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Nonviolenza. Femminile plurale. 247
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 247
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 30 Apr 2009 08:15:31 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 247 del 30 aprile 2009 In questo numero: 1. Vandana Shiva: Principi costitutivi di una democrazia della comunita' terrena 2. Marcella Ciarnelli: Xian Zhang 3. Alcuni estratti da "Veli d'Occidente" di Rosella Prezzo 1. MAESTRE. VANDANA SHIVA: PRINCIPI COSTITUTIVI DI UNA DEMOCRAZIA DELLA COMUNITA' TERRENA [Riproponiamo ancora una volta il seguente estratto dall'introduzione del recente libro di Vandana Shiva, Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006, alle pp. 16-19. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008] 1. Tutte le specie, tutti gli esseri umani e tutte le culture possiedono un valore intrinseco. Tutti gli esseri viventi sono soggetti dotati di intelligenza, integrita' e di un'identita' individuale. Non possono essere ridotti al ruolo di proprieta' privata, di oggetti manipolabili, di materie prime da sfruttare o di rifiuti eliminabili. Nessun essere umano ha il diritto di possedere altre specie, altri individui, o di impadronirsi dei saperi di altre culture attraverso brevetti o altri diritti sulla proprieta' intellettuale. * 2. La comunita' terrena promuove la convivenza democratica di tutte le forme di vita. Siamo membri di un'unica famiglia terrena, uniti gli uni agli altri dalla fragile ragnatela della vita del pianeta. Pertanto e' nostro dovere assumere dei comportamenti che non compromettano l'equilibrio ecologico della Terra, nonche' i diritti fondamentali e la sopravvivenza delle altre specie e di tutta l'umanita'. Nessun essere umano ha il diritto di invadere lo spazio ecologico di altre specie o di altri individui, ne' di trattarli con crudelta' e violenza. * 3. Le diversita' biologiche e culturali devono essere difese. Le diversita' biologiche e culturali hanno un valore intrinseco che deve essere riconosciuto. Le diversita' biologiche sono fonti di ricchezza materiale e culturale che pongono le basi per la sostenibilita'. Le differenze culturali sono portatrici di pace. Tutti gli esseri umani hanno il dovere di difendere tali diversita'. * 4. Tutti gli esseri viventi hanno il diritto naturale di provvedere al loro sostentamento. Tutti i membri della comunita' terrena, inclusi gli esseri umani, hanno il diritto di provvedere al loro sostentamento: hanno diritto al cibo e all'acqua, a un ambiente sicuro e pulito, alla conservazione del loro spazio ecologico. Le risorse vitali necessarie per il sostentamento non possono essere privatizzate. Il diritto al sostentamento e' un diritto naturale perche' equivale al diritto alla vita. E' un diritto che non puo' essere accordato o negato da una nazione o da una multinazionale. Nessun paese e nessuna multinazionale ha il diritto di vanificare o compromettere questo genere di diritto, o di privatizzare le risorse comuni necessarie alla vita. * 5. La democrazia della comunita' terrena si fonda su economie che apportano la vita e su modelli di sviluppo democratici. La realizzazione di una democrazia della comunita' terrena presuppone una gestione democratica dell'economia, dei piani di sviluppo che proteggano gli ecosistemi e la loro integrita', provvedano alle esigenze di base di tutti gli esseri umani e assicurino loro un ambiente di vita sostenibile. Una concezione democratica dell'economia non prevede l'esistenza di individui, specie o culture eliminabili. L'economia della comunita' terrena e' un'economia che apporta nutrimento alla vita. I suoi modelli sono sempre sostenibili, differenziati, pluralistici, elaborati dai membri della comunita' stessa al fine di proteggere la natura e gli esseri umani e operare per il bene comune. * 6. Le economie che apportano la vita si fondano sulle economie locali. Il miglior modo di provvedere con efficienza, attenzione e creativita' alla conservazione delle risorse terrene e alla creazione di condizioni di vita soddisfacenti e sostenibili e' quello di operare all'interno delle realta' locali. Localizzare l'economia deve diventare un imperativo ecologico e sociale. Si dovrebbero importare ed esportare soltanto i beni e i servizi che non possono essere prodotti localmente, adoperando le risorse e