Nonviolenza. Femminile plurale. 249



==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 249 del 14 maggio 2009

In questo numero:
1. Contro l'apartheid e contro le deportazioni oggi in piazza anche a
Viterbo
2. Maria G. Di Rienzo: Migranti
3. Silvia Agostini: Le persone migranti sono esseri umani?
4. Ida Dominijanni: Le parole che accecano
5. Cinzia Gubbini intervista Domenico Gallo
6. Hannah Arendt: La Resistenza nonviolenta in Danimarca

1. INIZIATIVE. CONTRO L'APARTHEID E CONTRO LE DEPORTAZIONI OGGI IN PIAZZA
ANCHE A VITERBO

Contro l'apartheid e contro le deportazioni, per la difesa intransigente dei
diritti umani di tutti gli esseri umani, per il rispetto del diritto
internazionale e della legalita' costituzionale, vari movimenti democratici
invitano le istituzioni, le associazioni, le organizzazioni democratiche, i
singoli cittadini a partecipare al sit-in di protesta che si tiene oggi,
giovedi' 14 maggio 2009, con inizio alle ore 17 in piazza del Comune a
Viterbo.
Promuovono l'iniziativa: Arci Viterbo, Associazione di volontariato Caritas
"Emmaus", Centro di ricerca per la pace di Viterbo, Comitato Nepi per la
pace, Associazione culturale "Achille Poleggi", Afesopsit, Associazione
Italia-Palestina, Associazione per la sinistra, Legambiente, Associazione
Fata Morgana, C.S.A. Valle Faul, Anpi, Camminando Insieme, Tusciainproposta,
Campodimarte, Viterbo con amore, Cooperativa Alice, Cgil, Anolf-Cisl
Viterbo, Uil Viterbo, Cobas Scuola, Convento di Celleno, La Piccola
Editrice, Polisportiva di Celleno, Gavac, Associazione Erinna, Programma
Integra, Uisp, Forum per la scuola della Repubblica.

2. UNA SOLA UMANITA'. MARIA G. DI RIENZO: MIGRANTI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento]

GoJoseon (o "Antico Chosun") era una nazione confederale fondata nel 2333 a.
C., che comprendeva la penisola coreana e la Manciuria. La leggenda la vuole
fondata dal cielo stesso, ed i suoi abitanti si consideravano figli e figlie
del cielo proprio perche' godettero lunghissimi periodi di pace e
prosperita'. E' difficile stabile esattamente cosa ne causo' il declino e
poi la definitiva caduta dopo l'invasione cinese del 109 a. C., ma parecchi
storici concordano sul fatto che i dissidi interni fra governanti dovettero
pesare in modo significativo. GoJoseon si disintegro', la dinastia Han prese
il controllo della parte occidentale del paese, e dalle ceneri del resto
nacquero una dozzina di piccoli stati. Vi erano tuttavia ampie fasce di
popolazione che non avevano piu' una terra in cui vivere, e la cui scelta
(se di scelta si puo' parlare) era di servire in schiavitu' i nuovi signori
o fuggire verso un altro paese. Non sempre le nazioni nate dalla scomparsa
di GoJoseon erano disposti ad accoglierli: se dapprima qualcuno lo fece di
buon grado, motivato dal desiderio di rendere piu' popoloso e forte il
proprio paese, acquisendo agricoltori ed artigiani e magari futuri soldati,
presto il timore di ritorsioni da parte dell'impero cinese, problemi quali
carestie ed epidemie, e le lotte di potere interne resero indesiderabili i
rifugiati quasi ovunque. Cominciarono cosi' ad apparire posti di blocco alle
frontiere, targhette di identificazione per i "veri" cittadini,
