[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Nonviolenza. Femminile plurale. 243
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 243
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 2 Apr 2009 08:54:35 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 243 del 2 aprile 2009 In questo numero: 1. Casa delle donne di Pesaro: La violenza e' un problema: di chi? 2. Giuliana Sgrena: In famiglia 3. Luciana Percovich: Il Dio uni-verso e la dea dai mille nomi 4. Ines Castagnola presenta "Il linguaggio della Dea" di Marija Gimbutas 1. EDITORIALE. CASA DELLE DONNE DI PESARO: LA VIOLENZA E' UN PROBLEMA: DI CHI? [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento della Casa delle donne di Pesaro] Alle nostre figlie e figli Agli uomini che ci stanno vicino In trent'anni con molte donne abbiamo dato vita a una politica differente chiamata femminismo. Abbiamo cominciato a ragionare tra noi per far diventare la nostra esperienza femminile fonte di sapere, per guadagnare un'esistenza sensata e per non essere costrette ad omologarci a un modello maschile. Trovare corrispondenza tra parole e vita e' ancora la ricerca di oggi. La cronaca quotidiana ci mette di fronte a ripetuti episodi di violenza sulle donne: aggressioni omicide e stupri, come se i corpi delle donne fossero tornati ad essere cose. I media la usano spesso in modo strumentale per imporre un clima di paura o per sviare l'attenzione da altro e non portano in luce che il vero problema non e' la vulnerabilita' delle donne, ma l'aggressivita' maschile. Quelle aggressioni non hanno passaporto, ma una precisa connotazione di sesso: sono fatte da uomini, che il piu' delle volte, come mostrano le statistiche, sono vicini, conoscenti, familiari, compagni, mariti. Venti anni fa, alla notizia di uno stupro commesso nella nostra provincia, scrivevamo "attenta al vicino di casa": parole che sono valide ancora oggi. La violenza contro le donne si iscrive nel rapporto tra i sessi prima ancora che in un contesto di sicurezza sociale: percio' non e' un problema di "ronde", ma soprattutto di una cultura da cambiare, una cultura che si e' costruita interamente sulla negazione e appropriazione delle donne. Fino a pochi anni fa lo stupro era ancora considerato un reato contro la morale o l'onore di presunti guardiani di corpi femminili; era accompagnato dalla colpevolizzazione delle vittime e da una misoginia solidale con gli stupratori fin dentro le aule dei tribunali. C'e' voluta molta sofferenza e molta indignazione perche' nel 1996 venisse finalmente riconosciuto come ferita inferta all'integrita' delle donne. Da poco alcuni uomini, consapevoli che il problema non riguarda solo i singoli attori che prendono parte alla scena della violenza, hanno iniziato a riflettere sulla propria sessualita', ma questa riflessione non e' ancora diventata patrimonio comune maschile. Questi uomini indicano che la violenza e' qualcosa che gli uomini imparano a usare, perche' il modo in cui imparano a esprimere la loro mascolinita' rispetto alle donne, ai bambini e agli altri uomini, fa coincidere la mascolinita' con il potere di esercitare controllo. La violenza e' un imperativo della virilita', e anche un meccanismo compensatorio per coprire l'insicurezza, in una societa' dove l'uso della violenza e' permesso, reso attraente e ricompensato. Chiediamo agli uomini di sentirsi chiamati in causa come parte del problema e di offrire un contributo positivo. Chiediamo loro di interrogarsi a fondo per capire cosa muove molti a tanta aggressivita', tanto da ridurre le donne ad oggetti sui quali esercitare potere. Chiediamo ai padri di mandare un messaggio ai giovani maschi, un messaggio che possa aiutarli a crescere e a districare il rapporto disordinato con le loro emozioni, tanto disordinato da poter diventare anche omicida. Chiediamo agli uomini di smettere di essere invisibili a se stessi. Oggi la relazione amorosa tra un uomo e una donna non e' ancora incontro di due soggettivita' consapevoli; non e' ancora sessualita' senza appropriazione o consumo, senza rapporto di dominio: questo puo' essere l'orizzonte di incontro da costruire. Se vogliamo realizzare una convivenza piu' umana e una politica che prenda le mosse dalla nostra comune vulnerabilita', e' necessario che ciascuna e ciascuno si assuma la responsabilita' di costruire nuove relazioni nel rispetto della reciproca differenza. 