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Nonviolenza. Femminile plurale. 249
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 249
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 14 May 2009 13:17:13 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 249 del 14 maggio 2009 In questo numero: 1. Contro l'apartheid e contro le deportazioni oggi in piazza anche a Viterbo 2. Maria G. Di Rienzo: Migranti 3. Silvia Agostini: Le persone migranti sono esseri umani? 4. Ida Dominijanni: Le parole che accecano 5. Cinzia Gubbini intervista Domenico Gallo 6. Hannah Arendt: La Resistenza nonviolenta in Danimarca 1. INIZIATIVE. CONTRO L'APARTHEID E CONTRO LE DEPORTAZIONI OGGI IN PIAZZA ANCHE A VITERBO Contro l'apartheid e contro le deportazioni, per la difesa intransigente dei diritti umani di tutti gli esseri umani, per il rispetto del diritto internazionale e della legalita' costituzionale, vari movimenti democratici invitano le istituzioni, le associazioni, le organizzazioni democratiche, i singoli cittadini a partecipare al sit-in di protesta che si tiene oggi, giovedi' 14 maggio 2009, con inizio alle ore 17 in piazza del Comune a Viterbo. Promuovono l'iniziativa: Arci Viterbo, Associazione di volontariato Caritas "Emmaus", Centro di ricerca per la pace di Viterbo, Comitato Nepi per la pace, Associazione culturale "Achille Poleggi", Afesopsit, Associazione Italia-Palestina, Associazione per la sinistra, Legambiente, Associazione Fata Morgana, C.S.A. Valle Faul, Anpi, Camminando Insieme, Tusciainproposta, Campodimarte, Viterbo con amore, Cooperativa Alice, Cgil, Anolf-Cisl Viterbo, Uil Viterbo, Cobas Scuola, Convento di Celleno, La Piccola Editrice, Polisportiva di Celleno, Gavac, Associazione Erinna, Programma Integra, Uisp, Forum per la scuola della Repubblica. 2. UNA SOLA UMANITA'. MARIA G. DI RIENZO: MIGRANTI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] GoJoseon (o "Antico Chosun") era una nazione confederale fondata nel 2333 a. C., che comprendeva la penisola coreana e la Manciuria. La leggenda la vuole fondata dal cielo stesso, ed i suoi abitanti si consideravano figli e figlie del cielo proprio perche' godettero lunghissimi periodi di pace e prosperita'. E' difficile stabile esattamente cosa ne causo' il declino e poi la definitiva caduta dopo l'invasione cinese del 109 a. C., ma parecchi storici concordano sul fatto che i dissidi interni fra governanti dovettero pesare in modo significativo. GoJoseon si disintegro', la dinastia Han prese il controllo della parte occidentale del paese, e dalle ceneri del resto nacquero una dozzina di piccoli stati. Vi erano tuttavia ampie fasce di popolazione che non avevano piu' una terra in cui vivere, e la cui scelta (se di scelta si puo' parlare) era di servire in schiavitu' i nuovi signori o fuggire verso un altro paese. Non sempre le nazioni nate dalla scomparsa di GoJoseon erano disposti ad accoglierli: se dapprima qualcuno lo fece di buon grado, motivato dal desiderio di rendere piu' popoloso e forte il proprio paese, acquisendo agricoltori ed artigiani e magari futuri soldati, presto il timore di ritorsioni da parte dell'impero cinese, problemi quali carestie ed epidemie, e le lotte di potere interne resero indesiderabili i rifugiati quasi ovunque. Cominciarono cosi' ad apparire posti di blocco alle frontiere, targhette di identificazione per i "veri" cittadini, respingimenti e deportazioni per i migranti in arrivo ed epurazioni di coloro che si erano gia' insediati. Fra il 2006 e il 2007 la tv sudcoreana ha dedicato a quest'ultima parte della storia uno sceneggiato di ben 81 puntate, "Jumong" (con un successo di ascolti senza precedenti). Naturalmente la narrazione fatta dallo sceneggiato non e' affidabile dal punto di vista storico, data la scarsezza della documentazione relativa al periodo trattato, e deve seguire le regole dalla drammaturgia che prevedono colpi di scena, triangoli amorosi, suspance, momenti tragici e momenti comici, eccetera. Ma i luoghi filmati sono splendidi, la recitazione eccellente, ed il messaggio di fondo ha un valore innegabile. Per farvela breve, il principe Jumong ed i suoi amici ed alleati ce la mettono veramente tutta per far capire qualcosa a re, primi ministri e cortigiani vari: e cioe' che ad essere "nemici" non sono i migranti ma le