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Minime. 816
- Subject: Minime. 816
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 10 May 2009 15:50:18 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 816 del 10 maggio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Opporsi al colpo di stato razzista 2. Per la messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord 3. Dagmawi Yimer: Una testimonianza 4. Gian Antonio Stella: L'asilo negato 5. Umberto De Giovannangeli intervista Bill Frelick 6. Cinzia Gubbini: L'impiccagione 7. Alessandro Dal Lago: L'avanguardia 8. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto 9. Non piu' candida ma purpurea la veste di quei candidati 10. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 11. Filippo La Porta: Nicola Chiaromonte e il '68 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. OPPORSI AL COLPO DI STATO RAZZISTA E' oggi che occorre opporsi al colpo di stato razzista. 2. INIZIATIVE. PER LA MESSA FUORILEGGE DELL'ORGANIZZAZIONE RAZZISTA DENOMINATA LEGA NORD [Riproponiamo il seguente appello] Al Presidente della Repubblica Italiana Al Presidente del Senato della Repubblica Al Presidente della Camera dei Deputati Oggetto: Richiesta di iniziativa per la messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord Egregi Presidenti, ci rivolgiamo a voi come massime autorita' dello Stato per richiedere un vostro intervento al fine della messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord. Tale organizzazione, che pur essendo assolutamente minoritaria nel Paese e' riuscita ad ottenere nel governo nazionale l'affidamento di decisivi ministeri a suoi rappresentanti, persegue e proclama una politica razzista incompatibile con la Costituzione della Repubblica Italiana, con uno stato di diritto, con un ordinamento giuridico democratico, con un paese civile. Ritenendo che vi siano i presupposti per un'azione delle competenti magistrature che persegua penalmente sia i singoli atti e fatti di razzismo, sia l'azione organizzata e continuata e quindi l'associazione a delinquere che ne e' responsabile, con la presente chiediamo un vostro intervento affinche' si avviino le procedure previste dalla vigente normativa al fine della messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord e della punizione ai sensi di legge di tutti gli atti delittuosi di razzismo da suoi esponenti promossi, commessi, istigati o apologizzati. Con osservanza, Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo Viterbo, 27 febbraio 2009 3. UNA SOLA UMANITA'. DAGMAWI YIMER: UNA TESTIMONIANZA [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 maggio 2009 col titolo "La testimonianza. Io, sopravvissuto, vi racconto la non vita nei lager del deserto" e la notizia "Dagmawi Yimer e' un regista etiope, coautore del film "Come un uomo sulla terra", che racconta le sofferenze degli immigrati africani in transito per la Libia] L'ipocrisia europea, in questo caso italiana, si e' fatto viva ancora un'altra volta ieri sera quando il governo ha ricondotto in Libia tre "barche" su cui c'erano persone come me, scappate dal proprio paese per motivi politici, cioe' richiedenti asilo, gente che chiede il riconoscimento dello status di rifugiato politico. E che poi, quando riesce ad arrivare e non e' respinta in mare, ottiene dal vostro stesso governo la protezione umanitaria o l'asilo politico. Ho vissuto nelle carcere libiche per diverse settimane. Non saprei dire quanto, perche' li' perdi la cognizione del tempo, dei giorni che passano sotto il peso dei soprusi che subisci. In quelle carceri sono stato picchiato, derubato, trattato come una bestia. Infine, sono stato riportato nel lager di Kufra, nel sud del paese, al confine con il Sudan, sulla rotta che viene dal Corno d'Africa e che tutti noi emigranti in fuga dal regime dittatoriale di Addis Abeba seguiamo. Kufra e' un inferno. Vi sono stato