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Coi piedi per terra. 191
- Subject: Coi piedi per terra. 191
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 20 May 2009 09:55:26 +0200
- Importance: Normal
=================== COI PIEDI PER TERRA =================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 191 del 20 maggio 2009 In questo numero: 1. Il vizietto del pinocchietto 2. E' nato un Comitato spontaneo di agricoltori viterbesi contro il mega-aeroporto 3. La prestigiosa associazione dei "Medici per l'ambiente" chiede al Parlamento europeo un impegno per la riduzione del trasporto aereo 4. Una lettera al presidente di Federterme 5. Alcuni estratti da "L'anno I dell'era ecologica" di Edgar Morin 6. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo 1. EDITORIALE. IL VIZIETTO DEL PINOCCHIETTO La lobby del mega-aeroporto ha il vizietto di mentire, tutta Viterbo lo sa. Ed e' un vizietto cosi' radicato e quasi consustanziale che talora i suoi esponenti danno l'impressione di finire per credere loro stessi alle loro bugie, anche quando esse sono cosi' sesquipedali e grottesche che chiunque le riconosce come tali. * Ad esempio diversi mesi fa spacciarono l'idiozia che importanti ordini professionali fossero d'accordo con le mene della loro lobby di speculatori e devastatori: e si ebbero un sonoro ceffone di smentita da parte del Presidente dell'Ordine dei Medici. * Ad esempio da diversi mesi vanno spacciando l'idiozia che un mega-aeroporto nocivo e distruttivo come quello che vorrebbero realizzare devastando irreversibilmente l'area termale del Bulicame sarebbe "ad impatto zero": e ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. * Trascegliendo fior da fiore, tra le ultime trovate dei pinocchi con le ali c'e' adesso il proclama propagandistico del solito ineffabile Tajani secondo cui l'Unione Europea "puo' finanziare il 50% della progettazione" del mega-aeroporto a Viterbo. Che e' innanzitutto una strepitosa confessione che ancora non esiste neppure un vero progetto di un'opera cosi' nociva e distruttiva; e non esiste perche' non appena si iniziassero le prime serie verifiche in situ si scoprirebbe subito quello che tutti gia' sanno: cioe' che nell'area archeologica e termale del Bulicame un mega-aeroporto non si puo' realizzare perche' e' del tutto illegale, perche' distruggerebbe preziosi beni protetti dalla legge, perche' costituirebbe un attentato alla salute e ai diritti della popolazione, perche' violerebbe i vigenti strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica e i relativi vincoli di salvaguardia, perche' lo stesso Ministero dei Trasporti ha elencato in una sua recente relazione ben 31 fattori che impediscono di fatto e di diritto la realizzazione della dissennata opera fuorilegge. Cosicche' ogni finanziamento pubblico a un'opera del tutto illegale sarebbe evidentemente uno sperpero, un furto, un crimine, un reato previsto e punito dal codice penale. * Ma i pinocchietti volanti nella loro dereistica tracotanza a forza di pensare di poter menare per il naso tutte le altre persone finiscono per menare per il naso anche (e ben presto soltanto) loro stessi. 2. INIZIATIVE. E' NATO UN COMITATO SPONTANEO DI AGRICOLTORI VITERBESI CONTRO IL MEGA-AEROPORTO [Riportiamo il seguente comunicato gia' apparso nelle "Notizie minime della nonviolenza"] Riceviamo e diffondiamo il seguente comunicato del recentemente costituitosi "Comitato spontaneo agricoltori viterbesi" che si impegna contro la realizzazione a Viterbo di un nocivo e distruttivo, insensato ed illegale mega-aeroporto. * "Si e' costituito un Comitato di agricoltori, preoccupati per il fatto che l'amministrazione comunale di Viterbo sta progettando la realizzazione di un grande aeroporto, con un traffico di centinaia di voli al giorno. La qualita' della vita dei viterbesi peggiorera' a causa dell'inquinamento, del rumore e delle conseguenti malattie. Si verrebbe a creare una grande viabilita' che taglierebbe le campagne, sfregiando le aziende produttive. Denunciamo, pertanto, le speculazioni e lo sperpero di denaro pubblico che deriverebbero dalla realizzazione dell'aeroporto. Comitato spontaneo agricoltori viterbesi" * Esprimiamo la nostra solidarieta' ed il nostro apprezzamento alle persone che hanno costituito questo nuovo comitato che si oppone al mega-aeroporto devastante ed avvelenatore. Come e' evidente da molti mesi, sempre piu' viterbesi si oppongono a un'opera speculativa e fuorilegge che provochera' danni enormi all'ambiente e alle risorse del territorio, alla salute dei cittadini, all'economia locale. 