respingimenti e deportazioni per i migranti in arrivo ed epurazioni di
coloro che si erano gia' insediati.
Fra il 2006 e il 2007 la tv sudcoreana ha dedicato a quest'ultima parte
della storia uno sceneggiato di ben 81 puntate, "Jumong" (con un successo di
ascolti senza precedenti). Naturalmente la narrazione fatta dallo
sceneggiato non e' affidabile dal punto di vista storico, data la scarsezza
della documentazione relativa al periodo trattato, e deve seguire le regole
dalla drammaturgia che prevedono colpi di scena, triangoli amorosi,
suspance, momenti tragici e momenti comici, eccetera. Ma i luoghi filmati
sono splendidi, la recitazione eccellente, ed il messaggio di fondo ha un
valore innegabile. Per farvela breve, il principe Jumong ed i suoi amici ed
alleati ce la mettono veramente tutta per far capire qualcosa a re, primi
ministri e cortigiani vari: e cioe' che ad essere "nemici" non sono i
migranti ma le condizioni che li hanno prodotti; che non e' pensabile
cacciare persone che versano nel bisogno, che hanno compiuto viaggi
infernali per sopravvivere, che non hanno altro luogo in cui stare, che sono
fuggiti dalla schiavitu' o dalla guerra; che anche se quest'anno il raccolto
e' scarso per la siccita' o se la malattia ha stremato la nostra gente cio'
non ci esime dall'accogliere i nostri fratelli e le nostre sorelle come
tali, e comunque il brutto momento che stiamo passando svanira' piu' presto
se tutti insieme, uniti, lo affronteremo per trovare una soluzione. Mi
piacerebbe potervi dire che Jumong (personaggio storico, 58-19 a. C., il cui
nome significa "grande arciere", per cui e' possibile non si tratti del nome
di nascita ma di un appellativo conferitogli in seguito) li convince. In
realta', nello sceneggiato e nella storia, per dare asilo ai migranti deve
costruire una nuova nazione con loro e per loro: e' infatti il fondatore di
Goguryeo (37 a. C. - 668 d. C.), uno stato che comprese le parti nord e
centro della penisola coreana, e a sud la Manciuria e la provincia marittima
russa. Nello sceneggiato e nella storia Jumong combatte in armi, ma mai se
puo' evitarlo, mai se puo' sedersi ad un tavolo a trattare, e persino i
peggiori nemici ricevono ascolto da lui se lo chiedono: in questo modo
unifica tribu' e piccole nazioni, compone dissidi, acquisisce leali
compagni, crea una nazione confederale come quella da cui i migranti
provenivano.
Perche' vi ho raccontato questo? Perche' sono triste. Perche' leggere dei
provvedimenti votati dal governo italiano in materia di "sicurezza" mi ha
riportato alla memoria le scene terribili delle deportazioni dei migranti
nello sceneggiato: io sono una dannata empatica e tremo persino davanti ad
una messa in scena televisiva, non vi dico cos'altro mi e' sfilato in mente,
dalle foto di Auschwitz al documentario in cui mucchi di cadaveri di bambini
africani vengono caricati come sacchi di immondizia su un camion. Vi ho
raccontato questo perche' neppure i maligni re ed i biechi primi ministri in
"Jumong" se ne escono con la pensata di far pagare la richiesta di
cittadinanza, o di incarcerare chi affitta case ai rifugiati, o di tenere
registri di chi da queste case viene buttato fuori per paura della norma
precedente. C'era ancora un po' di decenza, forse, anche nei farabutti.