condotto ammucchiato con altri cento prigionieri in un container con piccole fessure solo per respirare. Spesso chi viene arrestato a Tripoli o a Bengasi, nel nord della Libia, viene condotto a Kufra. Qui viene venduto ai contrabbandieri, che poi lo liberano solo previo pagamento di una somma variabile. Anche io sono stato venduto. Una volta arrivato a Kufra, i poliziotti mi hanno ceduto agli intermediari. Gli intermediari mi hanno chiesto dei soldi per liberarmi. Ho pagato. E ho potuto continuare il mio viaggio. Altri giacciono ancora in quel luogo d'orrore e negli altri centri di detenzione libici. Sono sopravissuto a tutte queste trappole organizzate e nel luglio 2006 sono finalmente sbarcato a Lampedusa. Il film "Come un uomo sulla terra" - che ho girato l'anno scorso insieme ad Andrea Segre - racconta tutte le sofferenze che io e i miei compagni di viaggio abbiamo subito prima di arrivare in Italia. Sofferenze che abbiamo subito anche grazie agli accordi bilaterali tra Italia e Libia. In questi anni abbiamo molto sperato che i problemi dei miei compagni ancora trattenuti in diverse prigioni in Libia potessero risolversi. Ma la notizia di ieri distrugge queste nostre speranze e rivela la banalita' della politica e la sua incapacita' di rispettare i diritti umani. Cedere queste persone a un paese che ancora oggi non riconosce questi diritti fondamentali e non ha firmato la Convenzione di Ginevra, e' esso stesso un delitto contro l'umanita'. Il 16 aprile abbiamo commemorato i morti del Mediterraneo insieme a quelli del terremoto dell'Aquila. Chi piangera' queste centinaia di persone che hanno sperato di trovare asilo in questo paese e sono state respinte senza essere identificate, fuggendo non soltanto dal loro paese ma anche dalle condizioni disumane, impossibili da sopportare, di una vita da clandestino in Libia, con il terrore permanente di venire rinchiusi in un centro e di non rivedere piu' la luce? Tanti altri muoiono e moriranno fino a quando la Libia non accettera' e non trattera' queste persone come persone umane, e come rifugiati. E finche' l'Italia, che pure ha alle spalle una lunga storia di emigrazione, non smettera' di pensare al respingimento come l'unico modo di trattare la questione dei rifugiati. Finche' l'Italia non ritrovera' le proprie radici di paese civile ed accogliente, posso dire una sola parola: vergogna. 4. UNA SOLA UMANITA'. GIAN ANTONIO STELLA: L'ASILO NEGATO [Dal "Corriere della sera" del 9 maggio 2009 col titolo "L'asilo negato senza verifiche e l'inferno dei campi libici" e il sommario "Tra Europa e Africa Tripoli non ha mai riconosciuto la Convenzione internazionale sulle garanzie ai perseguitati politici. Il Consiglio dei rifugiati: a un centinaio spettava il soccorso"] Chissa' quanti erano, tra quei clandestini ributtati in Libia, ad avere diritto allo status di rifugiati. Uomini, donne e bambini in fuga da regimi assassini che forse sono gia' stati ammassati in un container e stanno ora viaggiando attraverso il deserto per esser scaricati in mezzo al Sahara. Bobo Maroni, fiero della scelta, ha detto che se vogliono chiedere asilo possono farlo li'. "Anche in Libia c'e' un Cir, un centro italiano per i rifugiati, aperto a tutti", ha detto il ministro dell'Interno. Sapete quante persone ci lavorano? Una. E solo da lunedi'. E senza mezzi. E senza il riconoscimento di Tripoli. Che del resto non ha mai riconosciuto manco la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. E' chiarissima quella carta ginevrina del 1951. Ha diritto all'asilo chi scappa per il "giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche". Altrettanto netto e' l'articolo 10 della Costituzione: "Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge". Vogliamo prendere una storia a caso, dall'inferno dei campi libici? Ecco quella di una donna eritrea, cristiana, nel documentario "Come un uomo sulla terra" di Andrea Segre: "Ero in prigione con un'amica eritrea incinta, la rabbia le aveva deformato il viso. Il marito cercava di difenderla perche' il poliziotto le premeva la pancia col bastone dicendole: 'Hai in pancia un ebreo, andate in Italia e poi in Israele per combattere gli arabi'". Un'altra donna: "Preferivamo morire piuttosto che doverci togliere la croce al collo. Piangevamo, se questa era la volonta' di Dio l'accettavamo, ma la croce non la volevamo togliere. Cristiani siamo e cristiani rimarremo. E loro ci sbattevano contro il muro. Mentre gli uomini venivano picchiati noi urlavamo. Gli uomini venivano frustati sotto la pianta dei piedi fino a perdere i sensi". Situazioni agghiaccianti. Denunciate gia' nel 2004 da una Missione tecnica in Libia dell'Unione Europea, dove si parlava di abusi, arresti arbitrari, deportazioni collettive... Confermate nel febbraio 2006 dalla deposizione del prefetto Mario Mori, il direttore del Sisde, in una audizione al Comitato parlamentare di controllo: "I clandestini vengono accalappiati come cani, messi su furgoncini pick-up e liberati in centri di accoglienza dove i sorveglianti per entrare devono mettere i fazzoletti intorno alla bocca per gli odori nauseabondi...". La visita al centro di accoglienza di Seba lo aveva turbato: "Prevede di ospitare cento persone ma ce ne sono 650, una ammassata sull'altra senza rispetto di alcuna norma igienica e in condizioni terribili". Per non dire di certe deportazioni nei container blindati come quella raccontata da Anna ("Presto sotto il sole di luglio il container divento' un forno, l'aria era sempre piu' pesante, era buio pesto. I bambini piangevano. Due giorni di viaggio senza niente da bere, ne' da mangiare. Al?cuni bevevano le proprie urine") in "Fuga da Tripoli. Rapporto sulle condizioni dei migranti in transito in Libia", a cura dell'Osservatorio sulle vittime delle migrazioni "Fortress europe". Osservatorio secondo il quale in soli cinque anni "dal 1998 al 2003 piu' di 14.500 persone sono state abbandonate in mezzo al deserto lungo la frontiera libica con Niger, Ciad, Sudan ed Egitto. Molti deportati, una volta abbandonati nel deserto hanno perso la vita". E per non dire ancora degli stupri, come nella testimonianza di Fatawhit: "Ho visto molte donne violentate nel centro di detenzione di Kufrah. I poliziotti entravano nella stanza, prendevano una donna e la violentavano in gruppo davanti a tutti. Non facevano alcuna distinzione tra donne sposate e donne sole, Molte di loro sono rimaste incinta e molte di loro sono state obbligate a subire un aborto, fatto nella clandestinita', mettendo a forte rischio la propria vita". Forzature? Lasciamo la risposta al comunicato ufficiale del Servizio informazione della Chiesa italiana: "Non possiamo tollerare che le persone rischino la vita, siano torturate e che l'85 per cento delle donne che arrivano a Lampedusa siano state violentate". Per questo i vescovi non hanno dubbi: e' "una vergogna" che siano state respinte persone che "hanno gia' subito delle persecuzioni nei rispettivi Paesi". Posizione ribadita dall'"Osservatore Romano": "Preoccupa il fatto che fra i migranti possa esserci chi e' nelle condizioni di poter chiedere asilo politico. E si ricorda anzitutto la priorita' del dovere di soccorso nei confronti di chi si trova in gravi condizioni di bisogno". Questo e' il nodo: la scelta di tenere verso gli immigrati in arrivo una posizione piu' o meno dura, compassionevole o "cattiva", come ha teorizzato tempo fa Maroni, spetta a chi governa. Ed e' giusto che sia cosi'. La decisione di "fare di ogni erba un fascio", rifiutare ogni distinzione e respingere chi arriva senza neppure concedergli, per dirla coi vescovi, almeno la possibilita' di dimostrare che ha diritto all'asilo, e' pero' un'altra faccenda. Che non solo rinnega una storia piena di esuli politici (da Dante a Mazzini, da Garibaldi ai fratelli Rosselli a don Luigi