le conoscenze del luogo. Una democrazia della comunita' terrena si fonda su delle economie locali estremamente vitali, che sostengono le economie nazionali e globali. Un'economia globale democratica non distrugge e non danneggia le economie locali, non trasforma le persone in rifiuti eliminabili. Le economie che sostengono la vita rispettano la creativita' di tutti gli esseri umani e producono contesti in grado di valorizzare al massimo le diverse competenze e capacita'. Le economie che apportano la vita sono differenziate e decentralizzate. * 7. La democrazia della comunita' terrena e' una democrazia che tutela la vita. Una democrazia che tutela la vita si fonda sul rispetto democratico di ogni forma vivente e su un comportamentodemocratico da adottare gia' a partire dalla quotidianita'. Ogni soggetto coinvolto ha il diritto di partecipare alle decisioni da prendere in merito al cibo, all'acqua, alla sanita' e all'istruzione. Una democrazia che tutela la vita cresce dal basso verso l'alto, al pari di un albero. La democrazia della comunita' terrena si fonda sulle democrazie locali, lasciando che le singole comunita' costituite nel rispetto delle differenze e delle responsabilita' ecologiche e sociali abbiano pieni poteri decisionali riguardo all'ambiente, alle risorse naturali, al sostentamento e al benessere dei loro membri. Il potere viene delegato ai livelli esecutivi piu' alti applicando il principio della sussidiarieta'. La democrazia della comunita' terrena si fonda sull'autoregolamentazione e sull'autogoverno. * 8. La democrazia della comunita' terrena si fonda su culture che valorizzano la vita. Le culture che valorizzano la vita promuovono la pace e creano degli spazi di liberta' per consentire il culto di religioni diverse e l'espressione di diverse fedi e identita'. Tali culture lasciano che le differenze culturali si sviluppino proprio a partire dalla nostra umanita' e dai nostri comuni diritti in quanto membri della comunita' terrena. * 9. Le culture che valorizzano la vita promuovono lo sviluppo della vita stessa. Le culture che valorizzano la vita si fondano sul riconoscimento della dignita' e sul rispetto di ogni forma di vita, degli uomini e delle donne di ogni provenienza e cultura, delle generazioni presenti e di quelle future. Sono culture ecologiche che non producono stili di vita distruttivi o improntati al consumismo, basati sulla sovrapproduzione, sullo spreco o sullo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Le culture che valorizzano la vita sono molteplici, ma ispirate da un comune rispetto per il vivente. Riconoscono la compresenza di identita' diverse che condividono lo spazio comune della comunita' locale e danno voce a un sentimento di appartenenza che correla i singoli individui alla terra e a tutte le forme di vita. * 10. La democrazia della comunita' terrena promuove un sentimento di pace e solidarieta' universale. La democrazia della comunita' terrena unisce tutti i popoli e i singoli individui sostenendo valori quali la cooperazione e l'impegno disinteressato, anziche' separarli attraverso la competizione, il conflitto, l'odio e il terrore. In alternativa a un mondo fondato sull'avidita', sulla diseguaglianza e sul consumismo sfrenato, questa democrazia si propone di globalizzare la solidarieta', la giustizia e la sostenibilita'. 2. PROFILI. MARCELLA CIARNELLI: XIAN ZHANG [Dal quotidiano "L'Unita'" del 29 aprile 2009 col titolo "La mia sfida in musica per battere ogni pregiudizio sul podio e tra le note"] Xian Zhang e' una donna minuta di 36 anni. Fa un lavoro raro e straordinario. Dirige un'orchestra. E' cinese, originaria di Dandong, a ridosso del confine coreano. La sua passione per la musica e' cominciata molto presto. Aveva solo quattro anni quando comincio' a studiare il pianoforte. Poi fu indirizzata alla direzione perche' la bacchetta era piu' adatta alle piccole mani di una ragazza sedicenne di piccola statura ma di grande talento. Xian ha sfidato le regole. Ha fatto suo un lavoro "maschile" ma non ha rinunciato ad un destino di donna. Da tre mesi e' mamma del piccolo Din, un bambino che e' stato in palcoscenico anche prima di nascere, dato che la direttrice d'orchestra non ha rinunciato alla bacchetta fino a pochi giorni prima del parto ed ora e' gia' pronta a ritornare sul podio. Un pancione in scena. Con tutta la tenerezza che