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Minime. 815
- Subject: Minime. 815
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 9 May 2009 00:55:53 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 815 del 9 maggio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Contrastare il tentativo golpista di imporre in Italia il regime dell'apartheid 2. La deportazione 3. Milano, Montgomery 4. Per la messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord 5. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto 6. Incontri con Krishnammal Jagannathan in Italia 7. Daniele Barbieri ricorda Augusto Boal 8. Eduardo Galeano: Scusate il disturbo 9. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 10. Remo Ceserani presenta "Postmodernismo" di Fredric Jameson 11. Benedetto Vecchi presenta "Postmodernismo" di Fredric Jameson 12. Riletture: Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo 13. Riletture: Hannah Arendt, La banalita' del male 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: CONTRASTARE IL TENTATIVO GOLPISTA DI IMPORRE IN ITALIA IL REGIME DELL'APARTHEID Se non vi sara' una sollevazione delle coscienze, una vera e propria insurrezione morale in difesa dei diritti umani, in difesa della legalita' costituzionale, in difesa del diritto internazionale, in difesa della democrazia e della civilta', tra pochi giorni il parlamento potrebbe follemente e scelleratamente approvare l'introduzione del regime dell'apartheid in Italia, potrebbe rendere il nostro paese un regime razzista. Da quando l'allora governo Prodi sul finire degli anni '90 riapri' in Italia i campi di concentramento con la famigerata legge Turco-Napolitano, poi resa ancor piu' scellerata con la successiva infame legge Bossi-Fini, l'Italia sempre piu' e' scivolata verso la barbarie del razzismo istituzionalizzato, sempre piu' e' scivolata verso il regime dell'apartheid. Le proposte razziste oggi contenute nel cosiddetto "pacchetto sicurezza" costituiscono un ancor piu' pronunciato inabissarsi nel male, nell'anomia, nel "doppio stato" di nazista memoria. Occorre che quelle proposte razziste siano respinte. Ma il Parlamento lo fara' solo se nel paese vi sara' un movimento corale di indignazione e di misericordia, di civilta' e di resistenza, di nitida e intransigente opposizione al male. Occorre oggi, oggi, esprimere in tutte le forme civili, democratiche e nonviolente che ciascuna persona, ciascuna associazione, ciascuna istituzione sapra' ideare ed attuare, la piu' ferma opposizione al razzismo e alla violazione estrema dei diritti umani di tutti gli esseri umani, il piu' fermo impegno in difesa della legalita', della democrazia, della civilta'. Ad esempio scrivere lettere a tutti i parlamentari per chiedere loro di votare no al disegno di legge che mira a introdurre l'apartheid. Ad esempio scrivere lettere a tutti i mezzi d'informazione. Ad esempio votare in tutte le assemblee elettive, in tutti gli enti locali, in tutte le istituzioni rappresentative ed amministrative, mozioni ed ordini del giorno di opposizione al razzismo. Ad esempio predisporre le azioni legali possibli ed opportune in tutte le sedi giurisdizionalmente competenti. Questo e' il momento di contrastare con la massima chiarezza ed energia l'introduzione del regime dell'apartheid in Italia. Ed e' il momento di dire con forza che organizzazioni razziste non possono governare il paese. E' il momento di dire con chiarezza che l'introduzione in Italia del regime dell'apartheid e' un colpo di stato. E' il momento di difendere i diritti di tutti, o non resteranno diritti per nessuno. Difendere occorre la Costituzione della Repubblica Italiana dall'aggressione dell'eversione razzista. Vi e' una sola umanita'. 2. UNA SOLA UMANITA'. LA DEPORTAZIONE La deportazione in Libia dei profughi soccorsi in mare da navi italiane: e' una violazione dei diritti umani, e' una violazione delle convenzioni internazionali, e' una violazione dell'art. 10 della Costituzione; ed e' un crimine contro l'umanita'. Il ministro dell'Interno che tale deportazione ha rivendicato come merito e come metodo deve dimettersi. Quel ministro all'atto di assumere l'incarico ha giurato fedelta' alla Costituzione, ed e' in forza di quel giuramento che puo' tenere quella carica: avendolo violato, deve essere allontanato dal governo della cosa pubblica, e deve essere processato per i suoi atti contrari alle leggi e all'umanita'. 