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Minime. 805
- Subject: Minime. 805
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 29 Apr 2009 01:05:06 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 805 del 29 aprile 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Sette tristi riflessioni di un materialista sulla vicenda dell'uccisione di una persona 2. Le stragi che in Afghanistan, che in Pakistan 3. Opporsi al razzismo 4. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto 5. "Grillonews": Una campagna di indignazione nazionale contro gli F-35 6. Marina Forti: Una guerra dimenticata 7. Sezione Anpi "Emilio Sugoni" di Nepi: La festa della Liberazione non e' la festa di tutti 8. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 9. Alcuni estratti da "Gli attrezzi del filosofo" di Rino Genovese 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. NOTTE. PEPPE SINI: SETTE TRISTI RIFLESSIONI DI UN MATERIALISTA SULLA VICENDA DELL'UCCISIONE DI UNA PERSONA 1. La prima obiezione: se sia lecito togliere la vita a una persona. Fatto salvo il diritto a ragionevolmente disporre di se', fatto salvo il diritto inalienabile alla legittima difesa, in ogni altro caso ritengo ragionevole che ci si attenga al principio "non uccidere". In ogni altro caso. * 2. La seconda obiezione: se si possa esser certi che fosse volonta' di quella persona di essere uccisa. Continuo a credere che non sia cosi'. Ne' una eventuale volonta' - peraltro in altro tempo ed in altre circostanze espressa - puo' invalidare l'obiezione che precede. * 3. Vi e' stata una sentenza della magistratura. Non e' la prima volta che una sentenza della magistratura non mi persuade. E non mi persuadera' mai una sentenza della magistratura che dispone la soppressione di un essere umano. * 4. Cosa e' accaduto in questi mesi nell'etica pubblica: che sta passando nelle menti di molti il principio scellerato che i fragili, gli inermi, gli estremamente bisognosi di estreme cure possano essere uccisi. Mi sembra orribile. * 5. Sul metodo della discussione: invece di attenersi ai concreti fatti, al principio responsabilita', al sapere di non sapere tutto, alla misericordia che inibisce di sopprimere un essere umano - e sia pure ridotto a una condizione estrema -, si e' dato ascolto a disquisizioni astratte, a presunzioni spacciate per certezze, a sofismi lessicali e argomentativi, a un disumanante riduzionismo, a mistificanti diversioni che occultavano la questione decisiva, l'azione effettuale. Quell'azione: uccidere una persona. Quell'esito: la morte di una persona. * 6. Una penosa impressione: che l'individualismo borghese, incapace di pieta' e di solidarieta', ancora una volta abbia ammantato di narcotici pretesti e ingannevoli paralogismi la sua voglia di uccidere, il suo disprezzo per la vita altrui. Ed abbia voluto il male spacciandolo per bene. Abbia ucciso e preteso di chiamare pieta' e civilta' l'uccidere. Non e' la prima volta che accade. Una volta la sinistra - il movimento di liberazione delle oppresse e degli oppressi - si batteva senza esitazioni contro questa ideologia e questa prassi. Io credo che la sinistra continui a battersi per questo, ma essa sinistra si e' cosi' ristretta che a rappresentarla qui e adesso sembra essere restato forse solo chi scrive queste righe e non saprei quante altre persone ancora, vorrei sperare molte, potrebbero esser poche. * 7. Una citazione e un sogno, per concludere - o non concludere. La citazione e' quella scespiriana di Amleto che dice ad Orazio che vi sono piu' cose in cielo e in terra di quante non se ne sognino nelle nostre filosofie. Il sogno che feci una volta - forse piu' volte, certo e' che non l'ho mai piu' dimenticato - e' il seguente: mi trovavo in una buia galleria, un lungo desolato corridoio, e camminavo e camminavo e camminavo, e sapevo che quello era il mio inferno, e che per l'eternita' non avrei mai incontrato nessuno. 2. LE ULTIME COSE. LE STRAGI CHE IN AFGHANISTAN, CHE IN PAKISTAN Le stragi che in Afghanistan, che in Pakistan son frutto della nostra guerra, della nostra complicita' col terrorismo. Le stragi che non spremono una lacrima ai pacifisti strabici e muniti di cariche e stipendi dal governo centrale e dagli enti locali. Le stragi che preparano altre stragi. Solo il disarmo salva le vite solo la smilitarizzazione dei conflitti solo l'affermazione concretamente agita del riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani. Chi non si oppone alla guerra ne e' complice. Chi non si oppone alle stragi ne e' complice. Chi non si oppone agli armati ne e' complice. Chi non si oppone alle armi ne e' complice. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 3. LE ULTIME COSE. OPPORSI AL RAZZISMO Le vicende degli ultimi giorni rendono ancor piu' evidente la necessita' e l'urgenza dell'impegno contro il razzismo: occorre l'impegno di tutte le persone di volonta' buona, l'impegno di tutti i movimenti democratici e l'impegno di tutte le istanze istituzionali fedeli all'ordinamento giuridico della Repubblica Italiana. Il progetto governativo di imporre un regime di apartheid puo' essere contrastato e sconfitto. La difesa della legalita' costituzionale ed il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani sono beni non negoziabili: chi vuole imporre norme razziste e' fuorilegge, il razzismo e' un crimine contro l'umanita'. 4. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili informazioni e proposte. 5. RIARMO. "GRILLONEWS": UNA CAMPAGNA DI INDIGNAZIONE NAZIONALE CONTRO GLI F-35 [Dal sito www.grillonews.it] Un "terremoto" di indignazione, un coro di proteste. E' quello che la societa' civile e' chiamata, ora piu' che mai, ad esprimere dopo che il 7 e 8 aprile 2009 le commissioni Difesa di Camera e Senato hanno espresso parere favorevole al "Programma pluriennale relativo all'acquisizione del sistema d'arma Joint Strike Fighter JSF", il faraonico progetto che il Governo intende lanciare mediante la produzione e acquisizione di 131 cacciabombardieri JSF completi di relativi equipaggiamenti, supporto logistico e basi operative. Costo stimato: oltre 13 miliardi di euro, nel periodo 2009-2026. Tredici miliardi di euro! A cio' va aggiunta la realizzazione sul suolo nazionale, a Cameri (Novara), di un centro europeo di manutenzione, revisione, riparazione e modifica dei velivoli italiani ed olandesi: costo di 605,5 milioni di euro. E va aggiunto, anche, un altro miliardo di euro gia' investito per la fase di sviluppo. I cacciabombardieri JSF (meglio conosciuti come F-35) sono aerei d'attacco capaci di portare, se serve, anche ordigni atomici e che costituiranno la nuova linea tattica di Aeronautica e Marina Militare nella prima meta' di questo secolo. E che ci costeranno un salasso. Un progetto talmente faraonico che perfino il sottosegretario di Stato per la difesa, Guido Crossetto, ha dovuto ammettere "che il finanziamento potra' avvenire attraverso risorse contenute nello stato di previsione del Ministero della Difesa o verosimilmente attraverso fondi allocati in altre poste di bilancio esterne a quello della Difesa". Nelle scorse settimane, prima del voto delle commissioni parlamentari, alcune associazioni avevano lanciato un grido di allarme, praticamente oscurato dai mass-media e dai gravissimi eventi dell'Abruzzo. "E' paradossale - hanno scritto Giulio Marcon e Massimo Paolicelli della Campagna "Sbilanciamoci" - che si possano stanziare tutti questi soldi per un sistema d'arma che in molti dei paesi coinvolti viene valutato troppo costoso e molto discutibile dal punto di vista operativo. E incoerente con delle missioni di pace. Mentre il Governo non riesce a trovare le risorse necessarie per potenziare gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, indennita' di disoccupazione, ecc.) per chi perde il posto di lavoro, le varie 'caste' del nostro paese escono intoccate, o solo sfiorate, dalla crisi: banchieri, manager, grandi imprese, le forze armate, ecc. Anche nella crisi si fanno delle scelte che invece di essere guidate dal perseguimento dell'interesse generale, si fanno orientare da interessi corporativi o legati a piccoli e grandi privilegi. Qui, la 'sicurezza nazionale' o la 'funzionalita' delle nostre Forze Armate' non c'entra niente: e' solo un gioco di interessi convergenti (business dell'industria bellica nazionale, autoconservazione corporativa delle Forze Armate, difesa di uno status internazionale peraltro assai dubbio, ecc.) a spingere il Governo e il Parlamento in una direzione completamente sbagliata. Quella del riarmo e dell'irresponsabilita' sociale. La scelta che il Parlamento si appresta a fare, dando parere positivo alla prosecuzione del programma di costruzione dei 131 cacciabombardieri JSF, e' un fatto di assoluta gravita'. Piu' o meno ogni aereo vale l'equivalente di 400 asili nido o se si preferisce, vista l'attualita', l'indennita' di disoccupazione (quella prevista dal Governo) per 80.000 precari". O, se si preferisce, aggiungiamo noi, i 131 velivoli militari costeranno