un'immagine del genere puo' evocare. Ma anche la forza e la caparbieta' di una giovane donna che e' stata chiamata a guidare l'orchestra Verdi di Milano nel ruolo di direttore musicale. E questa si' che e' una vera rarita'. In attesa di mettersi al lavoro per dare la sua impronta al cartellone di una fondazione che e' riuscita a superare i problemi economici che ne avevano messo in dubbio la stessa sopravvivenza e che sembra gia' chiaro viaggera' su una linea che Xiang sintetizza in "piu' ritmo, piu' energia, piu' fuoco al suono dell'orchestra", la giovane direttrice d'orchestra si appresta ad un impegno per cui si dice "onorata e stimolata". Domani dirigera' nella sala Nervi in Vaticano il concerto che il presidente della Repubblica offre a papa Benedetto XVI in occasione del compleanno del pontefice da poco trascorso. Saranno presenti Giorgio Napolitano e il papa e oltre settemila spettatori tra rappresentanti del governo italiano, alti prelati, gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, appassionati di musica. In programma opere di Haydin, Mozart e Vivaldi, "scelte assecondando le preferenze espresse dai due illustri spettatori che sono anche degli autentici appassionati", spiega Xian Zhang che non nega di essere "emozionata da questa grande possibilita'". Sara' "un inizio non facile", un'occasione per cui "la pressione psicologica e' forte". Ma anche un evento speciale che per la giovane direttrice ha il sapore di un nuovo debutto da affrontare con la stessa emozione e la voglia di fare al meglio come fu per il primo, ormai lontano sedici anni. Dal primo concerto i successi sono stati innumerevoli. L'ultimo incarico l'ha vista "Associate Conductor" della New York Philarmonic. In precedenza ha lavorato negli Stati Uniti e in Europa. In Giappone e in Australia. Ovunque si faccia musica in modo eccellente. Ovunque ci sia chi comprende che la crescita e lo sviluppo in positivo passa per la comprensione della magia che una sinfonia e' in grado di trasmettere. Parla un po' d'italiano la direttrice, una lingua studiata in omaggio alla passione per la musica del nostro Paese anche se poi preferisce conversare in inglese. Spiega di essere consapevole di aver fatto, per riuscire e per arrivare ai traguardi che ha raggiunto, "uno sforzo piu' arduo di quello che e' richiesto ad un uomo". Ma allora anche in un campo cosi' straordinario si puo' avvertire la sensazione che le pari opportunita' siano ancora da venire? Da cittadina del mondo, Xian lascia intendere che ci sono realta' in cui qualche passo avanti e' stato fatto. In Italia purtroppo ancora non e' una consuetudine anche se la sua nomina alla guida della Verdi consente qualche speranza per un riconoscimento piu' costante e meno straordinario ai talenti e alle capacita' delle donne. In qualunque campo. Ma e' difficile. Anche quando hanno un consolidato curriculum la strada e' sempre in salita. E c'e' bisogno della massima collaborazione, a cominciare dalla famiglia "anche se si ha un fisico resistente" rivendicato con forza, a dispetto dell'apparenza minuta. Qui viene evocato il ruolo del marito di Xian, che fa "lo scrittore e si occupa di finanza" e non si sottrae in alcun modo ad una concreta e fattiva collaborazione con la moglie con la bacchetta che ora ha anche un piccolino da accudire, cui deve dirigere la vita alternando pappe e sonnellini. Capita anche in camerino. "Coniugare maternita' e lavoro e' abbastanza complicato. Tanto piu' che noi viaggiamo molto. Per questo l'aiuto di mio marito e' fondamentale e rende possibile mettere assieme vita privata e carriera". Con il nuovo incarico la direttrice dovra' abitare a Milano per almeno quattro mesi l'anno. "L'occasione per conoscere meglio una citta' importante per la cultura, la moda, la finanza. Sara' molto bello scoprire cosa significa fare musica in questa realta'". E cercare di condurre in porto la sfida di "far arrivare la Verdi tra le prime venti orchestre al mondo". Il feeling tra l'orchestra e lei e' scattato in ottobre, alla prima direzione, quando era al settimo mese di gravidanza e dirigeva Sheherazade. Una sintonia immediata e inusuale. Cosi' Luigi Corbani, direttore della Verdi, con il presidente Cervetti, decise di affidarle il prestigioso incarico che correra', tra le altre, sulle note di Stravinskij e Beethoven. La sua orchestra le ha mostrato il massimo di