2. AFGHANISTAN. GIULIANA SGRENA: IN FAMIGLIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo aprile 2009 col titolo "Diritti delle donne, Hamid Karzai peggio dei taleban"] Dove sono coloro che spudoratamente nel 2001 avevano detto che si interveniva militarmente in Afghanistan per liberare le donne dal burqa? Naturalmente era stata solo una battuta di pessimo gusto, ma non avremmo mai immaginato che Hamid Karzai, l'uomo installato a Kabul dagli americani al posto dei taleban, avrebbe sfidato i suoi predecessori nell'umiliare le donne con una legge che legalizza lo stupro in famiglia, oltre che impedire loro di uscire di casa senza il permesso del marito. Cosa diranno i paesi donatori dell'Afghanistan riuniti ieri all'Aja? Continueranno a finanziare o a promettere soldi a un regime che non ha nulla da invidiare a quello dei taleban? E soprattutto il governo italiano, incaricato di assistere l'Afghanistan nella ricostruzione del sistema giudiziario, avallera' questa ennesima brutale violazione dei diritti umani, magari con il pretesto di rispettare la loro cultura? Una nuova legge che regola i rapporti di famiglia per gli sciiti, gia' firmata dal presidente Karzai il cui contenuto e' stato anticipato da fonti Onu e ripreso dal quotidiano britannico "The Guardian", legalizza lo stupro all'interno della famiglia: la donna non potra' rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito. Inoltre, nella legge sarebbe contenuta una norma che impedisce alla donna di uscire di casa senza il permesso del marito per studiare, cercare lavoro o andare dal medico. Infine, in caso di divorzio la custodia dei figli e' affidata al padre o al nonni. La legge "e' peggiore di quella dei taleban", e' stata la reazione di Humaira Namati, parlamentare. In questo caso sono gli sciiti, che secondo la costituzione possono avere un codice della famiglia diverso dalla maggioranza sunnita, a sfidare l'oscurantismo dei taleban nei confronti delle donne. Quando si tratta di eliminare i diritti delle donne si puo' tranquillamente violare la parita' tra i sessi prevista dalla costituzione afghana e dalle convenzioni internazionali sottoscritte dal governo di Kabul. Del resto l'Afghanistan non e' l'unica eccezione, purtroppo. La legge e' stata approvata con insolita rapidita' e con scarsa discussione - l'unico miglioramento pare sia stato l'aumento da 9 a 16 anni dell'eta' da matrimonio - denunciano diverse deputate afghane. Mentre Soraya Sobbrang, capo degli affari delle donne nella Commissione afghana indipendente dei diritti umani, accusa il silenzio dell'Occidente "disastroso per i diritti delle donne in Afghanistan". La rapidita' e la clandestinita' con cui Karzai ha fatto passare la legge e' dettata da motivi elettorali in vista del voto presidenziale di agosto. Visto il suo calo di popolarita' e anche di appoggio internazionale, evidentemente nell'estremo tentativo di guadagnare voti il presidente ha cercato con questa legge di ingraziarsi l'elettorato sciita costituito sostanzialmente dalla comunita' hazara, circa il 10% della popolazione, oltre che dell'Iran. Infatti la nuova legge era auspicata da Ustad Mohammad Akbari, parlamentare e leader del partito hazara, il quale ha dichiarato: "Uomini e donne sono uguali nell'islam ma ci sono differenze nel modo in cui uomini e donne sono stati creati. Gli uomini sono piu' forti e le donne sono un po' piu' deboli; anche in Occidente non si vedono donne pompiere". Con la nuova legge oscurantista forse Hamid Karzai potra' persino piu' facilmente convincere i taleban "moderati" della sua buona "fede" e offrire loro quella "onorevole forma di riconciliazione" auspicata dalla segretaria di stato Usa Hillary Clinton. Speriamo tuttavia che la protesta dell'Unifem (Fondo delle Nazioni Unite per lo sviluppo delle donne) per la nuova legge giunga anche all'Aja e non lasci indifferenti i rappresentanti dei paesi donatori. E speriamo che la risposta non sia la stessa ipocrita di un diplomatico occidentale a Kabul, ripreso dal "Guardian", "sara' difficile cambiare la legge perche' entriamo in un terreno in cui possiamo essere accusati di non rispettare la cultura afghana". Quella dei fondamentalisti, mentre si puo' tranquillamente ignorare quella delle donne che chiedono il nostro aiuto. 3. RIFLESSIONE. LUCIANA PERCOVICH: IL DIO UNI-VERSO E LA DEA DAI MILLE NOMI [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo gia' pubblicato in "Guerre e pace", fascicolo monografico sul tema "A volte ritornano: fondamentalismi e patriarcato", novembre/dicembre 2008] Ho cominciato a riflettere sistematicamente sui temi che affronta questo articolo negli anni Ottanta, durante un viaggio nel cuore dell'Australia, nel territorio degli Aranda: nello scoprire in maniera del tutto inaspettata la religione degli aborigeni, ho di colpo compreso che nel buttar via la mia educazione cattolica (come molte e molti della mia generazione hanno fatto), avevo buttato via anche l'intera dimensione dello spirito. E che nemmeno la pratica dell'autocoscienza tra donne era riuscita a toccare quegli strati piu' profondi e intimi dove si annida "l'Occhio di Dio", ossia quell'insieme di narrazioni, simboli e pratiche che controllano lo spazio interiore di ogni singolo individuo. La visione aborigena del sacro, secondo cui spetta singolarmente e direttamente a ogni donna e uomo farsi carico di continuare la creazione primigenia (quella del Tempo di Sogno), ha scompaginato definitivamente le categorie di cio' che per me era religione, cioe' trascendenza, ritualita' istituzionalizzata, dogmi e atti di fede. Oggi, mentre un rinnovato bisogno di senso e di sacro si riaffaccia tra donne e uomini, ovunque deluse/i da un susseguirsi ininterrotto di inconcepibili