condizioni che li hanno prodotti; che non e' pensabile cacciare persone che versano nel bisogno, che hanno compiuto viaggi infernali per sopravvivere, che non hanno altro luogo in cui stare, che sono fuggiti dalla schiavitu' o dalla guerra; che anche se quest'anno il raccolto e' scarso per la siccita' o se la malattia ha stremato la nostra gente cio' non ci esime dall'accogliere i nostri fratelli e le nostre sorelle come tali, e comunque il brutto momento che stiamo passando svanira' piu' presto se tutti insieme, uniti, lo affronteremo per trovare una soluzione. Mi piacerebbe potervi dire che Jumong (personaggio storico, 58-19 a. C., il cui nome significa "grande arciere", per cui e' possibile non si tratti del nome di nascita ma di un appellativo conferitogli in seguito) li convince. In realta', nello sceneggiato e nella storia, per dare asilo ai migranti deve costruire una nuova nazione con loro e per loro: e' infatti il fondatore di Goguryeo (37 a. C. - 668 d. C.), uno stato che comprese le parti nord e centro della penisola coreana, e a sud la Manciuria e la provincia marittima russa. Nello sceneggiato e nella storia Jumong combatte in armi, ma mai se puo' evitarlo, mai se puo' sedersi ad un tavolo a trattare, e persino i peggiori nemici ricevono ascolto da lui se lo chiedono: in questo modo unifica tribu' e piccole nazioni, compone dissidi, acquisisce leali compagni, crea una nazione confederale come quella da cui i migranti provenivano. Perche' vi ho raccontato questo? Perche' sono triste. Perche' leggere dei provvedimenti votati dal governo italiano in materia di "sicurezza" mi ha riportato alla memoria le scene terribili delle deportazioni dei migranti nello sceneggiato: io sono una dannata empatica e tremo persino davanti ad una messa in scena televisiva, non vi dico cos'altro mi e' sfilato in mente, dalle foto di Auschwitz al documentario in cui mucchi di cadaveri di bambini africani vengono caricati come sacchi di immondizia su un camion. Vi ho raccontato questo perche' neppure i maligni re ed i biechi primi ministri in "Jumong" se ne escono con la pensata di far pagare la richiesta di cittadinanza, o di incarcerare chi affitta case ai rifugiati, o di tenere registri di chi da queste case viene buttato fuori per paura della norma precedente. C'era ancora un po' di decenza, forse, anche nei farabutti. 3. UNA SOLA UMANITA'. SILVIA AGOSTINI: LE PERSONE MIGRANTI SONO ESSERI UMANI? [Ringraziamo Silvia Agostini del gruppo asilo dell'Arci-solidarieta' di Viterbo (per contatti: agostini at arci.it) per questo intervento] Venghino, signori, venghino! Ecco a voi il pacchetto sicurezza. Un decreto imballato, avvolto, inscatolato in una bella confezione, pronta all'uso, adatta a chi come noi vuol sentirsi piu' sicuro, vuole rimanere protetto, rinchiuso, senza alcun contatto con gli altri, i diversi da noi, quelli che ci allarmano e ci spaventano. L'Italia ha votato questa maggioranza, una maggioranza che confeziona pacchi, pacchetti sicurezza, per farci sentire protetti. E' questo che vuole il cittadino italiano. Avremo finalmente il reato di immigrazione clandestina. Tradotto: qualsiasi persona che arrivera' in Italia sara' considerata delinquente, al pari di un ladro, un assassino, un evasore fiscale e quindi tradotto in carcere, solo ed esclusivamente perche' giunto in Italia. Tanto per citare i risvolti pratici della situazione, vi immaginate come scoppieranno le nostre carceri? E cosi', per dire, che ne sara' dei diritti umani? Della Convenzione di Ginevra? Come potra' essere veramente garantita la protezione internazionale per rifugiati e richiedenti asilo? E poi la nostra Costituzione, e' gia' carta straccia? Vuoi vedere che veramente un migrante, un "clandestino", non e' nemmeno un individuo, un essere umano, perche' privo di documenti? Forse stanno proprio cosi' le cose. Riconosciamo gli individui, gli essere umani, solo in quanto uguali e rispondenti ai nostri criteri. Altrimenti come si spiegherebbe l'atteggiamento verso il popolo Rom e la vicenda che ha visto protagonisti alcuni sindaci della nostra provincia, indignati per la proposta, o meglio, per la voce sull'insediamento nel viterbese di un campo nomadi attrezzato? Erano tutti pronti al grido: "A noi le ruspe!". Ma il campo nomadi attrezzato non e' stato mai realizzato, probabilmente