piu' dell'intera ricostruzione di case e servizi nel terremotato Abruzzo. Grillonews.it di fronte a questo preoccupante "Programma di riarmo" ha pensato di lanciare in tutta Italia una "Campagna di indignazione nazionale": una raccolta di firme in appoggio ad un appello che la testata on-line provvedera' ad inoltrare alle piu' alte cariche dello Stato. Appello che verra' inviato, ogni 200 firme raccolte, alle istituzioni nazionali e ai mass-media, per ricordare loro che molti cittadini che vivono nel nostro Paese non ritengono indispensabile, ma anzi immorale, l'investimento di decine di miliardi di euro per l'acquisizione di cacciabombardieri. Firma anche tu. E fai conoscere l'iniziativa ai tuoi amici. * L'e-mail di riferimento della campagna e': campagnaindignazionenazionale at gmail.com Il sito: www.grillonews.it 6. MONDO. MARINA FORTI: UNA GUERRA DIMENTICATA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 aprile 2009 col titolo "Sri Lanka. Indifferenza globale per 6.400 morti. Quel sangue che scorre ma non 'buca' il video"] Continua a non fare notizia la guerra in corso in Sri Lanka, nazione dell'Asia meridionale forse nota ai piu' come destinazione turistica. Eppure in questi giorni si sta consumando una vera e propria tragedia umana, con una popolazione di circa duecentomila persone, o forse piu', letteralmente presa tra due fuochi. Le vittime civili si contano a migliaia - il Comitato internazionale della Croce Rossa parla di oltre 6.400 da gennaio. Le immagini che arrivano mostrano militari in avanzata e colonne di uomini, donne e bambini in fuga, persone allo stremo e feriti stesi a terra in ospedali improvvisati. Ma quelle foto non hanno fatto il giro del mondo. L'indifferenza mondiale di fronte a una simile crisi umanitaria non smette di stupire. Sara' che lo Sri Lanka non e' al centro delle preoccupazioni geostrategiche mondiali? Del resto solo i media britannici stanno dando un'informazione continua e dal vivo sugli eventi (sara' per lo storico legame con la regione), oltre a una tv come al Jazeera - confermando di essere capace di cambiare l'ordine delle priorita' dell'informazione. Se ne occupa anche la stampa indiana, ma e' scontato: per l'India si' che e' rilevante quanto avviene nel vicino Sri Lanka. New Delhi sa che il conflitto ormai venticinquennale tra lo stato centrale (dominato dalla maggioranza etnica cingalese) e il movimento ribelle della minoranza etnica tamil e' sconfinato spesso nell'India stessa - nello stato meridionale del Tamil Nadu, abitato da una forte popolazione tamil (furono quei ribelli, le "Tigri per la liberazione della patria tamil", a uccidere l'ex premier Rajiv Gandhi nel 1991). Per l'India e' una pericolosa turbolenza nel cortile di casa, per l'occidente una crisi remota. In Sri Lanka vediamo molto piu' che una crisi umanitaria. E' una precipitazione di quel conflitto tra maggioranza e minoranza - anzi minoranze, diverse - nella nazione chiamata Sri Lanka, meno di 20 milioni di abitanti divisi tra cingalesi (73%) e tamil. Chiama in causa le nozioni di convivenza e democrazia. Quello di questi giorni in Sri Lanka e' l'epilogo di una campagna militare condotta in modo brutale nel corso dell'ultimo anno dall'esercito: coperta da forte censura e dalla sistematica intimidazione verso i giornalisti (vedi "Il manifesto" del 7 marzo), senza testimoni. Perfino la Croce Rossa e le organizzazioni umanitarie dell'Onu sono tenute a distanza. E' accompagnata da una guerra di propaganda: il governo di Colombo ha dapprima negato che l'offensiva abbia fatto vittime civili, poi le ha attribuite alle Tigri - negli ultimi giorni ha permesso ai media di fotografare militari che distribuiscono cibo ai civili "salvati" dalle grinfie dei ribelli. Fonti vicine all'Ltte diffondono notizie drammatiche sui civili vittima dei cannoneggiamenti dell'esercito. Le fonti indipendenti sono poche, ma esistono e sono quel poco di societa' civile organizzata che in Sri Lanka tenta di opporsi alla deriva: una e' il gruppo degli "Insegnanti universitari per i diritti umani", sezione di Jaffna, che ha documentato sia come l'esercito abbia preso di mira la popolazione civile tamil in modo deliberato, a partire dal 2006, con evacuazioni forzate e fuoco d'artiglieria - sia come le Tigri abbiano instaurato un sistema di arruolamento forzato e abbiano impedito ai civili di fuggire dalle zone di conflitto. Quella popolazione presa tra due fuochi e' il vero segno della crisi in Sri Lanka. Da gennaio in poi l'esercito ha sbaragliato, uno