Sturzo) ma, secondo Laura Boldrini e l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, fa a pezzi le regole vigenti poiche' "tutti gli obblighi internazionali" e anche la legge italiana "vietano tassativamente il respingimento di rifugiati o richiedenti asilo". Quanti erano, su quella barca respinta, quelli che avrebbero avuto diritto ad essere accolti? Risponde Christopher Hein, direttore del Cir, il Consiglio italiano per i rifugiati: "Generalmente tra i disperati che arrivano a Lampedusa quelli che chiedono diritto d'asilo sono il 70% ma di questi solo la meta' ottiene lo status di rifugiato. Gli egiziani o i maghrebini, per esempio, difficilmente lo chiedono. Del resto difficilmente lo otterrebbero. Gli stessi cinesi non lo chiedono mai. Ora, poiche' tra i passeggeri di quella nave riportati in Libia non c'erano maghrebini, egiziani o cinesi, e' presumibile che almeno il 70% avrebbe chiesto asilo. E di questi, con ogni probabilita', la meta' ne aveva diritto. Il che significa che l'Italia ha respinto almeno un centinaio di persone alle quali la nostra Costituzione garantiva il soccorso". Non possono farlo adesso? "La vedo dura. In tutta la Libia, dico tutta (non sappiamo neppure quanti siano i centri libici di detenzione, pare 25) abbiamo una persona. Che si e' insediata da quattro giorni. Senza avere ancora il riconoscimento delle autorita'. Veda un po' lei...". 5. UNA SOLA UMANITA'. UMBERTO DE GIOVANNANGELI INTERVISTA BILL FRELICK [Dal quotidiano "L'Unita'" del 9 maggio 2009 col titolo "I migranti fuggono da condizioni gravi e inumane" e il sommario "Il responsabile rifugiati di Human Rights Watch: Sono stupito dalle dichiarazioni dei ministri italiani. Hanno rimandato persone in situazioni di pericolo. Intervista a Bill Frelick di Umberto De Giovannangeli] Un atto d'accusa forte, argomentato. Human Rights Watch critica duramente il governo italiano per la decisione di far tornare 227 migranti in Libia. A spiegare le ragioni di questa denuncia e' Bill Frelick, responsabile del settore rifugiati dell'organizzazione per la difesa dei diritti umani che ha la sua centrale negli Stati Uniti. * - Umberto De Giovannangeli: La decisione assunta dal governo italiano di far tornare 227 migranti in Libia ha sollevato polemiche e denunce. Tra queste, quella di Human Rights Watch. Su che basi si fonda la vostra posizione? - Bill Frelick: Su basi solidissime che fanno riferimento alla Convenzione di Ginevra e a precise norme del diritto internazionale in materia di diritti inalienabili della persona, tra i quali il diritto d'asilo. Sono stupito, amareggiato e fortemente preoccupato nel leggere le dichiarazioni di ministri del governo italiano che rivendicano con orgoglio la decisione di rispedire indietro 227 migranti, senza avvertire l'obbligo di accertare prima la loro identita' e la situazione dalla quale fuggivano. L'Italia si e' comportata come se avesse fatto qualcosa di positivo rimandando immediatamente queste persone indietro. * - Umberto De Giovannangeli: Invece? - Bill Frelick: In realta', hanno negato a queste persone il diritto di asilo e le hanno messe in una situazione difficile, di grave pericolo. Sappiamo quanto duramente la Libia abbia trattato altri migranti rientrati nel Paese. I rapporti di agenzie internazionali che documentano gli abusi subiti da persone nei campi di "accoglienza" libici sono di dominio pubblico. Mi chiedo se i governanti italiani li hanno letti e presi in considerazione. Ne dubito fortemente. * - Umberto De Giovannangeli: Insisto su questo punto. Il governo di Tripoli nega questi maltrattamenti. Per averne riferito "L'Unita'" e' stata querelata dall'ambasciatore libico a Roma... - Bill Frelick: Se vuole, posso metterle a disposizione le testimonianze raccolte da volontari di Hrw che hanno visitato migranti in Libia, a Malta, ora anche in Sicilia. Sono testimonianze sconvolgenti che fanno riferimento a