3. UNA SOLA UMANITA'. SILVIA AGOSTINI: LE PERSONE MIGRANTI SONO ESSERI
UMANI?
[Ringraziamo Silvia Agostini del gruppo asilo dell'Arci-solidarieta' di
Viterbo (per contatti: agostini at arci.it) per questo intervento]

Venghino, signori, venghino! Ecco a voi il pacchetto sicurezza. Un decreto
imballato, avvolto, inscatolato in una bella confezione, pronta all'uso,
adatta a chi come noi vuol sentirsi piu' sicuro, vuole rimanere protetto,
rinchiuso, senza alcun contatto con gli altri, i diversi da noi, quelli che
ci allarmano e ci spaventano. L'Italia ha votato questa maggioranza, una
maggioranza che confeziona pacchi, pacchetti sicurezza, per farci sentire
protetti. E' questo che vuole il cittadino italiano.
Avremo finalmente il reato di immigrazione clandestina. Tradotto: qualsiasi
persona che arrivera' in Italia sara' considerata delinquente, al pari di un
ladro, un assassino, un evasore fiscale e quindi tradotto in carcere, solo
ed esclusivamente perche' giunto in Italia. Tanto per citare i risvolti
pratici della situazione, vi immaginate come scoppieranno le nostre carceri?
E cosi', per dire, che ne sara' dei diritti umani? Della Convenzione di
Ginevra? Come potra' essere veramente garantita la protezione internazionale
per rifugiati e richiedenti asilo? E poi la nostra Costituzione, e' gia'
carta straccia?
Vuoi vedere che veramente un migrante, un "clandestino", non e' nemmeno un
individuo, un essere umano, perche' privo di documenti? Forse stanno proprio
cosi' le cose.
Riconosciamo gli individui, gli essere umani, solo in quanto uguali e
rispondenti ai nostri criteri. Altrimenti come si spiegherebbe
l'atteggiamento verso il popolo Rom e la vicenda che ha visto  protagonisti
alcuni sindaci della nostra provincia, indignati per la proposta, o meglio,
per la voce sull'insediamento nel viterbese di un campo nomadi attrezzato?
Erano tutti pronti al grido: "A noi le ruspe!". Ma il campo nomadi
attrezzato non e' stato mai realizzato, probabilmente nemmeno mai concepito.
In compenso abbiamo avuto un'idea brillante: le ronde. Eccole, pronte,
usciranno fresche fresche e "con fiducia" dal pacchetto sicurezza di
giovedi'. Cittadini, italiani naturalmente, potranno costituirsi, non come
associazione (per carita', quelle anzi sono sempre piu' attaccate e
destabilizzate) in gruppi organizzati per la vigilanza delle citta' e dei
quartieri ai quali appartengono. Inizialmente l'articolo del decreto
consentiva anche l'uso delle armi.
Quindi, riflettiamo bene.
Io sono un cittadino, anzi una cittadina di tutto rispetto. Lavoro, torno a
casa, ho una famiglia. Chi potra' mai accusarmi, denunciarmi, anche solo
segnalarmi alla polizia? Per rischiare di essere perseguita dovrei proprio
andarmela a cercare. Dovrei, per esempio, avere costanti litigi con il
vicino, che mi accusa di lasciare il nostro cancelletto condominiale sempre
aperto, cosa che a lui proprio non va giu'. E questo mio vicino potrebbe far
parte di una ronda di quartiere. Un giorno potrebbe entrare in casa mia,
dirimpetto alla sua, aggredirmi o magari spararmi e poi dire che era un po'
che mi teneva sotto controllo e che nascondevo qualcosa. Di certo sarebbe
condannato.. chissa' se per i rondisti ci sono delle attenuanti.
Pura fantascienza? Ma se invece il fatto sopra descritto fosse gia'
successo? Il signor Behari Diouf, 42 anni, di origine senegalese, proprio
qui a due passi, a Civitavecchia, e' stato freddato dentro la sua casa, dal
suo dirimpettaio, un poliziotto fuori servizio irritato per il fatto che
Diouf non chiudeva mai il cancelletto in comune. Dicono che fosse un
poliziotto particolare, un po' irascibile, che aveva gia' provocato guai.
Beh, allora e' tutta un'altra storia. La vittima e' uno straniero (regolare
da piu' di 12 anni, in possesso di una licenza e di un banco presso il
mercato di Civitavecchia e conosciuto da mezza citta'), il poliziotto e' un
tipo un po' strano, iracondo... quindi, e' tutto diverso. Lui straniero,
l'altro esagitato, in questi casi puo' capitare di essere uccisi per nulla.
In un paese dove la Costituzione viene vilipesa e dissacrata a colpi di
decreti e la democrazia e' presa a prestito dai politici per dimostrarci in
quale nazione civile viviamo, e' tutto normale, giustificato. E' questo a
cui abilmente ci stanno abituando. Insinuarsi "democraticamente", attraverso
i media: questa e' la vera, nuova forma di politica globale.
Ma puo' capitare che, a volte, alcuni di noi si chiedano, per sbaglio: come
mai un'altra vittima innocente? Dopo l'indiano quasi morto a Nettuno, Diouf
a Civitavecchia, i migliaia di migranti e rifugiati morti o dispersi in
mare - fra cui la giovane ragazza di 18 anni, incinta, abbandonata insieme
agli altri al largo delle coste italiane; dopo i 500 appena rispediti in
Libia, dove verranno torturati, incarcerati e le donne stuprate, capita che
ci domandiamo, al risveglio, a digiuno dai media: che ne sara' di quei
300.000 "irregolari" che sono in Italia da anni e di tutti quelli che
riusciranno ad entrarvi? Percorrendo la strada verso il lavoro, verso la
scuola dei figli o di ritorno dal week-end fuori, troveremo una risposta
semplice, accomodante. Ci lasceremo tutto alle spalle, respirando a pieni
polmoni l'aria profumata della nostra vita piena e magari penseremo che,
dopotutto, in Italia non c'e' mica la pena di morte.

4. UNA SOLA UMANITA'. IDA DOMINIJANNI: LE PAROLE CHE ACCECANO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 maggio 2009 col titolo "Se l'altro e'
maleodorante"]