a uno, tutti i bastioni delle Tigri. L'ultima resistenza dei ribelli sembra disperata, sul piano militare. Il presidente Mahindra Rajapakse, fautore di una versione estrema del nazionalismo cingalese, ha descritto la guerra interna come una "war on terror", in cui le Tigri sono un'incarnazione del terrorismo internazionale, e ne ha usato tutta la retorica. Ha instaurato, en passant, un governo estremamente autoritario. Oggi si sente vittorioso. Ma anche quando avra' sbaragliato le Tigri, restera' il conflitto etnico in Sri Lanka - segnato da discriminazioni e storici episodi di "pulizia etnica" contro le minoranze. "La tragedia che si sta consumando in Sri Lanka e' il risultato di un nazionalismo distruttivo, uno sciovinisno cingalese da un lato e un gretto nazionalismo tamil dall'altro", scrivono gli "Insegnanti per i diritti umani". I tamil ostaggio della pretesa delle Tigri di rappresentarli, il paese intero ostaggio nel nazionalismo cingalese. 7. MEMORIA. SEZIONE ANPI "EMILIO SUGONI" DI NEPI: LA FESTA DELLA LIBERAZIONE NON E' LA FESTA DI TUTTI [Da Giuseppe Tacconi, presidente della sezione Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) sezione "Emilio Sugoni" di Nepi (per contatti: beppe.tacconi at alice.it), riceviamo e diffondiamo] Lo scorso 25 aprile abbiamo ricordato e festeggiato la Liberazione dell'Italia dalla dittatura nazifascista e la fine della seconda guerra mondiale. Abbiamo ricordato gli uomini, le donne e i ragazzi che presero parte alla lotta di Liberazione, sacrificando vita e giovinezza perche' l'Italia fosse realmente un paese libero, democratico ed antifascista. Abbiamo onorato la memoria dei militari italiani mandati a morire per una guerra ingiusta. Abbiamo voluto ribadire ancora una volta la nostra volonta' forte e ferma di difendere e far conoscere la Costituzione Italiana nata dalla Resistenza e dalla lotta antifascista. Per queste ragioni la festa del 25 aprile non e' la festa di tutti e non puo' essere la festa di tutti. Non puo' essere infatti la festa di coloro che ogni giorno attentano alla Costituzione e ai diritti che essa sancisce. Non puo' essere la festa di coloro che vogliono negare il diritto alla salute ai migranti, di coloro che promulgano leggi ad personam per evitare processi, di coloro che distruggono ambiente e salute pur di fare affari, di coloro che chiamano missioni di pace guerre ingiuste e stragiste come quella che si sta consumando in Afghanistan nel totale disprezzo dell'articolo 11 della Costituzione che invece fa dell'Italia un paese di pace. Non puo' essere la festa dei razzisti della Lega Nord, non puo' essere la festa dei golpisti della P2 che ora pontificano e danno lezioni di democrazia nei vari salotti televisivi, non puo' essere la festa dei tanti neofascisti che adesso per opportunismo indossano il doppiopetto invece della camicia nera; non puo' essere la festa di quelle persone che invece di onorare e far rispettare il diritto alla liberta' di stampa preferiscono da soli mettersi il bavaglio pur di non infastidire il padrone; di coloro che dimenticano che l'Italia e' uno Stato laico e non un feudo del Vaticano; di coloro che vogliono far dimenticare le stragi compiute dai fascisti della repubblica sociale di Salo' a servizio dei nazisti tanto da volerli equiparare ai partigiani e conferirgli anche un riconoscimento economico. Il 25 aprile non e' la festa di coloro che tradiscono ogni giorno l'articolo 1 della Costituzione che afferma che l'Italia ' un paese democratico fondato sul lavoro. La festa del 25 aprile e' una festa di parte. E' la festa di quella parte onesta e perbene dell'Italia che ama e si batte perche' la Costituzione sia rispettata ed attuata in pieno. Questa oggi e' la nostra lotta antifascista, quindi ora e sempre Resistenza. 8. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 9. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "GLI ATTREZZI DEL FILOSOFO" DI RINO GENOVESE [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Rino Genovese, Gli attrezzi del filosofo. Difesa del relativismo e altre incursioni, Manifestolibri, Roma 2008] Indice del volume Premessa; Piccola difesa del relativismo; Significati dell'ibridazione; Filosofia e ibridazione; Verita' e impegno scettico; La negazione e l'"altro"; Addio all'ermeneutica; Lo stile della filosofia trascendentale; La questione del mito; Soggetto e mito. Per una rilettura della Dialettica dell'illuminismo; Intersoggettivita', teoria della conoscenza e sindrome antisemita. Rileggendo la Dialettica