3. INIZIATIVE. LA PRESTIGIOSA ASSOCIAZIONE DEI "MEDICI PER L'AMBIENTE" CHIEDE AL PARLAMENTO EUROPEO UN IMPEGNO PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO In un ampio documento che reca criteri e proposte su "Ambiente e salute per l'Europa dei diritti umani" (documento che abbiamo integralmente riprodotto nel precedente numero di "Coi piedi per terra") la prestigiosa associazione dei "Medici per l'ambiente" (articolazione italiana dell'International Society of Doctors for the Environment) propone un impegno del Parlamento europeo per la riduzione del trasporto aereo e una moratoria che fermi sia la costruzione di nuovi aeroporti che l'ampliamento di quelli gia' esistenti. Riportiamo di seguito i due paragrafi del documento relativi al tema. "Aria La qualita' dell'aria e' un determinante fondamentale della salute. A maggiori livelli d'inquinamento atmosferico sono correlati incrementi evidenti delle malattie respiratorie e cardiovascolari. L'Isde chiede al Parlamento europeo di sostenere e rafforzare tutti gli interventi in grado di ridurre drasticamente la produzione e immissione in ambiente di anidride carbonica e altri gas serra e di sostanze nocive e tossiche, con particolare riferimento al particolato fine e ultrafine, agli idrocarburi policromatici, ai metalli pesanti, al benzene, alle molecole diossino-simili: tutti agenti potenzialmente mutageni e/o epimutageni e quindi cancerogeni e teratogeni. L'Isde chiede di estendere e potenziare in tutto il territorio europeo le reti di monitoraggio della qualita' dell'aria, con utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, in particolare nelle aree e nei distretti con presenza di rilevanti fonti d'inquinamento: aree industriali, grandi poli di produzione energetica, citta' con elevato traffico veicolare, aree aeroportuali. L'Isde chiede anche di rivedere e rendere piu' efficaci le iniziative fiscali per limitare l'utilizzo dei combustibili fossili, che rappresentano da quasi due secoli la principale fonte delle emissioni inquinanti e climalteranti. * Mobilita' Una migliore qualita' dell'aria potra' essere garantita soltanto da una rapida trasformazione dell'intero sistema dei trasporti che permetta una drastica riduzione dell'immissione in atmosfera dei prodotti della combustione di petrolio, gasolio, benzine, gas. L'Isde chiede quindi al Parlamento europeo di incentivare il trasporto su rotaia e le cosiddette autostrade del mare per il trasporto di merci e persone; di prodigarsi per una progressiva riduzione del traffico automobilistico e per la limitazione delle aree urbane destinate al trasporto privato, nelle grandi e piccole citta', che potrebbero cosi' recuperare fascino, bellezza e condizioni di vita piu' salubri; di disincentivare il trasporto commerciale su gomma; di sottoporre a politiche di monitoraggio e riduzione il traffico aereo. Tenuto conto del fatto che il traffico aereo e' attualmente responsabile (secondo le stime piu' accreditate) del 4-10% delle emissioni di anidride carbonica, l'Isde ritiene che sarebbe necessario promuovere politiche di riduzione e intende proporre una moratoria per la costruzione di nuovi aeroporti e l'ampliamento di quelli gia' esistenti (Germania e Francia hanno gia' attuato questo provvedimento, che dovrebbe essere raccomandato agli altri paesi europei e in particolare all'Italia dove al momento si registra la presenza di piu' di cento aeroporti). L'Isde chiede per contro di implementare i collegamenti ferroviari tra le capitali europee e di migliorare le reti ferroviarie locali e nazionali, ma sempre nel rispetto delle peculiarita' dei territori e dei diritti delle popolazioni interessate". Per contattare l'Associazione italiana medici per l'ambiente - Isde (International Society of Doctors for the Environment - Italia): sede nazionale, via della Fioraia 17/19, 52100 Arezzo, tel. 057522256, fax: 057528676, sito: www.isde.it; per contattare la referente di Viterbo: tel. 3383810091, e-mail: isde.viterbo at libero.it 4. DOCUMENTI. UNA LETTERA AL PRESIDENTE DI FEDERTERME Al presidente di Federterme - Federazione italiana delle industrie termali e delle acque minerali curative Oggetto: richiesta di intervento per impedire che l'area termale del Bulicame a Viterbo sia irreversibilmente devastata dalla realizzazione di un mega-aeroporto Egregio presidente di Federterme, le scriviamo per segnalarle che l'area termale del Bulicame a Viterbo, prezioso e peculiare bene naturalistico, terapeutico, economico e sociale, area nella quale insistono altresi' straordinarie presenze archeologiche e storico-culturali (e' l'area ricordata anche da Dante nella Divina commedia), e' minacciata dalla dissennata ed illegale intenzione di una irresponsabile lobby speculativa di realizzare nel suo cuore un distruttivo e nocivo mega-aeroporto che la devastarebbe irreversibilmente. Contro il criminale intento di devastare l'area termale del Bulicame per realizzarvi un mega-aeroporto hanno levato la loro voce illustri scienziati di fama internazionale (tra gli altri, l'americano Paul Connett), personalita' autorevolissime delle istituzioni (tra gli altri il magistrato Ferdinando Imposimato e la vicepresidente del Parlamento europeo Luisa Morgantini), prestigiose figure della cultura come la scrittrice Dacia Maraini, e dell'impegno morale e civile come il missionario padre Alessandro Zanotelli. Moltissimi cittadini viterbesi - ed in primo luogo gli imprenditori agricoli dell'area circostante, e gli abitanti dei quartieri piu' prossimi - sono impegnati per impedire questo scempio ambientale, questo disastro sanitario, questo danno economico, questa scellerata violazione delle leggi vigenti che tutelano il paesaggio, il