nemmeno mai concepito. In compenso abbiamo avuto un'idea brillante: le ronde. Eccole, pronte, usciranno fresche fresche e "con fiducia" dal pacchetto sicurezza di giovedi'. Cittadini, italiani naturalmente, potranno costituirsi, non come associazione (per carita', quelle anzi sono sempre piu' attaccate e destabilizzate) in gruppi organizzati per la vigilanza delle citta' e dei quartieri ai quali appartengono. Inizialmente l'articolo del decreto consentiva anche l'uso delle armi. Quindi, riflettiamo bene. Io sono un cittadino, anzi una cittadina di tutto rispetto. Lavoro, torno a casa, ho una famiglia. Chi potra' mai accusarmi, denunciarmi, anche solo segnalarmi alla polizia? Per rischiare di essere perseguita dovrei proprio andarmela a cercare. Dovrei, per esempio, avere costanti litigi con il vicino, che mi accusa di lasciare il nostro cancelletto condominiale sempre aperto, cosa che a lui proprio non va giu'. E questo mio vicino potrebbe far parte di una ronda di quartiere. Un giorno potrebbe entrare in casa mia, dirimpetto alla sua, aggredirmi o magari spararmi e poi dire che era un po' che mi teneva sotto controllo e che nascondevo qualcosa. Di certo sarebbe condannato.. chissa' se per i rondisti ci sono delle attenuanti. Pura fantascienza? Ma se invece il fatto sopra descritto fosse gia' successo? Il signor Behari Diouf, 42 anni, di origine senegalese, proprio qui a due passi, a Civitavecchia, e' stato freddato dentro la sua casa, dal suo dirimpettaio, un poliziotto fuori servizio irritato per il fatto che Diouf non chiudeva mai il cancelletto in comune. Dicono che fosse un poliziotto particolare, un po' irascibile, che aveva gia' provocato guai. Beh, allora e' tutta un'altra storia. La vittima e' uno straniero (regolare da piu' di 12 anni, in possesso di una licenza e di un banco presso il mercato di Civitavecchia e conosciuto da mezza citta'), il poliziotto e' un tipo un po' strano, iracondo... quindi, e' tutto diverso. Lui straniero, l'altro esagitato, in questi casi puo' capitare di essere uccisi per nulla. In un paese dove la Costituzione viene vilipesa e dissacrata a colpi di decreti e la democrazia e' presa a prestito dai politici per dimostrarci in quale nazione civile viviamo, e' tutto normale, giustificato. E' questo a cui abilmente ci stanno abituando. Insinuarsi "democraticamente", attraverso i media: questa e' la vera, nuova forma di politica globale. Ma puo' capitare che, a volte, alcuni di noi si chiedano, per sbaglio: come mai un'altra vittima innocente? Dopo l'indiano quasi morto a Nettuno, Diouf a Civitavecchia, i migliaia di migranti e rifugiati morti o dispersi in mare - fra cui la giovane ragazza di 18 anni, incinta, abbandonata insieme agli altri al largo delle coste italiane; dopo i 500 appena rispediti in Libia, dove verranno torturati, incarcerati e le donne stuprate, capita che ci domandiamo, al risveglio, a digiuno dai media: che ne sara' di quei 300.000 "irregolari" che sono in Italia da anni e di tutti quelli che riusciranno ad entrarvi? Percorrendo la strada verso il lavoro, verso la scuola dei figli o di ritorno dal week-end fuori, troveremo una risposta semplice, accomodante. Ci lasceremo tutto alle spalle, respirando a pieni polmoni l'aria profumata della nostra vita piena e magari penseremo che, dopotutto, in Italia non c'e' mica la pena di morte. 4. UNA SOLA UMANITA'. IDA DOMINIJANNI: LE PAROLE CHE ACCECANO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 maggio 2009 col titolo "Se l'altro e' maleodorante"] Prendiamo l'ultima di Berlusconi, "noi non siamo per la societa' multietnica", e analizziamola dal punto di vista retorico. Che cosa significa una frase cosi'? Il linguaggio del potere, come si sa, e' sempre performativo, ottiene cioe' sempre effetti di realta', anche quando, come in questo caso, va palesemente contro la realta'. Essere contro la societa' multietnica vorrebbe dire infatti essere contro una realta' di fatto, giacche' l'Italia, sia pure con grande ritardo rispetto ad altre democrazie occidentali, una societa' multietnica sta di fatto diventando, anzi e' gia' diventata. Si tratta dunque di un'affermazione paranoica, che parte da una negazione bella e buona del reale. Ma che produce pero' il suo effetto di realta', che consiste nell'instillare la convinzione - anch'essa