Minime. 803



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 803 del 27 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Le stragi
2. Rigoberta Menchu': Ascoltando il fiume
3. Ida Dominijanni intervista Loretta Napoleoni
4. Luigi Manconi e Andrea Boraschi: Il medico cura, non perseguita i suoi
pazienti
5. Vittorio Longhi: Il diritto violato
6. Alessandro Braga: Chiedono asilo, ricevono botte
7. Mariangela Maturi intervista Paulus
8. Ilvo Diamanti: Quando svanisce la pieta'
9. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. LE STRAGI

Le stragi in Afghanistan e in Pakistan, frutto della nostra guerra.
Della guerra terrorista e stragista cui anche l'Italia li' sta partecipando.
Della guerra cui l'Italia sta partecipando in violazione del diritto
internazionale e della legalita' costituzionale.
Della guerra che si nutre di carne umana.
Della guerra in cui l'Italia e' nel novero degli eserciti stragisti.
Della guerra che alimenta il terrorismo su scala planetaria.
Della guerra che del terrorismo e' il culmine.
Della guerra che ogni giorno, ogni giorno provoca orrori e di cui qui in
Italia si ricorda pressoche' solo questo foglio.
Le stragi che non contano nulla per i sedicenti pacifisti al soldo dei
signori della guerra.
Le stragi la complicita' con le quali nessuno di noi potra' dimenticare mai
piu'.
Le stragi chi non si oppone alle quali per sempre si e' prostituito agli
assassini.
Le stragi che tu non vuoi vedere.
Le stragi che tu non puoi ignorare.
Le stragi che ti tolgono il respiro.
Le stragi che hanno reintrodotto il fascismo nel nostro paese.
*
E le stragi in mare dei migranti.
L'apartheid che il governo introduce nel nostro paese.
I campi di concentramento.
Le schiave sul bordo delle strade.
La coerenza tra la guerra e il fascismo. Il fascismo che e' di nuovo qui.
*
Alla guerra e al razzismo tu opponiti.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. CON VOCE DI DONNA. RIGOBERTA MENCHU': ASCOLTANDO IL FIUME
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo di
Rigoberta Menchu' Tum (su cui cfr. il sito www.rigobertamenchu.org]

La corruzione e' ovunque, e ad ogni livello, dal piu' basso al piu' alto.
Noi che abbiamo una coscienza siamo costretti a correre in suo soccorso per
non farci corrompere. Si vendono e comprano donne, bambini e voti. Non penso
mai alla vendetta, perche' mi sento in comunione con la natura. Quando
qualcuno ha pensieri rabbiosi dovrebbe andare, camminare, e poi togliersi le
scarpe e sedere accanto ad un fiume, e ascoltarlo. Cosi' la rabbia sparira'.
L'energia si rinnova, se uno e' in salute spiritualmente. Mia madre mi ha
sempre detto che solo se stai bene con te stessa puoi aiutare altre persone.
Percio' io penso che la vittoria sia ogni singolo giorno. Ogni mattina mi
sveglio e penso: "Come posso mettere i corrotti in difficolta', oggi?".

3. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI INTERVISTA LORETTA NAPOLEONI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 aprile 2009 col titolo "Crisi globale"
e il sommario "Intervista. Loretta Napoleoni: Gli effetti speciali sono
finiti. Le radici della crisi dell'economia globale nella reazione di Bush
all'11 settembre. Ovvero, come il credito facile e' stato abbinato alla
paura per ottenere il consenso alle guerre in Afghanistan e in Iraq. Mentre
la finanza islamica ingrassava"]