patrimonio pubblico, i beni comuni, i diritti dei cittadini. Segnalandovi questa situazione, vorremmo pregare anche Federterme di impegnarsi in difesa dell'area termale del Bulicame a Viterbo, minacciata di distruzione dalla sciagurata intenzione di una ristretta ed irresponsabile lobby speculativa che vorrebbe realizzarvi un mega-aeroporto peraltro del tutto fuorilegge. Restando a disposizione per ogni ulteriore informazione, segnalandovi altresi' i molti materiali di documentazione disponibili nel sito www.coipiediperterra.org e restando in attesa di un cortese riscontro, vogliate gradire distinti saluti, dottoressa Antonella Litta, portavoce del Comitato che si oppone alla realizzazione del mega-aeroporto a Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti Viterbo, 19 maggio 2009 5. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "L'ANNO I DELL'ERA ECOLOGICA" DI EDGAR MORIN [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Edgar Morin, L'anno I dell'era ecologica. La Terra dipende dall'uomo che dipende dalla Terra, Armando, Roma 2007] Indice del volume Prefazione all'edizione italiana, di Bianca Spadolini; Introduzione; L'anno I dell'era ecologica (supplemento al "Nouvel Observateur", 1972); Il pensiero ecologizzato ("Le Monde diplomatique", 1989); Il pianeta in pericolo ("Le Nouvel Observateur", ottobre 1990); Energia, ecologia, sociologia. Dalla politica dell'energia alla politica della civilta' (dibattito nazionale "Energie 2003"); Oltre lo sviluppo e la globalizzazione (Firenze, Palazzo Vecchio, 18 novembre 2002); L'imperativo ecologico. Dialogo tra Edgar Morin e Nicolas Hulot (a cura di Nicolas Truong); I tre principi di speranza nella disperazione (gennaio 2007). * Da pagina 7 Prefazione all'edizione italiana, di Bianca Spadolini La raccolta che presento riunisce una serie di articoli e di saggi brevi di Edgar Morin che coprono un arco di anni relativamente lungo - dal 1972 sino a tutt'oggi -, accomunati da uno stesso intento, quello di definire e fortificare la coscienza ecologica. L'estensione nel tempo conferma l'impegno non dell'ultima ora dello scienziato e filosofo francese, una sensibilita' al problema ecologico di lunga durata, connaturata alle ricerche che il biologo, prima che il filosofo e il militante, andava svolgendo. Parallela a questa presa in carico del problema ambientale, matura la prospettiva sistemica di Morin che cerca di ridefinire la metodologica scientifica di fronte ad un mondo profondamente mutato e che non puo' piu' essere compreso e affrontato con la stessa ottica che tradizionalmente e trionfalmente aveva accompagnato la conquista scientifica nel mondo occidentale. Non sorprende, dunque, che la comprensione del problema ecologico nasca non solamente dalla constatazione e dalla tematizzazione dei cambiamenti ambientali e dalla conseguente reazione ai danni, prevedibili e catastrofici, che l'uomo ha causato all'ambiente, ma da un cambio di rotta nella prospettiva con cui l'uomo, in generale, e la scienza, in particolare, si rapporta con la natura. In tal senso, l'a-metodologia di Morin abbandona la gnoseologia classica, che isola l'oggetto dal contesto ambientale per porlo su un piano astratto e sperimentale, per riportalo nel contesto in cui e' stato osservato. Ma una volta che l'oggetto perde la sua oggettivita', il soggetto, inaugurato dalla filosofia cartesiana, perde la certezza e la chiarezza autoreferenziale della sua visione per essere gettato in una paradossalita' da cui deve cercare di uscire mediante una diversa strategia cognitiva. Come narra il matematico George Spencer-Brown, se l'universo volesse prendere coscienza di se stesso, dovrebbe allentare da se' un peduncolo in modo da potersi osservare; ma una volta che tale tentacolo occhiuto si fosse allontanato dal contesto in cui era nato, non ne avrebbe piu' fatto parte e l'osservazione ne sarebbe risultata estranea e falsata dalla lontananza. Come sappiamo, Spencer-Brown, al pari di Morin, non trova una via d'uscita a tale situazione paradossale; non puo' far altro che osservare che l'osservazione, nella sua distinzione dal contesto da cui scaturisce, deve prendere atto dell'impasse che genera e rientrare in se stessa per continuare ad osservare su due livelli, uno interno ed uno esterno all'osservazione stessa. Proprio questo rientro della distinzione in se stessa pone l'osservazione come auto-osservazione e come etero-osservazione. La strategia di Morin si inserisce a questo punto: se abbandoniamo il concetto di oggetto e lo sostituiamo con quello di sistema aperto, colui che osserva perdera' la sua autonomia rispetto all'ambiente da cui si distingue per ritornare a farne parte, ma con la consapevolezza che scaturisce dall'esserne suo osservatore privilegiato. La teoria dei sistemi di Morin, pertanto, potrebbe richiamare alla mente il romanticismo soprattutto nella versione schellingiana; ma la contrapposizione spirito/interiorita' vs natura/esteriorita' non sembra essere l'obiettivo ultimo dell'a-metodologia di Morin: la naturalita' dell'osservatore - pur nella drammatica separazione dell'occhio che non puo' vedere se stesso se non nel mentre