disponibilita', "nessuna diffidenza perche' sono donna, ne' curiosita'". Il fatto e' che lei e' davvero brava e chi ama la musica non puo' trovarsi che in sintonia con lei. Il maestro Lorin Maazel alla giovane direttrice ha mostrato tutta la sua stima. La strada da percorrere sara' lunga. I programmi potranno essere aggiornati e cambiati. Ma per il momento prevale su tutto l'impegno del concerto di domani. Quest'oggi sara' una lunga giornata di prove nella sala dall'acustica perfetta dovuta alla genialita' architettonica di Pier Luigi Nervi. La direttrice dagli occhi a mandorla arriva alla prova forte di una invidiabile carriera che molti uomini non possono vantare. "Ma le donne impegnate nella direzione di un'orchestra non sono ormai una rarita'", ci tiene a precisare Xian Zhang quasi a volersi difendere da una curiosita' eccessiva, quasi a voler evitare che il riconoscimento del suo talento si perda davanti all'eccezionalita' del ruolo che le e' stato affidato. In realta' il suo e' ancora un lavoro eccezionale. "Su cento diplomati al conservatorio in direzione d'orchestra solo cinque sono donne, e una minoranza riesce ad arrivare sul podio", ha detto Nicoletta Conti che dirige complessi prestigiosi dal 1987, ed e' stata scelta come assistente da Leonard Bernstein. E' socio fondatore dell'Association International Femmes Maestros, l'associazione delle donne che hanno dedicato il loro talento alla bacchetta. Negli Stati Uniti sono 52. In Europa il numero e' molto piu' basso. Pero' Xian e' li' a dimostrare con il suo nuovo incarico e con il concerto di domani che forse qualcosa sta cambiado anche nel mondo delle sette note. A testimoniarlo c'e' l'esibizione sul podio di un'altra donna, e sempre alla presenza del pontefice. L'anno scorso, per le solenni celebrazioni del sessantesimo della Dichiarazione universale dei diiitti umani, e' stata la volta dell'esuberante basca Imma Shara. Si', qualcosa sta cambiando. 3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "VELI D'OCCIDENTE" DI ROSELLA PREZZO [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Rosella Prezzo, Veli d'Occidente. Temi, metafore, simboli, Bruno Mondadori, Milano 2008] Indice del volume Introduzione. Veli, questi fantasmi; 1. Rivelazioni: in principio era il velo; 1.1. Il velo di Dio; 1.2. Velum scissum; 1.3. La guerra dei veli; 1.4. Il Profeta e la prova del velo; 2. Nelle pieghe del pensiero, una trama velata; 2.1. Nuda Veritas; 2.2. Il complesso di Atteone; 2.3. Il filosofo e la dea velata; 2.4. Tra i veli della metafora; 2.5. Un significante fluttuante; 2.6. Ne' Iside ne' Medusa; 3. Sulla testa delle donne; 3.1. Lo svelamento della sposa; 3.2. Usi e abusi; 3.3. Un velo tra Occidente e Oriente; 3.4. Vedere ed essere visti; 3.5. Trasparenza e opacita'; Bibliografia; Indice dei nomi. * Da pagina 1 Introduzione. Veli, questi fantasmi Perche' un titolo come Veli d'Occidente, se i veli, "si sa", appartengono all'Oriente, arabo e islamico, di cui sarebbero anzi la cifra? Quei veli, portati da donne di "fuori", che vengono oggi a "invadere" il nostro campo visivo, insinuandosi nelle strade e nei luoghi delle nostre citta' ipermoderne o postmoderne, non provengono forse da li', da un mondo opposto al nostro, rimasto arcaico, fuori dal tempo della modernita', e divenuto oscuramente minaccioso? In fondo, e' questo il contesto che si associa ormai alla parola "velo" in un'immediata reazione difensiva, frutto di un sentire confuso e diffuso. Come se, proiettato dai margini al centro da cui siamo abituati a guardare il mondo, questo velo immigrato risultasse intollerabile alla vista o rappresentasse, di per se', un oltraggio. Nella civilta' dei diritti universali e delle liberta' individuali, ma anche dell'immagine e della visibilita', della liberazione e dell'esposizione dei corpi, messi in forma per essere distribuiti come fossero biglietti da visita, il velo femminile, ormai musulmano per antonomasia, ci risulta talmente alieno e fuori luogo da disturbarci, infastidirci, inquietarci. Vi scorgiamo il segno pervicace di un mondo "destinato" a sparire e che, al tempo stesso, si ripresenta come un'imprevista interruzione del "progredire" storico nella sua ineluttabile linearita'. Qualcosa, insomma, che viene a ostruirci la vista, che intralcia le nostre pre-visioni, gettandovi un'ombra di inconoscibilita'. Da qui l'immediata reazione