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Minime. 771
- Subject: Minime. 771
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 26 Mar 2009 01:07:57 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 771 del 26 marzo 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Opporsi al razzismo, opporsi alla guerra 2. Giuseppe Amoroso: Giuseppe Bonaviri (1998) 3. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. OPPORSI AL RAZZISMO, OPPORSI ALLA GUERRA Come si puo' opporsi alla guerra, se non si riconosce la dignita' e si difendono i diritti di ogni essere umano? E come si possono difendere i diritti di ogni essere umano e riconoscerne la dignita', se non ci si oppone alla guerra? 2. MEMORIA. GIUSEPPE AMOROSO: GIUSEPPE BONAVIRI (1998) [Dal mensile "Letture", n. 544, febbraio 1998, col titolo "Giuseppe Bonaviri. Dal magico Mineo, paese delle meraviglie" e il sommario "Lo scrittore siciliano usa il linguaggio della vertigine e della minuta registrazione, contaminando fantasia e storia. Ma dietro il muro della tangibilita' c'e' in agguato la vita palpitante, l'allusione al mistero delle cose migliori". Giuseppe Bonaviri e' deceduto alcuni giorni fa] Nell'Autodizionario degli scrittori italiani cosi' Giuseppe Bonaviri (1924) parla di se': "A nove anni gia' scriveva, in Sicilia, a Mineo, il suo paese, dove, su cento contadini e artigiani analfabeti, almeno venti componevano poesie. Suo padre, sarto in gioventu', scriveva poesie da lui raccolte col titolo L'arcano, che indica il misterioso rapporto biologico e mentale che unisce i figli ai genitori. A dieci anni, il suo sogno era quello di diventare il piu' grande poeta di Mineo [...]. Si chiede quanto abbia appreso dalla capacita' affabulatoria di sua madre che, nei giorni freddi con poco pane, raccontava ai figli fior di fiabe. E quanto sia trapassato in lui, seppure come memoria sensoriale, del suono del vento sentito a Mineo, degli odori delle erbe, dei cieli stellati, del senso schivo e asciutto di suo padre. Ne' bisogna tralasciare il gusto del divertimento liberatorio che si ha scrivendo, e quello del buffo, del labile, del semplice suono [...]. Gli piace scrivere romanzi non lunghi, con una coralita' di personaggi, come corale e' oggi il mondo, e poesie che fra di loro si possono coordinare come un poemetto. Ugualmente gli piace stralunare la realta', amplificandola nel giro delle frasi". Testimonianza di una visione del mondo e di una scrittura gia' stabili agli albori dell'attivita' letteraria dell'autore, Quark, una scelta di poesie giovanili pubblicata nell'82, consegna in "Ricerca" (scritta nel '44) l'ansia di chi interroga un universo di stupori infiniti dalla sua specola terrena. Uno sguardo fuggevole, che non puo' difendersi dall'assalto del buio, ma che illumina, proprio nel suo battito d'ombra, i grandi segreti: "In cerca di qualcosa / che mai non trovo / salto da una stella all'altra, / che sotto l'urto del mio piede / grande, cadono / in briciole d'argento. / Da un lato all'altro dell'universo, / pieno di fiochi lumi, / enorme s'allunga / la mia ombra". * L'esordio autobiografico E' una ricerca che porta il suo giro cosmico per le "viuzze crepate dagli anni" di "Festa in paese", i luoghi della Mineo di Il sarto della stradalunga, l'autobiografico esordio narrativo ('54) in cui il piccolo recinto paesano d'improvviso si anima del fermento fondo e misterioso della favola. Spezzone di infinito appare questo paese, "palla grande e scura librata sul vertice d'un mondo", dove le dita del sarto in cerca di chimere "respirano", le mani di una donna sono "raccolte nella gonna in un gomitolo di luce", la voce del vento e' quella delle anime dannate, impalpabili creature vagano nella notte e l'ombra gigantesca del campanile oscilla nella fiamma dei pochi lampioni. Paese che "naviga fra le nuvole" con la calura, i tramonti polverosi e foschi, gli ulivi chini sotto la pioggia d'inverno, i canti dei contadini, l'abbaiare dei cani, i rintocchi della campana di mezzanotte, Mineo sgrana il suo tempo reale in un vuoto metafisico, tutto si dilata e ondeggia e rotola in un trasmutare di forme, e il terrestre e il celeste si incontrano - come scrive C. Di Biase (Giuseppe Bonaviri. La dimensione dell'oltre, Napoli, 1984) - in una comunione totalizzante e visionaria, gia' presente nelle "fantasie metapsichiche" del giovanile poema