massacri, di promesse illusorie di democrazia e di ridistribuzione delle ricchezze, e dal vuoto prodotto dalla globalizzazione di merci senz'anima, cresce il rischio di una nuova arroganza ecumenica da parte delle religioni monoteiste, che si manifesta come fondamentalismo. Sarebbe una grave leggerezza considerare i fondamentalismi religiosi - lo strumento aggressivo che si e' rimesso in moto (e questa volta a livello planetario) sull'onda di queste emozioni e bisogni profondi - come momentanee deviazioni o aberrazioni di sistemi religiosi altrimenti sani e moralmente impeccabili: perche' i fondamentalismi non sono che gli inevitabili punti d'arrivo delle religioni monoteiste patriarcali. Nella riflessione che segue, sulla genesi e la natura dei monoteismi, concentrero' l'attenzione su due punti insieme storici e concettuali, a mio parere cruciali, che ne rappresentano il nocciolo intrinseco e generatore: la trascendenza di Dio e il suo connotarsi teologicamente come Bene Assoluto. Cerchero', nella forma sintetica permessa da un breve saggio come questo, e quindi assumendomi i rischi di una argomentazione necessariamente limitata in profondita', di delineare il significato di questi due aspetti del Dio ebraico, cristiano-cattolico e islamico, cosi' come li ho sempre di piu' messi a fuoco nel mio percorso di ricerca sulle origini del sacro e delle religioni, animato dallo sconcerto per la sessuazione al maschile del principio generatore e dalla domanda: cosa venerava l'umanita', come organizzava le sue risposte sul senso della vita su questo pianeta, che significato dava ai corpi gravidi di vita delle statuette, delle vulve, dei petroglifi e dell'arte rupestre del Paleolitico e del Neolitico (1)? In questa prospettiva, il primo dato da mettere in evidenza e' di natura temporale: di questi reperti archeologici rimane ampia testimonianza in ogni continente a partire almeno da 30.000 anni fa, ossia da molto prima che Dio nascesse alla Storia degli Uomini; mentre i tempi biblici, che abbiamo creduto sinonimo di venerata vetusta', sono in realta' tempi molto giovani - collocabili tra la fine dell'Eta' del Bronzo e l'Eta' del Ferro, vale a dire tra il 2000 e il 1000 a.C., nella fascia del Mediterraneo e del Medio Oriente (2) - e acerbi rispetto alla lunga storia della creativita' artistica e delle organizzazioni sociali umane. Joseph Campbell, uno dei piu' noti studiosi di mitologia e religioni comparate, nell'introduzione al libro di Marija Gimbutas Il linguaggio della dea (3), scrive: "Maria Gimbutas e' stata in grado... di stabilire, sulla base dei segni interpretati, le linee caratterizzanti e i temi principali di una religione che venerava sia l'universo quale corpo vivente della Dea Madre Creatrice, sia tutte le cose viventi dentro di esso, in quanto partecipi della sua divinita': religione, lo si percepisce immediatamente, in contrasto con le parole che il Creatore Padre rivolge ad Adamo nel Genesi 'Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finche' tornerai alla terra, perche' da essa sei stato tratto: polvere sei e polvere ritornerai'. In questa mitologia arcaica, la terra da cui tutte le creature hanno avuto origine non e' polvere inanimata, ma vita, Dea Creatrice". * Un astratto principio maschile Nel lungo tempo che precedette la nascita "umana, troppo umana" di Dio, come principio assoluto maschile e astratto, punto zero di una retta temporale unidirezionale che dal nulla con un atto mentale crea l'universo (e qui vale ricordare il commento di C. G. Jung che defini' questo atto una "interessante inversione del fatto biologico" (4)), la vita stessa in tutte le sue manifestazioni umane, animali, vegetali, pietre e argilla, acqua, aria, fuoco e spirito era considerata "divina", e sacro ed eterno il suo continuo movimento a spirale di nascita, maturazione, morte e rigenerazione. Il concepimento di Dio in menti maschili interruppe questa visione e la sua nascita si rivelo' pienamente solo nel trascorrere del tempo come mortale per tutta la natura, l'universo e le creature che li abitano, man mano che si faceva strada l'idea secondo cui universo, natura e creature potevano considerarsi dotati di vita solo se selettivamente animati dal Soffio Divino. Un divino che con un doppio salto mortale si piroettava, elevandosi, fuori dal "creato", definendosi come principio maschile, esterno, incorporeo, idea pura, immodificata e inalterabile come una figura della geometria euclidea (che ne sarebbe scaturita), la cui forma perfetta modella la realta'. Il movimento eterno del divenire si appiatti', sia in senso temporale che spaziale, in una linea a senso unico che si muove dall'alto al basso (e' Dio che crea l'Uomo e non viceversa), dal maschile al femminile (la vita fluisce da un principio maschile astratto anziche' da un corpo che genera nella materia). In un Dio cosi' disincarnato, nulla restava della sua origine, ne' la verita' evidente che la vita si crea nel femminile delle specie, che siamo tutti nati da donna (5), ne' la spinta che lo genera all'interno della