che spinge a non volerlo vedere, a toglierlo di mezzo. Fino ad assimilarlo, in nome della laicita' e della liberta', a un "corpo di reato", come nel caso della "loi foulardiere" varata in Francia. Una legge che ha ben poco a che fare con la ragione del diritto o con le necessita' della sicurezza e che sembra, piuttosto, una "legge della paura", come e' stata definita da alcuni. Si decide cosi' che il velo e' il segno "ostentato" di appartenenza a una religione, inammissibile se portato da una ragazza nella scuola pubblica. E si decide anche che colei che lo porta, in qualsiasi forma e a prescindere da qualsiasi scelta individuale, e' la manifestazione di una discriminazione e di un'oppressione che offende la dignita' di tutte le donne. Col risultato paradossale che giovani musulmane, coi loro veli, sono espulse dalle scuole, mentre i loro compagni, appartenenti alla stessa cultura, rimangono a esercitare il loro diritto all'istruzione; e, colmo dell'ironia, le si rimanda alle famiglie che, secondo questo stesso schema, si suppone siano il luogo del patriarcato e del sessismo. Anche quando si tratta solo di un quadrato di stoffa che incornicia un volto, ai nostri occhi il velo delle donne musulmane si carica della potenza di un fantasma (i fantasmi non sono forse fatti di veli?), che attenta alla nostra stessa integrita' e minaccia i principi fondamentali della nostra civilta'. Eppure questi veli, che ci risultano cosi' alieni, sono parte in causa della nostra storia e interrogano la nostra cultura non meno di quella arabo-musulmana. A lungo, infatti, hanno alimentato l'immaginario erotico (e colonialista) occidentale ispirando numerose e fondamentali opere letterarie, artistiche, musicali. Attraverso di essi, e in particolare attraverso l'esotismo dell'harem, l'Occidente europeo ha costruito e fissato il miraggio dell'Altro, l'immagine proiettiva di un "Oriente misterioso", esotico per eccellenza: luogo di una fuga sognata, di forze oscure e di pericolosa sensualita', dove i veli onnipresenti delle donne sono assurti a simbolo di un intero mondo. Sembrerebbe, dunque, che una profonda metamorfosi sia avvenuta sotto i nostri stessi occhi. In realta', quelle immagini velate, proprio perche' uscite dal quadro in cui le avevamo collocate, ci ritornano come "sfigurate", non previste e fuori luogo. L'alterita', si sa, finche' e' lontana, finche' abita l'"Altrove", puo' anche animare i sogni e il desiderio, ma quando diventa cosi' prossima da ritrovarla in noi stessi, risulta intollerabilmente ingombrante. Tuttavia proprio questi "altri" veli che ritornano, che ci ritornano, rivelano, senza volerlo, qualcosa. Ci segnalano, inaspettatamente, il punto cieco da cui guardiamo, ce ne indicano l'esistenza che non vedevamo. Occorre allora tornare in se', non con un gesto di ripiegamento o di chiusura, ma per rivisitare i propri luoghi noti, rivedere cio' che pensavamo di sapere gia', riconsiderare le pretese universali di una civilta' la quale crede gia' di conoscere appieno la propria storia che si propone di rivelare agli altri. E' da tale sguardo rovesciato che muovono le riflessioni di queste pagine. Esse sono dettate innanzitutto da un tempo di sospensione che lascia risalire alla mente le corrispondenze, le analogie e la densita' di immagini che il velo richiama nella nostra cultura. Da qui il ripensamento dei veli d'Occidente, l'interrogazione sulla presenza, gli usi e i significati del velo, insieme alle pratiche discorsive e metaforiche animate dal gesto di velare, svelare e rivelare. Nel seguire un velo, che rimanda ad altri veli, si viene cosi' a tracciare un percorso, o meglio, a intrecciare una trama che ci porta a incrociare la questione dell'origine e della verita', del femminile e del fantasma di castrazione, della sessualita' e della violenza, in una zona di confine tra l'immaginario, il visivo, lo psichico e il concettuale. Una complessa costellazione di senso, di significati, metafore, simboli e immagini ruota attorno al velo come a un nucleo che, attraverso la sua incorporea materialita', anima da sempre quella che Vico chiamerebbe una "corposa fantasia". Duplicita' e ambivalenza sono costitutivi del velo. Esso rinvia infatti, alternativamente e contemporaneamente, al vedere-attraverso, al baluginio dell'intravedere e all'oscurita' dell'enigma, in cui si nasconde e si custodisce il