Prendiamo l'ultima di Berlusconi, "noi non siamo per la societa'
multietnica", e analizziamola dal punto di vista retorico. Che cosa
significa una frase cosi'? Il linguaggio del potere, come si sa, e' sempre
performativo, ottiene cioe' sempre effetti di realta', anche quando, come in
questo caso, va palesemente contro la realta'. Essere contro la societa'
multietnica vorrebbe dire infatti essere contro una realta' di fatto,
giacche' l'Italia, sia pure con grande ritardo rispetto ad altre democrazie
occidentali, una societa' multietnica sta di fatto diventando, anzi e' gia'
diventata. Si tratta dunque di un'affermazione paranoica, che parte da una
negazione bella e buona del reale. Ma che produce pero' il suo effetto di
realta', che consiste nell'instillare la convinzione - anch'essa paranoica -
che "si possa" essere contro la societa' multietnica, che si possa e si
debba fare di questo una bandiera politica, che si possa e si debba militare
per questo. Di fatto, siamo dunque di fronte in primo luogo a
un'affermazione sobillatrice, che non si limita a registrare o a cavalcare
la xenofobia e il razzismo, ma li produce e ne fa valori politici
mobilitanti.
In secondo luogo, trattandosi di Berlusconi e non di un altro leader
xenofobo della destra europea, l'affermazione va letta nel quadro della sua
estetica, ingrediente cruciale, com'e' noto, della sua etica e della sua
politica. Il nostro ci aveva gia' spiegato che candidare veline e dintorni
serve a ripulire e profumare la scena istituzionale, abitata dai
rappresentanti "malvestiti e maleodoranti" dell'opposizione. Ora se i
parlamentari di centrosinistra sono malvestiti e maleodoranti figuriamoci i
migranti che arrivano per mare dal deserto stipati nei container e nelle
stive. Il senso estetico del premier non puo' sopportarlo. L'Italia, di
conseguenza, secondo lui nemmeno. E qui l'operazione di negazione raddoppia,
e rientra nel piu' generale remake della realta' a cui Berlusconi lavora da
sempre: decidere il canone del bello, imporlo via tv, resecare dal visibile
e ridurre all'invisibile tutto cio' che non vi si conforma. Fatto, la
realta' diventa reality e gli elettori si convincono di vivere nel piu'
bello dei mondi possibili.
Su "La Repubblica" di ieri Stefano Rodota' invita giustamente a una
contromobilitazione: "10, 100, 1000 Rosa Parks all'incontrario" per cedere
il posto in metropolitana agli immigrati, ordinare a gran voce kebab nelle
citta'-fortino della pastasciutta, andare a Bergamo a mendicare per piu' di
un'ora ed esigere dai media la segnalazione puntuale degli episodi di
quotidiano razzismo. C'e' solo da sottoscrivere, e non c'e' una parola da
aggiungere alla denuncia delle violazioni della Costituzione italiana e
della Carta europea dei diritti perpetrate, frase dopo frase, atto dopo
atto, dalla politica "di contenimento dell'immigrazione" del governo.
Aggiungo soltanto che ormai non si tratta piu' solo di violazione dei
diritti, ma di qualcosa di piu' profondo, piu' insidioso e, se non stiamo
molto attenti, piu' definitivo. Abituati a un uso meramente tattico della
legge nonche' della sua violazione e sospensione, i regimi biopolitici si
installano e governano lavorando - e lavorandoci - anche se non
prioritariamente su altri piani, che prima della nostra consapevolezza dei
diritti, e di essere soggetti di diritti, riguardano la nostra percezione
del reale e dell'umano e il nostro modo di essere umani. Decidono e
impongono il bello e il brutto, il visibile e l'invisibile, il dicibile e
l'indicibile, e si insinuano, prima che nella nostra testa, nei nostri
sensi: vista, olfatto, tatto, sessualita'. A forza di vedere il canone
estetico berlusconiano nelle tv berlusconiane (e non), non vedremo altra
realta' - altro reality - che quella. A forza di ostentazione e ossessione
sessuale berlusconiane, l'unica sessualita' riconoscibile diventa quella. A
forza di sentirci dire che l'altro - che sia l'avversario politico o
l'immigrato - puzza e si veste male, il nostro olfatto e il nostro gusto
saranno allertati e si allerteranno a mettere all'opera questo criterio
nelle relazioni sociali, e a discriminare in base a questo criterio chi e'
dei nostri e chi non lo e'.
Si vede bene, in questa sequenza, come una certa politica sul corpo
femminile sia sempre sintomatica di una piu' generale politica sul corpo, e
di un piu' generale modo di intendere l'umano e di dividere il mondo fra chi
e' pienamente umano - "noi": occidentali, bianchi, indigeni, stanziali,
belli e profumati - e chi lo e' un po' meno, subumano o non umano. Fino a
poter essere trattato infatti come se non fosse piu' soggetto di quelli che
ancora chiamiamo, con pretese universalistiche, "diritti umani". E a potere
essere lasciato sospeso al confine fra terra e mare, fra uno stato sovrano e
un altro, o rinchiuso in un campo ne' vivo ne' morto, ne' libero ne'
prigioniero, ne' cittadino ne' ospite. Resecato dal reale, in una terra di
nessuno dove i nostri sensi, vista udito e tatto, non possono ne' vederlo
ne' ascoltarlo ne' toccarlo, e nemmeno raggiungerlo.