coscienza. Da quel momento la cura per la sacralita' della vita, quotidiana, attiva e individuale, o esercitata collettivamente nei momenti di passaggio che contrassegnavano i giorni, le stagioni, i passaggi importanti della vita, venne progressivamente avocata da una nuova casta di addetti ai "culti religiosi". E solo da quel momento in poi entro' nell'universo immaginario dell'umanita' la parola "religione": ne' "paganesimo" (6) ne' sciamanesimo ne' animismo o totemismo possono infatti essere definiti con questo termine. * La rimozione del luogo dell'origine Le religioni storiche dunque nascono nel e dal momento del capovolgimento e della rimozione del luogo dell'origine (7). Queste religioni, che occorre percio' distinguere dalle precedenti concezioni e pratiche del sacro, portarono con se' una diversa accezione della dimensione spirituale, inventarono competenze e ruoli fortemente ritualizzati e istituzionalizzati, si impossessarono della gestione di tutto cio' che si configurava come misterioso e potente. Consolidarono e confermarono - trasfigurando nell'alto dell'Olimpo o nel Tempio e imprimendolo nella memoria dei popoli con il trauma della guerra e dello stupro - un sistema politico di controllo e di dominio gerarchico, che si stava imponendo con le armi e la sopraffazione nei territori floridi in cui si andavano insediando le nuove popolazioni portatrici di questo ordine sociale e religioso (8). In questa trasformazione epocale va collocato l'affermarsi del concetto, e della parola stessa, di divino nell'accezione ancora corrente, di cui non esistono tracce ne' termini corrispondenti nelle lingue pre-indoeuropee o extra-indoeuropee: dal punto di vista linguistico, la radice div/dev e' infatti indoeuropea e fece la sua comparsa nel bacino del Mediterraneo solo a partire dall'eta' del bronzo. "Sacro" e "divino" possono quindi essere assunti come due termini non interscambiabili e indicatori di due visioni culturali radicalmente diverse. La nozione di "sacro", fortemente collegata al corpo femminile e alla conoscenza interiore, intima, designa la soglia tra umano e sovra-umano, tra vita e morte, tra niente e vita; e' affine al concetto di sofia, sapere spirituale ma collegato all'esperienza, che passa attraverso la complessita' delle percezioni del corpo e l'attivazione di energie piu' sottili di quelle della mente. Si sviluppa e fiorisce in contesti socio-economici egualitari e matrifocali. Quella di "divino" sorge come fantasma di un corpo maschile, dalla percezione di una separazione (del figlio dalla madre, della mente e dello spirito dalla materia) e dalla razionalizzazione di una mancanza (la capacita' di generare), successivamente al furto delle funzioni connesse al sacro (9). E' sempre accompagnata a personificazioni gerarchiche e a imprese di eroi o semidei; filosoficamente si esprime come logos in tutte le -logie, connotate dall'essere sapere intellettuale astratto. Questo processo, con il relativo cambiamento di metafore fondanti, compi' un ulteriore passo fondamentale in Europa nel Rinascimento, ossia nel passaggio alla Modernita'. Carolyn Merchant in La morte della natura (10) ricostruisce mirabilmente la sostituzione della metafora di "Madre Natura", ancora sopravvissuta nel senso comune a distanza di qualche millennio, con quella di "natura macchina": la prima conservava l'attribuzione di corpo vivente alla natura, la seconda la interpretava come inanimata, composta di parti separate, come il meccanismo di un orologio. E spiega bene, per chi faticasse a intuirlo, come le metafore descrittive agiscano in maniera prescrittiva, autorizzando o no certi comportamenti: si faceva ancora fatica (forse oggi non piu', dopo tanto insistente splatter indistinguibile tra cronaca e fiction) a mutilare, maltrattare e squartare un corpo vivente senza provare un senso di profanazione e di disagio, ma da quel momento ogni traffico, stravolgimento, sfruttamento dei corpi naturali (terra, foreste, acque, montagne, inequivocabilmente connotate come femminili) divento' lecito. In quella tragica e sotto molti aspetti assai mistificata svolta epocale, si verifico' un'alleanza irresistibile tra religione (sempre in difficolta' con la resistenza del mondo pagano delle campagne e delle montagne), stati nazionali, capitalismo e scienza nascenti, che inauguro' la modernita' nel fumo dei roghi di "streghe ed eretici", nello sforzo finale di cancellare una volta per sempre le endemiche rivolte dei contadini, spesso con le donne nei ruoli di guida e di continuatrici di tradizioni e conoscenze basate sulla sacralita' del vivente (boschi, erbe, animali, ecc.) (11). Ma, come abbiamo visto, la radice del cambiamento era assai piu' antica, e risaliva al tempo in cui le floride, egualitarie, pacifiche e tolleranti ma indifese comunita' matrifocali del Centroeuropa erano state progressivamente travolte dalle aggressive culture del patriarcato, e con l'entrata in scena, tra i popoli semiti, del Dio iroso e arrogante, presentatosi con una battuta d'effetto, incomprensibile per chi non sapesse cosa