che osserva, come direbbe Wittgenstein - e' indiscutibile. Il problema risiede semmai nella capacita' che l'uomo, con la violenza che comporta il suo intervento modificatore rispetto alla natura, sia in grado di regolare se stesso cosi' come la natura sa fare nei suoi rapporti di associazione e di complementarita'. Il mutamento di paradigma prospettato da Morin sta appunto nella coscienza rispetto all'osservazione delle conseguenze letali generate dall'operare umano secondo la logica della hybris industriale, tecnica, scientifica; nella necessita' di prendere atto definitivamente che gli strumenti del progresso e dello sviluppo, se non vengono piegati alle regole neghentropiche ambientali, conducono l'uomo, in quanto parte integrante dell'ambiente da cui pretende di distaccarsi, a perire con esso. * Da pagina 17 L'anno I dell'era ecologica (supplemento a "Le Nouvel Observateur", 1972) La parola "ecologia" rimanda a quanto gia' contenuto nelle parole luogo, ambiente circostante, natura: ma essa aggiunge complessita' alla prima, precisione alla seconda e sottrae alla terza la mistica, anzi l'euforia. Il concetto di luogo, povero in se', rimanda solo a caratteristiche fisiche e a forze meccaniche: il concetto di ambiente circostante, pur restando vago, e' migliore, nel senso che implica un avviluppamento placentare; il concetto di natura ci rimanda a una matrice, una fonte di vita, anch'essa vivente; questa idea e' poeticamente profonda, ma ancora scientificamente debole. Questi tre concetti trascurano il carattere piu' interessante del luogo, dell'ambiente circostante e della natura: il loro carattere auto-organizzato e organizzativo. E' per questo che occorre sostituire un termine piu' ricco e piu' esatto, quello di ecosistema. Che cosa e' un ecosistema? L'ecologia, in quanto scienza naturale, e' giunta a questo concetto che include l'ambiente fisico (biotopo) e l'insieme delle specie viventi (biocenosi) in uno spazio o una determinata "nicchia". Ma l'ecologia attuale non ha potuto ancora trarre da questo concetto tutte le sue possibilita' perche', per comprenderlo davvero, sarebbe necessario concepire una teoria dei sistemi e insieme una teoria dell'auto-organizzazione. Diciamo in modo schematico che l'insieme degli esseri viventi in una "nicchia" costituisce un sistema che si organizza da solo. Esiste una combinazione di rapporti tra le diverse specie: rapporti di associazione (simbiosi, parassitismi) e di complementarieta' (tra colui che mangia e colui che viene mangiato, tra il predatore e la preda), gerarchie che si costituiscono e regolamenti che si stabiliscono. Si crea un sistema di combinazione, con i suoi determinismi, i suoi cicli, le sue probabilita', i suoi rischi. E' questo l'ecosistema, che lo si consideri a livello di una piccola nicchia o dell'intero pianeta. Detto in altri termini, esiste un fenomeno di integrazione naturale tra vegetali, animali, ivi compreso l'uomo, da cui deriva una sorta di essere vivente che e' l'ecosistema. Questo "essere vivente" e' estremamente robusto e, al tempo stesso, estremamente fragile. Estremamente robusto, poiche' si riorganizza quando, per esempio, appare una nuova specie o scompare una specie che aveva un suo posto nella catena delle complementarieta'; cosi' si sono evoluti gli ecosistemi, senza perire, fino a questo secolo, a dispetto dei massacri che compiva l'uomo cacciatore, a dispetto delle strutturazioni che effettuava l'uomo agricoltore, a dispetto delle prime forme di inquinamento che provocava l'uomo urbano. Il carattere auto-riorganizzatore spontaneo e' la forza dell'ecosistema. Ma, al pari di un essere vivente, esso puo' essere ucciso se gli si inietta un veleno chimico a dosi che provocano la morte a catena di specie legate le une alle altre e se si alterano le condizioni elementari della vita - come la riproduzione del plancton marino, per esempio. Gia' si vedono laghi morti, campi privi di vita animale. Qui, occorre comprendere una cosa: il problema piu' grave non e' tanto che l'uomo utilizzi e dilapidi l'energia naturale: di energia ne trovera' da vendere nell'irradiazione solare e nell'atomo. Non lo e' neanche il fatto che egli scarichi nell'ambiente i suoi rifiuti: ogni essere vivente e' escrementizio e "inquina" l'ambiente in cui vive. Ma gli escrementi entrano in un ciclo naturale: biodegradabili, essi sono anche bionutritivi. Il rischio e' nel veleno che degrada senza poter essere a sua volta degradato, riversato in quantita' tali da degradare l'organizzazione complessa degli ecosistemi. Ora, degradare l'ecosistema significa degradare l'uomo, poiche' l'uomo, come ogni animale, si nutre non soltanto di energia ma anche, come ha detto Schroedinger, di neghentropia, vale a dire di ordine e di complessita'. Qui interviene un dato fondamentale che e' stato ignorato dal pensiero occidentale. Cioe' che l'essere vivente, e a fortiori l'uomo, e' un sistema aperto. Un sistema chiuso, per esempio un minerale, non effettua alcuno scambio con l'ambiente esterno; un sistema aperto vive soltanto in virtu' del fatto che e' alimentato dall'esterno, vale a dire, nel caso dell'essere vivente, dall'ecosistema. Ogni