di
non provare il minimo rimorso. Non e' un personaggio ridicolo, un uomo che
fugge cosi' davanti a se stesso? Lei non ha agito cosi', Eatherly; Lei non
e' un personaggio ridicolo. Lei fa, pur senza riuscirci, quanto e'
umanamente possibile: cerca di continuare a vivere come la stessa persona
che ha compiuto l'azione. Ed e' questo che ci consola. Anche se Lei, proprio
perche' e' rimasto identico con la Sua azione, si e' trasformato in seguito
ad essa.
Capisce che alludo alle Sue violazioni di domicilio, falsi e non so quali
altri reati che ha commesso. E al fatto che e' o passa per demoralizzato e
depresso. Non pensi che io sia un anarchico e favorevole ai falsi e alle
rapine, o che dia scarso peso a queste cose. Ma nel Suo caso questi reati
non sono affatto "comuni": sono gesti di disperazione. Poiche' essere
colpevole come Lei lo e' ed essere esaltati, proprio per la propria colpa,
come "eroi sorridenti", dev'essere una condizione intollerabile per un uomo
onesto; per porre termine alla quale si puo' anche commettere qualche
scorrettezza. Poiche' l'enormita' che pesava e pesa su di Lei non era
capita, non poteva essere capita e non poteva essere fatta capire nel mondo
a cui Lei appartiene, Lei doveva cercare di parlare ed agire nel linguaggio
intelligibile costi', nel piccolo linguaggio della petty o della big larceny
nei termini della societa' stessa. Cosi' Lei ha cercato di provare la Sua
colpa con atti che fossero riconosciuti come reati. Ma anche questo non Le
e' riuscito.
E' sempre condannato a passare per malato, anziche' per colpevole. E proprio
per questo, perche' - per cosi' dire - non Le si concede la Sua colpa Lei e'
e rimane un uomo infelice.
*
E ora, per finire, un suggerimento.
L'anno scorso ho visitato Hiroshima; e ho parlato con quelli che sono
rimasti vivi dopo il Suo passaggio. Si rassicuri: non c'e' nessuno di quegli
uomini che voglia perseguitare una vite nell'ingranaggio di una macchina
militare (cio' che Lei era, quando, a ventisei anni, esegui' la Sua
"missione"); non c'e' nessuno che La odi.
Ma ora Lei ha mostrato che, anche dopo essere stato adoperato come una vite,
e' rimasto, a differenza degli altri, un uomo; o di esserlo ridiventato. Ed
ecco la mia proposta, su cui Lei avra' modo di riflettere.
Il prossimo 6 agosto la popolazione di Hiroshima celebrera', come tutti gli
anni, il giorno in cui "e' avvenuto". A quegli uomini Lei potrebbe inviare
un messaggio, che dovrebbe giungere per il giorno della celebrazione. Se Lei
dicesse da uomo a quegli uomini: "Allora non sapevo quel che facevo; ma ora
lo so. E so che una cosa simile non dovra' piu' accadere; e che nessuno puo'
chiedere a un altro di compierla"; e: "La vostra lotta contro il ripetersi
di un'azione simile e' anche la mia lotta, e il vostro 'no more Hiroshima'
e' anche il mio 'no more Hiroshima`, o qualcosa di simile puo' essere certo
che con questo messaggio farebbe una gioia immensa ai sopravvissuti di
Hiroshima e che sarebbe considerato da quegli uomini come un amico, come uno
di loro. E che cio' accadrebbe a ragione, poiche' anche Lei, Eatherly, e'
una vittima di Hiroshima. E cio' sarebbe forse anche per Lei, se non una
consolazione, almeno una gioia.
Col sentimento che provo per ognuna di quelle vittime, La saluto
Guenther Anders

3. DOCUMENTI. LA PRIMA LETTERA DI CLAUDE EATHERLY A GUENTHER ANDERS
[Riproponiamo il testo della prima lettera di Claude Eatherly a Guenther
Anders, del 12 giugno 1959, riprendendola dalla corrispondenza tra Guenther
Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al
bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992 (ivi alle pp.
34-36), nella classica traduzione di Renato Solmi]

12 giugno 1959
Dear Sir,
molte grazie della Sua lettera, che ho ricevuto venerdi' della scorsa
settimana.
Dopo aver letto piu' volte la Sua lettera, ho deciso di scriverLe, e di
entrare eventualmente in corrispondenza con Lei, per discutere di quelle
cose che entrambi, credo, comprendiamo. Io ricevo molte lettere, ma alla
maggior parte non posso nemmeno rispondere. Mentre di fronte alla Sua
lettera mi sono sentito costretto a rispondere e a farLe conoscere il mio
atteggiamento verso le cose del mondo attuale.
Durante tutto il corso della mia vita sono sempre stato vivamente
interessato al problema del modo di agire e di comportarsi. Pur non essendo,
spero, un fanatico in nessun senso, ne' dal punto di vista religioso ne' da
quello politico, sono tuttavia convinto, da qualche tempo, che la crisi in
cui siamo tutti implicati esige un riesame approfondito di tutto il nostro
schema di valori e di obbligazioni. In passato, ci sono state epoche in cui
era possibile cavarsela senza porsi troppi problemi sulle proprie abitudini
di pensiero e di condotta. Ma oggi e' relativamente chiaro che la nostra
epoca non e' di quelle. Credo, anzi, che ci avviciniamo rapidamente a una
situazione in cui saremo costretti a riesaminare la nostra disposizione a
lasciare la responsabilita' dei nostri pensieri e delle nostre azioni a
istituzioni sociali (come partiti politici, sindacati, chiesa o stato).
Nessuna di queste istituzioni e' oggi in grado di impartire consigli morali
infallibili, e percio' bisogna mettere in discussione la loro pretesa di
impartirli. L'esperienza che ho fatto personalmente deve essere studiata da
questo punto di vista, se il suo vero significato deve diventare
comprensibile a tutti e dovunque, e non solo a me.
Se Lei ha l'impressione che questo concetto sia importante e piu' o meno
conforme al Suo stesso pensiero, Le proporrei di cercare insieme di chiarire
questo nesso di problemi, in un carteggio che potrebbe anche durare a lungo.
Ho l'impressione che Lei mi capisca come nessun altro, salvo forse il mio
medico e amico.
Le mie azioni antisociali sono state catastrofiche per la mia vita privata,
ma credo che, sforzandomi, riusciro' a mettere in luce i miei veri motivi,
le mie convinzioni e la mia filosofia.
Guenther, mi fa piacere di scriverLe. Forse potremo stabilire, col nostro
carteggio, un'amicizia fondata sulla fiducia e sulla comprensione. Non abbia
scrupoli a scrivere sui problemi di situazione e di condotta in cui ci
troviamo di fronte. E allora Le esporro' le mie opinioni.
RingraziandoLa ancora della Sua lettera, resto il Suo
Claude Eatherly

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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