c'era prima di Lui, in apertura della sue Tavole della Legge: "Non avrai altro Dio all'infuori di me!". Anche se qui tratteggiato solo a grandi linee, e solo relativamente alla sua genesi greco-ebraica, questo inarrestabile cambiamento di paradigma culturale, religioso, politico, economico e sociale che ha permesso l'affermarsi delle civilta' del dominio (12) rivela in pieno il ruolo centrale giocato nell'immaginario e nella vita concreta dalla nascita del concetto del Dio unico e trascendente, che si configura come una delle radici inestirpabili del fondamentalismo religioso. * Da compresenza a gerarchia Ma veniamo altrettanto sinteticamente al secondo punto, la connotazione teologica di Dio come Bene Assoluto. Anche qui lo slittamento concettuale si configura come una inversione accompagnata da una semplificazione: la Dea dai mille nomi (13) conteneva in se' tutti gli aspetti dell'apparentemente discorde fluttuare dell'essere: era colei che dava la vita ma anche la morte, era accogliente e seducente ma sapeva respingere senza rimpianti ed esercitare la severita' del contrappasso; era bianca e nera come la luna, era assenza e presenza, era insieme bene e male, perche' questi sono i caratteri cangianti propri della transitorieta' del piano fisico, che si tiene combinando polarita' e doppie direzioni nel suo continuo farsi e disfarsi. La potenza del sacro, la sua inafferrabilita' e lo sconcerto che provocava erano stati egregiamente condensati nelle figure della sfinge, della medusa e del daimon, ancora molto presenti nell'arte greca classica; nel daimon in particolare (che il cristianesimo trasformera' nel Demonio, la quintessenza del male), rappresentazione meta' umana e meta' animale, con il torso di uomo o donna ma la coda di serpente o di pesce, che rimase vivo nell'immaginario fino al Rinascimento europeo e oltre come Melusina (14) (topos peraltro ricorrente anche nelle mitologie degli altri continenti). L'immagine di Zeus che a un certo punto si affianca al daimon, nella posizione di fulminare un "mostro" che non trova piu' posto nell'Olimpo (15) ne' nel sistema logico binario oppositivo che si afferma nel pensiero filosofico, esprime simbolicamente la rottura e il rifiuto della sapienza contenuta nei piu' antichi miti di creazione, quando nella dea - che ha corpo di donna perche' maschi e femmine si nasce da femmine o, per dirla nel linguaggio della moderna narrazione scientifica, perche' il cromosoma X contiene in se' il cromosoma Y e non viceversa - coabitano principio femminile e maschile, yoni e lingam , "divino" e "animale", forma e materia, energia yin e yang. Nel sistema di pensiero statico e dicotomico dei Greci, il tema della compresenza di femminile e maschile (e di animale e umano) che coabitano in tutto e tutti, linguisticamente espresso dalla dualita' delle antiche radici ricorrenti -yn e -ng, si separano definitivamente nelle definizioni riduttive di gyne' e andros, o donna o uomo. E se gerarchia ormai ha da esserci, il segno positivo spetta all'uomo, quello negativo (che diventera' la mancanza del fallo nel linguaggio psicanalitico) alla donna. Negata la necessita' e la naturalita' della compresenza, la polarita' esclusivamente oppositiva si prepara per andare a nozze sterili (laddove lo ieros gamos era attivita' sacra di compresenza) con uno smaterializzato Dio solo e geloso. Quintessenza del polo positivo maschile, Dio si espande come Bene Assoluto, uni-verso; la donna, non piu' nemmeno sacra, viene ridotta a solo corpo (mero contenitore dell'homunculus per Aristotile), materia, caducita', tentazione (in quanto, nonostante tutto, capace sempre di evocare il ricordo rimosso e la momentanea nostalgia di un tutto indiviso), peccato, morte. In quanto Bene, Dio e' anche Verita' Universale, e questa verra' contrapposta ai pagani di tutti i tempi e di tutti i continenti come la Rivelazione, la svolta spirituale vincente. La Buona Novella dovra' essere portata e imposta, non importa con quali sistemi, perche' il fine buono giustifica i mezzi, calpesta le concezioni "sbagliate" semplicemente perche' altre, libera dall'Errore e porta la Salvezza uni-versale! Per queste ragioni, contenute nella formulazione teologica del Dio patriarcale, cosi' come si e' venuta delineando storicamente e non senza lunghi dibattiti e sanguinosi contrasti anche al suo interno, i fondamentalismi esprimono lo sbocco inevitabile di una visione sbilanciata della natura umana e della natura/cosmo, che e' riuscita a imporsi e tendera' a imporsi con tutti i mezzi a sua disposizione. * Il paradigma razionalista Puo' essere interessante a questo punto uno sguardo al sistema di credenze dello sciamanesimo siberiano, qui assunto come esempio per ragioni di brevita' ma anche perche', allo stato attuale delle conoscenze sulla diffusione dell'homo sapiens, potrebbe essere considerato la matrice delle culture sciamaniche di tutti i continenti. In questa cornice di pensiero non c'e' dicotomia tra bene e male, forse sarebbe addirittura piu' corretto dire che non esiste una concezione astratta e