lirico in forma drammatica, Follia. Si apre la cullata memoria di un fiabesco nutrito pero' di urti quotidiani, fisicita' e grevi pene e gangli di giorni amari e vischiosi, che si riversano in La contrada degli ulivi (1958), levigando le cose con una pascoliana musica di emozioni e facendole vibrare di magnetiche risonanze e propagazioni luccicanti di bonario enigma. Il registro del giornaliero si spalanca, negli sguardi dei ragazzi della "ghenga" di Il fiume di pietra (1964), a latitudini mitiche, con la pungente vicenda di una fetta di storia ancora misurata su onde di obnubilazione, sotto cui tuttavia serpeggia incontrastato il sigillo della morte, del pianto, piu' grande di ogni gioco dell'esistenza. Resta, altissima, la potenza della parola, dell'arte del novellare, che puo' far sortire movimenti straordinari ovunque, nel vuoto infinito e nel carcere della guerra, trasformando, ad esempio, una donna comune, braccata da un soldato americano, in un'Angelica fuggente, capace di incantamenti. Diviso fra gioiosi riti vitalistici e ombreggiature funeree, il romanzo chiude con il silenzio l'itinerario verso la fine dell'eta' aurorale. Muove dal bisogno di dialogare con il mondo, ma incontra "vuoto e un suono impreciso", l'io narrante di La divina foresta (1969), che "acquattato come dentro una pellicola" e circondato da ombre e cose miste a vapori e vortici, incomincia il viaggio metamorfico che per le affatturate contrade natali lo porta all'origine dell'universo. Attraversato da un coagulo di particelle cosmiche, avverte una totale assenza di leggi e, passando da arbusto a uccello, e' libero e feroce, insensibile ed empio e sapiente, fra puri suoni, piccole vite animali e vegetali, esseri destinati a perire, aggregati dalla morte in "minuscoli cristalli", e spazi e silenzi infiniti, avvenimenti impensati. Sono pagine di alta invenzione acrobatica e di letteratura come "filosofia naturale" (cosi' Calvino): un inesausto smarrimento in forme illusorie di conoscenza, dentro cui navigano flagellate sagome incorporee che sbucano da danteschi anfratti di stupore. * Il centro del creato Da una "vicenda umana semplicissima" sorge il romanzo "patrilineare" - secondo la definizione dell'autore - Notti sull'altura (1971), fondato sulla ricerca che uno stranito coro manda avanti per stabilire un contatto con le tracce arcane lasciate dalla morte di un uomo, il padre di Bonaviri. Buchi neri, abissi marini, venti infuocati, orbite celesti, elementi dell'essere si spargono in ruotante cerchio di magie, in "un 'aldila'' di forza raggiante", si riflettono in "differenti figure dell'animo" ed entrano in quella catena d'avventure che incanala il narratore Zephir, Aramea e il figlioletto Diofar, Arman, Totosimic e Salvat, Tirtenio e un fabbricante di zufoli e Rowley e Welly e molti altri, travolti nell'"infinito diluvio di fantasie e afflizioni", in un vagabondaggio terreno e planetario, cronachistico ed epico, attuale e archeologico. Un immenso mare di meraviglia, dove si mescolano varie culture e filosofie e scienza, mentre anche dai punti piu' remoti e irraggiungibili, dai quattro cardini della terra compare sempre Qalat-Minaw, centro del creato, con la collina del Castello, i vetri delle case tintinnanti al vento, il "galleggiante caos di nubi". Emblemi di un immaginario impastato di favolose memorie d'infanzia, e di spazi e tempi da cui e' scoccata la primordiale scintilla di vita, i personaggi oltrepassano il loro piu' prevedibile copione romanzesco, divenendo funzioni, idee, cellule di una struttura poematica aperta, con la scomparsa di legami logici, di nessi storici e la sublimazione di una generale corrispondenza (lirica e grottesca, saggistica e affabulata) fra tutte le componenti chiamate a interagire nel dinamismo di un incessante moto di trasformazione. Dopo l'invocazione ai "fantasmi bambini", gli "improvvisi vuotamenti di materia" e le "particelle errabonde" sperdute nel "bollimento lunare" di L'isola amorosa (1973) e dopo l'itinerario mitico che conduce i ragazzi di Le armi d'oro (sempre del '73) a incontrare gli eroi omerici in un paesaggio di "onde rifrante in mille bordi lunari", e, ancora, dopo la corsa di avvicinamento "al purpureo del giorno sulla sabbia e al nulla" di La Beffaria (1975), Bonaviri ancor di piu' lascia scorrere e lievitare la sua pagina nella ricettiva compagine dell'orchestrazione