3. UNA SOLA UMANITA'. MILANO, MONTGOMERY La proposta del leghista: a Milano la metropolitana segregata. Come gli autobus a Montgomery. 4. INIZIATIVE. PER LA MESSA FUORILEGGE DELL'ORGANIZZAZIONE RAZZISTA DENOMINATA LEGA NORD [Riproponiamo il seguente appello] Al Presidente della Repubblica Italiana Al Presidente del Senato della Repubblica Al Presidente della Camera dei Deputati Oggetto: Richiesta di iniziativa per la messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord Egregi Presidenti, ci rivolgiamo a voi come massime autorita' dello Stato per richiedere un vostro intervento al fine della messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord. Tale organizzazione, che pur essendo assolutamente minoritaria nel Paese e' riuscita ad ottenere nel governo nazionale l'affidamento di decisivi ministeri a suoi rappresentanti, persegue e proclama una politica razzista incompatibile con la Costituzione della Repubblica Italiana, con uno stato di diritto, con un ordinamento giuridico democratico, con un paese civile. Ritenendo che vi siano i presupposti per un'azione delle competenti magistrature che persegua penalmente sia i singoli atti e fatti di razzismo, sia l'azione organizzata e continuata e quindi l'associazione a delinquere che ne e' responsabile, con la presente chiediamo un vostro intervento affinche' si avviino le procedure previste dalla vigente normativa al fine della messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord e della punizione ai sensi di legge di tutti gli atti delittuosi di razzismo da suoi esponenti promossi, commessi, istigati o apologizzati. Con osservanza, Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo Viterbo, 27 febbraio 2009 5. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili informazioni e proposte. 6. INCONTRI. INCONTRI CON KRISHNAMMAL JAGANNATHAN IN ITALIA [Da varie persone amiche riceviamo e diffondiamo] Dall'8 al 16 maggio 2009 e' in Italia Krishnammal Jagannathan, segretaria generale del Lafti (Terra per la liberazione dei braccianti) e una delle grandi figure della nonviolenza in cammino. Sono gia' previsti incontri pubblici a Spilamberto, Milano, Arosio, Firenze, Sestola. * Il primo incontro e' a Spilamberto, sabato 9 maggio, alle ore 18, presso la Casa Overseas, via Castelnuovo Rangone 1190. * Per informazioni e contatti; Overseas onlus, tel. 059785425, fax: 0597860055, e-mail: overseas at overseas-onlus.org,sito: www.overseas-onlus.org 7. LUTTI. DANIELE BARBIERI RICORDA AUGUSTO BOAL [Dal quotidiano "Liberazione" del 6 maggio 2009 col titolo "Addio al brasiliano Augusto Boal, invento' il teatro degli oppressi" e il sottotitolo "E' morto sabato scorso a 78 anni il drammaturgo contro le dittature"] "Tutto il teatro e' necessariamente politico; chi cerca di separare teatro e politica vuole indurci in errore... per ragioni politiche": e' la teoria e soprattutto la prassi del brasiliano Augusto Boal, una vita contro le dittature e perche' sulla scena teatrale cadano le barriere fra attori e spettatori. Boal e' morto sabato, a 78 anni. Arrestato e torturato in Brasile, nel 1971 fugge: dopo un lungo esilio (in Argentina e poi in Europa) rientra nel suo Paese alla caduta della dittatura: dal '92 al '96 e' nel consiglio comunale di Rio de Janeiro dove perfeziona il "teatro legislativo", variante del suo impegno social-teatrale con il pubblico che mette in scena le leggi. Gli animatori raccolgono i problemi delle persone presenti e con tecniche teatrali li elaborano davanti a tutti, cosi' ognuno diventa "spett-attore" per trasformarli in proposte di legge; quello che poi viene deciso a livello politico torna, in forma di teatro, alla gente in un circolo continuo. Una democrazia "transitiva", la coscientizzazione per usare la famosa formula di Paulo Freire, altro brasiliano considerato sovversivo da ogni regime autoritario del pianeta. Non a caso la creatura piu' famosa, di Boal e' il "teatro degli oppressi" - diffuso oggi in tutto il mondo - proprio come Freire elabora una pedagogia contro l'oppressione. Freire ricorda che la relazione umana e' dialogo e invece siamo costretti ad ascoltare i monologhi del potere. In teatro si corre lo stesso rischio, sostiene Boal che dunque negli anni '60 inizia a ribaltare la struttura classica della scena per rendere protagonista il pubblico. Un ulteriore passo avanti avviene quando Boal e' gia' in esilio: nel 1973 in Peru', mentre usa il teatro come forma di alfabetizzazione, una donna del