personificata del bene e del male, ma invece la consapevolezza di stati di "perdita di equilibrio", di "uscita dall'equilibrio" che genera sofferenza, oscurita', pericolo, disconnessione, mutilazioni e paura (16). Al posto della lotta eterna tra Bene e Male (17), nello sciamanesimo mongolo e siberiano i principi cruciali sono: l'equilibrio, il rispetto per la terra e per le sue creature, la responsabilita' personale di ciascuno (nel mantenere l'equilibrio dentro e fuori di se' e nell'esercitare il rispetto). Gli stessi principi che verosimilmente governarono le societa' egualitarie della pre-istoria, quei principi scomparsi nelle civilta' del dominio, basate sulla gerarchia e l'obbedienza, il dogma e lo sfruttamento. Infiniti corollari dei due punti cruciali fin qui esposti possono essere osservati, vivi e vegeti, da ciascuno di noi nel tempo in cui viviamo: il modello divino (Dio lo vuole!) legittima ogni gerarchia politica, sociale ed economica (nel momento piu' rampante del protestantesimo la ricchezza fu considerata una manifestazione della "grazia" divina), razziale, intrapsichica (il super-ego), tecnologica (artificiale e/o virtuale come superiori al naturale: volete mettere la bellezza dei pomodori o delle mele o del grano geneticamente modificati con quelli non trattati... o di un naso o di un seno rifatto... di un parto cesareo rispetto a un parto naturale!). Anche in chi si definisce laico (18), o proclama che dio e' morto, e si affida alla scienza o alla scientificita', in mancanza di una messa in discussione delle radici dei presupposti storico-culturali impliciti da cui siamo agiti e che agiscono a partire dalla struttura sintattica delle lingue indoeuropee, vediamo ripetersi lo stesso paradigma razionalista, dicotomico e gerarchico, ereditato dalla costruzione gnoseologica greco-ebraica. Tuttavia, all'interno dei tre monoteismi il paesaggio non e' e non e' mai stato privo di incrinature e di spazi di movimento. Nel cristianesimo, la sua radice, Gesu', costituisce ancora oggi, paradossalmente, la sua piu' radicale messa in discussione e la presenza della Madonna (Madre di Dio e assunta in cielo col suo corpo fisico!), ha continuato il ricordo della insopprimibile pur se addomesticata potenza femminile; nell'ebraismo, privo di una struttura gerarchica di controllo simile alla Chiesa e al Vaticano, esistono da sempre scuole rabbiniche profondamente impegnate in lavori capillari di esegesi dei libri sacri che danno spazio a forme di conoscenza e ad assunzioni di responsabilita' intime e personali; nell'islam, piu' si torna indietro verso le origini piu' gli hadith del Profeta sono scevri di intolleranza e le cinque preghiere giornaliere riflettono ancora uno schema legato ai ritmi naturali della linfa nel mondo vegetale, mantenendo in vita - all'insaputa della maggioranza dei credenti - un legame con le conoscenze degli antichi. Esistono cioe' spazi non visibili sul palcoscenico massmediologico, nel Retroscena (19), dove le Radici si sono mantenute vive e intrecciate, anche la' dove le foreste sono state abbattute o date alle fiamme. Forse stanno premendo per riemergere alla luce, per buttare nuovi getti, forse sarebbe possibile riattivare questi legami. Interrogandoci, per esempio, sulla fragilita' delle culture pacifiche ed egualitarie di fronte a un mutamento provocato dall'esterno, o sulla necessita', in termini darwiniani, del successo del piu' aggressivo della specie, quando questo tipo di aggressivita' abbia esaurito il suo compito e, non contenuto, giri a vuoto come impazzito seminando distruzione intorno a se'. O ancora, chiedendoci se la fase del patriarcato attraversata dalla storia di quasi tutte le culture non debba essere paragonata a una furibonda crisi adolescenziale, utile pero' a diventare adulti; o se i fondamentalismi non siano come una inevitabile violenta malattia esantematica, da cui il sistema immunologico esce rafforzato, se sopravvive. E se maschile e femminile non siano riducibili schizofrenicamente a uomo e donna e si possa ancora cercare di riportarli in equilibrio, perche' l'Uno ritorni ad essere inclusiva di tutte le sfaccettature di un cristallo. * Note 1. Luciana Percovich, Oscure Madri Splendenti. L'origine del sacro e delle religioni, Venexia, Roma 2007. 2. Fondamentale, per ricchezza di dati e competenza biblica, il testo di Raphael Patai, The Hebrew Goddess, Wayne State Univerity Press, Detroit (1967) 1990. 3. Marija Gimbutas, Il Linguaggio della Dea, Venexia, Roma 2008. 4. Carl Gustav Jung, La libido, simboli e trasformazioni, Newton Compton, Roma 1993. 5. Adrienne Rich, Nato da donna, Garzanti, Milano 1979. 6. La parola "paganesimo" nasce col diffondersi del cristianesimo nelle corti e nei castelli, nelle citta' e nei monasteri, per definire i praticanti dell'Antica Religione che abitano nei villaggi (pagus) e nelle campagne. 