Voce autorevole nel dibattito internazionale, Loretta Napoleoni ha una
biografia che sembra una sintesi della globalizzazione: universita' e
nessuna prospettiva di lavoro in Italia negli anni '70, nel '79 un master
negli Stati Uniti - "sono un'emigrata, non un cervello in fuga, me ne sono
dovuta andare dall'Italia contro la mia volonta', niente di glamour" -,
negli anni '80 due esperienze di lavoro a Budapest per il Fondo monetario
internazionale e nella City di Londra per una banca russa, nel '93 una
consulenza per la Berd (la banca europea deputata alla transizione dei paesi
dell'est verso l'economia di mercato) poi abbandonata per contrasti
politici, nel 2005 la presidenza del gruppo di lavoro sull'economia
terrorista per il Club de Madrid. E nel frattempo la specializzazione alla
London School of Economics, le collaborazioni con El Pais, Le Monde, The
Guardian, Internazionale, L'Unita', Repubblica, due saggi - Economia
canaglia e I numeri del terrore, Il Saggiatore - tradotti in quattordici
lingue, e perfino due romanzi. L'ultimo nato, per l'editore Chiare Lettere,
si intitola La morsa e in questi giorni e' oggetto di un lancio mediatico
imponente, e per una volta meritato, al quale volentieri ci associamo. E' un
libro che mette coraggiosamente i piedi nel piatto delle ragioni
inconfessate della crisi economica mondiale, argomentando con dovizia di
dati la seguente tesi: all'origine della crisi non c'e' un estemporaneo
impazzimento della finanza, c'e' una follia politica che comincia dopo la
caduta del Muro di Berlino e raggiunge l'apice nella guerra al terrorismo di
Bush, finanziata con l'abbattimento dei tassi d'interesse e legittimata con
l'uso della paura e l'illusione dell'arricchimento facile. Quanto al futuro,
due prescrizioni obbligatorie: dire addio al consumismo sfrenato e farla
finita con le classi dirigenti che ci imbrogliano e con la nostra
creduloneria verso le favole che ci raccontano. Chi teme un indigesto tomo
per specialisti si tranquillizzi: si tratta di un racconto avvincente e
tagliente ambientato nelle location piu' sintomatiche del mondo globale,
dalla New York scintillante di Clinton e impaurita di Bush alla Londra dei
personal shopper, dal parco giochi di Las Vegas agli hotel a sette stelle di
Dubai. Meglio di un film. Abbiamo cominciato a discuterne durante un faccia
a faccia a Radio Tre mercoledi' scorso e continuiamo qui.
*
- Ida Dominijanni: La morsa che secondo te sta soffocando l'economia e la
democrazia occidentale e' quella fra la paura del terrorismo e la bolla
speculativa innescata dalla guerra al terrorismo: in sintesi, Al Quaeda ci
ha distratti mentre Wall Street ci derubava. E' un'ipotesi che conquista,
mettendo a contatto la nostra esperienza del disastro politico mondiale
successivo all'11 settembre con quella del disastro economico attuale. Ma fa
luce anche su dinamiche poco esplorate del periodo fra l''89 e il 2001, gli
anni ruggenti della globalizzazione. Quali sono i passaggi principali di
tutta questa vicenda?
- Loretta Napoleoni: Lo snodo cruciale e' la politica economica con cui Bush
risponde all'attacco alle Torri gemelle: un abbattimento precipitoso e
aggressivo dei tassi d'interesse - dal 6% di fine 2001 all'1,5% della
primavera 2003 - che serve a finanziare senza drenaggio fiscale le guerre in
Afghanistan e in Iraq e a legittimarle, creando le condizioni per la bolla
speculativa e alimentando contemporaneamente una bolla di consenso basata
sulla crescita continua. Con la vendita e la cartolarizzazione dei mutui
subprime, la bolla finanziaria crescera' a dismisura, fino a esplodere sei
mesi fa nella recessione che sappiamo. Dunque le responsabilita' economiche
e politiche di Bush sono enormi. Tuttavia questa politica economica non
comincia con lui ma con Greenspam, negli anni '90, per garantire agli Stati
Uniti la guida del processo di globalizzazione innescato dalla caduta del
Muro facilitando la deregulation. Ogni volta che sul mercato globale si
prospetta una crisi - la crisi del rublo, del dot.com, dei mercati asiatici,
della Turchia, del Messico - Greenspam taglia i tassi e pompa il credito,
proteggendo Wall Street, la City di Londra e tutta la finanza occidentale da
un'onda che in tal modo la sfiora ma non la travolge. Le crisi restano
regionali, la finanza occidentale ci specula sopra, ma la crisi di sistema
non viene scongiurata, viene solo rinviata. Finche' il meccanismo salta:
stavolta la crisi e' globale, ed epocale. Chiude l'epoca cominciata nell'89
e culminata nella guerra al terrorismo.
*
- Ida Dominijanni: Che cosa succede nel frattempo nell'altro campo, quello
del terrorismo internazionale? Il tuo libro da' molto rilievo alle dinamiche
della finanza islamica.
- Loretta Napoleoni: La finanza islamica nasce negli anni '70, dopo la prima
crisi del petrolio, ma resta allo stato embrionale fino all'ingresso di
Cipro nell'area dell'euro, quando Dubai diventa uno snodo finanziario
cruciale fra Est e Ovest. L'impulso decisivo per il grande salto, pero', lo
riceve anch'essa, per una strana eterogenesi dei fini, dalla guerra
americana al terrorismo. Il Patriot Act, la famosa legge antiterrorismo
varata dal Congresso all'indomani dell'11 settembre, oltre a limitare
pesantemente le liberta' civili conteneva delle norme contro il riciclaggio
del danaro sporco, volte a bloccare l'ingresso negli Stati Uniti di soldi di
Al Quaeda. Il sistema bancario internazionale reagi' suggerendo ai clienti
di disinvestire in dollari e investire in euro. Ma una parte dell'ingente
flusso di danaro che usci' dagli Usa era fatto di capitali arabi - 900
miliardi di dollari, prima dell'11 settembre -, che non furono reinvestiti
in euro ma rimpatriati nei paesi d'origine, soprattutto in Malesia e a
Dubai, dando cosi' impeto alla finanza islamica. Tutto questo e' avvenuto
nella piu' completa ignoranza e sottovalutazione da parte degli Stati Uniti,
che non solo non ne sapevano nulla prima dell'11 settembre, ma dopo si
guardarono bene dal seguire le piste finanziarie per indagare e combattere
Al Quaeda.
*
- Ida Dominijanni: Eppure all'epoca si disse che era la prima pista da
seguire, come mai non fu fatto?
- Loretta Napoleoni: Perche' quello che importava a Bush non era affatto