dell'illuminismo; Il razzismo discreto; Che cos'e' il razzismo? Comunicazione e riconoscimento; Postfordismo. Un seminario con Paolo Virno; Identita'. Voci per un lessico; L'impossibile comunita'. Una critica di Nancy e Agamben; America oggi: sindrome da solitudine; Il grido delle banlieues; Ripensare il socialismo? L'utopia non puo' finire; Fonti; Indice dei nomi. * Da pagina 9 Piccola difesa del relativismo A un uomo saggio fu domandato: "Sei relativista?". Lui, dopo una breve esitazione, rispose: "Su certe cose si', su altre no". In effetti, a pensarci bene, una proposizione come "tutto e' relativo" ha un significato solo in una chiacchierata al bar; da un punto di vista logico e filosofico, non ne ha affatto, perche' se tutto e' relativo, allora il relativismo stesso non e' relativo: piuttosto e' un assoluto e si finisce in una contraddizione in termini. Se invece si dice che "alcune cose sono relative e altre non lo sono", questa e' una proposizione ammissibile logicamente (nel senso che non e' autocontraddittoria) e anche difficilmente confutabile. Per esempio, ci sono mille modi per soddisfare lo stimolo della fame, relativi alle latitudini e alle culture - ma lo stimolo della fame e' lo stesso per tutti gli esseri umani sul pianeta, non e' affatto relativo. Dunque cio' che "grida vendetta al cospetto di Dio" (per chi crede, ma anche per chi non crede e potrebbe considerare Dio come una metafora in cui si esprime un'aspirazione al mutamento sociale) e' il fatto che ci siano tanti esseri umani che soffrano la fame, non certo, poniamo, il fatto che nella dieta di talune popolazioni rientrino le cavallette e altri insetti messi al bando dalla cucina occidentale. Allo stesso saggio fu poi domandato: "Come si fa a discernere cio' che e' relativo e cio' che non lo e'?". Lui, dopo una breve esitazione, rispose: "Alcune cose sono relative a prima vista, come i gusti nella cucina; altre lo diventano solo riflettendoci su. Comunque intorno alle une e alle altre e' sempre possibile la disputa". In effetti neppure i gusti alimentari sono al riparo da contestazioni: il vegetariano potra' criticare il carnivoro, e il carnivoro trovare argomenti contro il vegetariano. Le cose si fanno piu' difficili quando si introducono questioni di natura etica, in cui la disputa si fa piu' accesa. Quando ci si domanda, per esempio: "E' giusto o non e' giusto uccidere gli animali per cibarsene?". Si sa che alcune credenze religiose escludono che questo sia lecito; altre invece lo ammettono. E se poniamo la domanda: "E' giusto o non e' giusto cibarsi di carne umana?", allora i nasi si arricciano, le bocche si storcono, e la stragrande maggioranza di noi risponde decisamente di no. Ma se, facendo un esperimento mentale, consideriamo la questione nei termini di un rito cannibalico di una certa tribu', o in quelli di una civilta' presso cui si praticano sacrifici umani, allora la nostra risposta si complica e puo' anche farsi meno decisa. Coloro disposti ad ammettere la completa distruzione di una cultura - delle sue usanze, dei suoi costumi, delle sue divinita' -, pur di vedere sparire l'orrore del rito cannibalico o del sacrificio umano, sarebbero forse in numero inferiore rispetto a quelli pronti a condannare l'idea di siffatte pratiche. Al saggio fu infine domandato: "Se un relativismo assoluto non c'e', bisogna allora distinguere tra forme e gradi diversi di relativismo?". Lui, dopo una breve esitazione, rispose: "Si'". In effetti il relativismo indica semplicemente la pluralita' dei modi di vivere e di pensare presenti sul pianeta. In questo senso si deve parlare di piu' relativismi: un relativismo culturale, un relativismo etico, un relativismo delle strutture cognitive in rapporto alle diverse lingue, e cosi' via. Prendiamo il relativismo culturale, di solito considerato il piu' radicale. Siamo qui, piu' che altro, dinanzi alla constatazione di un fatto. Non si tratta nemmeno di un problema quanto di un'evidenza - e per giunta di un'evidenza molto antica. Gli scettici antichi ne avevano fatto uno dei capisaldi della loro posizione filosofica, che, come si sa, consisteva nel sospendere il giudizio sul vero e sul giusto. A questo proposito si legge in Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, IX, 83): "La stessa cosa per alcuni e' giusta, per altri e' ingiusta, o anche per alcuni e' buona, per altri e' cattiva. I Persiani non ritengono strana l'unione con una loro figlia, i Greci al contrario la ritengono peccaminosa. I Massageti, come