magico-cabalistico-scientifica, provocando combuste trafitture e sintonizzando i ricordi su un piu' omogeneo campo semantico: siamo alla radice di L'enorme tempo (1976), resoconto e canto del ritorno dello scrittore, giovane medico, nella "disfatta lentezza" di Mineo. La scoperta angosciata di un'atavica miseria si scioglie nell'adesione lirica a un tempo dilatato, sempre uguale e ferito da tragedie senza bagliori, cupe e prive pure della consolazione della sorpresa. L'andare spicciolo dei giorni, assottigliato fino a simbolo, parla con i volti degli umili e blocca un paesaggio immobile, corteggiato solo dall'altissima vicenda delle stagioni. Precipitati di autobiografia trafiggono il racconto, un filo di ironia avvolge scene "degne della deteriore fantasia di un romantico del secolo scorso" e un'"enigmatica fatalita'" accompagna il liberatorio cammino verso la favola, facendo rifluire certe microstrutture del quotidiano in una piu' estesa possibilita' di armonia con un "amalgama di esistenza primigenia" e con lo struggente discorso intorno all'immutabile destino umano. Nello stesso anno di L'enorme tempo Bonaviri recupera il suo lontano pezzo teatrale, Follia, interamente giocato sull'intreccio di dati interiori. Una voce "velata" crea un clima sospeso, sgretola ogni successione temporale, fa annegare ogni punto di ancoraggio stabile, ma non tralascia larghi nastri descrittivi, in cui cresce e subito defluisce una natura listata di colori e oscillazioni che si curvano fino a confondersi con le reazioni psicologiche di Sirio, il personaggio principale, e di Pietro, l'antagonista, spie dei due momenti essenziali del linguaggio bonaviriano: quello della vertigine e quello della minuta registrazione di tutto cio' che e' vicino e freme del suo segreto. * Il mito della memoria Intanto Martedina e il dire celeste, storia galattica uscita sempre nel '76 (ma scritta prima del ciclo cosmico-tanatologico di La divina foresta, Notti sull'altura e L'isola amorosa), aiuta a comprendere lo spessore dell'ottica favolistica e parcellare dell'autore. Sgranato in episodi fantascientifici, il racconto trova fertile terreno anche nel mito della memoria, del paese e degli affetti domestici, e annuncia Dolcissimo (1978), ancora una volta un viaggio-inchiesta, qui compiuto da Ariete, un medico isolano, e da Sinus, etnopsichiatra, nelle latitudini magiche (ma la magia non e' mai provocata dall'alterazione di congegni linguistici: e' nella terra trapassata da una luce di leggenda e di cronaca disperata) di un paese condannato alla distruzione, che cessa di essere quello osservato dai viaggiatori, per espandersi in un labirinto crescente da un flusso anomalo di visioni. Il preciso intendimento morale e civile di Bonaviri si associa a un'amara presa di coscienza del reale, che puo' solo salvarsi merce' il sortilegio del suo annullamento nello sconfinato abisso del tempo interiore, nei depositi e nelle germinazioni che i termini del visibile infranto lasciano in chi vive religiosamente la ripresa del contatto con le proprie origini. Il senso delle azioni e dei molti visi (tra i quali quello di Dolcissimo, vecchio suonatore di chitarra, terragno e cercatore dei "principi del mondo") e' dato non da cio' che si materializza in primo piano, ma dall'assenza, da fenomeni trascorsi che possono ripetersi, dall'umore ancestrale disseminato ovunque, dalla voce antica che trasmette il "lampare del cuore". Dall'appunto storico-erudito alla discesa geologica, dalla conoscenza delle usanze locali, pure attraverso la nenia e il lamento, alla visuale critica, Bonaviri indica dietro il muro della tangibilita' come una luminosa millenaria vita palpitante, in agguato: non gia' allucinazione, bensi' un di piu' di familiarita' con il reale, di avvicinamento, grazie al ritrovamento di tramiti sconosciuti che, posti in atto quasi da un dispositivo automatico, guidano al "vertice invertito della vita". La misura della raffigurazione e' sovente un disegno topografico, agreste: chiaro e resistente, e' tuttavia sospeso in una plaga di memorabilita' e di canto (ci soccorre la cifra poetica del poemetto La partenza, un cantare sul "presunto destino" di un gruppo andato alla ricerca delle acque) che lo confronta con gli archetipi. Il linguaggio e' ondivago; ora tenta estreme dolcezze lessicali, ora si innerva in sperimentalismi protetti, ora