catturare Osama Bin Laden, ma scatenare la "guerra al terrore" per invadere
l'Iraq, dove Al Quaeda non c'era, e mettere in atto a partire dal "Grande
Medioriente" il progetto di dominio globale degli Stati Uniti delineato dai
neoconservatori. Risultato: il sogno di Bin Laden di dissanguare il
capitalismo occidentale si e' realizzato, per merito non suo ma dei governi
occidentali.
*
- Ida Dominijanni: La finanza islamica e' diversa da quella occidentale? In
che cosa?
- Loretta Napoleoni: Completamente diversa, perche' poggia sul codice etico
della Sharia che vieta la speculazione: il danaro non puo' essere usato per
creare danaro, il credito viene concesso solo per finanziare delle imprese
produttive. E il rapporto fra banca e cliente e' un rapporto solidale, di
due soci in affari. Questi due elementi hanno tenuto la finanza islamica
fuori dal business dei mutui subprime. Da noi invece si vende il rischio
come se fosse un bene, e le banche non hanno piu' nulla di un'istituzione
sociale, sono diventate solo aziende a fini di lucro.
*
- Ida Dominijanni: Tu hai studiato l'economia criminale. Che ruolo hanno
avuto le mafie nell'incubazione di questa crisi, e che ruolo possono giocare
ora che e' esplosa?
- Loretta Napoleoni: Un ruolo enorme in entrambi i casi. Dubai e' cresciuta
negli anni '90 anche come paradiso fiscale della mafia russa. Dopo il
Patriot Act, la 'ndrangheta si e' avvalsa del trasferimento del business del
riciclaggio dagli Stati Uniti all'Europa. E oggi, la crisi e' di sicuro una
grande occasione per l'economia criminale, come insegna la storia della
mafia americana dopo il '29. Quando non c'e' ne' liquidita' ne' credito,
un'economia come quella mafiosa basata sui contanti ha un enorme potere di
penetrazione ed e' pronta a soccorrere le imprese che le banche abbandonano.
Inoltre, in tempi di crisi il controllo politico si abbassa: non si bada
troppo alla provenienza dei soldi, pecunia non olet. Infatti al G20 s'e'
parlato dei paradisi fiscali degli evasori, ma non di quelli del crimine
organizzato.
*
- Ida Dominijanni: In Economia canaglia hai analizzato il mercato del sesso
come ingrediente importante della globalizzazione. C'e' una relazione fra
questo mercato e quello dell'economia criminale?
- Loretta Napoleoni: Si', strettissima. Dopo l'89 l'industria del sesso in
Occidente e' diventata un immenso business a cui partecipano e attraverso
cui sono entrate in contatto le mafie europee, quella russa e quella
americana.
*
- Ida Dominijanni: Negli anni passati hai seguito la transizione degli ex
paesi dell'Est all'economia di mercato. Come li vedi in questa crisi?
- Loretta Napoleoni: E' uno dei punti fragili dell'Europa, ed e' un punto
potenzialmente esplosivo anche per le banche europee che hanno investito
molto nell'ex Est: un collasso del mercato immobiliare li' avrebbe
conseguenze molto negative qui. Per ora la situazione e' sotto controllo
perche' l'Europa e' intervenuta, ma il problema e' fino a quando continuera'
ad aiutarli, e come. Non vedo alternative al quantitative easing, la
creazione di moneta apposita da immettere in questi paesi, anche se per ora
la Bce esita di fronte ai rischi di inflazione.
*
- Ida Dominijanni: Questa crisi penalizzera', com'e' sempre accaduto, piu'
le donne che gli uomini?
- Loretta Napoleoni: Stavolta pare di no: negli Usa sta producendo
disoccupazione piu' maschile che femminile, colpendo un settore
prevalentemente maschile come la finanza. E' un dato interessante,
un'inversione di tendenza rispetto al passato.
*
- Ida Dominijanni: Ma se il tracollo di oggi ha avuto un'incubazione lunga
come quella che tu descrivi, perche' nessuno ha suonato l'allarme prima? Gli
economisti non hanno nessuna responsabilita'? E l'informazione? Abbiamo
ballato tutti sul Titanic, sottovalutando quello che si preparava?
- Loretta Napoleoni: Va detto intanto che negli anni '90 tutti gli
economisti sono finiti a lavorare in finanza, e osservare un fenomeno da
dentro e' molto diverso che osservarlo da fuori. Salvo poche voci isolate e
inascoltate, ha prevalso una euforia della globalizzazione che ha convinto
tutti dell'infallibilita' del modello occidentale. Fatto sta che oggi, di
fronte alla crisi del modello infallibile, non abbiamo una teoria economica
alternativa! Quanto all'informazione, ha fatto solo da eco alle favole dei
politici e degli uomini di finanza. Mi rendo conto che oggi i giornalisti
non hanno tempo di approfondire nulla, ma possibile che nessuno guardi a un
orizzonte di lungo periodo?
*
- Ida Dominijanni: In attesa della teoria alternativa, proviamo almeno a
ipotizzare qualche rimedio. Come se ne esce? Obama, secondo te, ha preso la
strada giusta?
- Loretta Napoleoni: Primo rimedio: per uscirne dobbiamo prendere in
considerazione tutto, Marx, Keynes, la teoria della decrescita, tutto quello
che ci puo' aiutare, senza farci appannare da veli ideologici. Secondo: il
consumismo sfrenato e la finanza cosiddetta creativa, che io preferisco
chiamare finanza degli effetti speciali, ci ha portato a questo disastro:
fermiamoci. Terzo: il protezionismo, che si associa sempre al nazionalismo,
al populismo e agli arroccamenti identitari e razzisti, sarebbe un rimedio
peggiore del male. Questa e' una delle ragioni per cui nutro dei dubbi sulla
strategia anticrisi di Obama, che non mi pare esente dal virus
protezionista.
*
- Ida Dominijanni: E le altre ragioni?
- Loretta Napoleoni: Non mi convince una risposta alla recessione che invece
di porsi il problema di azzerare il rischio si limita a trasferirlo dal
settore privato allo Stato, salvando il sistema bancario: ci vedo un
tentativo di ripristinare lo status quo ante, un palliativo che non
aggredisce il male alla radice. Per aggredirlo davvero bisogna cambiare piu'
radicalmente strada, cominciando a infrangere tre miti: quello del rischio
come bene commerciabile, quello del consumo invece della produzione come
motore dell'economia, quello degli immobili come generatori automatici di
ricchezza. Bisogna rilanciare la produzione riconvertendola. E soprattutto
bisogna che noi cittadini ricominciamo a vigilare su quello che politici e
banchieri ci raccontano, e su quello che non ci raccontano: la crisi non e'
affatto superata e puo' riservarci ancora brutte sorprese.