maltrattamenti e detenzioni in condizioni inumane da parte delle autorita' libiche. I nostri volontari hanno visto il terrore negli sguardi di questa povera gente. "Non ci abbandonate", ripetevano, "Non ci condannate a morte". Molte di queste persone hanno storie di sofferenze indicibili, di abusi. Fuggivano da situazioni di guerra e di sofferenza. E avevano paura di tornare in quei centri di detenzione. Prima di rimandare indietro queste persone occorre pensarci non una ma cento volte. Perche' a rischio e' la loro stessa vita. * - Umberto De Giovannangeli: Il governo italiano ribadisce la necessita' di garantire il diritto alla sicurezza. - Bill Frelick: Il primo diritto da garantire e' quello alla vita. Diritto che viene ogni giorno messo in discussione da organizzazioni criminali che fanno affari con la tratta di esseri umani; diritto che viene negato da quei regimi che perseguitano donne e uomini per la loro appartenenza etnica o per il loro credo religioso. Questo diritto va difeso e garantito. Operando perche' vengano meno le motivazioni che spingono centinaia di migliaia di persone a fuggire dall'inferno dei loro Paesi e avventurarsi in mare. Un'avventura comunque tragica. Questa azione e' il modo piu' giusto ed efficace per garantire la propria sicurezza. E per mantenere in vita una cultura dell'accoglienza e del rispetto dei piu' deboli. 6. UNA SOLA UMANITA'. CINZIA GUBBINI: L'IMPICCAGIONE [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 maggio 2009 col titolo "Si impicca nel Cie. Oggi avrebbe dovuto essere rimpatriata" e il sommario "Ponte Galeria. Nabruka M. viveva da anni in Italia. Era uscita dal carcere e sperava in un permesso di soggiorno"] Non vedeva la Tunisia da trent'anni, Nabruka M. Da quando, negli anni '80, era arrivata in Italia. Ma il suo destino era segnato: un passaporto pronto, nuovo di zecca, e un aereo che l'avrebbe riportata nel suo paese di origine proprio ieri pomeriggio. Lei ha preferito ammazzarsi. Nabruka, 49 anni, si e' impiccata ieri notte nel bagno del centro di espulsione romano di Ponte Galeria, dove era rinchiusa dal 24 aprile. Lo ha fatto con l'unica cosa che aveva a disposizione: la sua maglietta elasticizzata. Gli operatori della Croce rossa italiana l'hanno trovata ieri mattina alle 6,45. In un comunicato il direttore del comitato provinciale della Cri, Claudio Iocchi, parla di un gesto "di cui nessuno aveva avuto sentore, nemmeno le sue compagne di stanza. Del resto l'ospite non aveva mai dato segnali in tal senso, ne' era stata sottoposta a qualsivoglia tipo di cure farmacologiche o psicologiche". Nabruka, infatti, era perfettamente cosciente. Era soltanto disperata. Lo raccontano, dall'interno, i detenuti del centro: "Non voleva tornare indietro. Non poteva crederci. Diceva che nessuno l'aspettava e che non aveva piu' nulla li'. E si vergognava di quello che aveva fatto. Aveva paura di come sarebbe stata accolta". La storia di Nabruka e' quella della "clandestina" perfetta, senza permesso di soggiorno e in piu' con precedenti penali. Di quelli che possono essere rispediti indietro senza tanti complimenti, anche se vivono in Italia da anni. Il suo nome nei registri italiani appare per la prima volta nel 1999, quando grazie alla sanatoria ottiene un permesso di soggiorno. Ma due anni dopo non e' in grado di rinnovarlo e arriva la prima espulsione: quindici giorni di tempo per lasciare il territorio italiano. Non lo fa, e nel 2003 viene arrestata la prima volta per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Viene rilasciata e poi le arriva un cumulo di pena di cinque anni, sempre per questioni legate allo spaccio, che sconta interamente nel carcere di Rebibbia. Qui entra in un circuito riabilitativo. Decide di rimettersi in carreggiata. Ai suoi compagni di cella nel Cie aveva raccontato di avere "prospettive di lavoro". E' tanto vero che all'ufficio stranieri della questura di