mistero; alla nudita' disvelata della verita' (nuda Veritas) e alle apparenze ingannevoli o ai segreti dietro cui si cela la natura (i famosi veli di Maya o di Iside). Evoca il desiderio di possesso e la presa di distanza; la purezza e l'erotismo; i canoni tanto del pudore quanto della seduzione femminile (di cui la danza dei sette veli di Salome', per la quale il Battista perse la testa, e' assurta ad emblema nella nostra cultura, che ne ha peraltro rimossa l'origine rituale sacra). Associato sia alla sacralita' sia alla profanazione, il velo richiama la violenza sull'altro ("sciogliere i sacri veli di Troia" e' il sogno di Achille, che assimila l'abbattimento delle mura della citta' allo stupro del velo che ricopre la dignita' delle sue donne), ma anche la venerazione nei suoi confronti ("Sovra candido vel cinta d'ulivo / donna m'apparve", scrive Dante). Il velo e' stato concepito come supplemento di grazia o rivestimento leggero della nudita' femminile. Aby Warburg, nei suoi studi di iconologia, parlando dei veli ondeggianti che avvolgevano le ninfe, li definisce "accessori in movimento". Il velo e' infatti un tessuto animato da pathos che prende ad avere una vita propria e una sua autonomia visiva: ricetto, metaforico e metonimico, della sostanza immaginaria del desiderio e dell'irresistibile desiderio di vedere. Una cosa che, allora, da' piu' da pensare e' che, proprio con uno slittamento metonimico, questa "parte" dell'abbigliamento e di un costume femminile ha finito per indicare il "tutto". Come se il femminile, in quanto tale, fosse un affare di veli e il velo dovesse restare un affare del femminile. Eppure attorno a tale associazione ruota una buona parte della teoria psicoanalitica, che richiede di essere reinterrogata proprio su questo punto. L'intreccio tra velo, verita' e svelamento e' uno dei nessi piu' persistenti nella tradizione occidentale. In filosofia un legame essenziale tra desiderare, sapere e poter-vedere s'insinua, fin dal suo nascere, nelle pieghe del pensiero, dove la secolare relazione intrattenuta dal filosofo con la verita' si e' collocata nel campo metaforico del denudare, dello spogliare, dello svelare. Piu' che nuda la verita' e' messa a nudo dall'atto del pensare. Proprio nell'immagine della verita', come conferma largamente anche l'immaginario iconico, il velo mostra tutto il suo peso, caricandosi di un potere strutturante e trasformandosi in principio ordinatore, nel quale si vengono a sommare una metafora filosofica, estetica ed erotica. Una geometria profonda ha tenuto insieme il circolo desiderare-sapere-vedere con la triangolazione femminile-velo-verita' (che Nietzsche, per primo, ha reso esplicita e che Derrida ha rimesso al centro della sua operazione decostruttiva della razionalita' occidentale), dove il logos s'intreccia all'eros in un continuo gioco tra veli calati o imposti e veli sollevati o strappati, alternando passione dello svelamento e pathos del nascondimento. Il velo appartiene anche all'origine. Esso riveste infatti, con accezioni diverse ma che si rimandano a vicenda, un ruolo centrale nelle "ri-velazioni" delle religioni monoteistiche e dei loro miti fondatori, tanto che potrebbero essere definite tutte e tre "culture del velo". Nel racconto biblico e' Dio stesso a velarsi per istituire il patto d'alleanza con l'uomo; a imporre un velo nell'incontro con Mose', che, a sua volta, si vela quando discende dal monte Sinai con le Tavole della Legge. Attraverso un velo, quello del Tempio di Israele, che si squarcia alla morte di Cristo, si costruisce invece il senso fondamentale della nuova rivelazione cristiana. Mentre lo svelamento di una donna e' cio' attraverso cui Maometto puo' individuare il divino, sciogliere i suoi dubbi e riconoscersi come il Profeta. In fondo, in principio era il velo. Tuttavia proprio la presenza di questo comune velo originario decostruisce il concetto stesso di origine. Svela l'intrico alla radice e l'inevitabile richiamo ad altro che sono alla base dell'identita' della nostra cultura euro-occidentale, contrastando cosi' l'illusione e la trappola di un'originarieta' che si rinserra in una logica di assegnazione storica e di filiazione certa. E il gesto stesso di Freud quando, nel suo ultimo lavoro, L'uomo Mose' e la religione monoteistica, inizia col mostrare che il fondatore dell'ebraismo e' un egiziano, ossia