cesella o scolpisce una parola molto meditata e qua e la' astratta e, accanto, aduna una tavola di oggetti, una filologica rassegna, una segnaletica funebre e lunare, raccogliendo con neogotica destrezza materiali di morte. I personaggi locali, dal canto loro, parlano quella lingua "chiusa e avvolgente" che l'autore costruisce con perizia mimetica, cantante adesione e amore del simbolo. Se distanzia il paese della sua infanzia, Bonaviri non lo disperde, non lo annulla in un vagheggiamento nebuloso, ma lo ritrova puntuale, in un blocco che e' il tempo enorme, avvertibile nell'esaltazione panica e sui muri, nelle campagne, nelle strade, nel vento e nel buio dell'onirica Zebulonia. Tocca al coro il compito di "contaminare il reale con il fantastico", di dare una risposta confortatoria con la recita mutevole dell'inganno e della catarsi teatrale. E un soffio di salvezza riempie le scene conclusive, dove ogni piu' celata caratura mitografica, espressa nella figura del cerchio, si sintetizza nel segno, cosmico-ontologico, dell'"occhio che governa le cose", della "grandissima pupilla". * Sulla soglia del mistero Pochi mesi separano Dolcissimo dal Treno blu, una raccolta di testi, arcuata in musica di ricordi, che rappresenta un sottile, rapinoso avviamento al pericolo e all'ignoto. La piegatura del concreto, lungi dal rispecchiarsi nell'allarme dello sguardo surreale, stabilisce un calcolato patto con il mistero: l'apertura cauta e consapevole della sua soglia. Se al di la' erompe, macchiata di follia, l'avventura magnetica dell'immenso e brulicante vivere, l'oggettivita' offre il carico della propria protezione, il supporto della civilta' rurale che trascorre nel leggendario corteo del giornaliero. Condizioni umiliate si affacciano su uno sgomento universale: il fascio delle favole, della solitudine e dell'accerchiante creato investe i villani, gli umili confinati nella fatica, "mentre la terra corre contro il sole" e il silenzio e' dappertutto, "manco fosse la fine del mondo", a coprire i "dossoni pietrosi e scintillanti di Mineo", un recinto dell'anima su cui il cielo incombe "cupo e scuro". Un canto comune accoglie tutte le storie e le fa uguali al lamento che avvolge la terra, e non conosce ostacoli, splendido e nemico, e raccatta le parole del duro lavoro e le intreccia con quelle metafisiche della paura. I suoni si allineano in un lessico scaglioso e lucido, dirompente e dolce, che la sintassi dispone su linee coordinative, rilanciando in gettiti prolungati il grumo delle cose e il loro sogno, i tumulti del microcosmo e le utopie. Utopie che si ripresentano in smagliante veste nelle Novelle saracene (1980), in cui l'autore corre dalle "funambolerie delle ballate e ballatelle" alle "laudi irridenti, o drammatiche", dal mito greco all'epica cavalleresca, dalla cronachetta medievale alla pietosa osservazione dell'oggi, dal dramma pagano all'assempro cristiano, spesso anche attingendo a un "patrimonio etnografico euro-asiatico". * Rivoluzionario uso di epoche Il connotato siglante e' la contaminazione di fantasia e storia, il rivoluzionario uso di epoche distanti nel tempo e nello spazio, la fusione di elementi eterogenei convocati in simbolici intrecci, in un coagulo di culture dissimili, in combinazioni esplosive, irridenti e soavi, in varianti apportate a nobili modelli. Sintomatica la novella del Gesu' saraceno che scherza con i paladini Orlando e Rinaldo in corsa per l'"avventuroso mondo", e che si accompagna allo strambo Giufa', e infine e' perseguitato da Federico II, su uno sfondo punteggiato dei noti particolari di Mineo. Tutti i testi tendono al meraviglioso e, per contro, alle linee semplici di un'ammirazione del creato come stupore, malia di una natura che si rinnova in un suo indecifrabile movimento interno, propria degli errabondi protagonisti, di quel loro vivere accanto al miracolo. Fiorisce dalla scrittura, violata da invenzioni sempre piu' immaginifiche, la gioconda simpatia per il mondo e gli uomini, la comunione di Bonaviri con il paese natale, rintracciabile - per quel pugno di visi pronti a occhieggiare dal nulla, anche semplicemente dalla loro melodiosa onomastica - e pure enigmatica confluenza di civilta', meta di pellegrinaggi strani, nell'"arcano celeste della vita". Terra privilegiata e calamita d'eternita' cui lo scrittore costantemente si rivolge: inno, elegia, nota