5. UNA SOLA UMANITA'. CINZIA GUBBINI INTERVISTA DOMENICO GALLO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 maggio 2009 col titolo "Il magistrato:
Non sono respingimenti ma vere deportazioni" e il sottotitolo "L'operazione
viola anche la Costituzione"

Domenico Gallo, magistrato presso il Tribunale di Roma, studia da anni
questioni attinenti il diritto internazionale e i diritti dell'uomo. Lo
intervistiamo sui respingimenti in Libia decisi dal governo italiano e sulle
implicazioni presenti e future.
*
- Cinzia Gubbini: Dottore, i respingimenti verso la Libia sono legittimi?
- Domenico Gallo: Assolutamente no.
*
- Cinzia Gubbini: Di cosa parla, dunque, chi dice che questa operazione e'
legale, a partire dal presidente del Consiglio?
- Domenico Gallo: Probabilmente si riferisce a una missione europea che si
chiama Frontex e che riguarda la sorveglianza delle frontiere per
contrastare lo sbarco di migranti irregolari. Ma qui ci troviamo di fronte a
una situazione completamente diversa. Non si tratta di dissuadere uno
sbarco. Stiamo parlando di persone che sono state prelevate, fatte salire su
navi militari italiane e quindi assoggettate alla sovranita' italiana - il
codice penale dice che la nave e' territorio italiano. Inoltre, sono state
sottoposte a un provvedimento coercitivo, nel momento in cui sono state
riaccompagnate verso un paese dove non volevano andare. Un provvedimento per
giunta collettivo, non individuale. Quindi, piu' che un'espulsione
collettiva e' stata una deportazione collettiva. Questo tipo di procedura e'
vietato dal diritto penale internazionale: in tutte le convenzioni
internazionali e' contemplato il divieto di espellere collettivamente gli
stranieri.
*
- Cinzia Gubbini: Cosa avrebbero dovuto fare gli italiani?
- Domenico Gallo: Avrebbero dovuto attuare la lege Bossi-Fini. Che,
all'articolo 10, prevede il cosiddetto "respingimento differito". Gli
stranieri bisognosi di un soccorso possono essere respinti dopo essere stati
salvati. Ma il provvedimento adottato dal prefetto deve essere individuale.
La legge inoltre esclude, all'articolo 19, le persone minori di anni 18, le
donne in stato di gravidanza, i richiedenti asilo, le persone che potrebbero
essere soggette a atti persecutori nel paese di riammissione.
*
- Cinzia Gubbini: A proposito del paese di riammissione, cosa si puo' dire
sulla Libia?
- Domenico Gallo: Che non e' un paese sicuro. L'Italia puo' ovviamente
stipulare accordi con la Libia, ma essi non possono essere contrari a norme
imperative del diritto internazionale. E quello firmato prima da Amato e poi
da Berlusconi non costringe di certo il nostro paese a consegnare chi
viaggia sui barconi alla Libia. Semplicemente, la Libia accetta le persone
che l'Italia decide di rimandare indietro. Ma l'utilizzo o meno di questa
procedura dipende dall'Italia. Ovviamente l'Italia non si obbliga a violare
le proprie norme in materia di immigrazione, come anche il rispetto della
Convenzione di Ginevra sui richiedenti asilo e rifugiati. Questa Convenzione
non impone di accettare le domande, ma impone il divieto di espellere i
richiedenti asilo che uno Stato non vuole verso un paese dove potrebbero
subire persecuzioni. Quindi, nel caso dei respingimenti di questi giorni,
l'Italia sta violando le sue stesse leggi, le leggi internazionali e anche
la Costituzione che non consente di derogare agli obblighi internazionali.
*
- Cinzia Gubbini: Perche' la Costituzione prevede anche questi casi?
- Domenico Gallo: Si', e' il nuovo articolo 117, come modificato dalla
riforma del titolo V, il cosiddetto federalismo. In cui si specifica che la
potesta' legislativa di stato e regioni si esercita non solo nel rispetto
della Costituzione, ma anche "dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali". Prima di questa riforma c'era
un ampio dibattito giuridico sulla possibilita' o meno di violare gli
obblighi internazionali, che questa nuova formulazione ha superato.
*
- Cinzia Gubbini: Ma se l'Italia decidesse di non caricare piu' i profughi a
bordo delle navi militari, e decidesse di creare una specie di blocco
navale, sarebbe legittimo?
- Domenico Gallo: E' qui che c'e' una schizofrenia, politica e legislativa.
Non puoi fare una missione militare che impedisca a una nave di profughi di
sbarcare sulle tue frontiere, visto che sei obbligato ad affrontare il
problema se abbiano o meno il diritto di asilo. Se uno stato volesse attuare
un blocco navale, allora dovrebbe aprire degli uffici preposti al vaglio
delle domande di asilo nei paesi di partenza.
*
- Cinzia Gubbini: Anche questo e' un argomento che sta prendendo piede. Ma
e' lecito che uno Stato "sposti" le proprie frontiere in un paese terzo?
- Domenico Gallo: Innanzitutto un'operazione di questo tipo richiederebbe la
collaborazione del paese terzo: parliamo anche della necessita' di
trattenere queste persone per un determinato periodo, quindi si dovrebbero
creare delle Commissioni ad hoc, inoltre andrebbe garantito un vaglio
giurisdizionale. Si tratta di atti di sovranita' esercitati in un altro
Stato. Si potrebbe fare soltanto in presenza di un accordo di ferro. Mi
sembra piuttosto problematico. Si tratterebbe poi di aprire uffici europei,
poiche' le persone che approdano in Italia, o a Malta, in realta' vogliono
chiedere asilo anche ad altri paesi dell'Unione.
*
- Cinzia Gubbini: Ma la Convenzione Dublino II impone di presentare la
richiesta nel primo paese di approdo...
- Domenico Gallo: Ecco, questo mi sembra un limite che i paesi europei
dovrebbero superare: e' chiaro che non si puo' scaricare tutto il peso sui
paesi rivieraschi.
*
- Cinzia Gubbini: Tornando ai respingimenti, siamo di fronte al tramonto dei
diritti individuali?
- Domenico Gallo: Credo che il fenomeno di fondo sia la caduta
dell'universalita'. Dal respingimento dei profughi alle nuove leggi in
approvazione sull'immigrazione, osserviamo l'esclusione di una parte
dell'umanita' dal godimento dei diritti fondamentali che una volta erano
concepiti come universali. Di fatto, non viene piu' contemplata un'unica
famiglia umana.