paranoica - che "si possa" essere contro la societa' multietnica, che si possa e si debba fare di questo una bandiera politica, che si possa e si debba militare per questo. Di fatto, siamo dunque di fronte in primo luogo a un'affermazione sobillatrice, che non si limita a registrare o a cavalcare la xenofobia e il razzismo, ma li produce e ne fa valori politici mobilitanti. In secondo luogo, trattandosi di Berlusconi e non di un altro leader xenofobo della destra europea, l'affermazione va letta nel quadro della sua estetica, ingrediente cruciale, com'e' noto, della sua etica e della sua politica. Il nostro ci aveva gia' spiegato che candidare veline e dintorni serve a ripulire e profumare la scena istituzionale, abitata dai rappresentanti "malvestiti e maleodoranti" dell'opposizione. Ora se i parlamentari di centrosinistra sono malvestiti e maleodoranti figuriamoci i migranti che arrivano per mare dal deserto stipati nei container e nelle stive. Il senso estetico del premier non puo' sopportarlo. L'Italia, di conseguenza, secondo lui nemmeno. E qui l'operazione di negazione raddoppia, e rientra nel piu' generale remake della realta' a cui Berlusconi lavora da sempre: decidere il canone del bello, imporlo via tv, resecare dal visibile e ridurre all'invisibile tutto cio' che non vi si conforma. Fatto, la realta' diventa reality e gli elettori si convincono di vivere nel piu' bello dei mondi possibili. Su "La Repubblica" di ieri Stefano Rodota' invita giustamente a una contromobilitazione: "10, 100, 1000 Rosa Parks all'incontrario" per cedere il posto in metropolitana agli immigrati, ordinare a gran voce kebab nelle citta'-fortino della pastasciutta, andare a Bergamo a mendicare per piu' di un'ora ed esigere dai media la segnalazione puntuale degli episodi di quotidiano razzismo. C'e' solo da sottoscrivere, e non c'e' una parola da aggiungere alla denuncia delle violazioni della Costituzione italiana e della Carta europea dei diritti perpetrate, frase dopo frase, atto dopo atto, dalla politica "di contenimento dell'immigrazione" del governo. Aggiungo soltanto che ormai non si tratta piu' solo di violazione dei diritti, ma di qualcosa di piu' profondo, piu' insidioso e, se non stiamo molto attenti, piu' definitivo. Abituati a un uso meramente tattico della legge nonche' della sua violazione e sospensione, i regimi biopolitici si installano e governano lavorando - e lavorandoci - anche se non prioritariamente su altri piani, che prima della nostra consapevolezza dei diritti, e di essere soggetti di diritti, riguardano la nostra percezione del reale e dell'umano e il nostro modo di essere umani. Decidono e impongono il bello e il brutto, il visibile e l'invisibile, il dicibile e l'indicibile, e si insinuano, prima che nella nostra testa, nei nostri sensi: vista, olfatto, tatto, sessualita'. A forza di vedere il canone estetico berlusconiano nelle tv berlusconiane (e non), non vedremo altra realta' - altro reality - che quella. A forza di ostentazione e ossessione sessuale berlusconiane, l'unica sessualita' riconoscibile diventa quella. A forza di sentirci dire che l'altro - che sia l'avversario politico o l'immigrato - puzza e si veste male, il nostro olfatto e il nostro gusto saranno allertati e si allerteranno a mettere all'opera questo criterio nelle relazioni sociali, e a discriminare in base a questo criterio chi e' dei nostri e chi non lo e'. Si vede bene, in questa sequenza, come una certa politica sul corpo femminile sia sempre sintomatica di una piu' generale politica sul corpo, e di un piu' generale modo di intendere l'umano e di dividere il mondo fra chi e' pienamente umano - "noi": occidentali, bianchi, indigeni, stanziali, belli e profumati - e chi lo e' un po' meno, subumano o non umano. Fino a poter essere trattato infatti come se non fosse piu' soggetto di quelli che ancora chiamiamo, con pretese universalistiche, "diritti umani". E a potere essere lasciato sospeso al confine fra terra e mare, fra uno stato sovrano e un altro, o rinchiuso in un campo ne' vivo ne' morto, ne' libero ne' prigioniero, ne' cittadino ne' ospite. Resecato dal reale, in una terra di nessuno dove i nostri sensi, vista udito e tatto, non possono ne' vederlo ne' ascoltarlo ne' toccarlo, e nemmeno raggiungerlo. 