riferisce anche Eudosso, ammettono la comunanza delle donne, i Greci non l'ammettono...". Ma la questione della relativita' degli usi e dei costumi, cioe' delle culture, viene a porsi in termini nuovi - prima con il cristianesimo e poi soprattutto nell'eta' moderna -, quando questa relativita' viene messa a confronto con la crescente universalizzazione dei diritti degli individui: dunque quando le culture perdono terreno rispetto a cio' che siamo soliti chiamare societa'. Finche' non viene posto il problema della "vittima sacrificale" come il problema di un individuo portatore di diritti (primo tra tutti, quello all'esistenza), neppure puo' essere posto il problema dell'affrancamento dal cannibalismo o dal sacrificio umano. E quando si metta a confronto il diritto di ciascuno all'esistenza con la situazione di una cultura che non lo riconosca, si puo' proporre che quella stessa cultura realizzi un compromesso o una transazione al suo interno, cosi' da spostare il rito sacrificale (non si sa con quanto successo) sul piano simbolico, risparmiando la vita della vittima predestinata. Oppure, ancor meglio, ci si puo' adoperare per promuovere la ribellione di tutte le vittime predestinate. Ad acquistare rilevanza, in ogni caso, e' il verbo "contemperare". Bisogna contemperare tradizioni culturali e valori differenti in base alla considerazione che nessuno di essi si colloca in un mondo chiuso in se stesso. Il "politeismo di valori", come lo chiamava Max Weber, e' tipico del mondo moderno: cioe' di quel mondo che non si basa piu' sulla quieta autoconsistenza della cultura, ma sull'inquietudine della societa' come una forma di vita associata in cui si e' chiamati non tanto a una scelta, a un "aut aut", quanto piuttosto a tenere insieme - e talvolta nelle stesse persone - valori differenti. Non e' giusto che ci siano vittime sacrificali, ma non e' giusto nemmeno che le culture siano costrette a scomparire, sterminate o spinte a uscire di scena. Bisognera' contemperare allora le diverse esigenze mediante l'arte per nulla ignobile del compromesso. Il relativismo culturale moderno - a differenza di quello degli antichi, che si limitavano ad alzare le spalle - vive di una tensione costante con il suo opposto speculare, cioe' con l'universalismo. E questo non soltanto perche' un relativismo assoluto sarebbe logicamente contraddittorio, ma per una scelta "politica": perche' l'universalismo non puo' gonfiarsi a dismisura senza diventare un'ideologia di dominio alla fine molto parziale, e perche', d'altro canto, incentrare tutto sulle differenze culturali vorrebbe dire abbandonare gli individui alla loro sorte, spesso infelice, all'interno di queste. L'idea di fondo e' che una trasformazione sociale sia sempre possibile, e che agli universi culturali chiusi in se stessi non tocchi l'ultima parola. * Da pagina 83 Soggetto e mito. Per una rilettura della Dialettica dell'illuminismo 1. Le tesi sostenute da Horkheimer e Adorno nella Dialettica dell'illuminismo circolavano ieri in modo cosi' massiccio tra gli intellettuali e i movimenti di sinistra, e appaiono oggi cosi' neglette e invecchiate, che il rivisitarle rischia facilmente di prendere la piega di un bilancio storico privo di spessore filosofico, se non addirittura quella di un melenso "come eravamo" intriso di nostalgia o pentimento. Leggere una filosofia, per discuterla in un confronto teorico, non sembra rientrare nelle abitudini del senso comune intellettuale, almeno in Italia. Gia' nella ricezione degli autori francofortesi negli anni Sessanta e Settanta vi fu qualcosa di troppo immediatamente legato all'azione politica; nel loro accantonamento successivo si scorge invece la hybris di una restaurazione cresciuta piu' sulla stanchezza e la noia che su di un regolamento di conti con il passato. Peccato, perche' la Dialettica dell'illuminismo costituisce una di quelle non frequentissime imprese intellettuali che per il rigore e lo stile provocatorio con cui sono condotte dovrebbero indurre piuttosto alla discussione che all'uso manipolatorio e al rapido abbandono. Invece sarebbe vano porre il problema dei motivi teorici in virtu' dei quali non poca gente in Italia prese a interessarsi a questo e ad altri testi della scuola di Francoforte e successivamente li lascio' cadere nell'oblio, perche' i motivi in questione, ammesso che ci siano mai stati, sembrano essersi dissolti come neve al sole. In Germania, dove la filosofia in genere viene presa piu' sul serio, Juergen Habermas si e' ufficialmente congedato