4. UNA SOLA UMANITA'. LUIGI MANCONI E ANDREA BORASCHI: IL MEDICO CURA, NON
PERSEGUITA I SUOI PAZIENTI
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 26 aprile 2009 col titolo "Se il medico non
denuncia i clandestini"]

"Io non ti denuncio": ovvero, rivolgiti a me con fiducia, come ci si rivolge
a un medico e non a un delatore.
Questa scritta campeggia su spille, adesivi e magliette che si possono
incontrare nei pronto soccorso e nei presidi medici di molte localita'; e'
rivolta a tutti gli immigrati irregolari presenti nel nostro paese,
minacciati da una misura che prevede la denuncia, da parte del personale
sanitario, della loro condizione di illegalita'. Un disegno di legge che ha
gia' fatto le sue vittime ancor prima di divenire norma; come prima di
divenire norma ha gia' visto persone denunciate (una donna ivoriana, a
Napoli, che aveva appena partorito, un senegalese a Brescia, una nigeriana
dimessa a Conegliano con un foglio di via).
Un disegno di legge, quello dell'attuale governo, che se pure non
oltraggiasse ogni istanza di umana pietas violerebbe comunque la deontologia
della professione medica, la Costituzione e ogni criterio di sanita'
pubblica.
Uno dei suoi effetti piu' perversi, infatti, e' quello di dissuadere dal
ricorso alle cure sanitarie una fascia di popolazione esposta alla malattia
piu' di ogni altra; mettendo a rischio, cosi', non solo la salute dei
migranti, ma quella della cittadinanza tutta.
Massimo Cozza, responsabile dei medici della Cgil, rende chiaramente il
senso di quanto stiamo dicendo: "Il numero di immigrati che nei primi tre
mesi dell'anno hanno chiesto cure e' calato del 10-20% rispetto al 2008"
("Corriere della sera", 22 aprile 2009). E la riduzione piu' sensibile si e'
avuta in febbraio, in concomitanza con l'approvazione del ddl al Senato.
La geografia di questo calo di utenza interessa tutto il territorio, con
punte massime di un -40% in alcuni ospedali milanesi. Per questo il
movimento di obiezione a questa norma sta crescendo e si va organizzando:
non solo spille sul camice ma cartelli nei pronto soccorso, e manifesti, in
cui il segnale di accoglienza e di assenza di pericolo di denuncia e'
tradotto in molte lingue. Si stanno muovendo anche la politica e le
istituzioni.
Gli assessorati alla Sanita' di Lazio, Emilia Romagna, Puglia, Sicilia, e a
breve anche Liguria e Piemonte, stanno predisponendo materiale informativo
che rassicuri sul fatto che gli ospedali sono luoghi di cura e non prigioni.

5. UNA SOLA UMANITA'. VITTORIO LONGHI: IL DIRITTO VIOLATO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 aprile 2009 col titolo "Respinti
dall'Italia, rinchiusi in Tunisia" e il sommario "Diritti. L'odissea di tre
richiedenti asilo"]