diaristica, sillabazione di orizzonti vicini; trenodia di un male antico e subito presente, quando si scostano i veli della finzione e il borgo appare come "diamante nero". Tramonta la quieta magia che un po' ricorda le bianche parabole di Lisi, e scoppiano echi della letteratura giullaresca, di novellistica delle origini e pigmenti di modelli rinascimentali. Dilaga una folla di picari, dentro segmenti narrativi stravolti dagli incipit e dagli explicit usati come cornice straniante oppure per introdurre, in un trepestio ilare o immalinconito, un'umanita' operosa, ritratta in un'aerea mobilita' di atteggiamenti rilevati che il dialettolingua, cadenzato e luccicante di battute, governa anche con ascese metaforiche. Vi si innesta pure un elegante fumismo che la mano di Bonaviri sfrutta per distrarre appena l'esterno e per rappresentare una seconda versione dei fatti, un meraviglioso non piu' geologico, matematico, filosofico e stellare, ma insito nel "tremante fiume bianco in cielo", nel castello che "si accartoccia, sospira e sparisce", nella "roccia in lacrime". * Il presepe di mille lumi Ancora Mineo, "presepe fatto di mille lumi", sciorina in L'incominciamento ('83) gli amati segni topografici nel rimescolamento di un "tempo sferico, sincretico per animismo e magico pensiero" e nella spirale dell'"immenso fluttuare magnetico". Sotto "ellittici giri di pianeti", il paese sembra conservare tutti i segreti della terra e dei secoli e le storie di tante generazioni trascorse: una memoria attratta dal negativo in una cullata contemplazione, eppur bisognosa di sanita', carica di forza sociale nella sua denuncia. Una prosa raffinata (con il risvolto speculare di alcune liriche) firma la contaminazione leggera di discorso narrativo e di ascolto attraverso una struttura coesiva, in cui mormorano sofisticate schegge stilnovistiche, controcanto al dialogo duro con la propria terra che lega la fedelta' sofferta di Bonaviri a quelle dissimili ma altrettanto macerate di Sciascia e Bufalino. La microstoria affida il suo frammento documentario a un soffio lirico che la intensifica, dando rimbalzi, significati nuovi a parabole, novellette, appunti e alla parola risillabata come dal silenzio, da una febbre che riscrive l'emozione. E allora un episodio del borgo, una tradizione o il corteo fitto dei costumi vanno incontro a una complessa fattura: l'ottica storicizzante, consegnandoli a un di piu' di favola sempre presente, li anima di un approccio duttile e appassionato ai problemi piu' scottanti (l'emigrazione, la poverta', la guerra, l'ostilita' sorda della natura traguardata in un desolato sfondo verghiano). Ma Bonaviri rintraccia pure la solitudine delle sue campagne e dei suoi stravolti eroi in luoghi metafisici, in plaghe dall'indefinibile colore esotico, in cui il tempo e' un disordinato avanzare di ore che sommergono l'animo e legano in modo eccentrico le azioni ai destini. Metafora di un indomabile trasmigrare di forme e' l'India di E' un rosseggiar di peschi e d'albicocchi (1986): i deserti e la citta' di Benares, il Gange e i vicoli della metropoli o un brulicante mercato fluttuano in un'aria vaga senza tempo, smarriti nel gran giro della nostra terra intorno al sole, assorti nel proprio consistere effimero, briciole di niente. Le orchestrate voci del libro, un coro loquace e malinconico, anche un riflesso che si allontana, affermano la precarieta' della vita, la vanita' dei giorni. Da questo tragico e variopinto universo escono le straordinarie figure del giovane Undajang e della vecchina Rudra (il loro amore, "sottile energia vagante, come dire?, di elettrovolt che arriva persino sui prati ameni lontani", e' sensuale e solare, crudele e salvifico), di Sharapha', dal "solitario destino infernale", e di Kukkaka' misericordiosa, dell'enigmatico Ramajan e del commissario Saturno, invischiato in una grottesca inchiesta intorno a un sanguinoso delitto. Discute di dettagli, l'autore, trattando la storia con gli innesti metamorfosanti delle Novelle saracene, e dissolvendola per sentirne quasi un indistinto travaglio di episodi. Ma, "cronista di secondo riporto", si preoccupa di imprimervi un ordine per convogliare le componenti nella stessa musica di materia pesante e di ammiccanti assenze, di fisicita' di corpi e di cellule segrete in corsa nel nulla. E allora, mentre un corvo si posa sul seno di