5. UNA SOLA UMANITA'. CINZIA GUBBINI INTERVISTA DOMENICO GALLO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 maggio 2009 col titolo "Il magistrato: Non sono respingimenti ma vere deportazioni" e il sottotitolo "L'operazione viola anche la Costituzione" Domenico Gallo, magistrato presso il Tribunale di Roma, studia da anni questioni attinenti il diritto internazionale e i diritti dell'uomo. Lo intervistiamo sui respingimenti in Libia decisi dal governo italiano e sulle implicazioni presenti e future. * - Cinzia Gubbini: Dottore, i respingimenti verso la Libia sono legittimi? - Domenico Gallo: Assolutamente no. * - Cinzia Gubbini: Di cosa parla, dunque, chi dice che questa operazione e' legale, a partire dal presidente del Consiglio? - Domenico Gallo: Probabilmente si riferisce a una missione europea che si chiama Frontex e che riguarda la sorveglianza delle frontiere per contrastare lo sbarco di migranti irregolari. Ma qui ci troviamo di fronte a una situazione completamente diversa. Non si tratta di dissuadere uno sbarco. Stiamo parlando di persone che sono state prelevate, fatte salire su navi militari italiane e quindi assoggettate alla sovranita' italiana - il codice penale dice che la nave e' territorio italiano. Inoltre, sono state sottoposte a un provvedimento coercitivo, nel momento in cui sono state riaccompagnate verso un paese dove non volevano andare. Un provvedimento per giunta collettivo, non individuale. Quindi, piu' che un'espulsione collettiva e' stata una deportazione collettiva. Questo tipo di procedura e' vietato dal diritto penale internazionale: in tutte le convenzioni internazionali e' contemplato il divieto di espellere collettivamente gli stranieri. * - Cinzia Gubbini: Cosa avrebbero dovuto fare gli italiani? - Domenico Gallo: Avrebbero dovuto attuare la lege Bossi-Fini. Che, all'articolo 10, prevede il cosiddetto "respingimento differito". Gli stranieri bisognosi di un soccorso possono essere respinti dopo essere stati salvati. Ma il provvedimento adottato dal prefetto deve essere individuale. La legge inoltre esclude, all'articolo 19, le persone minori di anni 18, le donne in stato di gravidanza, i richiedenti asilo, le persone che potrebbero essere soggette a atti persecutori nel paese di riammissione. * - Cinzia Gubbini: A proposito del paese di riammissione, cosa si puo' dire sulla Libia? - Domenico Gallo: Che non e' un paese sicuro. L'Italia puo' ovviamente stipulare accordi con la Libia, ma essi non possono essere contrari a norme imperative del diritto internazionale. E quello firmato prima da Amato e poi da Berlusconi non costringe di certo il nostro paese a consegnare chi viaggia sui barconi alla Libia. Semplicemente, la Libia accetta le persone che l'Italia decide di rimandare indietro. Ma l'utilizzo o meno di questa procedura dipende dall'Italia. Ovviamente l'Italia non si obbliga a violare le proprie norme in materia di immigrazione, come anche il rispetto della Convenzione di Ginevra sui richiedenti asilo e rifugiati. Questa Convenzione non impone di accettare le domande, ma impone il divieto di espellere i richiedenti asilo che uno Stato non vuole verso un paese dove potrebbero subire persecuzioni. Quindi, nel caso dei respingimenti di questi giorni, l'Italia sta violando le sue stesse leggi, le leggi internazionali e anche la Costituzione che non consente di derogare agli obblighi internazionali. * - Cinzia Gubbini: Perche' la Costituzione prevede anche questi casi? - Domenico Gallo: Si', e' il nuovo articolo 117, come modificato dalla riforma del titolo V, il cosiddetto federalismo. In cui si specifica che la potesta' legislativa di stato e regioni si esercita non solo nel rispetto della Costituzione, ma anche "dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Prima di questa riforma c'era un ampio dibattito giuridico sulla possibilita' o meno di violare gli obblighi internazionali, che questa nuova formulazione ha superato. * - Cinzia Gubbini: Ma se l'Italia decidesse di non caricare piu' i profughi a bordo delle navi militari, e decidesse di creare una specie di blocco navale, sarebbe legittimo? - Domenico Gallo: E' qui che c'e' una schizofrenia, politica e legislativa. Non puoi fare una missione militare che impedisca a una nave di profughi di sbarcare sulle tue frontiere, visto che sei obbligato ad affrontare il problema se