"E' chiaro che la questura di Gorizia ha violato nei fatti le norme
sull'asilo politico e che a questo punto le autorita' italiane dovranno
riparare, intervenendo affinche' i tunisini possano tornare in Italia". I
tunisini in questione sono due richiedenti asilo che avevano ricevuto il
diniego dopo una sbrigativa analisi da parte della Commissione territoriale
di Gorizia e che sono stati rispediti a Tunisi all'alba di lunedi' 30 marzo,
un giorno prima che scadessero i termini per presentare il ricorso. Chi
parla invece e' l'avvocato che li assiste, Giovanni Iacono: "Avevamo gia'
preparato i documenti firmati dai richiedenti il venerdi' precedente e poi,
senza essere avvertiti del rimpatrio dalla questura, abbiamo presentato il
ricorso la mattina stessa del lunedi' - spiega - ma ancora oggi siamo in
attesa che ci comunichino l'avvenuta espulsione". La cosa piu' grave,
comunque, e' che due giorni dopo il rimpatrio il giudice ha accolto il
ricorso, ha decretato la sospensione dell'espulsione e ha gia' fissato
l'udienza per discutere i casi alla fine di maggio. Sembra che i due siano
gia' stati arrestati appena arrivati nel paese. "Ora come potranno
partecipare all'udienza?", si domanda Iacono. "Se l'espulsione e' avvenuta
prima che scadessero i tempi per il ricorso, quei tunisini non avrebbero
dovuto essere rimpatriati", commenta Laura Boldrini, portavoce dell'Alto
Commissariato dell'Onu per i rifugiati. Sul diniego della Commissione
territoriale, a cui partecipa anche un rappresentante locale dell'agenzia
Onu, la portavoce non entra nel merito dei casi individuali ma chiarisce che
"queste decisioni vengono prese a maggioranza, non all'unanimita'".
I due facevano parte di un gruppo di 35 sbarcati all'inizio del 2009 a
Lampedusa e poi trasferiti nel Centro di identificazione ed espulsione di
Gradisca. Si tratta di operai, sindacalisti e familiari in fuga da una
repressione poliziesca e giudiziaria dopo avere partecipato a manifestazioni
di protesta.
Ora quelli che restano saranno a Gradisca rilasciati alla mezzanotte di
oggi, come gli altri mille immigrati sparsi negli altri centri di
identificazione del paese, perche' sono scaduti i termini di permanenza. Se
la Commissione territoriale respingera' la domanda di asilo e se il
tribunale di Trieste non accogliera' i ricorsi, da quella data avranno
cinque giorni per lasciare l'Italia, dopodiche' saranno considerati
espellibili perche' "clandestini", pur non avendo commesso reati. "E' un
caso collettivo che non ha precedenti nella mia esperienza di avvocato -
aggiunge Iacono -, perche' ognuno di loro si e' comportato con estrema
dignita' dal primo momento, consapevoli di avere dei diritti e confidando
nel rispetto della procedura d'asilo da parte delle autorita' italiane".
E invece, ancora una volta, l'Italia si trova a violare questo diritto. Nei
mesi scorsi gia' altri tunisini avevano tentato di opporsi ai rimpatri, per
il rischio di tortura, appellandosi alla Corte europea dei diritti
dell'uomo, dopo i dinieghi e il respingimento dei ricorsi. Il governo
italiano aveva proceduto lo stesso con l'espulsione, pur sapendo che li
attendeva l'arresto e nonostante la Corte avesse chiesto formalmente la
sospensione in attesa di una valutazione. Anche il Commissario per i diritti
umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, nel suo ultimo rapporto
sull'Italia si e' detto "decisamente contrario" ai rimpatri forzati verso
paesi con precedenti di tortura provati e di lunga durata, nonostante le
rassicurazioni diplomatiche.
"Centinaia, se non migliaia di giovani, tra cui minori, sospettati di essere
coinvolti in reati legati al terrorismo sono stati arrestati in Tunisia
negli ultimi cinque anni", si legge in un rapporto recente di Amnesty
international. Secondo l'organizzazione "i metodi di tortura piu'
comunemente utilizzati sono le percosse sul corpo, in particolare sulle
piante dei piedi, la sospensione dalle caviglie o in posizioni contorte,
scosse elettriche e bruciature con sigarette. Sono state riferite anche
false esecuzioni, abusi sessuali, tra cui stupro con bottiglie e bastoni e
minacce di abusi sessuali verso le donne della famiglia".

6. UNA SOLA UMANITA'. ALESSANDRO BRAGA: CHIEDONO ASILO, RICEVONO BOTTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 aprile 2009 riportiamo ampi stralci
del seguente articolo dal titolo "Immigrati. Chiedono asilo, ricevono botte"
e il sommario "Li cacciano dal residence, li picchiano sui binari del treno,
li picchiano in autostrada. L'odissea di trecento richiedenti asilo africani
che avevano occupato uno stabile alla periferia nord di Milano e che si sono
rifugiati nel parco dell'ex psichiatrico Pini"]

Christian non parla italiano. Anzi, non parla proprio. Ha sei mesi, e' nato
in Italia. I suoi genitori sono arrivati qui un paio d'anni fa dal Corno
d'Africa. Ragioni umanitarie. Un alloggio temporaneo per i primi tre mesi,
poi la strada. Qualche riparo di fortuna. Fino a venerdi' scorso, quando
hanno deciso, insieme ad altri rifugiati, circa trecento, di occupare un
vecchio residence fatiscente a Bruzzano, estrema periferia nord di Milano.
Quattro notti al freddo, senza corrente elettrica, gas. Poco cibo, un po'
d'acqua. Da ieri non possono stare piu' neppure li'. Perche' le nostre forze
dell'ordine li hanno cacciati anche da quella topaia, su richiesta della
proprieta', un'immobiliare il cui titolare e' inquisito per truffa. Si
guarda in giro Christian, con due occhioni sbarrati, neri come il carbone.
Non capisce quello che e' successo ieri. Purtroppo e per fortuna. Purtroppo
perche' avrebbe capito che il suo papa' ha manifestato, ha rischiato di
prendersi manganellate in testa (quelle che alcuni suoi compagni si sono
prese), per difendere i propri diritti. Per fortuna, perche' altrimenti si
sarebbe vergognato di essere nato in Italia, "civilissimo" paese del ricco
mondo occidentale. Un paese tanto civile che non trova di meglio da fare che
prendere a manganellate chi chiede solo che gli venga dato quello che gli
spetta. Ieri, se ce ne fosse ancora bisogno, ne ha dato l'ennesima prova.
Otto e trenta. Davanti al residence e' gia' schierato il cordone di polizia
e carabinieri. Li' non entra piu' nessuno. Neppure quelli che ci hanno
passato la notte, e sono usciti per recuperare un po' di cibo, acqua, per
bersi un caffe' al bar li' vicino. E' la prima "scrematura". Nel corso della
giornata, utilizzeranno altri mezzi per "scremare": quelli piu' consoni a
chi dimentica, o vuole dimenticare, che viviamo (ancora) in uno stato di
diritto. I manganelli. Intanto chi e' dentro e' dentro, chi e' fuori e'
fuori. Invisibili, inesistenti. Sebbene il giorno prima li avessero censiti
tutti. Scoprendo, con somma sorpresa del vicesindaco De Corato, che li', di
"maledetti clandestini", non ce n'erano. I freddi numeri della questura
parlano di 299 persone, piu' due bambini. 230 eritrei, 44 etiopi, 22
sudanesi, un somalo, un ghanese e un nigeriano. Tutti con permesso di
soggiorno rilasciato per motivi umanitari, richiedenti asilo politico. Delle
loro storie, a loro non importa niente. Storie di guerra, di fughe dalla
poverta'. "Ho 30 anni, dovrei essere un padre, un marito - dice Asheid -
invece non posso neanche sognare un futuro".
Il Comune di Milano in mattinata ha incontrato una delegazione dei
rifugiati, gli ha fatto la sua proposta: qualche posto, circa un centinaio,
nei dormitori della citta', strutture protette per le donne. Briciole. Che
poi, dopo un certo periodo, sono ancora tutti per strada. Non ci stanno: non
vogliono elemosina, vogliono vedere riconosciuti i loro diritti.
Solidarizzano tra loro, e non ci stanno a vedere spezzata la loro unita'.
Per questo cercano di rientrare nel residence. Non li fanno entrare. Allora
occupano i binari della ferrovia. Fermano un treno. Un funzionario della
polizia intima di sgomberare i binari, altrimenti "si prenderanno
provvedimenti". E' la prima avvisaglia di quello che sara'. I ragazzi si
sdraiano sulle rotaie, mani alzate in segno di pace. Lo urlano pure:
"Vogliamo pace, vogliamo diritti". I celerini partono: li strattonano, li
trascinano sui sassi della ferrovia. Qualcuno si fa male. E ci mancherebbe:
alcuni vengono trascinati di peso, ammanettati, identificati. Qualche
calcetto, tanto per tenerli tranquilli, ci scappa. Gli altri vengono spinti
verso la stazione di Bruzzano, fuori dai binari. Le Ferrovie Nord potranno
dire che "a mezzogiorno il traffico ferroviario ha ripreso ad essere
regolare". Contenti loro. Dopo il "pranzo", qualche cibaria portata li' in
qualche modo, di nuovo scontri. I rifugiati vogliono riunirsi ai loro
compagni davanti al residence, prendere una decisione tutti insieme, la
risposta delle forze dell'ordine e' la stessa: i manganelli.
"Andiamo in Svizzera, quello si' che e' un paese civile", dicono i
rifugiati. Detto fatto. Ai giardinetti di fronte all'ex ospedale
psichiatrico Paolo Pini fanno un'assemblea. Loro, la democrazia
partecipativa sanno cos'e'. La decisione viene confermata: Svizzera. Per chi
e' abituato alla guerra, cinquanta chilometri a piedi non sono nulla. E
allora via, in corteo, verso la superstrada Milano-Meda. Direzione Lugano.
"Yes we can, yes we can!", scandiscono. Loro possono, alla faccia di Penati
e De Corato. Sulla superstrada ci arrivano. E la bloccano. Vogliono andare
in Svizzera, non scherzano. Parte la nuova carica, stavolta piu' violenta.
Un ragazzo si ritrova con la guancia aperta in due da un manganello. Una
giovane donna si tiene la mano livida. Un altro, ha un bozzo sulla fronte.
Si torna verso i giardinetti. La tensione sale. Si fa strada l'idea di
andare a Milano, in centro. Altri insistono: la Svizzera e' di la'. La
polizia carica di nuovo. Un ragazzo cade a terra, esce sangue dalla testa.
Altri vengono pestati. Arriva un'ambulanza. Ma i rifugiati ormai hanno
paura, e non vogliono nemmeno farsi curare da chi, lo stato italiano, poco
prima li ha presi a bastonate. Urlano "fascisti", "assassini" a chi di
fronte a loro resta impassibile, dietro caschi e scudi. Si torna verso i
giardinetti, sempre scortati. C'e' una nuova assemblea... Hanno paura. Alla
fine decidono che, almeno per la notte, restano li' a dormire. Ma, dicono,
"non e' finita". La lotta per vedere riconosciuti i loro diritti non la
vogliono abbandonare: "Siamo rifugiati, chiediamo al governo italiano di
rispettarci". Christian si guarda intorno, non capisce quello che e'
successo. Non e' l'unico.

7. UNA SOLA UMANITA'. MARIANGELA MATURI INTERVISTA PAULUS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 aprile 2009 col titolo "Parla uno dei
rifugiati di Bruzzano" e il sommario "Paulus, dall'Eritrea in bus alla
ricerca di pace e diritti"]

Paulus e' un rifugiato politico, viene dall'Eritrea e ha trentacinque anni.
Ha i capelli molto crespi e un paio di baffetti brizzolati. Parla l'italiano
ma preferisce l'inglese, che sa benissimo. Quando e' arrivato in Italia ha
trovato lavoro nei cantieri delle ferrovie. Un giorno si e' sentito dire che
per lui non c'era piu' posto. Arrivederci e grazie. Da allora e'
disoccupato. La sua voce, inflessibile nel parlare di diritti, sembra
piegarsi allo sconforto se gli si chiede del futuro.
*
- Mariangela Maturi: Racconta, Paulus.
- Paulus: La mia storia e' la nostra storia, la stessa di chi e' qui con me.
Arriviamo da vari paesi dell'Africa, da cui siamo scappati, e siamo in
Italia come rifugiati politici. Io sono eritreo, e sono arrivato in Italia
quattro anni fa. Per venirci ho affrontato un viaggio lunghissimo, ho preso
non so quanti autobus... Ma era necessario, per proteggere la mia vita.
Quindi sono partito.
*
- Mariangela Maturi: E quando sei arrivato qui, cos'hai trovato?
- Paulus: Mi hanno dato un foglio, quello che danno a tutti, che attestava
lo status di rifugiato politico. Poi, nient'altro. Vorrei sapere dove sono i
fondi dell'Unione Europea per i rifugiati. Dove sono i soldi che ci
spettano? Tutti noi vogliamo saperlo. Al massimo ci danno qualche mese per
imparare l'italiano e trovare un lavoro, ma il resto? Lo Stato non ci aiuta,
non abbiamo una casa, un lavoro, dei diritti. Non ci rispettano. Noi
chiediamo solo questo, un po' di rispetto. Conosco molti ragazzi che sono
qui oggi, siamo tutti rifugiati, e non abbiamo mai fatto nulla di male.
*
- Mariangela Maturi: Ma il Comune di Milano sostiene che vi sono state
proposte delle soluzioni, e che siete stati voi a rifiutarle.
- Paulus: In via Lecco, qualche anno fa, e' successa la stessa cosa. Abbiamo
fatto come in questi giorni, e quando la protesta si e' esaurita, non e'
cambiato niente. Io li' non c'ero, ma so benissimo cos'e' successo. Tutte le
volte e' la stessa storia, e anche ora siamo soli. E non fanno niente,
niente. Noi proveremo ancora e ancora, chiediamo ascolto e diritti. E
democrazia. Invece ci troviamo in un gioco insano, e' quasi una pazzia.
Siamo considerati rifugiati politici solo sulla carta, ma i nostri diritti
sono ignorati.
*
- Mariangela Maturi: Pensi che riuscirete a farvi ascoltare, questa volta?
- Paulus: Stavolta andiamo avanti, questa e' la nostra decisione. Non ci
facciamo strumentalizzare da nessuno. A noi non interessano le logiche di
partito, capisci? Fascisti, capitalisti, comunisti, che ne so... A noi non
interessano. Non vogliamo entrare nel giochetto della politica, non ci
riguarda. Chiediamo solo dove sono finiti i nostri soldi e i nostri diritti.
*
- Mariangela Maturi: Perche' allora e' andata cosi'?
- Paulus: Non lo so, e' stata una giornata tremenda. Incredibile, sembrava
tutto capovolto. Invece che come persone oneste, la polizia ci ha trattato
come cani. Come cani, capisci? Hanno deciso, pianificato di reagire cosi'.
Noi non cercavamo lo scontro.
*
- Mariangela Maturi: E quell'idea di andare in Svizzera a piedi?
- Paulus: Ma io non voglio andare in Svizzera! Stiamo solo dicendo che
potremmo andarci, che se l'Italia con noi si comporta cosi', meglio la
Svizzera, o la Francia. Se non ci danno un posto in Italia, cancellino
almeno le nostre impronte digitali, cosi' possiamo chiedere asilo in un
altro paese. Lasciateci liberi. Cosi' siamo dei prigionieri, non dei
rifugiati.
*
- Mariangela Maturi: Ora che farete?
- Paulus: Continueremo a lottare, cos'altro? Con le manifestazioni, gli
scioperi, con tutto cio' che e' in nostro potere.
*
- Mariangela Maturi: Si', ma a parte lottare? Dove dormi stasera?
- Paulus: Continueremo a cercare un posto... non lo so. Non lo so, davvero.

8. UNA SOLA UMANITA'. ILVO DIAMANTI: QUANDO SVANISCE LA PIETA'
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 26 aprile 2009 col titolo "Clandestini,
quando svanisce la pieta'" e il sommario "Cambiano i tempi. Ma gli immigrati
non si fermano. Nonostante governino forze politiche inflessibili e
"cattive": gli stranieri continuano ad arrivare. Da est e da sud. Per terra
e soprattutto per mare. Con ogni mezzo. Barche, barchini, barconi e gommoni.
Partono in tanti. Ogni giorno. Uomini, donne e bambini. E in molti non
arrivano. Quel piccolo pezzo di mare che separa l'Africa dalla Sicilia e' un
cimitero dove giacciono un numero imprecisato di imbarcazioni e migliaia di
persone"]