uno straniero, non implica proprio questo? Effettuando una simile sottrazione all'origine, egli non ha forse voluto trasmettere la possibilita' di un altro racconto, che oppone all'autofondazione del proprio, alla sua chiusura, l'ospitalita' originaria dello straniero come condizione della civilta'? In parallelo ai veli originari e al gioco vertiginoso innescato dall'intreccio verita'-velo-femminile, i quali entrano a comporre la ricca trama della nostra tradizione, il velo ha fatto un lungo viaggio, tra usi e abusi, sulla testa delle donne. Il discorso deve tornare allora da capo, da un altro capo, per chiedersi: che significato ha assunto il velo nelle pratiche? Da dove viene l'obbligo delle donne di vivere velate, ma anche quell'ineluttabile desiderio di svelare le donne musulmane che e' entrato a far parte dell'ideologia del mondo occidentale colonizzatore-liberatore? Qui tornano a farsi visibili le contraddizioni e le questioni rimaste sempre aperte tra se' e l'altro, tra "noi" e "loro", tra uomini e donne, e che si presentano oggi, in un diverso intreccio, a un nuovo appuntamento storico, all'interno di un contesto mutato: un mondo globalizzato che ormai si da', in modo manifesto, come quell'unico paese spaesato che tutti abitiamo, e che e' la nostra comune modernita'. Ma e' solo in queste radici trasportate che la storia, come sempre, di nuovo inizia. * Da pagina 94 Un velo tra Occidente e Oriente Tale cortocircuito, che oscura la vista e il discernimento, risulta tanto piu' facile e immediato per il fatto che nel velo, diventato ormai un luogo della mente, si e' da lungo tempo fissata l'immagine proiettiva dell'Occidente sull'Oriente islamico. Alla base c'e' prima di tutto un'unificazione dei molti termini (hijab, haik, neqab, chador, abaaya...) che, nelle culture della vasta e composita area mediorientale, rimandano alla varieta' che va da un semplice fazzoletto che incornicia il volto alle palandrane nere che coprono l'intero corpo. Tale reductio ad unum risale al 1721 quando Montesquieu, nelle sue bellissime Lettere persiane, applica la parola "voile" all'islam ("vivere sotto il velo"), nell'intento di tradurre cosi' le varie parole arabe e persiane indicanti il "pezzo di stoffa con cui le donne musulmane si nascondono il viso". A questo uso del termine gli accademici delle lingue europee faranno da allora riferimento negli esempi che illustrano genericamente il senso del velo delle donne in Oriente, senza mai precisare la religione e il paese in cui e' applicata questa regola. Un unico velo si e' interposto tra Occidente e Oriente nello sguardo che l'uno ha rivolto all'altro, al suo Altro, caricandosi di desideri e paure. E' un "Oriente misterioso" quello che, tra Settecento e Ottocento e fino a parte del Novecento, viene infatti costruito, molto spesso inventato, come luogo della differenza e dell'esotismo per eccellenza, dove i veli onnipresenti delle donne diventano la cifra, il simbolo di un intero mondo. Attraverso gli occhi dei viaggiatori, degli studiosi orientalisti d'ogni sorta, dei romanzieri, dei pittori si propaga in Europa una narrazione dell'alterita' in cui domina per lo piu' una dimensione solipsistica. Tutto cio' non e' ovviamente una pura esercitazione dell'immaginazione, ma si colloca nel contesto della relazione di dominio e di egemonia che la colonizzazione comporta. La visione occidentale dell'Oriente andra' sempre piu' esasperandone l'arretratezza, l'arcaicita' e la pericolosita' in quanto islamico: le sue donne velate assurgeranno a emblema dell'antitesi dell'Occidente, dei suoi valori e della sua civilta', la cui missione liberatrice e di progresso passa anzitutto per lo svelamento delle donne. In particolare e' attraverso l'esotismo dell'harem, alimento per le fantasie erotiche dell'uomo occidentale, che si e' formato il miraggio dell'Altro. Un filo rosso unisce le traduzioni delle Mille e una notte e le Donne di Algeri di Delacroix; il sensuale Bagno turco e la Grande Odalisca di Ingres, dove il termine di origine turca che indicava una serva addetta a una donna viene erroneamente a significare la concubina di un harem, acquistando cosi' le sfumature di una volutta' nascosta di cui la parola era priva; la serie infinita delle odalische di Matisse, incorniciate in ricercate magie arabesche e immerse nell'atmosfera sognante di un mondo sospeso; le