abbiano o meno il diritto di asilo. Se uno stato volesse attuare un blocco navale, allora dovrebbe aprire degli uffici preposti al vaglio delle domande di asilo nei paesi di partenza. * - Cinzia Gubbini: Anche questo e' un argomento che sta prendendo piede. Ma e' lecito che uno Stato "sposti" le proprie frontiere in un paese terzo? - Domenico Gallo: Innanzitutto un'operazione di questo tipo richiederebbe la collaborazione del paese terzo: parliamo anche della necessita' di trattenere queste persone per un determinato periodo, quindi si dovrebbero creare delle Commissioni ad hoc, inoltre andrebbe garantito un vaglio giurisdizionale. Si tratta di atti di sovranita' esercitati in un altro Stato. Si potrebbe fare soltanto in presenza di un accordo di ferro. Mi sembra piuttosto problematico. Si tratterebbe poi di aprire uffici europei, poiche' le persone che approdano in Italia, o a Malta, in realta' vogliono chiedere asilo anche ad altri paesi dell'Unione. * - Cinzia Gubbini: Ma la Convenzione Dublino II impone di presentare la richiesta nel primo paese di approdo... - Domenico Gallo: Ecco, questo mi sembra un limite che i paesi europei dovrebbero superare: e' chiaro che non si puo' scaricare tutto il peso sui paesi rivieraschi. * - Cinzia Gubbini: Tornando ai respingimenti, siamo di fronte al tramonto dei diritti individuali? - Domenico Gallo: Credo che il fenomeno di fondo sia la caduta dell'universalita'. Dal respingimento dei profughi alle nuove leggi in approvazione sull'immigrazione, osserviamo l'esclusione di una parte dell'umanita' dal godimento dei diritti fondamentali che una volta erano concepiti come universali. Di fatto, non viene piu' contemplata un'unica famiglia umana. 6. MEMORIA. HANNAH ARENDT: LA RESISTENZA NONVIOLENTA IN DANIMARCA [Da Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, 1993, alle pp. 177-182. E' un brano che abbiamo gia' altre volte riprodotto su questo foglio. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] La storia degli ebrei danesi e' una storia sui generis, e il comportamento della popolazione e del governo danese non trova riscontro in nessun altro paese d'Europa, occupato o alleato dell'Asse o neutrale e indipendente che fosse. Su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le universita' ove vi sia una facolta' di scienze politiche, per dare un'idea della potenza enorme della nonviolenza e della resistenza passiva, anche se l'avversario e' violento e dispone di mezzi infinitamente superiori. Certo, anche altri paesi d'Europa difettavano di "comprensione per la questione ebraica", e anzi si puo' dire che la maggioranza dei paesi europei fossero contrari alle soluzioni "radicali" e "finali". Come la Danimarca, anche la Svezia, l'Italia e la Bulgaria si rivelarono quasi immuni dall'antisemitismo, ma delle tre di queste nazioni che si trovavano sotto il tallone tedesco soltanto la danese oso' esprimere apertamente cio' che pensava. L'Italia e la Bulgaria sabotarono gli ordini della Germania e svolsero un complicato doppio gioco, salvando i loro ebrei con un tour de force d'ingegnosita', ma non contestarono mai la politica antisemita in quanto tale. Era esattamente l'opposto di quello che fecero i danesi. Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che i tedeschi non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione tra gli ebrei di origine danese (che erano circa seimilaquattrocento) e i millequattrocento ebrei di origine tedesca che erano riparati in Danimarca prima della guerra e che ora il governo del Reich aveva dichiarato apolidi. Il rifiuto opposto dai danesi dovette stupire enormemente i tedeschi, poiche' ai loro occhi era quanto mai "illogico" che un governo proteggesse gente a cui pure aveva negato categoricamente la cittadinanza e anche il permesso di lavorare. (Dal punto di vista giuridico, prima della guerra la situazione dei profughi in Danimarca non era diversa da quella che c'era in Francia, con la sola differenza che la corruzione dilagante nella vita amministrativa della Terza Repubblica permetteva ad alcuni di farsi naturalizzare, grazie a mance o "aderenze", e a molti di lavorare anche senza un permesso; la Danimarca invece, come la Svizzera, non era un paese pour se debrouiller). I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome i profughi, in