pubblico contesta l'attrice e sale sul palco per mostrarle cosa dovrebbe fare. Da allora Boal usa questo metodo in modo diretto e anche "invisibile" cioe' coinvolgendo - in una piazza, dentro un mercato, in una scuola, in un ospedale - un pubblico non preavvisato e chiedendo a ogni persona di offrire la sua soluzione. Nel teatro-forum ad esempio prima si presenta lo spettacolo (molto breve, di solito una situazione di vita concreta) con un finale chiuso. Poi con l'aiuto di un jolly - cioe' di un conduttore - il pubblico e' stimolato ad aiutare i protagonisti, a cercare altre soluzioni o magari raccontare storie piu' importanti. E' come se la provocazione contro il teatro "borghese" di Pirandello nei Sei personaggi in cerca d'autore irrompesse ogni giorno nella scena e fuori di essa: teatro e politica insieme, dialogo, pedagogia, una continua lotta alla "paura della liberta'" (come la chiamo' Freire), al poliziotto piu' spietato, quello - dice Boal - che abbiamo dentro il nostro cervello. Un esempio aiuta a capire; lo riprendo da un libro, Arte come Resistenza, che sara' pubblicato in autunno dalla Emi. La compagnia belga "Theatre du Public" porta in Palestina uno spettacolo dove l'amore fra due emigrati - il palestinese Rashid e la siciliana Graziella - viene ostacolato da tutti (per motivi religiosi e non solo) concludendosi in tragedia. E' una vicenda realmente accaduta in Belgio ma che "Theatre du Public" ha riproposto, anche in Palestina, con le tecniche di Boal, invitando dunque chi assiste a diventare protagonista, a vivere le scelte dei protagonisti, a verificare se esiste una via d'uscita. Sono molti in Italia i gruppi che si rifanno a Boal: il piu' attivo e' il "teatro jolly" (nel sito www.giollicoop.it si possono vedere le loro attivita'). In italiano sono stati tradotti vari suoi testi: Il teatro degli oppressi (Feltrinelli), Il poliziotto e la maschera e Racconti della nostra America (entrambi La meridiana). Nella premessa a queste storie vere - "la Nuestra America che si oppone all'America con la K" - che Boal ha rielaborato c'e' anche don Evencio: le vecchiette della chiesa gli propongono di riunirsi per studiare a fondo la vita di suor Giovanna ma il prete ha un'altra idea... e cosi' "lunedi', alle 6 di sera" si fara' una processione molto particolare, quella di "Nostra signora degli oppressi". 8. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: SCUSATE IL DISTURBO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 maggio 2009 col titolo "Scusate il disturbo" e il sommario "Chi e' terrorista? Colui che lancia le scarpe o colui che le riceve? Perche' non sono in carcere gli autori delle stragi piu' feroci? Queste e tante altre domande sulla giustizia ingiusta nel mondo che funziona alla rovescia"] Voglio condividere alcune domande, idee che mi ronzano in testa. E' giusta la giustizia? E' salda sulle sue gambe la giustizia del mondo alla rovescia? Il lanciascarpe dell'Iraq, colui che tiro' le scarpe contro Bush, e' stato condannato a tre anni di carcere. Non meritava invece una onorificenza? Chi e' il terrorista? Colui che lancia le scarpe o colui che le riceve? Non e' forse colpevole di terrorismo il serial killer che, mentendo, invento' la guerra dell'Iraq, assassino' un mucchio di gente, legalizzo' la tortura e ordino' di utilizzarla? Sono forse colpevoli gli abitanti di Atenco, nel Messico, o gli indigeni mapuches del Cile, o i kekchies del Guatemala, o i contadini senza terra del Brasile, tutti accusati di terrorismo per aver difeso il loro diritto alla terra? Se la terra e' sacra, anche se la legge non lo dice, non sono forse sacri pure coloro che la difendono? Secondo la rivista "Foreign Policy", la Somalia e' il posto piu' pericoloso di tutti. Ma chi sono i pirati? I morti di fame che assaltano le navi, o gli speculatori di Wall Street, che da anni assaltano il mondo e adesso ricevono ricompense multimilionarie per le loro fatiche? Perche' mai il mondo premia coloro che lo spogliano? Perche' mai la giustizia e' cieca da un occhio solo? Walmart, l'impresa piu' potente di tutte, proibisce i sindacati. MacDonald's pure. Perche' mai queste imprese violano, con delinquente impunita', la legge internazionale? Sara' forse perche' nel mondo di oggigiorno il lavoro vale meno della spazzatura, e ancora meno valgono i diritti dei lavoratori? Chi sono i giusti, e chi sono gli ingiusti? * Gli intoccabili delle cinque potenze Se la giustizia