7. Capovolgimento che Peggy Reeves Sanday, antropologa della University of Pennsylvania, in Female Power and Male Dominance. On the origins of sexual inequality, Cambridge University Press, 1981, rintraccia anche nelle storie di creazione relative a un campione di 155 societa' "primitive", dove rimangono ben presenti le tracce di una fase anteriore, che poneva all'origine dell'universo un principio femminile o di coppia. 8. Esistono varie teorie per spiegare il passaggio dalle societa' matrifocali al patriarcato, ben distinte dalla tesi ottocentesca e progressista di J. Bachofen, che vanno dall'ipotesi di un cambiamento climatico che avrebbe provocato la desertificazione di ampie zone fertili (il Sahara e parti della Siberia attuale) con conseguente inasprimento anche delle forme sociali per garantire la sopravvivenza, a quella che vede nel passaggio dalla rain agriculture all'agricoltura basata sulla canalizzazione delle acque (Mesopotamia e valle dell'Indo) l'origine dell'accumulazione di surplus nei templi che si vennero costituendo come i primi poli di accentramento amministrativo e politico. Testi di riferimento, disponibili prossimamente anche in italiano, The Rule of Mars, a cura di Cristina Biaggi, (Knowledge, Ideas & Trends, Manchester Ct 2005) e gli atti dei due Convegni internazionali sui Matriarcati, il primo tenutosi in Lussemburgo nel 2000 e il secondo nel Texas nel 2005, cui hanno partecipato oltre che studiose/i del passato anche esponenti delle diverse comunita' matriarcali o matrifocali tuttora esistenti nei vari continenti. Anche in www.gifteconomy.com. Inoltre, Riane Eisler, Il calice e la spada. La nascita del predominio maschile, Pratiche, Parma 1987 e il gia' citato Oscure Madri Splendenti. 9. Il mito australiano di Djiankavu racconta il furto delle "borse sacre, contenenti gli emblemi del potere e del rituale" alle sue due sorelle, sotto la spinta della competizione e dell'invidia, mentre Matilda Joslyn Gage usa la parola "furto" nel suo libro Woman, Church and State (1893): "Il piu' stupendo sistema di furto organizzato che sia mai stato conosciuto e' stato quello della chiesa ai danni delle donne. Un furto che le ha private non solo del rispetto di se' ma di ogni diritto della persona, dei frutti del loro lavoro, delle opportunita' di istruzione, dell'esercizio del proprio senso del giudizio, della coscienza di se', della volonta'". 10. Carolyn Merchant, La morte della Natura. Dalla natura come organismo alla natura come macchina, Garzanti, Milano 1988. 11. Michela Zucca, Donne delinquenti. Storie di streghe, eretiche, ribelli, rivoltose e tarantolate, Simone, Napoli 2004; Silvia Federici - Leopoldina Fortunato, Il grande Calibano, Franco Angeli, Milano 1984; Barbara Eherenreich - Deirdre English, Le streghe siamo noi, CelucLibri, Milano 1975. 12. Per una trattazione esauriente dello sviluppo e delle tecniche di mantenimento delle civilta' del dominio attraverso la modellazione violenta e capillare dei tratti maschili e femminili, Riane Eisler, Il piacere e' sacro, Frassinelli, Milano 1995. 13. Le "divinita'" femminili preindoeuropee hanno epiteti come la Signora, la Potente, la Madre, l'Antenata, la Progenitrice, ecc., e sono invocate col nome proprio, che a latitudini diverse e' diverso, pur coprendo la stessa area di attribuzioni. Le Dee appaiono successivamente, a partire dal periodo di transizione dalle societa' matrifocali al patriarcato, e sono caratterizzate dallo spezzettamento delle attribuzioni (dea del focolare, dea dell'amore, dea della caccia, ecc.) e dall'essere moglie, o figlia, o sorella di un dio che si e' imposto al loro fianco, assumendo su di se' ampie parti della loro indifferenziata potenza creativa, regolatrice e di cura. 14. Per una trattazione esauriente di questa figura, Carla Lomi, Alle origini della fata. La donna e la sua psiche allo specchio, Edizioni della Meridiana, Firenze 2004. 15. Jane Ellen Harrison, Prolegomena to the Study of Greek Religion, Merlin Press, London 1903 e Themis. Uno studio sulle origini sociali della religione greca, La Citta' del Sole, Napoli 1996. 16. Sarangerel, Riding Windhorses. A journey into the Heart of Mongolian Shamanism, Destiny Books, Rochester, Vermont, 2000; Marjorie Mandestam Balzer, I mondi degli sciamani. Epica e riti dei guaritori siberiani, C. Gallone Editore, Milano 1998. 17. Le prime tracce di questa concezione possono essere trovate con molta evidenza nello zoroastrismo, considerato al pari della dottrina egizia di Amon-Ra (Tebe, XII dinastia), un precursore del monoteismo. 18. Per chi si e' formato/a alla scuola del marxismo, tutto cio' suona come indigeribile, essendo la religione considerata mero risultato (sovrastruttura) della dura realta' economica (struttura), considerata unica causa motrice delle vicende del mondo. Non riconoscendo inoltre la potenza della "contraddizione di sesso" come radice dell'immaginario, da erede dell'umanesimo e dell'illuminismo il materialismo storico continua a ritenere superstizione (o paccottiglia new-age) tutto cio' che il pensiero razionale non puo' spiegare; pertanto le pulsioni, i sentimenti, la spiritualita', l'Anima, se esistono, possono essere lasciati alla gestione di Medicina e Chiesa, con cui in fondo non c'e' nessuna contraddizione epistemologica significativa. 