6. MEMORIA. HANNAH ARENDT: LA RESISTENZA NONVIOLENTA IN DANIMARCA
[Da Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme,
Feltrinelli, Milano 1964, 1993, alle pp. 177-182. E' un brano che abbiamo
gia' altre volte riprodotto su questo foglio.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo
l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano
2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su
Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl,
Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici:
Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito,
L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996;
Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti,
Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona
Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi
politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994;
Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia
Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due
piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato
iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei
Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

La storia degli ebrei danesi e' una storia sui generis, e il comportamento
della popolazione e del governo danese non trova riscontro in nessun altro
paese d'Europa, occupato o alleato dell'Asse o neutrale e indipendente che
fosse. Su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte
le universita' ove vi sia una facolta' di scienze politiche, per dare
un'idea della potenza enorme della nonviolenza e della resistenza passiva,
anche se l'avversario e' violento e dispone di mezzi infinitamente
superiori. Certo, anche altri paesi d'Europa difettavano di "comprensione
per la questione ebraica", e anzi si puo' dire che la maggioranza dei paesi
europei fossero contrari alle soluzioni "radicali" e "finali". Come la
Danimarca, anche la Svezia, l'Italia e la Bulgaria si rivelarono quasi
immuni dall'antisemitismo, ma delle tre di queste nazioni che si trovavano
sotto il tallone tedesco soltanto la danese oso' esprimere apertamente cio'
che pensava. L'Italia e la Bulgaria sabotarono gli ordini della Germania e
svolsero un complicato doppio gioco, salvando i loro ebrei con un tour de
force d'ingegnosita', ma non contestarono mai la politica antisemita in
quanto tale. Era esattamente l'opposto di quello che fecero i danesi. Quando
i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo
giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i
ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita
avrebbe provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che
i tedeschi non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione
tra gli ebrei di origine danese (che erano circa seimilaquattrocento) e i
millequattrocento ebrei di origine tedesca che erano riparati in Danimarca
prima della guerra e che ora il governo del Reich aveva dichiarato apolidi.
Il rifiuto opposto dai danesi dovette stupire enormemente i tedeschi,
poiche' ai loro occhi era quanto mai "illogico" che un governo proteggesse
gente a cui pure aveva negato categoricamente la cittadinanza e anche il
permesso di lavorare. (Dal punto di vista giuridico, prima della guerra la
situazione dei profughi in Danimarca non era diversa da quella che c'era in
Francia, con la sola differenza che la corruzione dilagante nella vita
amministrativa della Terza Repubblica permetteva ad alcuni di farsi
naturalizzare, grazie a mance o "aderenze", e a molti di lavorare anche
senza un permesso; la Danimarca invece, come la Svizzera, non era un paese
pour se debrouiller). I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome i
profughi, in quanto apolidi, non erano piu' cittadini tedeschi, i nazisti
non potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Fu uno
dei pochi casi in cui la condizione di apolide si rivelo' un buon pretesto,
anche se naturalmente non fu per il fatto in se' di essere apolidi che gli
ebrei si salvarono, ma perche' il governo danese aveva deciso di difenderli.
Cosi' i nazisti non poterono compiere nessuno di quei passi preliminari che
erano tanto importanti nella burocrazia dello sterminio, e le operazioni
furono rinviate all'autunno del 1943.
Quello che accadde allora fu veramente stupefacente; per i tedeschi, in
confronto a  cio' che avveniva in altri paesi d'Europa, fu un grande
scompiglio. Nell'agosto del 1943 (quando ormai l'offensiva tedesca in Russia
era fallita, l'Afrika Korps si era arreso in Tunisia e gli Alleati erano
sbarcati in Italia) il governo svedese annullo' l'accordo concluso con la
Germania nel 1940, in base al quale le truppe tedesche  avevano il diritto
di attraversare la Svezia. A questo punto i danesi decisero di accelerare un
po' le cose: nei cantieri della Danimarca ci furono sommosse, gli operai si
rifiutarono di riparare le navi tedesche e scesero in sciopero. Il
comandante militare tedesco proclamo' lo stato d'emergenza e impose la legge
marziale, e Himmler penso' che fosse il momento buono per affrontare il
problema ebraico, la cui "soluzione" si era fatta attendere fin troppo. Ma
un fatto che Himmler trascuro' fu che (a parte la resistenza danese) i capi
tedeschi che ormai da anni vivevano in Danimarca non erano piu' quelli di un
tempo. Non solo il generale von Hannecken, il comandante militare, si
rifiuto' di mettere truppe a disposizione del dott. Werner Best,
plenipotenziario del Reich; ma anche le unita' speciali delle SS (gli
Einsatzkommandos) che lavoravano in Danimarca trovarono molto da ridire sui
"provvedimenti ordinati dagli uffici centrali", come disse Best nella
deposizione che rese poi a Norimberga. E lo stesso Best, che veniva dalla
Gestapo ed era stato consigliere di Heydrich e aveva scritto un famoso libro
sulla polizia e aveva lavorato per il governo militare di Parigi con piena
soddisfazione dei suoi superiori, non era piu' una persona fidata, anche se
non e' certo che a Berlino se ne rendessero perfettamente conto. Comunque,
fin dall'inizio era chiaro che le cose non sarebbero andate bene, e
l'ufficio di Eichmann mando' allora in Danimarca uno dei suoi uomini
migliori, Rolf Guenther, che sicuramente nessuno poteva accusare di non
avere la necessaria "durezza". Ma Guenther non fece nessuna impressione ai
suoi colleghi di Copenhagen, e von Hannecken si rifiuto' addirittura di
emanare un decreto che imponesse a tutti gli ebrei di presentarsi per essere
mandati a lavorare.
Best ando' a Berlino e ottenne la promessa che tutti gli ebrei danesi
sarebbero stati inviati a Theresienstadt, a qualunque categoria
appartenessero - una concessione molto importante, dal punto di vista dei
nazisti. Come data del loro arresto e della loro immediata deportazione (le
navi erano gia' pronte nei porti) fu fissata la notte del primo ottobre, e
non potendosi fare affidamento ne' sui danesi ne' sugli ebrei ne' sulle
truppe tedesche di stanza in Danimarca, arrivarono dalla Germania unita'
della polizia tedesca, per effettuare una perquisizione casa per casa. Ma
all'ultimo momento Best proibi' a queste unita' di entrare negli alloggi,
perche' c'era il rischio che la polizia danese intervenisse e, se la
popolazione danese si fosse scatenata, era probabile che i tedeschi avessero
la peggio. Cosi' poterono essere catturati soltanto quegli ebrei che
aprivano volontariamente la porta. I tedeschi trovarono esattamente 477
persone (su piu' di 7.800) in casa e disposte a lasciarli entrare. Pochi
giorni prima della data fatale un agente marittimo tedesco, certo Georg F.
Duckwitz, probabilmente istruito dallo stesso Best, aveva rivelato tutto il
piano al governo danese, che a sua volta si era affrettato a informare i
capi della comunita' ebraica. E questi, all'opposto dei capi ebraici di
altri paesi, avevano comunicato apertamente la notizia ai fedeli, nelle
sinagoghe, in occasione delle funzioni religiose del capodanno ebraico. Gli
ebrei ebbero appena il tempo di lasciare le loro case e di nascondersi, cosa
che fu molto facile perche', come si espresse la sentenza, "tutto il popolo
danese, dal re al piu' umile cittadino", era pronto a ospitarli.
Probabilmente sarebbero dovuti rimanere nascosti per tutta la durata della