Gli stranieri continuano ad arrivare. Da est e da sud. Per terra e
soprattutto per mare. Con ogni mezzo. Barche, barchini, barconi e gommoni.
Partono in tanti. Ogni giorno. Uomini, donne e bambini. E in molti non
arrivano. Quel piccolo pezzo di mare che separa l'Africa dalla Sicilia e' un
cimitero dove giacciono un numero imprecisato di imbarcazioni e migliaia di
persone. Persone? Per definirle tali dovremmo "percepirle". Invece non
esistono. Sono "clandestini" quando si mettono in viaggio e quando riescono
ad entrare nei paesi di destinazione. Ma anche quando vengono ammassati nei
Cpa. Migranti perenni. Non riescono a trovare una nuova sistemazione -
stabile e riconosciuta - ma non possono neppure tornare indietro.
Come i 140 stranieri raccolti e trasportati dal cargo Pinar. Rimpallati fra
l'Italia - che alla fine li ha accettati - e Malta. Indisponibile. Perche'
la fuga dall'Africa e dall'Asia, come l'esodo dai paesi dell'est europeo,
spaventa tutti i paesi ricchi. Non solo noi. La vecchia Europa vorrebbe
diventare fortezza. Trasformare il Mediterraneo in un canale inaccessibile.
A cui mancano i coccodrilli, ma non gli squali. Eppure, nonostante la
politica della fermezza, la tolleranza-meno-uno, i Cpa e migliaia di
espulsioni, nonostante tutto i flussi non si fermano. Gli sbarchi proseguono
senza sosta. Da gennaio ad oggi: oltre seimila. Il doppio rispetto allo
stesso periodo dell'anno precedente. Che gia' aveva segnato il livello piu'
alto della nostra storia di immigrazione. Breve e travolgente. Nel 2008
erano sbarcati sulle nostre coste 37.000 stranieri. Quasi il doppio del
2007. Difficile non nutrire dubbi sulla produttivita' delle nostre politiche
e della nostra politica. Anche se l'attuale maggioranza di governo ha vinto
le elezioni promettendo di fermare gli stranieri. Di bloccare l'invasione.
Con le buone ma soprattutto con le cattive.
Propositi chiari ma, fin qui, inattuati. Semplicemente perche' inattuabili.
Quando a migliaia intraprendono il viaggio sulle carrette del mare, stipati
come animali. Come i disperati del Pinar. Dietro alle spalle le storie
terribili raccontate da Francesco Viviano, su queste pagine, nei giorni
scorsi. In fuga da persecuzioni, conflitti etnici. Dalla fame. Disposti a
tutto. A ogni costo. Come la ragazza annegata con il suo bimbo in grembo,
nelle acque davanti a Malta.
Questa emigrazione e' una tragedia senza fine. Che, tuttavia, non ci
commuove. Anzi, suscita perlopiu' distacco e ripulsa. Difficile non cogliere
la differenza con l'onda emotiva e la solidarieta' sollevate dalla
catastrofe in Abruzzo. Ma noi riusciamo a provare pieta' e solidarieta' solo
quando le tragedie accadono sotto i nostri occhi. Quando i media le
illuminano, minuto per minuto, luogo per luogo, in modo quasi compiaciuto.
Quando la politica le accompagna e le segue da vicino. Perche' si tratta
della "nostra" gente. Allora ci emozioniamo. Gli "altri", invece, non hanno
volto. Le loro tragedie non hanno quasi mai le aperture dei telegiornali.
Gli sbarchi vengono raccontati come una calamita'. Per noi. E a nessuno,
comunque, verrebbe in mente di organizzare un G8 a Lampedusa. Non solo per
ragioni logistiche.
Naturalmente, si tratta di considerazioni che possono apparire "buoniste",
fradice di retorica. E con la retorica non si risolvono i problemi. Non si
proteggono le citta' insicure. I cittadini minacciati dalla nuova
criminalita' etnica, dai "clandestini" che affollano le periferie.
D'altronde, in pochi anni siamo diventati un paese di grande immigrazione.
Quasi come la Francia e la Germania. Fino a ieri eravamo noi, italiani, a
disperderci nel mondo, a milioni, per fuggire la miseria. Ora invece ci
sembra che il mondo si stia rovesciando su di noi. E questo mondo e' troppo
grande per stare dentro a casa nostra, dentro alla nostra testa. Noi non
siamo in grado di controllarlo ne' di comprenderlo. Non ci riusciamo noi. Ma
non ci riescono, soprattutto, i poteri economici e finanziari, le
istituzioni di governo. In balia dei collassi delle banche e delle borse,
delle guerre, del terrorismo, delle epidemie. La politica non riesce a
difenderci ma neppure a spiegarci cio' che avviene. E rinuncia a contrastare
le nostre paure. Anzi, complici i media, le enfatizza. Inventa muri e
confini che non esistono. Promette di chiudere i nostri mari, di sbarrare le
frontiere. Promette di difenderci, a casa nostra, dagli stranieri che si
insinuano nei nostri quartieri. Ricorrendo a iniziative a bassa efficacia
pratica e a elevato impatto simbolico. Come le ronde. I volontari della
sicurezza locale. Dovrebbero esercitare il controllo sul territorio un tempo
affidato alle reti di vicinato, alla vita di quartiere, alla presenza
quotidiana delle persone. Rimpiazzando una societa' locale che non c'e'
piu'. La politica promette di difendere la nostra identita', la nostra
religione, la nostra cultura, la nostra cucina. E per questo combatte contro
la costruzione di moschee. Oppure lancia battaglie gastroculturali. Contro i
cibi consumati per strada. Anzitutto e soprattutto: contro il kebab. Insieme
alle moschee: icona dell'islamizzazione presunta del nostro paesaggio e
della nostra vita quotidiana.
La politica e le politiche usate come placebo. Per rassicurare senza
garantire sicurezza. Per guadagnare voti e consenso. La Lega, secondo i
sondaggi, sembra essere riuscita a superare i confini del Nord padano e ad
espandersi nelle regioni dell'Italia centrale. Tradizionalmente di sinistra.
Ma la retorica della "protezione dal mondo", la costruzione della paura, non
riguardano solo la Lega. E neppure solo la destra. Perche' gli stranieri
possono "servire", politicamente e culturalmente, ma tanto in quanto le
distanze fra noi e loro sono visibili e marcate. Tanto in quanto restano
stranieri. Oggi, domani. Sempre. Lontani e diversi. In questo modo ci
permettono di ritrovare noi stessi. Di ricostruire - artificialmente, per
opposizione e paura - la nostra identita' e la nostra comunita' perduta. A
condizione di fingere: che le nostre frontiere immaginarie, i nostri muri
emotivi possano arrestare l'onda degli stranieri. A condizione di non
vedere. Diventare ciechi e cinici. Perdere gli occhi e il cuore.

9. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO

Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo
particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il
sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili
informazioni e proposte.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 803 del 27 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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