una fanciulla morente, il nostro mondo, ripreso in quel momento da un astronauta, girando si inclina "sugli oceani e su migliaia di monti biancheggianti". Passano gli uomini di avventura in avventura, ma sono pure immobili, confitti in una tragica fissita' disponibile all'accerchiante vita degli animali, splendida e mostruosa. Patiscono mille disgrazie e intanto girano le galassie; dalla pietra alle stelle palpita il cosmo in un pulviscolare assedio. Tutto il pianeta, con la sorte mortuaria, e' un gigantesco cimitero, un precipitare di millenni (appare anche un Gesu' vecchio, in un bosco di ulivi). Ma sopravviene il sorriso di Bonaviri che costruisce situazioni assurde, malie, e allude al "mistero delle cose migliori". * L'uomo, l'antenna piu' idonea Libro onirico: dal quale Undajang riesce anche a uscire e a infilarsi nel successivo Il dormiveglia (1988), romanzo di energie nervose liberate dalla pelle, melograni parlanti e betulle piangenti, lune innamorate e orologi in consonanza con i ritmi cardiaci, corpi sciolti in luce e alberi pensanti e personaggi, veri o sognati, che scivolano nei vicoli o svaniscono nella Via Lattea. L'alternarsi di vicende autobiografiche e di visite dell'arcano, fermento d'oscurita' o accecante splendore, edifica una mappa di eventi e forze psichiche su cui sovrasta l'uomo, "antenna piu' idonea". Circola un convulso andirivieni della parola che "prima di diventar sogno sonoro e' carne": transitano "aure vocali insensate", termini arcaici che portano con tragica evidenza le voci del passato e termini come "microspazio di lettere, e non come suono" (il pensiero "si inguscia in uno spazio puramente energetico"); vie oniriche che seguono "allucinazioni acustiche", stabilendo un trasognato attraversamento delle cose guardate nella loro instabilita' d'aria, luce, pulsioni e spinte ad aggregarsi o a perdersi nel tempo sempre abbacinante di chi abita il mondo ("ci eravamo immersi il 7 maggio 1987, anno in cui molti nostri conoscenti, parenti, uccelli, ulivi, mandorli e ruscelli erano gia' morti, totalmente scomparsi dal mondo"). Contro l'inviolabile legge sterminatrice, salvezza e' solo quella possibilita' del ricordo che fa scintillare, nella disperante corsa alla morte, un visibilio di esseri e figurine di una giornata smarrita, flebili sorrisi d'ombre, oggetti ai quali e' concesso il miracolo della riapparizione, favole tristi, come lo stesso presente che i personaggi respirano in trance, dentro un'esistenza che e' "un errore casuale della morte". Il compenetrarsi dei piani nella sola linea, che e' l'attesa della meraviglia e delle eccezionali verita' nascoste in essa, compone e scompone la tenuta narrativa di Ghigo' (1990), che non riesce pienamente ad appartenere alla materia familiare dei suoi contenuti, ma si fa apologo, libro segreto del creato. Diviso in due movimenti avvinti dalla sola onda di melodia, il primo dominato dalla voce della madre e il secondo da quella del bambino che cresce, il libro rilancia l'estatico globo delle opere precedenti, quel fortuito scoccare di un particolare in grado di far folgorare una chiarita' che non e' piu' del quotidiano. Come perle in caduta da una collana spezzata, si disegnano tante storie che si attraggono per recondite aggregazioni e determinano il respiro largo della pagina, piena di sismi e svolte, incorporata in un quadro chiarissimo di segnali forti, oppure rapida nel prendere un suo cantuccio dolce, dove si intrecciano sotterranee meditazioni, cosi' effimere, impalpabili, da trasformarsi anche in brillio proiettato sulle mani. Compare nuovamente la "navigante plaga montuosa" di Mineo, sotto cui pero' vi e' "un'antiMineo con i campanili capovolti e gli stessi abitanti che camminano a testa in giu' nei labirinti del sottosuolo". In una dimensione smemorata transitano schiere di poeti dialettali, verso il loro raduno magico, la "pietra della poesia", e compaiono uomini disperati, presi da vani sogni di giustizia, e le bizzarre statuine di una santa, investite dal lucore, volano disordinate per una stanzetta, "cavalcandosi una sull'altra e dileguandosi in bolle evanescenti". E puo' succedere che la povera casa del sarto della stradalunga e quelle di Catania si colmino di "un'aliante fosforescenza" e tutte le strade diventino, con l'avanzare del sole, un luccichio infinito. Nascosta un po' da ogni parte nella Mineo-crocevia di percorsi sibillini, la fiaba si presenta al fulgente descrittivismo aneddotico degli Apologhetti (1991) e si cala nella "progettazione vivissima e lievitatissima di succhi etici". La scrittura si complica, abbassa i toni incantati, si schizza d'ironia, converge verso il saggismo (pensiamo alle pagine sull'ecologia), la nota di costume, la volonta' di definire, classificare; riscopre atmosfere ilari e dolenti e uomini "incarcerati in un tempo biologico" che, mediante mutamenti chimici, li trascina a una meta sconosciuta. Dal fondo deformato delle epoche storiche si leva il compagno d'avventura dello scrittore, Epaminonda, che, attraversati i secoli, ricorda le antiche abitudini di avere un "rapporto celeste" con l'esterno e discute del regno "sferico" del visibile e della terra come "rotante pattumiera planetaria". Frattanto arrivano visi reali e il Gran Visir, pappagalli che fanno domande alle querce e rosignoli detti Beethoven per la limpidezza del canto, stregoni e sognatori, tutti avvinti da corrispondenze impenetrabili. Non appena l'attenzione di Bonaviri si posa su un dettaglio, questo si moltiplica in rifrangenze: e cosi' "mille soli" rifulgono nelle acque e un semplice nome, per la maggiore lunghezza della fonazione, si porta dietro un "ondare" di suoni e sottintesi e silenzi ed echi dell'universa vita. E il motivo del "perenne ondare" dell'uomo, "flusso di fotoni", percorre il lavoro poetico di Bonaviri, quasi interamente riunito in Il dire celeste (1993), fondamentale antologia dalla quale sono esclusi i testi di Il Re bambino (1990). Con la "melodia orfica" (G. Manganelli) del suo linguaggio, l'autore fa deflagrare le immagini piu' controllate da ortodossi legami discorsivi e da regolari concatenazioni di racconto familiare e paesano ("madre, meglio restar sui colli di Camuti / ignari della promanazione del pensiero, persi / nei boschi d'ulivi dove l'ombra e' piu' conserta") in sconfinamenti smisurati, in culminazioni che, nel brivido fulmineo di un'epifania, rivelano agli esseri i loro corpi come "granulari aggregati fuori del tempo". Pigmentato da "stimmate lucreziane" (Giuliano Manacorda), si svolge il viaggio del poeta in cerca di qualcosa che non trova: "salta da una stella all'altra" o si aggira per il "borgo silenzioso", conosce svampanti pleniluni e l'impiegato di concetto Filipponi, i numeri del circolare labirinto della terra e centenari frati giuseppini, i dardi solari negli spazi e il gallo Polieno. Dalle "onde galattiche" alla processione dei personaggi del regno di Mineo, si avverte la partecipazione di ogni fibra, dell'uomo e dell'universo, all'arcano trasmutare delle forme, straniate e vicinissime. Prepotentemente analogico, il discorso poetico vuole perforare l'ignoto, assume modi popolari, arcaicizzanti, oracolari; coltiva, in assoluta liberta' di metri, il piacere dell'elenco e della descrizione, fittissima di referenti e ondivaga; fa irrompere, nelle chiazze di pittura locale, un obliquo galoppo di visi, eventi, nozioni di epoche e culture diverse. Un territorio senza margini, di ellissi, parabole e cerchi, assiste (dal villaggio alla megalopoli, dal criptogramma alla folgorazione scientifica piu' avveniristica) alla perpetua vicissitudine di morte e rinascita, nell'"omogenea vertigine degli astri". * La figlia di Bilob si sposa Con Il dottor Bilob (1994) Bonaviri ancora una volta racconta di fatti consueti e dell'arcano cosmo, in una prosa sensibile a percepire capillari pensieri e metafisici sgomenti, il dove e il quando di fenomeni che si presentano in congiunzioni imperscrutabili e nella danza della realta', mentre su una scena familiare si posa un'ala di mistero dolce, un sottile incantamento senza paure. Si sposa la figlia del protagonista, il sessantenne medico Bilob; ricami d'ombre scendono sugli alberi di un parco, immagini bizzarre dileguano e le psicologie hanno uno sbandamento. Tutto e' pausato in un sortilegio che tarda a manifestarsi: vive nell'aria, nelle parole assorte, per poi circondare gli uomini, "slargati in buie propaggini mostruose". Fioriscono le conversazioni e si continua a mescolare cio' che e' fisico con un irreale popolato di stregati momenti, durante i quali Bilob incontra Angelica, una bella ostessa che ha ricamato sul foulard i paesaggi della sua terra d'Oriente e lo splendore delle costellazioni. Creatura diafana, segue un filo di memorie, parla di grotte sottomarine e guida il medico in una galoppata su "cavalli lunari". E intanto appare un villaggio costruito in rispondenza armonica con il firmamento. Bilob ascolta il "piccolo alitare delle cose" e la "grande vorticante primigenia musica del big-bang", ma si sente pure preso in una ragnatela di altre storie, in cui si mescolano uno strano festival rock, riapparizioni di personaggi, simboli, fantasticherie e la presenza di Bonaviri che distilla frammenti della propria vita. Emerge la madre in una "cornice di chiarissima luce" e visioni leggendarie fioriscono in uno "spaziotempo diverso da quello correntemente usuale". * Il forno nel vulcano spento Silvinia (1997) e' la storia di una bambina dalla pelle azzurra che, con alcune compagne, porta bisacce di farina al padre, panettiere nel suo forno situato nel fondo di un vulcano spento. E va il gruppo delle giovani nel vento rotto dai sassi, in un "foltume" di soffi e fra cespugli di ginestra su cui dormono le chiocciole. Accolte da un "pullulio caldo" di particelle di farina, esse sono dentro una favola che Bonaviri alimenta in un nuovo racconto di leggi antiche, di umorose pulsazioni della terra e dell'affanno e della levita' del tempo che si puo' anche afferrare nell'acqua, "dove si perdono i sogni degli uccelli, degli uomini e dei pesci". I misteriosi collegamenti fra le quotidianita' ferrose e le stellari cupole dell'universo prendono pure altre direzioni e investono lo stesso Bonaviri. Si allacciano situazioni fra loro comparabili, dal momento che la mente degli uomini "riesce a creare degli avvenimenti piu' banali delle persistenti leggende". Non cessa l'intreccio strano: "fumi di anime" si uniscono al sentimento della vanita' del mondo, in un racconto nel quale si affaccia un corteo di vivi e di morti insieme con elementi della natura, iddii malefici, grifoni che guardano dall'alto, spiriti vitali nel sangue di animali uccisi, la memoria del fuoco e il sole che si fa occultare da una nube per non vedere uno spettacolo ingenuamente impudico. Il dolore si trasferisce nelle cose, gli alberi patiscono stati di allucinazione e un tempio e' costituito da tante chiese dedicate a vari culti. Sparisce nel frattempo la fanciulla protagonista, forse risucchiata dal cupo brillio dell'abisso marino, e arriva un maggio di insolite piogge verdi. Frana la natura infelice, abitata da mostruosi esseri e chimere, ma anche da stelle che camminano sui tetti con passi leggeri. Parte il fornaio su un piroscafo di emigranti che corre per il Tropico fra i desideri vani degli uomini. L'arcano riprende il dominio, ma non si avvolge nei suoi vapori; i suoi puntelli affondano nel cuore di una Sicilia indimenticabile, nelle radici della cultura di Bonaviri, nella vicenda della sua famiglia, i cui volti appaiono e si perdono con affettuose movenze di moviola, gesti sacri e terreni, parole-testamento. E passano figure comuni uncinate da una spavalda bellezza: un taverniere cantore della morte; un cavaliere errante in cerca di generosita' e gentilezza; monache che predicono il futuro; il novantenne sarto con i suoi manichini tristi. E quelli che vogliono entrare nella "sfera di quanto non si conosce". * Novelle, apologhi e un dire celeste Ecco le principali opere di Bonaviri: Il sarto della stradalunga, Einaudi, 1954; La contrada degli ulivi, Sodalizio del libro, 1958; Il fiume di pietra, Einaudi, 1964; La divina foresta, Rizzoli, 1969; Notti sull'altura, Rizzoli, 1971; Le armi d'oro, Rizzoli, 1973; L'isola amorosa, Rizzoli, 1973; La Beffaria, Rizzoli, 1975; Follia, Societa' di storia patria, Catania, 1976; L'enorme tempo, Rizzoli, 1976; Martedina e il dire celeste, Editori Riuniti, 1976; Dolcissimo, Rizzoli, 1978; Il treno blu, La Nuova Italia, 1978; Novelle saracene, Rizzoli, 1980; O corpo sospiroso, Rizzoli, 1982; L'incominciamento, Sellerio, 1983; L'Arenario, Rizzoli, 1984; E' un rosseggiar di peschi e d'albicocchi, Rizzoli, 1986; L'Asprura, Edizioni della Cometa, 1986; Il dormiveglia, Mondadori, 1988; Ghigo', Mondadori, 1990; Apologhetti, Il Girasole, 1991; Il dire celeste, Mondadori, 1993; Il dottor Bilob, Sellerio, 1994; Silvinia, Mondadori, 1997. 3. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 771 del 26 marzo 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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