Roma risulta un'istanza di rinnovo per il permesso di soggiorno, presentata quando e' stata scarcerata, a marzo di quest'anno. Ma Nabruka non conosce le leggi italiane. Per quelli come lei non ci sono speranze. E in un contesto come i centri di detenzione tutto puo' apparire ancora peggiore. "Ormai sono come i carceri, e la detenzione a 180 giorni peggiorera' le cose", dice Angiolo Marroni, il garante per i detenuti del Lazio. "Sono fatti che lasciano sgomenti", ha detto l'assessore al Bilancio della Regione Lazio, Luigi Nieri, annunciando un ricorso al Tar dopo che alcune settimane fa gli fu impedito di visitare il centro. 7. UNA SOLA UMANITA'. ALESSANDRO DAL LAGO: L'AVANGUARDIA [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 maggio 2009 col titolo "Aggressione all'umanita'"] Quando qualcuno, affamato, malato o bisognoso, bussa alla nostra porta, dovrebbe scattare un imperativo primordiale al soccorso. Questo almeno sostengono le mitologie religiose. L'umanita', prima ancora di un'astrazione filosofica, e' l'espressione di questo riflesso. Anche se non crediamo al diritto naturale e tanto meno alla retorica dei diritti umani, soprattutto nell'epoca delle guerre umanitarie, sappiamo che il limite minimo della comune condizione umana e' definito da quell'imperativo. Rinviando i barconi dei migranti in Libia, il governo italiano ha deciso di rinunciare di fatto e di diritto a qualsiasi minima considerazione umana. O meglio: ha stabilito che la cittadinanza, italiana o occidentale che sia, e' il requisito indispensabile perche' qualcuno sia trattato da essere umano. E dunque che abbia diritto a vivere, a essere curato e trattato come una persona. Tra i migranti respinti senza nemmeno mettere piede sul nostro sacro suolo ci sono persone in fuga dalla guerra, dagli stermini e dalla fame. Impedendo loro persino di chiedere asilo e riconsegnandoli ai porti d'imbarco, l'Italia li condanna alla detenzione, alle angherie e, come e' gia' documentato da anni, alla morte. Cosi' nel nome della difesa paranoica della nostra purezza territoriale che accomuna la maggioranza di destra e parti consistenti dell'opposizione, noi rispediamo nel nulla i nostri fratelli, uomini, donne e bambini. Proprio come, a diecimila chilometri di distanza, in nome della nostra sicurezza, le nostre pallottole uccidono i bambini e le nostre bombe cancellano dalla faccia della terra cento civili in un colpo solo. A questo punto, non c'e' nemmeno bisogno di insistere nelle analisi. Il quadro appare chiaro. Dentro la nostra fortezza, norme discriminatorie, che si appoggiano a una cultura trionfante della delazione pubblica e privata, tengono in riga, nell'ombra e nello sfruttamento, gli stranieri di cui abbiamo bisogno. Fuori, c'e' l'espulsione preliminare, concordata con la Libia. Curiosi ricorsi storici: i nostri ex colonizzati, a suo tempo decimati e rinchiusi nei campi di concentramento di Graziani, si incaricano, in cambio di soldi, contratti e autostrade, di respingere e internare i profughi e gli affamati di un continente. Qui le leggi razziali, rispolverate da qualcuno, non c'entrano proprio. C'e' invece quella linea, profonda come la faglia di Sant'Andrea, che separa il mondo sviluppato dal resto della terra. In un romanzo di Saramago, la penisola iberica si staccava dall'Europa. Ma ora e' questa che scava un fossato incolmabile con la poverta' esterna; la Lega e' la punta estrema e paranoica di questa cultura del respingimento. E in Italia, ventre d'occidente, non valgono nemmeno le finzioni umanitarie di burocrati e giuristi europei. Qui da noi, mentre la stampa si affanna intorno ai casi privati del padrone, tutto e' divenuto possibile. Ma ci si sbaglierebbe a credere che la nostra sia un'eccezione. Dopotutto, il fascismo e' nato in una pianura tra le Alpi e gli Appennini. Oggi, l'Italia e' l'avanguardia di un'aggressione all'umanita'. 8. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili informazioni e proposte. 9. LE ULTIME COSE. NON PIU' CANDIDA MA PURPUREA LA VESTE DI QUEI CANDIDATI Sara' difficile per certi candidati alle elezioni europee sedicenti pacifisti far dimenticare che quando erano nel parlamento italiano hanno votato a favore della guerra e contro la Costituzione. E sara' difficile per certi candidati sedicenti pacifisti far dimenticare che durante il secondo governo Prodi andavano in giro a sbracciarsi a sostenere che la guerra afgana si poteva e si doveva fare. Non si sentono sulla coscienza il peso delle persone che hanno contribuito a far morire? Non ne provano alcun dolore, alcuna vergogna? Piacerebbe saperlo. * Noi non diciamo che questi complici non pentiti del crimine della guerra debbano subire alcunche' (in un altro paese chi viola la Costituzione e chi istiga all'omicidio verrebbe perseguito ai sensi di legge nelle aule di giustizia, ma sappiamo che non e' il caso dell'Italia berlusconiana, altrimenti pressoche' l'intero ceto politico si trasferirebbe nelle patrie galere, e difficilmente i detenuti - che in gran parte sono normali e sfortunate persone - accetterebbero di dover condividere la cella con certi presidenti del consiglio, ministri e parlamentari). Diciamo solo che certi signori dovrebbero avere il buon gusto di non pretendere di essere ancora eletti a pubblici incarichi dopo aver dato una cosi' cattiva prova di se'; e diciamo solo che certi signori dovrebbero avere l'onesta' di dirlo che non sono piu' persone impegnate per la pace, ma che si sono asservite alla guerra, alla guerra terrorista e stragista in corso in Afghanistan, alla guerra cui l'Italia partecipa in violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale, alla guerra che ogni giorno miete vittime. Tutto qui. 10. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 11. MEMORIA. FILIPPO LA PORTA: NICOLA CHIAROMONTE E IL '68 [Dal quotidiano "Il riformista" dell'8 maggio 2009 col titolo "Chiaromonte e la rivolta del '68 conformista" e il sommario "Dibattiti. Un pensatore antitotalitario e le degenerazioni politiche. Politica. Raccolti in un volume i saggi e le lettere del fondatore di 'Tempo Presente'. L'intellettuale interviene sulla violenza e il movimento: E' giusto che diventi un principio di ragione? O e' un regresso ideologico?"] Se ripenso agli anni ruggenti del movimento e al rapporto di quella generazione con la violenza (nel '68 avevo 15 anni), mi vengono in mente subito due aspetti. Innanzitutto: la violenza, che pure fino alla meta' degli anni '70 ebbe un carattere prevalentemente difensivo, ci affascinava dal punto di vista estetico e ci esaltava come forma di epica, dava una risposta al nostro bisogno di avventura, di scontro, di rischio, di eroismo (provate a far giocare i bambini non con i soldatini ma con i pacifisti di stagno, si chiedeva con sarcasmo Orwell). Le gesta guerrigliere del Che e di Giap si confondevano con le scene dei film di Sergio Leone e Peckinpah che alla sera vedevamo al cinema Farnese. Solo molto tempo dopo ho scoperto che anche i vigili del fuoco di New York e i volontari umanitari sono figure a loro modo epiche. E poi la violenza mi sembrava la cosa piu' radicale ed estrema, meno riassorbibile, assai piu' concreta di assemblee, discussioni, collettivi. Se Nicola Chiaromonte in quell'anno avesse scritto una lettera a me, e non ad Anne Coppel, mi avrebbe spiegato che la violenza, intrinseca alla natura umana, non puo' pero' diventare un principio di ragione, come avviene in Marx. Ci promette ingannevolmente la liberazione immediata dall'oppressione ma sbocca nel caos ed e' esposta alla nemesi. Nessuno puo' impunemente pensare di gestirla: certo, "a volte un male necessario, al momento giusto, ma male sempre, da ridurre al minimo". Inoltre mi avrebbe fatto capire che quella rivolta condivideva con la societa' che pretendeva di combattere alcune attitudini