guerra se la Danimarca non avesse avuto la fortuna di essere vicina alla
Svezia. Si ritenne opportuno trasportare tutti gli ebrei in Svezia, e cosi'
si fece con l'aiuto della flotta da pesca danese. Le spese di trasporto per
i non abbienti (circa cento dollari a persona) furono pagate in gran parte
da ricchi cittadini danesi, e questa fu forse la cosa piu' stupefacente di
tutte, perche' negli altri paesi gli ebrei pagavano da se' le spese della
propria deportazione, gli ebrei ricchi spendevano tesori per comprarsi
permessi di uscita (in Olanda, Slovacchia e piu' tardi Ungheria), o
corrompendo le autorita' locali o trattando "legalmente" con le SS, le quali
accettavano soltanto valuta pregiata e, per esempio in Olanda, volevano dai
cinquemila ai diecimila dollari per persona. Anche dove la popolazione
simpatizzava per loro e cercava sinceramente di aiutarli, gli ebrei dovevano
pagare se volevano andar via, e quindi le possibilita' di fuggire, per i
poveri, erano nulle.
Occorse quasi tutto ottobre per traghettare gli ebrei attraverso le
cinque-quindici miglia di mare che separano la Danimarca dalla Svezia. Gli
svedesi accolsero 5.919 profughi, di cui almeno 1.000 erano di origine
tedesca, 1.310 erano mezzi ebrei e 686 erano non ebrei sposati ad ebrei.
(Quasi la meta' degli ebrei di origine danese rimase invece in Danimarca, e
si salvo' tenendosi nascosta). Gli ebrei non danesi si trovarono bene come
non mai, giacche' tutti ottennero il permesso di lavorare. Le poche
centinaia di persone che la polizia tedesca era riuscita ad arrestare furono
trasportate a Theresienstadt: erano persone anziane o povere, che o non
erano state avvertite in tempo o non avevano capito la gravita' della
situazione. Nel ghetto godettero di privilegi come nessun altro gruppo,
grazie all'incessante campagna che in Danimarca fecero su di loro le
autorita' e privati cittadini. Ne perirono quarantotto, una percentuale non
molto alta, se si pensa alla loro eta' media. Quando tutto fu finito,
Eichmann si senti' in dovere di riconoscere che "per varie ragioni" l'azione
contro gli ebrei danesi era stata un "fallimento"; invece quel singolare
individuo che era il dott. Best dichiaro': "Obiettivo dell'operazione non
era arrestare un gran numero di ebrei, ma ripulire la Danimarca dagli ebrei:
ed ora questo obiettivo e' stato raggiunto".
L'aspetto politicamente e psicologicamente piu' interessante di tutta questa
vicenda e' forse costituito dal comportamento delle autorita' tedesche
insediate in Danimarca, dal loro evidente sabotaggio degli ordini che
giungevano da Berlino. A quel che si sa, fu questa l'unica volta che i
nazisti incontrarono una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare
che quelli di loro che vi si trovarono coinvolti cambiarono mentalita'. Non
vedevano piu' lo sterminio di un intero popolo come una cosa ovvia. Avevano
urtato in una resistenza basata su saldi principi, e la loro "durezza" si
era sciolta come ghiaccio al sole permettendo il riaffiorare, sia pur
timido, di un po' di vero coraggio. Del resto, che l'ideale della "durezza",
eccezion fatta forse per qualche bruto, fosse soltanto un mito creato
apposta per autoingannarsi, un mito che nascondeva uno sfrenato desiderio di
irreggimentarsi a qualunque prezzo, lo si vide chiaramente al processo di
Norimberga, dove gli imputati si accusarono e si tradirono a vicenda
giurando e spergiurando di essere sempre stati "contrari" o sostenendo, come
fece piu' tardi anche Eichmann, che i loro superiori avevano abusato delle
loro migliori qualita'. (A Gerusalemme Eichmann accuso' "quelli al potere"
di avere abusato della sua "obbedienza": "il suddito di un governo buono e'
fortunato, il suddito di un governo cattivo e' sfortunato: io non ho avuto
fortuna"). Ora avevano perduto l'altezzosita' d'un tempo, e benche' i piu'
di loro dovessero ben sapere che non sarebbero sfuggiti alla condanna,
nessuno ebbe il fegato di difendere l'ideologia nazista.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 249 del 14 maggio 2009

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it