quanto apolidi, non erano piu' cittadini tedeschi, i nazisti non potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Fu uno dei pochi casi in cui la condizione di apolide si rivelo' un buon pretesto, anche se naturalmente non fu per il fatto in se' di essere apolidi che gli ebrei si salvarono, ma perche' il governo danese aveva deciso di difenderli. Cosi' i nazisti non poterono compiere nessuno di quei passi preliminari che erano tanto importanti nella burocrazia dello sterminio, e le operazioni furono rinviate all'autunno del 1943. Quello che accadde allora fu veramente stupefacente; per i tedeschi, in confronto a cio' che avveniva in altri paesi d'Europa, fu un grande scompiglio. Nell'agosto del 1943 (quando ormai l'offensiva tedesca in Russia era fallita, l'Afrika Korps si era arreso in Tunisia e gli Alleati erano sbarcati in Italia) il governo svedese annullo' l'accordo concluso con la Germania nel 1940, in base al quale le truppe tedesche avevano il diritto di attraversare la Svezia. A questo punto i danesi decisero di accelerare un po' le cose: nei cantieri della Danimarca ci furono sommosse, gli operai si rifiutarono di riparare le navi tedesche e scesero in sciopero. Il comandante militare tedesco proclamo' lo stato d'emergenza e impose la legge marziale, e Himmler penso' che fosse il momento buono per affrontare il problema ebraico, la cui "soluzione" si era fatta attendere fin troppo. Ma un fatto che Himmler trascuro' fu che (a parte la resistenza danese) i capi tedeschi che ormai da anni vivevano in Danimarca non erano piu' quelli di un tempo. Non solo il generale von Hannecken, il comandante militare, si rifiuto' di mettere truppe a disposizione del dott. Werner Best, plenipotenziario del Reich; ma anche le unita' speciali delle SS (gli Einsatzkommandos) che lavoravano in Danimarca trovarono molto da ridire sui "provvedimenti ordinati dagli uffici centrali", come disse Best nella deposizione che rese poi a Norimberga. E lo stesso Best, che veniva dalla Gestapo ed era stato consigliere di Heydrich e aveva scritto un famoso libro sulla polizia e aveva lavorato per il governo militare di Parigi con piena soddisfazione dei suoi superiori, non era piu' una persona fidata, anche se non e' certo che a Berlino se ne rendessero perfettamente conto. Comunque, fin dall'inizio era chiaro che le cose non sarebbero andate bene, e l'ufficio di Eichmann mando' allora in Danimarca uno dei suoi uomini migliori, Rolf Guenther, che sicuramente nessuno poteva accusare di non avere la necessaria "durezza". Ma Guenther non fece nessuna impressione ai suoi colleghi di Copenhagen, e von Hannecken si rifiuto' addirittura di emanare un decreto che imponesse a tutti gli ebrei di presentarsi per essere mandati a lavorare. Best ando' a Berlino e ottenne la promessa che tutti gli ebrei danesi sarebbero stati inviati a Theresienstadt, a qualunque categoria appartenessero - una concessione molto importante, dal punto di vista dei nazisti. Come data del loro arresto e della loro immediata deportazione (le navi erano gia' pronte nei porti) fu fissata la notte del primo ottobre, e non potendosi fare affidamento ne' sui danesi ne' sugli ebrei ne' sulle truppe tedesche di stanza in Danimarca, arrivarono dalla Germania unita' della polizia tedesca, per effettuare una perquisizione casa per casa. Ma all'ultimo momento Best proibi' a queste unita' di entrare negli alloggi, perche' c'era il rischio che la polizia danese intervenisse e, se la popolazione danese si fosse scatenata, era probabile che i tedeschi avessero la peggio. Cosi' poterono essere catturati soltanto quegli ebrei che aprivano volontariamente la porta. I tedeschi trovarono esattamente 477 persone (su piu' di 7.800) in casa e disposte a lasciarli entrare. Pochi giorni prima della data fatale un agente marittimo tedesco, certo Georg F. Duckwitz, probabilmente istruito dallo stesso Best, aveva rivelato tutto il piano al governo danese, che a sua volta si era affrettato a informare i capi della comunita' ebraica. E questi, all'opposto dei capi ebraici di altri paesi, avevano comunicato apertamente la notizia ai fedeli, nelle sinagoghe, in occasione delle funzioni religiose del capodanno ebraico. Gli ebrei ebbero appena il tempo di lasciare le loro case e di nascondersi, cosa che fu molto facile perche', come