sistema aperto vivente (auto-organizzatore) e', evidentemente, relativamente indipendente nell'ecosistema: sviluppa il suo determinismo per rispondere ai rischi esterni e le sue "liberta'" per rispondere al determinismo esterno. Esso ha una sua originalita'. Ma questa indipendenza e' dipendente dall'ecosistema, vale a dire che essa si costruisce moltiplicando i legami con l'ecosistema. Cosi', per esempio, un individuo autonomo del XX secolo costruisce la sua autonomia partendo dal consumo di una grande quantita' di prodotti, di una enorme quantita' di energia (tutti estratti dall'ecosistema) e da un lunghissimo apprendimento scolastico (che altro non e' se non la conoscenza del mondo esterno). Cosi', piu' diventiamo indipendenti, piu' diventiamo dipendenti dal mondo esterno: e' il problema della societa' moderna che crede, invece, di emanciparsi dal mondo esterno dominandolo. Aggiungiamo: piu' un sistema e' evoluto, vale a dire complesso e ricco, piu' e' aperto. L'uomo e' il sistema piu' aperto di tutti, il piu' dipendente nell'indipendenza. Mai la civilta' era dipesa da un numero cosi' vasto di fattori ecosistematici e qui, per ecosistema, non intendo soltanto la natura, ma l'ecosistema tecno-sociale, che si sovrappone al primo e lo rende ancora piu' complesso. Potrei dimostrare che l'ecosistema non e' soltanto nutritivo in materia ed energia: garantisce anche l'organizzazione e l'ordine, nutre l'uomo in neghentropia, e' per ogni essere vivente, ivi compreso l'uomo, coautore, cooperatore, coprogrammatore del proprio sviluppo. E' quindi tutta l'ideologia occidentale a partire da Descartes che poneva l'uomo soggetto in un mondo di oggetti, che occorre ribaltare. E' l'ideologia dell'uomo unita' insulare, monade chiusa nell'universo, contro la quale il romanticismo ha potuto reagire solo poeticamente, contro la quale lo scientismo ha potuto reagire solo meccanicamente facendo anche dell'uomo una cosa. Il capitalismo e il marxismo hanno continuato a esaltare "la vittoria dell'uomo sulla natura" come se distruggere la natura fosse l'impresa piu' straordinaria che si potesse compiere. Questa ideologia dei Cortes e dei Pizarro dell'ecosistema ha portato nei fatti al suicidio; la natura vinta e' l'autodistruzione dell'uomo. La coscienza ecologica e': 1. la coscienza che l'ambiente e' un ecosistema, vale a dire una totalita' vivente auto-organizzatasi (spontanea); 2. la coscienza della dipendenza della nostra indipendenza, vale a dire il rapporto fondamentale con l'ecosistema, che ci porta a rifiutare la nostra visione del mondo oggetto e dell'uomo insulare. Del resto, e' il solo modo di comprendere le verita' delle filosofie non occidentali - asiatiche e africane -, di riconciliarci con esse e di giungere a una visione universale del mondo. L'uomo deve considerarsi come il pastore delle nucleoproteine - gli esseri viventi - e non come il Gengis Khan del sistema solare. Infine, su un piano pratico immediato, l'uomo deve riconsiderare tutto il problema dello sviluppo industriale. In un breve lasso di tempo, alcuni spiriti sono passati dall'idolatria della crescita, panacea e parametro assoluto, al suo totale rifiuto come flagello apocalittico. A mio avviso, la vera presa di coscienza ecologica e' che: la crescita industriale non e' ambito chiuso all'interno del quale devono collocarsi tutti i nostri dibattiti e i nostri problemi politici e sociali; bisogna considerare questa crescita come un feed-back positivo (vale a dire l'aumento di una deviazione riguardo l'ecosistema), come un enorme aumento di entropia (vale a dire di disordine nell'ambiente, di forze di disintegrazione nell'ecosistema) e come una tendenza esponenziale che tende verso l'infinito (vale a dire verso zero, verso la distruzione), come farebbe una spinta demografica non controllata. In realta', la crescita industriale e' ancora meno controllata dell'espansione demografica. Anche in quel caso, si tratta di ribaltare la visione. La risposta non starebbe dunque in una nuova soluzione miracolo, la crescita zero, la condizione stazionaria, ma nella crescita controllata. Ora, tutto cio' pone un problema enorme, che e' quello della politica su scala planetaria, poiche' e' evidente che il controllo della crescita deve venire dai bisogni planetari e non soltanto da quelli delle nazioni industrializzate. Si pongono allora inevitabilmente degli interrogativi: Quale controllo? Chi controllera'? E se si pone la questione dello sviluppo economico in questi termini, occorre anche porre la questione dello sviluppo dell'uomo, vale a dire di una mutazione dell'intera organizzazione sociale. Il capitalismo e' incapace di risolvere il problema del controllo della crescita e, piu' in generale, il problema ecologico? Questo dipende dal livello al quale si pone il problema ecologico. Se si considera esclusivamente il suo aspetto tecnologico ed economico, allora e' possibile - io dico soltanto ma chiaramente possibile - che il capitalismo sia in grado, grazie a uno sforzo tecnologico, di risolvere i problemi di inquinamento: costruire motori d'auto puliti, eventualmente senza benzina, ridurre i numerosi