dal pensiero dei suoi maestri con un saggio compreso nel Discorso filosofico della modernita'. La ricerca di Habermas si colloca su di una lunghezza d'onda ormai molto diversa da quella di Horkheimer e Adorno; eppure egli ha sentito il bisogno di ritornare sul significato di questo distacco ancora una volta dopo le pagine gia' esplicite dedicate all'argomento nella Teoria dell'agire comunicativo. Questa insistenza potra' essere imputata a una quantita' di fattori contingenti, affettivi, occasionali o d'altro genere. Ma la mia impressione e' che essa possa essere spiegata mediante delle ragioni sostanziali. E precisamente: Habermas deve ritornare su Horkheimer e Adorno perche' la loro prospettiva e' quella che impedisce nel modo piu' radicale una teoria dell'agire comunicativo entro il medesimo contesto di riferimenti. Per comprendere questo punto, bisogna considerare non soltanto la circostanza relativamente banale che una parte almeno degli autori cui Habermas si riferisce, come Max Weber o Durkheim, sono gli stessi cui si riferiscono gli autori francofortesi, quanto piuttosto che la struttura concettuale del pensiero di Habermas, e lo stesso procedimento della critica immanente, sono del tutto dipendenti dalla buona vecchia scuola di Francoforte. Certo, Habermas opera un allargamento tematico, prende in esame dottrine e autori che dai maestri sarebbero stati immediatamente bollati con l'etichetta di positivismo, evita il riferimento a Hegel, privilegiato soprattutto da Adorno; ma per l'essenziale, se si esamina con mente serena la prospettiva di Habermas, ecco che il gioco delle analogie appare inevitabile. Partiamo innanzitutto dalla critica ad Adorno nella Teoria dell'agire comunicativo. Questa critica verte sulla presunta dipendenza del pensiero adorniano dalla filosofia della coscienza e sulla mancanza in esso di una "svolta linguistica" nella direzione dell'agire comunicativo... * Da pagina 211 L'utopia non puo' finire 1. Quarant'anni fa, nel luglio del 1967 a Berlino, in un'appassionata discussione con gli studenti, Herbert Marcuse proclamava la fine dell'utopia. Si trattava - come del resto venne in chiaro con fragorosa evidenza l'anno seguente - non certo dell'abbandono dell'idea di un mutamento sociale radicale, ma al contrario della sua riaffermazione. L'utopia finiva in quanto apparivano ormai mature le condizioni oggettive della sua realizzazione. Lo sviluppo delle forze produttive - sostiene Marcuse - sarebbe arrivato a un punto tale da consentire l'eliminazione della fame e della miseria nel mondo; la scienza e la tecnologia, applicate all'automazione dei processi produttivi, permetterebbero l'abolizione della fatica e l'avvicinamento del lavoro al gioco secondo la prospettiva anticipata da Fourier; una nuova antropologia (non puramente teorica ma vissuta) potrebbe trasformare i "falsi bisogni" consumistici in bisogni sociali, decretando la fine della "servitu' volontaria" sadomasochistica e della "repressione addizionale" che grava sugli istinti: cioe' la fine di quella dose di repressione non strettamente necessaria alla civilta' ma solo agli interessi del capitalismo. Si tratterebbe insomma di considerare ormai possibile quel salto dalla preistoria alla storia, dal regno della necessita' al regno della liberta', dinanzi al quale lo stesso Marx (per non parlare del marxismo successivo) si era ritirato quasi spaventato. Ma, accanto a cio', Marcuse non mancava di sottolineare la debolezza delle condizioni soggettive che renderebbero realizzabile il salto. La classe operaia degli Stati Uniti, cioe' del paese in cui il capitalismo e' nel suo stadio piu' avanzato, e' integrata nel sistema (come dimostra, tra l'altro, il suo consenso maggioritario alla guerra nel Vietnam); e in Europa la classe operaia, che pure ha maggiore capacita' conflittuale, potrebbe essere resa in breve tempo inoffensiva grazie alla diffusione del benessere. Dunque l'opposizione studentesca e i gruppi intellettuali, pur svolgendo un ruolo importante, possono tutt'al piu' fungere da "catalizzatori" di un soggetto rivoluzionario che non c'e', dandosi da fare per il risveglio e la lenta formazione di una coscienza critica, in ideale connessione con i fermenti di liberazione che vengono dal terzo mondo. Quarant'anni dopo, la situazione e' mutata, anzi peggiorata. Il progetto di riattualizzazione e riconversione del socialismo (dalla "scienza" all'utopia, e da qui, poi, alla questione della sua realizzazione) appare addirittura cancellato dall'agenda, politica