di fondo: l'ideale della soddisfazione di tutti i bisogni e della autorealizzazione a tutti i costi, il culto della novita' e dell'incoerenza, il primato dell'efficacia immediata su ogni considerazione morale, l'ossessione della politica come unico agire concreto. E mi avrebbe ricordato come invece due anni prima gli studenti di Berkeley, assai meno ideologizzati di noi, si erano mossi sulla base di una semplice istanza di liberta', di un imperativo della coscienza decidendo solo "che qualcosa da fare c'era in America, e si doveva fare subito". C'e' un passaggio poi decisivo della lettera che Chiaromonte invia alla studentessa francese comunista: "Tu mi dici cio' che ti irrita, ti rattrista, ti rivolta persino nella vita famigliare. Tu mi dici anche cio' che ti rivolta e ti indigna nel mondo vicino a te (ma anche in quello lontano da te). Ma non mi dici cio' che ami, cio' che ti piace, cio' che ti tocca e ti commuove, cio' che ti entusiasma infine". Ecco, credo che qualsiasi critica dell'esistente che non si fondi sull'amore per qualcosa che pure all'esistente appartiene - sia esso una persona concreta, un paesaggio, una stagione, il mare, un'opera d'arte - sia destinata all'aridita'. La rivolta deve precisare non solo contro chi e' indirizzata - contro quali valori, modelli, classi, poteri, sistemi di governo - ma da cosa nasce e trae alimento. Partendo dalle lettere e dagli scritti ora raccolti in volume (saggi e articoli) si puo' oggi ricostruire la posizione di Chiaromonte sul movimento del '68: di sostanziale adesione alle sue ragioni (questa societa' non merita alcun rispetto) e di critica di ideologie e pratiche violente che ritiene regressive: appunto una "rivolta conformista". Oggi e' facile concordare con questa posizione. Ma sbaglieremmo, credo, a sentirci tutti al riparo, ormai divenuti adulti e disincantati No, la critica della violenza che troviamo in Chiaromonte e' critica radicale della politica (delle pretese totalitarie della politica) e ci rivolge oggi domande urgenti a cui dobbiamo dare risposta. Come scrive nell'agosto '68 "l'idea di mobilitare la Forza per abolire il Male sulla terra e' la grande idea moderna". La nonviolenza puo' anche rivelarsi inefficace come metodo di azione ma diventa "un modo di concepire la vita e di viverla tutt'altro da quello contemporaneo... la fiducia che solo cio' che nasce, cresce e si forma secondo il suo proprio ritmo e' vera e vale". Alla Coppel inoltre Chiaromonte spiega che "il mondo della politica (delle idee politiche correnti, delle pratiche e dei metodi attuali) e' radicalmente sterile e corrotto per cio' che riguarda le aspirazioni autentiche dell'essere umano", e aggiunge che per una politica di sinistra il fine non e' mai l'efficacia immediata. Nei saggi su Stendhal e Tolstoj Chiaromonte osserva che la realta' e' mutevole e non modificabile, che la Storia e' un gioco arcano di forze incalcolabili e che il peccato originale della politica e' ritenere di poter governare cose e persone. Questa l'illusione demiurgica, e rovinosa, di Napoleone, che agli occhi dei filosofi e storiosofi doveva incarnare lo Spirito del Mondo a cavallo. Al contrario, bisognerebbe fare cio' che riteniamo giusto e doveroso senza preoccuparci degli esiti. L'imperativo della coscienza viene prima di strategie e tattiche. La testimonianza, l'esempio, le buone pratiche contro l'agire organizzato e collettivo che in qualche modo sempre differisce l'agire concreto dei singoli individui. La weberiana etica della responsabilita' infatti non riguarda tanto le conseguenze del nostro agire (che sono sempre imponderabili, spostate nel futuro, sottoposte all'eterogenesi dei fini), quanto l'educazione a un senso del limite e della misura. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 816 del 10 maggio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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