inquinamenti chimici in questo o quel settore dell'industria o dell'agricoltura, ecc. Cio' gli imporra' dei limiti, ma esso puo' superarli attraverso un aumento di concentrazione e di organizzazioni, soggetto e al tempo stesso stimolato dai controlli dello Stato. In questo senso, l'ecologia puo' dargli una nuova sferzata, come hanno fatto spesso le crisi economiche, letali nel loro principio, ma talvolta stimolanti nei loro effetti. D'altra parte, potra' svilupparsi un capitalismo ecologico che fabbrichi e venda il non-inquinante, il sano, il rigenerante. Che cosa dico? Tutto questo e' gia' cominciato, e non soltanto in modo mitologico (come la pubblicita' dei dentifrici, delle bevande gasate e persino di veleni come il tabacco che ci promettono l'alito fresco), esiste gia' un capitalismo alimentare, turistico, vacanziero e immobiliare, che vende la natura, il sole, l'acqua pura, la salute, ecc. A livello fondamentale o radicale, tuttavia, il problema ecologico ci obbliga a prendere in considerazione la ristrutturazione della vita e della societa' umana. In questo senso, all'ecologismo di "destra", che e' prima di tutto tecnologico, si oppone un ecologismo di "sinistra". Le idee di socialismo sono state i miti annunciatori di questa aspirazione; la parola rivoluzione ha espresso la profondita' della ristrutturazione necessaria; ma le formule cosiddette socialiste o rivoluzionarie attuali sono a mio avviso le caricature, le deviazioni e gli schemi rudimentali della straordinaria mutazione necessaria. La mia convinzione e' che la societa' non esista ancora. Da mille anni, essa cerca a tentoni una formula, senza pero' averla mai trovata. Per esprimere il mio sentimento, mi serviro' dell'analisi prebiotica. Prima e perche' nascesse la prima cellula vivente, questa meraviglia di organizzazione che e' la base di tutti gli organismi che si sono sviluppati a partire da allora, c'e' voluto un miliardo di anni di reazioni chimiche, di assemblaggi di macromolecole, fino alla comparsa, per caso o per necessita' se ne discute ancora, del primo sistema metabolico autoriproduttore possibile. A mio avviso, la storia umana, attraverso il rumore e il furore, i tentativi e gli errori, e' una storia pre-societaria. Per arrivare a un'altra storia, sono necessarie sia la manifestazione di movimenti profondi, quasi inconsci, sia la presa di coscienza elementare di verita' prime e di pericoli mortali. Esiste una critica dell'economia politica da parte dell'ecomovimento. Ora, non si tratta di sostituire, ma di integrare e di superare - ivi compreso l'ecologismo che, isolato e oggetto di ipostasi, diventerebbe una parola feticcio e un mito dello stesso stampo di quelli che l'hanno preceduto. Occorre, a mio avviso, costruire una metateoria e una nuova pratica. Ma, per questo, manca ancora l'essenziale: una scienza dell'uomo che sappia integrare l'uomo nella realta' biologica, determinando i suoi caratteri originari. Senza lo sviluppo di questa scienza, saremmo impotenti come la borghesia sarebbe stata impotente senza lo sviluppo delle tecnologie, come il socialismo in quanto movimento ascendente sarebbe stato impotente senza le teorie sociologiche di Saint-Simon, di Fourier, Proudhon, Bakunin e Marx. Abbiamo bisogno di una teoria dei sistemi auto-organizzatori e degli ecosistemi, vale a dire che occorrre sviluppare una bio-antropologia, una sociologia fondamentale e una ecologia generalizzata. Per questo, non c'e' bisogno di affidarsi allo sviluppo delle scienze; quest'ultimo si verifica in modo quantitativo, con mezzi enormi, ma con un enorme disordine, dovuto alla burocratizzazione, alla tecnocratizzazione, alla iperspecializzazione della ricerca scientifica. Le grandi scoperte, le teorie d'avanguardia nascono nelle brecce del sistema, come la scoperta del codice genetico da parte di Watson e Crick, e persino, per citare un esempio preso nell'ambito delle discipline classiche, la decifrazione della "lineare B" di cui parla in modo cosi' esaustivo Vidal-Naquet nella prefazione al libro di John Chadwick. La scienza progredisce oggi in modo statistico, per il numero delle ricerche, e non in modo logico. Jacob Bronowski osserva a buon diritto che il concetto di scienza sul quale viviamo attualmente non e' assoluto ne' eterno. E' il concetto di scienza che deve passare a un livello di complessita', di ricchezza, di lucidita' piu' elevato. A mio avviso, la nuova ecologia generalizzata, scienza delle interdipendenze, delle interazioni, delle interferenze tra sistemi eterogenei, scienza al di la' delle discipline isolate, scienza realmente transdisciplinare, deve contribuire a questo superamento. * Da pagina 102 [2007] - Edgar Morin: Giovanissimo, sono stato sensibile alle Reveries du promeneur solitaire di Jean-Jacques Rousseau. Amavo il mare, la montagna e per lungo tempo non riuscivo a scrivere se non davanti a una finestra aperta sui paesaggi toscani. Ho un bisogno di natura ancorato al profondo del mio essere. Ma e' in California, nel 1969-'70, che alcuni amici scienziati dell'universita' di Berkeley hanno destato in me la coscienza ecologica. Li' ho trovato in particolare un articolo