internazionale esiste davvero, perche' non giudica mai i potenti? Non sono in prigione gli autori delle stragi piu' feroci. Sara' forse perche' sono loro ad avere le chiavi delle prigioni? Perche' mai sono intoccabili le cinque potenze che hanno il diritto di veto alle Nazioni Unite? Quel diritto ha forse un'origine divina? Vegliano forse sulla pace coloro che fanno gli affari della guerra? E' forse giusto che la pace mondiale dipenda dalle cinque potenze che sono le principali produttrici di armi? Senza disprezzare i narcotrafficanti, non e' anche questo un caso di "crimine organizzato"? Ma non pretendono il castigo contro i padroni del mondo le grida di coloro che, dappertutto, chiedono la pena di morte. Ci mancherebbe altro. Le grida gridano contro gli assassini che usano il coltello, non contro quelli che usano missili. E io mi domando: giacche' quei giustizieri hanno una voglia matta di uccidere, perche' mai non chiedono la pena di morte contro l'ingiustizia sociale? E' forse giusto un mondo che ogni minuto destina tre milioni di dollari alle spese militari, mentre ogni minuto muoiono quindici bambini per fame o malattia curabile? Contro chi si arma, fino ai denti, la cosiddetta comunita' internazionale? Contro la poverta' o contro i poveri? * Il crimine della pubblicita' Perche' mai i fervidi sostenitori della pena capitale non chiedono la pena di morte contro i valori della societa' dei consumi, che quotidianamente attenta contro la pubblica sicurezza? O non invita forse al crimine il bombardamento della pubblicita' che stordisce milioni e milioni di giovani disoccupati, o malpagati, ripetendogli giorno e notte che essere e' avere, avere un'automobile, avere scarpe di marca, avere, avere, e che chi non ha non e'? E perche' mai non si stabilisce la pena di morte contro la morte? Il mondo e' organizzato al servizio della morte. O non fabbrica forse morte l'industria militare, che divora la maggior parte delle nostre risorse e buona parte delle nostre energie? I padroni del mondo condannano la violenza solo quando la esercitano altri. E questo monopolio della violenza si traduce in un fatto inspiegabile per gli extraterrestri, e anche insopportabile per noi terrestri che, contro ogni certezza, vogliamo ancora sopravvivere: noi uomini siamo gli unici animali specializzati nello sterminio reciproco, e abbiamo sviluppato una tecnologia della distruzione che, en passant, sta distruggendo il pianeta e tutti i suoi abitanti. * I dittatori della paura Quella tecnologia si alimenta di paura. E' la paura che fabbrica i nemici che giustificano lo spreco militare e poliziesco. E gia' che ci siamo con la pena di morte, perche' mai non condanniamo a morte la paura? Non sarebbe forse sano farla finita con questa dittatura universale degli spaventatori professionali? Coloro che seminano il panico ci condannano alla solitudine, ci proibiscono la solidarieta': si salvi chi puo', schiacciatevi reciprocamente, il prossimo e' sempre un pericolo in agguato, occhio, fa' molta attenzione, questo ti rubera', quello ti violentera', quella carrozzina nasconde una bomba musulmana e se quella donna ti guarda, quella vicina dall'aspetto innocente, di sicuro ti attacca la peste suina. Nel mondo alla rovescia, fanno paura anche i piu' elementari atti di giustizia e il buon senso. * L'ordine razzista tradizionale Quando il presidente Evo Morales inizio' la rifondazione della Bolivia, perche' questo paese di maggioranza indigena smettesse di avere vergogna di guardarsi allo specchio, provoco' il panico. Questa sfida era catastrofica dal punto di vista dell'ordine razzista tradizionale, che diceva di essere l'unico ordine possibile: Evo portava con se' il caos e la violenza, e per colpa sua l'unita' nazionale sarebbe esplosa in mille pezzi. E quando il presidente dell'Ecuador Rafael Correa annuncio' che si rifiutava di pagare i debiti non pertinenti, la notizia diffuse il panico nel mondo finanziario e l'Ecuador venne minacciato di castighi terribili per aver dato un esempio cosi' cattivo. Se le dittature militari e i politici ladri sono stati sempre coccolati dalla Banca Mondiale, non ci siamo forse ormai abituati ad accettare come fatalita' del destino che il popolo paghi il bastone che lo colpisce e l'avidita' che lo saccheggia? Ma non sara' che il buon senso e la giustizia hanno divorziato per sempre? Ma non erano forse nati per camminare insieme, vicini vicini, il buon senso e la giustizia? Non e' forse giusta e di buon senso quella frase delle femministe per cui se noi maschi rimanessimo incinta, l'aborto sarebbe libero? Perche' mai non si legalizza il diritto all'aborto? Sara' forse perche' allora smetterebbe di essere il privilegio delle donne che possono pagarlo e dei medici che possono farlo pagare? * Perche' non si legalizza la droga? La stessa cosa accade con un altro scandaloso caso di negazione della giustizia e del buon senso: perche' mai non si legalizza la droga? Non e' forse, come l'aborto, un tema di salute pubblica? E il paese con piu' drogati che razza di autorita' morale possiede per condannare coloro che riforniscono la sua domanda? E perche' i grandi mezzi di comunicazione, cosi' consacrati alla guerra contro il flagello della droga, non dicono mai che proviene dall'Afghanistan quasi tutta l'eroina che si consuma al mondo? Chi governa in Afghanistan? Non e' forse quello un paese militarmente occupato dal messianico paese che si attribuisce la missione di salvarci tutti? Perche' mai non si legalizzano le droghe una volta per tutte? Non sara' forse perche' forniscono il pretesto migliore per le invasioni militari, oltre a fornire i guadagni piu' succulenti alle grandi banche che di notte lavorano come lavanderie? Adesso il mondo e' triste perche' si vendono meno auto. Una delle conseguenze della crisi mondiale e' la caduta della prospera industria dell'automobile. Se avessimo qualche briciola di buon senso, e un pochettino di senso della giustizia, non dovremmo forse celebrare quella buona notizia? La diminuzione delle automobili non e' forse una buona notizia, dal punto di vista della natura, che sara' un po' meno avvelenata, e da quello dei pedoni che moriranno un pochino meno? * Ma la Storia non finisce Secondo Lewis Carroll, la Regina spiego' ad Alice come funziona la giustizia nel paese delle meraviglie: E' la' - disse la Regina -. E' rinchiuso in prigione, scontando la sua condanna; ma il processo non iniziera' fino a mercoledi' prossimo. E, naturalmente, il crimine sara' commesso alla fine. Nel Salvador, l'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero constato' che la giustizia, come il serpente, morde solo gli scalzi. Lui mori' a colpi d'arma da fuoco, per aver denunciato che nel suo paese gli scalzi nascevano condannati in partenza, colpevoli di esser nati. Il risultato delle recenti elezioni nel Salvador non e' forse in qualche modo un omaggio? Un omaggio all'arcivescovo Romero e alle migliaia che, come lui, morirono lottando per una giustizia giusta nel regno dell'ingiustizia? A volte finiscono male le storie della Storia; ma lei, la Storia, non finisce. Quando dice addio, dice arrivederci. 9. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 10. LIBRI. REMO CESERANI PRESENTA "POSTMODERNISMO" DI FREDRIC JAMESON [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 dicembre 2007, col titolo "Fredric Jameson. Il postmoderno a infinite dimensioni" e il sommario: "Mentre in America e' appena uscito l'ultimo libro del critico marxista, titolato The Modernist Papers, approda finalmente alle nostre librerie la traduzione integrale dello storico saggio che Jameson scrisse oltre quindici anni fa, Postmodernismo, ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, con una postfazione dialettica scritta da Daniele Giglioli"] Meglio tardi che mai. La pubblicazione dello storico libro di Fredric Jameson, Postmodernismo, ovvero la logica culturale del tardo capitalismo (Fazi, 2007, euro 39,50) nella traduzione scorrevole e precisa di Massimiliano Manganelli, accompagnata da una prefazione dell'autore scritta per l'edizione italiana e da una postfazione molto acuta di Daniele Giglioli, arriva dopo quindici anni dall'edizione americana, dopo altrettanti dalla pubblicazione presso Garzanti del primo capitolo, dopo che altri e successivi saggi di Jameson sono stati tradotti e i dibattiti sul postmoderno - sia come periodo storico (la postmodernita') che come movimento dei costumi, delle idee e del gusto (il postmodernismo) - si sono ampiamente complicati e approfonditi. Da noi, per la verita', molte discussioni non ci sono state e le idee sono rimaste incerte e sfocate. Un paio di anni fa Romano Luperini poteva pubblicare, ancora una volta confondendo postmodernita' e postmodernismo, un libro intitolato La fine del postmoderno (Guida 2005) e scrivere: "Il postmoderno, con il suo disincanto e il suo manierismo giocoso e disimpegnato, in agonia gia' da tempo, e' morto, definitivamente crollato con le due torri di New York. Ma nessuno in Italia sembra essersene accorto". Intendeva, probabilmente, il postmodernismo e certi suoi prodotti letterari. Ma non sembrava tener conto, per esempio, dell'opera di un grande scrittore americano come Don DeLillo, il quale si e' lucidamente impegnato a rappresentare, con una scrittura nitida (tutt'altro che giocosa e disimpegnata) i cambiamenti profondi della postmodernita'. * Immagini dall'11 settembre Proprio all'evento rappresentato dalla caduta delle torri gemelle ha dedicato il suo ultimo, arduo romanzo, The falling man (Scribner, 2007) presentando quel crollo non come un fatto isolato, di portata epocale, ma come la realizzazione simbolica e mediatica di scenari apocalittici che aveva affrontato in tante sue opere precedenti. E captando, cosi', con le sue antenne sensibili, i movimenti minacciosi che agitavano, sotto la superficie levigata e splendente, gli strati profondi delle societa' postmoderne. Quegli scenari erano gia' comparsi nel suo primo libro, Americana, che aveva per tema - era il 1971 - la disfatta delle realizzazioni orgogliose del capitalismo trionfante e del "sogno americano". Sei anni dopo, fondali simili erano comparsi in Giocatori, e avevano la forma di trappole crudeli capaci di sconvolgere la vita quotidiana di un agente finanziario, che lavorava proprio in una delle torri. E, ancora, DeLillo ambientava I nomi fra complotti e terrorismi del vicino oriente, e immaginava - in Mao II - il fondamentalista Abu Rashid auspicare che il "terrore" potesse rendere possibile un nuovo futuro. Finalmente, in Underworld l'intero continente americano veniva trasformato in una colossale produzione di massa, e in Cosmopolis il protagonista attraversava tutta Manhattan sotto l'ombra profetica delle due torri, sei mesi prima del crollo. * Domande rilanciate L'11 settembre va preso, a me pare (e credo che tanto Jameson quanto DeLillo sarebbero d'accordo) come uno dei tanti eventi catastrofici che si sono avvantaggiati di quella ripetizione all'infinito resa possibile dal grande mercato postmoderno delle immagini, che hanno segnato e confermato i cambiamenti profondi avvenuti nelle strutture economico-sociali del mondo globalizzato. Accanto ai trionfi della tecnologia, agli arricchimenti favolosi, ai tanti piccoli paradisi in terra, si sono sviluppate e moltiplicate le guerre neocoloniali, le espansioni delle multinazionali - anche del terrore - la politica di prepotenza, le deviazioni dei servizi segreti, lo sfruttamento fuori controllo delle fonti energetiche e i suoi pericolosi effetti sugli equilibri ecologici del mondo. Al valore simbolico della caduta delle torri accenna anche Giglioli nella sua intelligente postfazione, in cui si impegna con logica stringente a chiarire molti punti dei densissimi discorsi di Jameson, ad aggiornare i problemi e a rilanciare molte domande. Inoltre, con una mossa finalizzata a dare voce alle critiche avanzate dagli studiosi a questo libro, fa l'elenco dei fatti che hanno spinto il mondo in direzioni diverse da quelle a suo tempo previste da Jameson: il ritorno dei nazionalismi, delle guerre e delle fedi religiose, le tendenze essenzialiste e sostanzialiste e, appunto, lo sconvolgimento provocato dall'atto terroristico del 2001. Dunque, pur mantenendo una posizione non del tutto coincidente con quella di Jameson, Giglioli prova dialetticamente a mettersi dal suo punto di vista e, tenendo conto del grande lavoro svolto dopo la stesura, nel 1991, di Postmodernismo non ha difficolta' a riconoscere la correttezza delle scelte di metodo del critico americano e la sostanziale tenuta della sua tesi storiografica principale. Tesi secondo la quale un cambiamento profondo e strutturale, avvenuto in particolare nei modi della produzione e nell'organizzazione dei mercati, compresi i mercati dei prodotti culturali, avrebbe determinato, almeno nei paesi a capitalismo avanzato, una spaccatura profonda negli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento e determinato la fine delle ideologie e dell'immaginario della modernita'. Contraddittoria com'e', la cultura italiana ha mostrato a lungo un forte sospetto per le tesi di Jameson, del resto poco note o mal masticate; e, per contro, ha elargito una grande apertura di credito a Zygmunt Bauman, in particolare da quando ha proposto di sostituire al termine postmodernita' quello di modernita' liquida, sfornando in quantita' libri di accattivante lettura. Eppure, i suoi saggi, sebbene muovendosi sul piano sociologico anziche' su quello teorico e della critica culturale, sostengono interpretazioni del moderno e del postmoderno non molto diverse da quelle di Jameson. Come si spiega? Certo i libri di Fredric Jameson non soltanto sono densi di pensiero e saturi di inaspettate svolte interpretative, ma impiegano una quantita' disorientante di strumenti euristici. C'e', in lui, una vera ingordigia intellettuale, che ha un parallelo soltanto in una altrettanto smisurata ingordigia materiale, mai davvero appagata: prima lo studio della filosofia marxista e delle rielaborazioni di Lukacs, Adorno, Marcuse e Althusser; poi Heidegger, poi l'immersione dentro lo strutturalismo linguistico sia di ambiente francese che est-europeo, poi il decostruzionismo, il poststrutturalismo, le idee di Gramsci, Benjamin, Foucault, Negri, e chi piu' ne ha piu' ne metta. La sua grande forza, in tanta abbondanza di stimoli, sta in una genuina capacita' di vedere come sia provvisoria, ogni volta, la scelta del punto di osservazione assunto davanti alla complessita' dei fenomeni culturali studiati; cosi' come nella capacita' di individuare, in ogni fenomeno, sia l'aspetto immediatamente percepibile sia il suo opposto, l'altra faccia nascosta. Chi si sofferma soprattutto a rilevare, di Jameson, l'insaziabile curiosita' e la prodigiosa, a volte non del tutto controllata, capacita' di riflessione e di scrittura, rischia di non accorgersi della coerenza di fondo del suo lavoro di storico e di critico della cultura, fermamente ancorato ad alcuni principi di metodo che non abbandona mai, e fra questi la dialettica marxista interpretata in modo non rigido bensi' continuamente aggiornata. * Uno sguardo retrospettivo Uno degli aspetti piu' interessanti del percorso intellettuale di Jameson sta nel fatto che, dopo avere applicato la sua griglia interpretativa della postmodernita' ai piu' diversi esempi della produzione culturale - dalla architettura al romanzo alla storiografia alla fantascienza al cinema alla televisione ai video alla fotografia alle installazioni al ready-made e cosi' via - con una mossa teoricamente coerente ha spostato la sua attenzione sulla modernita'. Per descrivere efficacemente un periodo storico e le culture che lo hanno segnato e' utile, infatti, distaccarsene. Sono nati cosi' libri come Una modernita' singolare, sul quale si e' ingannato non solo Luperini, che vi ha letto segnali di abbandono del postmodernismo e di ritorno al modernismo, ma anche Carla Benedetti, autrice di una premessa alla traduzione italiana che fornisce una interpretazione tendenziosa delle posizioni di Jameson. Del resto, una conferma dell'itinerario intrapreso dal critico di Duke viene anche dal suo nuovo libro, appena giunto dagli Stati Uniti, che sotto il titolo The Modernist Papers (Verso, 2007) raccoglie i saggi che negli anni ha dedicato ai problemi della modernita' e a scrittori come Baudelaire, Rimbaud, Mallarme', Mann, Joyce, Proust, Gertrude Stein, Williams, Soseki, Oe, Kafka, Celine, Stevens, Weiss; e a pittori come Cezanne, o De Kooning, affrontando molte altre questioni ancora. La descrizione che in questi saggi viene data della modernita', rivela uno sguardo critico, che nel denunciarne gli eccessi ideologici, le rigidezze e gli orrori, in piu' punti coincide con l'ottica di Bauman. * Giudizi da rivedere Dopo avere elencato i giudizi tradizionali e stereotipati solitamente proiettati sui movimenti modernisti - la presunta apoliticita', il ripiegamento sul soggetto, la psicologia introspettiva, l'esteticismo e le teorie dell'arte per l'arte - Jameson osserva: "nessuna di queste caratterizzazioni mi sembra ormai persuasiva; sono parte di un vecchio bagaglio ideologico modernista, che qualsiasi teoria contemporanea del moderno ha il compito di sottoporre a scrutinio e di demolire". E allora, a forza di energia distruttiva e di spirito dialettico, Jameson si mette all'opera: modernizzazione e tecnologia, reificazione consumistica, astrazione monetaria, generale perdita di significato, frammentazione del tempo e dello spazio, casualita' del dettaglio e "contingenza" delle esperienze esistenziali, dereificazione della citta' e della vita sociale, accentuato interesse per gli stili e le poetiche, formazione della cultura di massa, e cosi' via. Pochi scrittori si salvano. Forse Joyce, perche' "Dublino non era esattamente una matura metropoli capitalista, ma, come la Parigi di Flaubert, aveva un carattere regressivo, era ancora in certo modo simile a un villaggio, non abbastanza sviluppata, grazie al dominio esercitato da padroni stranieri, e percio' era ancora rappresentabile". Che ci sia, a questo punto, da dare un giudizio meno drasticamente negativo della condizione postmoderna? 