si espresse la sentenza, "tutto il popolo danese, dal re al piu' umile cittadino", era pronto a ospitarli. Probabilmente sarebbero dovuti rimanere nascosti per tutta la durata della guerra se la Danimarca non avesse avuto la fortuna di essere vicina alla Svezia. Si ritenne opportuno trasportare tutti gli ebrei in Svezia, e cosi' si fece con l'aiuto della flotta da pesca danese. Le spese di trasporto per i non abbienti (circa cento dollari a persona) furono pagate in gran parte da ricchi cittadini danesi, e questa fu forse la cosa piu' stupefacente di tutte, perche' negli altri paesi gli ebrei pagavano da se' le spese della propria deportazione, gli ebrei ricchi spendevano tesori per comprarsi permessi di uscita (in Olanda, Slovacchia e piu' tardi Ungheria), o corrompendo le autorita' locali o trattando "legalmente" con le SS, le quali accettavano soltanto valuta pregiata e, per esempio in Olanda, volevano dai cinquemila ai diecimila dollari per persona. Anche dove la popolazione simpatizzava per loro e cercava sinceramente di aiutarli, gli ebrei dovevano pagare se volevano andar via, e quindi le possibilita' di fuggire, per i poveri, erano nulle. Occorse quasi tutto ottobre per traghettare gli ebrei attraverso le cinque-quindici miglia di mare che separano la Danimarca dalla Svezia. Gli svedesi accolsero 5.919 profughi, di cui almeno 1.000 erano di origine tedesca, 1.310 erano mezzi ebrei e 686 erano non ebrei sposati ad ebrei. (Quasi la meta' degli ebrei di origine danese rimase invece in Danimarca, e si salvo' tenendosi nascosta). Gli ebrei non danesi si trovarono bene come non mai, giacche' tutti ottennero il permesso di lavorare. Le poche centinaia di persone che la polizia tedesca era riuscita ad arrestare furono trasportate a Theresienstadt: erano persone anziane o povere, che o non erano state avvertite in tempo o non avevano capito la gravita' della situazione. Nel ghetto godettero di privilegi come nessun altro gruppo, grazie all'incessante campagna che in Danimarca fecero su di loro le autorita' e privati cittadini. Ne perirono quarantotto, una percentuale non molto alta, se si pensa alla loro eta' media. Quando tutto fu finito, Eichmann si senti' in dovere di riconoscere che "per varie ragioni" l'azione contro gli ebrei danesi era stata un "fallimento"; invece quel singolare individuo che era il dott. Best dichiaro': "Obiettivo dell'operazione non era arrestare un gran numero di ebrei, ma ripulire la Danimarca dagli ebrei: ed ora questo obiettivo e' stato raggiunto". L'aspetto politicamente e psicologicamente piu' interessante di tutta questa vicenda e' forse costituito dal comportamento delle autorita' tedesche insediate in Danimarca, dal loro evidente sabotaggio degli ordini che giungevano da Berlino. A quel che si sa, fu questa l'unica volta che i nazisti incontrarono una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare che quelli di loro che vi si trovarono coinvolti cambiarono mentalita'. Non vedevano piu' lo sterminio di un intero popolo come una cosa ovvia. Avevano urtato in una resistenza basata su saldi principi, e la loro "durezza" si era sciolta come ghiaccio al sole permettendo il riaffiorare, sia pur timido, di un po' di vero coraggio. Del resto, che l'ideale della "durezza", eccezion fatta forse per qualche bruto, fosse soltanto un mito creato apposta per autoingannarsi, un mito che nascondeva uno sfrenato desiderio di irreggimentarsi a qualunque prezzo, lo si vide chiaramente al processo di Norimberga, dove gli imputati si accusarono e si tradirono a vicenda giurando e spergiurando di essere sempre stati "contrari" o sostenendo, come fece piu' tardi anche Eichmann, che i loro superiori avevano abusato delle loro migliori qualita'. (A Gerusalemme Eichmann accuso' "quelli al potere" di avere abusato della sua "obbedienza": "il suddito di un governo buono e' fortunato, il suddito di un governo cattivo e' sfortunato: io non ho avuto fortuna"). Ora avevano perduto l'altezzosita' d'un tempo, e benche' i piu' di loro dovessero ben sapere che non sarebbero sfuggiti alla condanna, nessuno ebbe il fegato di difendere l'ideologia nazista. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 249 del 14 maggio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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