di Paul R. Ehrlich sulla morte dell'oceano che ha avuto su di me una forte influenza. Con le opere di Bateson e di von Foerster, nasceva in me un pensiero ecologizzato. Nel 1972, esce il rapporto Meadows (intitolato in francese Halte a' la croissance? [Stop alla crescita?] commissionato dal Club di Roma e "Le Nouvel Observateur" organizza un dibattito per il quale io intitolo il mio intervento "L'anno I dell'era ecologica", convinto che dovesse aprirsi una eta' nuova di fronte alla devastazione della biosfera. Ma questo segnale di allarme che alcuni di noi, tra cui Andre' Gorz, avevano lanciato non e' stato ascoltato, perche' nessun indicatore tangibile sembrava confermarlo. Piu' tardi, dal prosciugamento del Mare d'Aral all'inquinamento del lago Baikal, dalle piogge acide alla catastrofe di Cernobyl, dalla contaminazione delle falde freatiche al buco dell'ozono nell'Antartico, il movimento ecologico ha spiccato il volo e una prima coscienza del deterioramento della biosfera ha stimolato importanti conferenze internazionali, come quella di Stoccolma (1972), di Rio (1992), di Kyoto (1997), che sfortunatamente non hanno saputo creare delle vere e proprie istanze coercitive. Il tasto dolente di questa serie di devastazioni e' senza dubbio il riscaldamento climatico, verosimilmente legato alle nostre attivita' tecno-economiche, come lo testimoniano tanto l'uragano Katrina a New Orleans quanto l'autunno estremamente clemente che abbiamo appena vissuto in Europa. C'e' voluto del tempo perche' questa coscienza locale e globale progredisse. E Nicolas Hulot e la sua fondazione hanno saputo catalizzare e incarnare in Francia questo momento storico e critico. - Nicolas Hulot: Ecologisti non si nasce, si diventa. E io lo sono diventato gradualmente. Ma si puo' benissimo avere un'anima naturalista ed essere il peggiore degli ecologisti. Innegabilmente, una sensibilita' verso la natura piu' inasprita predispone, favorisce la presa di coscienza. Proprio come i miei genitori, ho sempre constatato che la vicinanza con la natura mi giovasse piu' che starne lontano. Ricordo il piacere indescrivibile di vedere mio padre illuminarsi mentre faceva gli innesti di rose in un minuscolo fazzoletto di terra. Ho scoperto di recente che la natura produce una quantita' inimmaginabile di linguaggi chimici, che essa comunica con i ferormoni e numerosi altri modi di trasmissione di messaggi. Tendo a pensare che ho un discreto numero di recettori e che le vibrazioni della natura mi parlano intensamente. Lo spettacolo di un oceano, il fruscio delle foglie, il salto di una gazzella o la visione furtiva delle corna ramificate di un cervo tra due querce nella foresta di Rambouillet destano in me una profonda meraviglia. Sono cose che si constatano, ma che non si possono descrivere. Nel mio cammino iniziatico, ho vissuto choc visivi ed emozionali di grande intensita'. Giovane fotografo, mi sono trovato a misurare a grandi passi aree geografiche sublimi, come il Limpopo e lo Zambesi. L'Africa e' stata indiscutibilmente la terra dei miei grandi choc umani, naturali ed esistenziali, il continente del risveglio. Tuttavia, ho creduto a lungo che la natura fosse soggetta a imposizioni, che noi vivessimo in un mondo infinito, che l'impatto dell'uomo fosse irrisorio di fronte a questa immensita' geografica. L'intensita' e la frequenza unica dei viaggi che ho effettuato, in particolare per la trasmissione Ushuaia, mi hanno consentito di rendermi conto della ristrettezza del nostro pianeta, dell'intensita' dei degradi. Gli scienziati come i poeti mostrano che le traiettorie della natura e dell'umanita' sono indissolubili, che la nostra comunanza di origine e' anche la nostra comunanza di destino. La presa di coscienza si e' allora trasformata in convinzione. Persino in terrore, quando mi sono reso conto della fragilita' dei nostri mezzi a fronte dell'ampiezza della catastrofe ecologica annunciata. Di qui l'importanza del sostegno di un intellettuale come Edgar Morin, che non ha aspettato che la realta' si imponesse per riflettere sull'origine dei problemi ecologici. * Resistenza, chiave culturale - Edgar Morin: Il nostro modo di pensare inseparabile dal nostro modo di insegnamento, e' fondato sulla separazione assoluta tra l'umano e il naturale. Tutto cio' che esiste di naturale nell'umano e' relegato nei dipartimenti di biologia delle universita' e le scienze umanistiche si occupano solo della parte culturale dell'umano. Tutto cio' che e' umano e' separato dalla natura. All'estremo opposto, alcuni tendono a ridurre l'umano alla natura, al comportamento delle formiche o degli scimpanze'. La rigida divisione in compartimenti delle discipline e delle categorie ci impedisce di stabilire la relazione fra le parti e il tutto. Il pensiero occidentale non sa funzionare se non per separazione o riduzione. Descartes, che voleva che l'uomo fosse "signore e padrone della natura", opera la separazione tra la scienza e la filosofia, cosa che sfocera' in questa separazione tra il mondo delle scienze umanistiche e quello della tecnica. Dopo aver mandato in pensione Dio attraverso la tecnologia, l'uomo si e' arrogato