11. LIBRI. BENEDETTO VECCHI PRESENTA "POSTMODERNISMO" DI FREDRIC JAMESON [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 dicembre 2007, col titolo "Un pensiero critico che ha colto nel segno"] Strano destino quello di Postmodernismo, il volume di Fredric Jameson che Fazi ha mandato alle stampe nella sua edizione integrale. Un'opera che aveva preso le mosse da alcuni saggi apparsi sulla "New Left Review" quando il Muro di Berlino sembrava una presenza destinata a durare ancora per secoli, ma che era stata pubblicato negli anni in cui le macerie di quel muro venivano vendute come souvenir di un'era lontana nel tempo. Una manciata di anni, giusto il tempo per inscrivere Jameson tra le schiere osannanti il nuovo ordine mondiale. Una vera e propria beffa per uno studioso che riteneva il postmoderno niente altro che la logica culturale del capitalismo maturo, invitando a cercare tra le righe dei testi lukacsiani o della dialettica negativa di Adorno il grimaldello per scardinarla. Jameson non mostrava infatti nessuna indulgenza verso la retorica sulla fine delle grandi narrazioni che un filosofo francese a lui contemporaneo, Jean-Francois Lyotard, distribuiva a piene mani attraverso i suoi saggi. Il capitalismo maturo, argomentava Jameson, e' una totalita' che all'interno dell'oscillazione tra omologazione e differenza, preferisce quest'ultima per alimentare un pluralismo degli stili di vita e la presenza di identita' pret-a'-porter. E per meglio esemplificare la sua riflessione sceglieva di sezionare manufatti culturali tra loro eterogenei, dalle opere architettoniche che devono ostentare il potere delle multinazionali, o la gentrification delle metropoli americane, ai romanzi di Thomas Pynchon, che destrutturano la progressione lineare del tempo storico. Per Jameson, lo sviluppo del capitale mina infatti alla radice il progetto del Moderno, radicalizzando pero' alcune tendenze gia' presenti nella modernita'. Una miniera di suggestioni la sua, che hanno aperto filoni di ricerca fino ad allora ignoti, arrivando a presentare le opere dell'ultimo Derrida o di Michel Foucault non come testi filosofici, bensi' come espressioni, seppur sofisticate, di una sociologia del capitalismo maturo. Poi la storia ha seguito il suo corso e le tesi di Jameson sono state liquidate come un sosfisticato esercizio accademico. Al posto del pastiche postomoderno sono subentrate le identita' forti basate sulla religione o sul sangue, un pensiero liberaldemocratico che sceglie come sua radice un illuminismo depurato della sua dialettica e che punta l'indice contro i postulati egualitari della democrazia, mentre la risacca plumbea dello tsunami della globalizzazione ha aperto la strada alla guerra infinita al terrorismo. Insomma, il postmoderno di Jameson poteva essere lasciato alla "critica roditrice dei topi". Ma a differenza di quanto sostengono i passati e attuali critici era si' giusto archiviare la sua riflessione, ma perche' aveva colto nel segno. Postmodernismo e' stata infatti un'opera seminale senza la quale sarebbe stato impossibile pensare a un pensiero critico all'altezza della grande mutazione del capitalismo mondiale. Il problema, semmai, e' continuare la sua esplorazione del presente, considerando il revival liberaldemocratico o la retoriche attorno alle identita' forti come varianti di quella condizione postmoderna che Jameson ha insegnato a guardare senza rimanerne pietrificati. 12. RILETTURE. HANNAH ARENDT: LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunita', Milano 1967, 1996, pp. LVI + 712. Una rilettura oggi (in verita' sempre, ma particolarmente oggi) necessaria. 13. RILETTURE. HANNAH ARENDT: LA BANALITA' DEL MALE Hannah Arendt, La banalita' del male, Feltrinelli, Milano 1964, 1993, pp. 318. Una rilettura oggi (in verita' sempre, ma particolarmente oggi) necessaria. 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 815 del 9 maggio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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