improbabili Parigine in costume algerino di Renoir, dove il "costume" e' il "nudo" di donne avvolte da esili veli, idoli carichi di gioielli e con sottili catene alle caviglie; le Salome' di Oscar Wilde o di Moreau, piene di simboli e di alchimie impenetrabili e inquietanti; l'Herodiade di Mallarme' e la Salammbo di Flaubert, fino ai segreti delle citta' islamiche spiegate attraverso i veli delle loro donne nel Viaggio in Oriente di Gerard de Nerval. Sono solo alcune tra le figure piu' famose di un intero album e di un ricco archivio della memoria coloniale occidentale, dove e' quasi costante l'associazione ai corpi femminili velati. L'Oriente che vi si mostra e' il luogo misterioso di una fuga sognata e di forze oscure, in cui tutto e' intriso di pericolosa e decadente sensualita' e di fascino esotico. L'Oriente mediterraneo - questo "paese dei sogni e delle illusioni" come riconoscera' lo stesso Nerval alla fine dei suoi viaggi - e' donna. Ma questo velo non e' che l'invito allo svelamento in quanto nasconde anzitutto la bellezza. Nella misura in cui il mondo arabo si caratterizza per essere una societa' dove la donna resta occulta, questi artisti la spogliano moltiplicando le scene dei bagni, degli harem, dei nudi di sultane e danzatrici. Proprio quell'interiorita' che e' un internamento diventa il punto di partenza della seduzione che per loro il luogo offre. Queste odalische, rinchiuse nei quadri o nelle pagine, sono svelate al piacere estetico e all'erotismo dello spettatore. Il velo dissimula un segreto, fa esistere un mondo del mistero e dell'occulto e, al tempo stesso, induce a toglierlo per mettere a nudo il segreto della donna orientale, vincerne la resistenza rendendola disponibile all'avventura. Un ineluttabile desiderio di "svelare" le donne musulmane e' entrato cosi' a far parte del complesso ideologico dell'Occidente in quanto conquistatore-liberatore. La logica colonialista identifica il velo nell'oppressione e il disvelamento nella liberazione. L'immagine dell'Altro si e' cosi' fissata, da ambo le parti, nel doppio registro del velamento/svelamento. A questo proposito una rappresentazione, ma questa volta dal vivo, resta cruciale. Algeri, 13 maggio 1958. Alcune donne arabe vengono esibite in pubblico, sopra un palco eretto nella piazza principale, mentre si tolgono il loro velo tradizionale. Per le autorita' coloniali questa messa in scena, organizzata dalle mogli dei colonnelli francesi, e' di grande importanza. La lotta contro il velo costituisce un punto di forza nella strategia di neutralizzazione delle resistenze e di assimilazione del popolo algerino all'interno dei valori della modernita' francese. Come scrive Frantz Fanon in un testo dal titolo L'Algeria si svela, da parte dell'amministrazione coloniale viene definita una precisa dottrina politica cosi' formulata: "se vogliamo colpire la societa' algerina nel suo contesto, nella sua capacita' di resistenza, dobbiamo, prima di tutto, conquistare le donne; dobbiamo andarle a cercare dietro il velo con cui si nascondono e nelle case in cui l'uomo le rinchiude". La donna e' l'insostituibile sostegno alla penetrazione occidentale nella societa' autoctona. Conquistare le donne, convertirle ai valori stranieri, strapparle alla loro condizione significa "impadronirsi di un potere reale sull'uomo e possedere i mezzi pratici, efficaci, per minare la struttura della cultura algerina". I colonizzatori si assumono il compito di parlare per la donna nativa oppressa dal patriarcato locale, ma solo per legittimare se stessi come liberatori e civilizzatori. In tutto cio', ovviamente, resta il fatto che ne' la tradizione patriarcale ne' la modernizzazione imperiale sono la voce delle donne subalterne. L'esposizione "svelata" delle algerine serve come linguaggio del potere coloniale, il cui messaggio e' che l'esercito contribuisce alla loro emancipazione e, liberandole dalla segregazione in cui le tengono padri, mariti e fratelli, da' loro la possibilita' di accedere all'universalita' dei valori moderni e laici. A queste enunciazioni si accompagna anche una legge che consente alle autorita' coloniali di togliere il velo, perquisire e fotografare le donne... ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 247 del 30 aprile 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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