il diritto di dominare la natura. Ma questa pretesa e' andata in frantumi solo di recente. Da una parte, perche' questa volonta' di dominare il vivente si rivolge contro noi stessi; dall'altra, perche' la Terra ci appare come un minuscolo pianeta di un sistema solare a sua volta periferico in un cosmo gigantesco. L'idea di conquistare il mondo appare grottesca. Occorre anche dire che la separazione tra l'uomo e la natura non deriva unicamente dallo sviluppo della razionalita' tecnica occidentale. Il cristianesimo che ci ha plasmato e' una religione completamente aperta sull'umano, con i suoi valori cardinali che sono la carita' e l'amore, ma chiusa alla natura e al mondo animale. All'opposto, il buddismo immerge l'umano nel ciclo delle riproduzioni del mondo vivente. La compassione del Budda e' rivolta a tutte le sofferenze, umane e animali. Siamo quindi ugualmente segnati dall'impronta cristiana della nostra civilta' che ignora il nostro rapporto ombelicale con la natura. Non ci e' possibile liberarci di questo pesante fardello religioso e tecnico insieme se non attraverso una riforma del nostro modo di conoscenza e di pensiero. - Nicolas Hulot: La chiave culturale e' operativa almeno quanto la chiave economica in materia ecologica. Quando si legge il libro di Krishnamurti, Liberi dal conosciuto (Roma, Ubaldini, 1973), si vede come eliminare i condizionamenti e i pregiudizi sia un lavoro lungo e dall'esito incerto. La peggiore delle ferite inferte all'amor proprio dell'umanita' fu quando Darwin dimostro' che noi non eravamo oggetto di una creazione separata. Dall'alto della piramide del vivente, l'uomo apprese che era nato da una matrice comune con gli animali. Ma questa ferita narcisistica si accompagno' al rifiuto di riconoscere la sua comunanza di origine. E questa ferita non si e' ancora del tutto rimarginata, come dimostra la virulenza dei movimenti creazionisti d'oltreatlantico. Esiste ancora un diniego, un rifiuto a riconoscere la nostra comunita' di destino. Tutta la nostra cultura, in particolare religiosa, ha considerato che l'intelligenza umana si misurava in relazione alla sua capacita' di affrancarsi dalla natura. Piu' si pensava di liberarsi dalla natura, piu' si pensava di materializzare il genio umano. Da centocinquanta anni, abbiamo creduto che il progresso fosse lineare, che il futuro meccanizzato fosse una promessa di felicita'. A questa credenza, va ad aggiungersi l'idea che le nostre istituzioni avrebbero sempre una risposta a tutto. Sappiamo sin dai greci e da Eratostene che la Terra e' tonda, ma ci siamo appena resi conto che viviamo in un mondo finito, vale a dire limitato. Ora siamo inadeguati al limite. Certo, c'e' da restare abbagliati dalle folgoranti imprese scientifiche. Ma questa onnipotenza della tecno-scienza genera cio' che Rene' Dubos chiama "lo sgomento tragico dell'uomo moderno". L'uomo oggi non e' piu' legato a niente. Questo sgomento e' una delle conseguenze psicologiche dell'ipertrofia della tecnica. * Comunanza di destino - Edgar Morin: Abbiamo appreso che siamo venuti da una evoluzione biologica e che siamo anche degli animali, ma abbiamo occultato questo sapere. Lo si sa, ma lo si ignora. Operiamo un vero e proprio black-out della nostra coscienza. Allo stesso tempo, non riusciamo a sentire la nostra comunanza di origine di Homo cosiddetto sapiens. Cio' che voi affermate su questa comunanza di origine e' capitale. Gli umani non sentono a sufficienza la sostanza comune che li lega e i problemi pressanti che devono mobilitarli. In Terra-patria, ho voluto evidenziare che esisteva una comunanza di destino fra tutti gli umani perche' essi condividono gli stessi pericoli vitali. Ma questo resta non percepito. Infine, il nostro modo di conoscenza ci impedisce di concepire insieme l'unita' e la diversita' umane. Oppure, si percepisce l'unita' umana, e si dimentica la diversita' delle culture; o, ancora, si percepisce la diversita' delle culture senza comprendere l'unita' umana. Tuttavia e' cio' che ci permetterebbe di sviluppare una coscienza planetaria, una coscienza umana legata al pianeta pur riconoscendo le singolarita' culturali e nazionali. E' vitale sviluppare questa coscienza planetaria, cosi' come mettere radici nella Terra. Perche' la nostra Terra non e' soltanto una cosa fisica. E' una realta' geo-psico-bio-umana. Certo, bisogna essere capaci di distinguere questi diversi aspetti, ma bisogna saperli collegare. Il pensiero complesso che io difendo parte dal latino complexus, che vuol dire "cio' che e' tessuto insieme", al fine di operare una tensione permanente tra l'aspirazione a un sapere non parcellare, non compartimentato, non riduttivo, e il riconoscimento dell'incompiutezza e dell'incompletezza di ogni conoscenza. 6. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti: e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it Per ricevere questo notiziario: nbawac at tin.it =================== COI PIEDI PER TERRA =================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 191 del 20 maggio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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