o filosofica che sia. La classe operaia, ancor piu' che integrata nel sistema, e' ridotta a una sorta d'irrilevante o residuale marginalita': messa fuori gioco dai mutamenti dell'organizzazione produttiva, trasformata forse in qualche altra cosa, e sempre piu' priva di quel luogo di aggregazione e di educazione alla lotta, oltre che di sfruttamento spesso brutale, che era la grande fabbrica. I movimenti di liberazione sono scomparsi dalla scena mondiale, e la loro eredita' appare oggi viva soltanto nei paesi latinoamericani. Il processo di decolonizzazione degli anni Sessanta del Novecento e' fallito o andato a male, finendo spesso nelle guerre fratricide e nelle stragi etnico-religiose. L'espressione "uomo nuovo" fa venire in mente incubi alla Pol Pot; e quasi piu' nessuno sembra ricordare che la possibilita' di una trasformazione dei bisogni e degli istinti, non bloccati dall'idea di una presunta natura umana immutabile, era parsa a molti una via percorribile alla ricerca di un'alternativa sia ai totalitarismi sia alla cosiddetta societa' dei consumi. Sono invero riapparsi, a partire dagli anni Novanta, quelli che si chiamano i movimenti. Ma gli oppositori in Occidente, o nel cosiddetto nord del mondo, sono per forza di cose spinti ad accentuare il carattere moralistico della protesta, mancando per lo piu', dall'altra parte del pianeta, un interlocutore per i movimenti di "critica della globalizzazione". Un incontro tra il subcomandante Marcos e Bin Laden appare, diciamo cosi', poco probabile; mentre, all'epoca in cui Marcuse dichiarava la fine dell'utopia, Che Guevara e Ho-Chi-Minh, insieme con molti altri, combattevano la stessa battaglia. Del resto, spostandoci sul piano della teoria, sembra quanto meno imprecisa quella nozione di globalizzazione da cui si vorrebbe far discendere la critica della stessa. Con questa nozione si vuole intendere che il mondo non e' piu' bipolare, come ai tempi in cui c'era ancora il blocco sovietico? Se e' cosi', si tratta di una constatazione banale. O con essa si vuole sostenere che assistiamo a una sorta di omologazione culturale mondiale in cui gli stili di vita si integrano sempre piu'? Se fosse questo il significato dell'espressione, sarebbe semplicemente sbagliato: un'omologazione generale non solo non c'e', ma la sua tendenza si e' addirittura capovolta da quando, proprio con la scomparsa dell'Unione Sovietica, e' venuto meno - anche in quello che era detto il terzo mondo - quel riferimento alla cultura occidentale che il marxismo di Stato comunque implicava, in virtu' del legame da questo istituito con i movimenti di liberazione nazionale. Di conseguenza hanno ripreso vigore le tradizioni culturali locali, i profeti delle piccole patrie, le ricerche identitarie piu' o meno aggressive. Se infine con "globalizzazione" s'intende il ruolo centrale assunto dall'economia nel mondo d'oggi, soprattutto dall'economia finanziaria, grazie all'integrazione dei mercati prodotta dallo sviluppo della comunicazione e della tecnica, qui c'e' da fare allora una pausa di riflessione per vedere se questa non sia soltanto la punta di un iceberg la cui parte meno visibile e' in realta' molto diversa. Stiamo infatti parlando di un mondo in cui un terzo degli abitanti del pianeta non ha mai fatto neppure una telefonata! E un mondo in cui la miseria regna indisturbata mentre pochi privilegiati comunicano via Internet, viaggiano, acquistano e vendono titoli e merci. Dinanzi a cio', dinanzi alle enormi diseguaglianze planetarie, la risorsa di chi e' privo di risorse e' fornita da quella struttura inutile, se cosi' vogliamo chiamarla, data dalla cultura. Con questo termine (che puo' essere desunto dall'uso che ne fa una scienza sociale specifica, l'antropologia culturale) s'intende tutto cio' che, nella forma degli usi e costumi di una popolazione, reintegra cio' che l'economia capitalistica moderna invece divide - almeno in linea di principio - in connessione con la generale tendenza alla differenziazione delle sfere della vita sociale. La cultura, con le reti di solidarieta' che rende possibili, assicura la stessa sopravvivenza degli individui, per esempio in vaste zone dell'Africa o dell'Asia. Non si tratta solo di una forma di compensazione psicologica. La tribu', il clan, la famiglia diventano momenti immediatamente economici... 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 805 del 29 aprile 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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