19. La filosofa e teologa femminista radicale Mary Daly in Quintessenza. Realizzare il Futuro Arcaico, Venexia, Roma 2005, insegna a distinguere tra cio' che avviene sull'Avanscena, il mondo artificiale della comunicazione gestita dai Patriarchi Necrofili, succedaneo della realta', e il Retroscena, il mondo della vita quotidiana delle persone in carne ed ossa, lasciato in ombra e quindi "inesistente e ininfluente". In un recente esperimento effettuato su bambini in eta' scolare, in cui sono stati proposti all'assaggio l'essenza chimica di fragola e quella di una fragola, la quasi unanimita' ha indicato il sapore del surrogato come quello vero. 4. LIBRI. INES CASTAGNOLA PRESENTA "IL LINGUAGGIO DELLA DEA" DI MARIJA GIMBUTAS [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/) col titolo "Marija Gimbutas e il linguaggio della dea. In principio era il segno" e il sommario "Un libro ed un documentario per riscoprire ancora una volta Marija Gimbutas, la sua vita e la sua ricerca per riportare alla luce la presenza del femminile nella visione del sacro prima della nascita delle religioni patriarcali"] Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Venexia, Roma 2008, pp. 390, 36 euro. * Di recente ho avuto occasione di assistere, in forma privata (trenta persone circa), alla proiezione di un documentario sulla vita di Marija Gimbutas, girato e prodotto unicamente dai collaboratori della scienziata, che per dieci anni hanno raccolto molto del materiale esistente per ripercorrere l'intero itinerario della sua vita lavorativa, commentato da numerose interviste rivolte alle persone a lei piu' vicine. E nonostante quasi tutte le persone presenti conoscessero molto bene la protagonista e molte avessero gia' studiato ed apprezzato i suoi libri e le sue teorie, alla fine della proiezione nella sala si e' avvertito un forte sentimento di emozione ed ammirazione nel vedere a lungo ed in primo piano il volto dolce di questa donna che, con una incredibile pertinacia e direi quasi una inattaccabile fede, ha perseguito per tutta la vita le sue idee, sostenendole contro tutto e contro tutti. Dalla sua infanzia in Lituania, che appare come un paese di favola, bucolico ed idilliaco, questo documentario ripercorre tutte le tappe della sua vita, che sono contraddistinte da una netta volonta' di condurre da una parte una tranquilla vita famigliare con marito e figli (nonostante il triste periodo dell'invasione russa che la costrinse a fuggire prima in Germania, dove si laureo' nel 1946, e poi dal '49 negli Usa, dove insegno' ad Harvard, e poi a Los Angeles, come docente di Archeologia dal 1963) e nello stesso tempo da una ineusauribile forza d'animo e professionalita' nel sostenere con alta capacita' scientifica le sue idee e le sue scoperte. A quindici anni aveva gia' raccolto 5.000 canti della sua terra natia, della quale difendeva con forza e, gia' da allora, voleva tramandare le tradizioni piu' legate alla natura ed alla terra-madre. E questo ci fa capire come gia' in nuce la Gimbutas aveva impostato il suo principio, che la portera', prima donna al mondo contro molti grandi scienziati, a coniare il termine di "Archeo-mitologia" per indicare un metodo di ricerca scientifica complesso, che unisce l'archeologia descrittiva alla mitologia comparata, alla linguistica, al folclore ed alla etnologia storica. Metodo quindi pluridisciplinare che ha completamente rivoluzionato le prospettive sulle origini delle culture europee, contrastando i sistemi precedenti gia' affermati e conclamati da illustri scienziati. Fortunatamente la Casa editrice Venexia ha di recente pubblicato una nuova edizione integrale ed aggiornata (con una nuova traduzione) del testo base di tutte le teorie della Gimbutas, Il linguaggio della dea, dove con strettissimo rigore scientifico l'autrice esamina e raccoglie in modo sistematico piu' di seimila reperti, una parte dei quali da lei personalmente rinvenuti negli scavi ed altri gia' scoperti, a sostegno delle sue tesi. Ed e' incredibile come, man mano che si va avanti nella lettura, o meglio nello studio di questo testo, si viene presi da grande ammirazione e completamente affascinati, per l'amore e la passione uniti al rigore scientifico con cui vengono esaminati, descritti e catalogati i segni ed i disegni di questa immane congerie di vasi e strumenti di lavoro che spaziano dal neolitico all'eta' del bronzo. Ogni segno viene disegnato, fotografato e comunque illustrato con una tale perizia, che alla fine diventa come la trama di un avvincente romanzo che, partendo dalla donna come punto focale dell'universo, ne fa la progenitrice e la creatrice di un tutto che si incarna nei frutti della terra e dalla terra trae la sua linfa vitale, tema quanto mai attuale e dibattuto oggi e che mai verra' completamente esaurito. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 243 del 2 aprile 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Minime. 778
- Next by Date: Minime. 779
- Previous by thread: Minime. 778
- Next by thread: Minime. 779
- Indice: