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Minime. 727
- Subject: Minime. 727
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 11 Feb 2009 23:15:36 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 727 del 10 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Sondaggi 2. "Liberta' e giustizia": Rompiamo il silenzio 3. Peppe Sini: In timore e tremore 4. Contro le mutilazioni genitali femminili 5. Amos Schocken: Io voto Meretz 6. Marina Montesano presenta "Islam. Lo sviluppo religioso in Marocco e in Indonesia" di Clifford Geertz 7. Marina Montesano presenta "Quando l'Europa e' diventata cristiana" di Paul Veyne 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: SONDAGGI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] Cosa ti fa capire se stai vivendo in un regime o in una democrazia? Non sono gli arresti arbitrari, le sparizioni di persone, i massacri di dimostranti: quando questo succede, assieme alla tua innegabile comprensione del fatto che la democrazia e' sparita vivono in te terrore e tentativi di dissociazione mentale. Lo sai, e lo sai fin nelle ossa. Ma prima che il disastro sia cosi' esposto alla luce del sole da rendere impossibile il negarlo, ci sono le "piccole" avvisaglie. La tua nazione ha una Carta dei diritti, una Costituzione, un Patto di cittadinanza? Parte una campagna per cancellare documenti simili. Sono datati, impediscono lo sviluppo, ostacolano la giustizia, frenano il progresso, limitano la tua liberta', non permettono di mettere in sicurezza il paese, sono stati scritti da nemici o ispirati da nemici. Non importa se ci credi o meno. Il messaggio e' semplice, ma per chi ama le disquisizioni dotte ci saranno le dissertazioni degli "esperti". I media, sotto diretto controllo di chi orchestra la campagna, hanno il compito di reiterarlo ad oltranza. E sai per certo di vivere in una dittatura mascherata da democrazia quando i media non sotto controllo si accodano spontaneamente, quando non c'e' piu' bisogno di pressioni o minacce perche' radio, giornali, tv "indipendenti" accordino le vele al vento. L'odio e' un fattore importante della campagna per la cancellazione della democrazia. Per far accettare la riduzione di liberta' e partecipazione e possibilita' di dissenso si devono creare un nemico interno o un nemico esterno (il terrorismo, un paese confinante, ecc.), preferibilmente entrambi, perche' in questo modo il piccolo cittadino che si sente impotente ha un bersaglio concreto su cui sfogare la sua frustrazione: di certo fra i suoi vicini di casa, o per strada, o in ufficio, incontrera' un membro del gruppo demonizzato come "nemico interno". I migranti sono perfetti per quest'ultimo ruolo nel primo periodo della loro presenza, quando non hanno legami significativi con le comunita' locali, ma vanno benone anche dopo se si e' riusciti per svariati motivi e con svariati metodi a tenerli nelle enclavi (magari per "preservare rispettosamente" la loro cultura). Piu' la gente si mischia, piu' matrimoni "misti" ci sono, piu' le abitudini e le consuetudini umane sono aperte al cambiamento, al dialogo ed alla trasformazione, meno e' possibile individuare con chiarezza il bersaglio. E un minor numero di piccoli cittadini saranno disposti a bere le coppe di odio fragrante offerte dai media: la loro esperienza diretta smentira' infatti di continuo la propaganda che gli si serve. * Ieri sera la coppa e' stata metaforicamente accostata alle mie labbra. Ascoltavo musica alla radio, da un'emittente "indipendente" che e' apparsa dagli esordi molto interessante a tutti quelli che come me amano un certo tipo di musica (rock). Si e' limitata per mesi a proporre brani vecchi e nuovi o a stilare classifiche, andava benissimo, era la musica che le radio non mandavano da un pezzo e la pubblicita' era sopportabile. Poi sono iniziati i notiziari. All'inizio la cosa che mi irritava sommamente era il tono bamboleggiante dell'annunciatrice, ad esempio gli stessi trilli ridenti per le vendite di mimose e lo stupro di una bambina l'8 marzo scorso (i due fatti dati come unica notizia). Mi sono chiesta se teneva la bocca tirata con le graffette per continuare a ridere, ma il peggio doveva ancora venire. I notiziari sono stati infatti poi corredati da "sondaggi". E la sera dell'8 febbraio il sondaggio era piu' o meno questo: "La polizia ha salvato un uomo che ha causato un incidente automobilistico mortale. La folla che voleva linciarlo ha fatto bene? Dite la vostra chiamando il numero eccetera". La notizia di cui si tratta e' del giorno precedente. Un immigrato ubriaco, al volante di un'auto rubata, zigzagando sulla via Prenestina a Roma si e' scontrato con un'altra automobile, il cui conducente e' morto sul colpo. La donna che era con lui e' gravemente ferita. L'ubriaco non si e' fermato a prestare soccorso ai due ed e' entrato in un bar. Non occorre che dica che quest'uomo e' in torto marcio per tutto quello che ha fatto, vero? Ha commesso un omicidio, ha ferito una seconda persona. Secondo le leggi che ci siamo date e dati per stare insieme nella nostra nazione ne rispondera'. Il farsi giustizia da soli e' qualcosa che abbiamo scartato non solo come incivile, non solo come non rispondente ai nostri principi etici, ma come assolutamente non equo, quindi ingiusto. Puo' farsi "giustizia" da solo chi ha ne i mezzi (denaro e amicizie altolocate e posizioni influenti), e sono mezzi che la maggioranza di noi non ha. E linciare qualcuno non e' cosa che si possa sottoporre a sondaggio d'opinione. Linciare qualcuno e' contro la legge come un assassinio o come un ferimento, e resta ingiusto per tutte le ragioni che ho detto prima. Non c'e' l'opzione "hanno fatto bene a provarci" perche' hanno fatto male a priori, e suggerire che sia possibile una risposta diversa da questa e' significante dell'azzeramento morale in corso nel nostro paese. Qualcuno avra' fatto pressione alla sedicente giornalista? Io non lo credo. Notiziario e sondaggi sono semplicemente in sintonia con quello che deve diventare il comune sentire per permettere alla finta democrazia italiana di diventare dittatura vera. 2. DOCUMENTI. "LIBERTA' E GIUSTIZIA": ROMPIAMO IL SILENZIO [Da varie associazioni e persone amiche riceviamo e diffondiamo] "Il cammino della democrazia non e' un cammino facile. Per questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive dell'umanita'... La differenza tra la mia generazione e quella dei nostri padri e' che loro erano democratici ottimisti. Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme" (Norberto Bobbio) * Rompiamo il silenzio Mai come ora e' giustificato l'allarme. Assistiamo a segni inequivocabili di disfacimento sociale: perdita di senso civico, corruzione pubblica e privata, disprezzo della legalita' e dell'uguaglianza, impunita' per i forti e costrizione per i deboli, liberta' come privilegi e non come diritti. Quando i legami sociali sono messi a rischio, non stupiscono le idee secessioniste, le pulsioni razziste e xenofobe, la volgarita', l'arroganza e la violenza nei rapporti tra gli individui e i gruppi. Preoccupa soprattutto l'accettazione passiva che penetra nella cultura. Una nuova incipiente legittimita' e' all'opera per avvilire quella costituzionale. Non sono difetti o deviazioni occasionali, ma segni premonitori su cui si cerca di stendere un velo di silenzio, un velo che forse un giorno sara' sollevato e mostrera' che cosa nasconde, ma sara' troppo tardi. Non vedere e' non voler vedere. Non conosciamo gli esiti, ma avvertiamo che la democrazia e' in bilico. Pochi Paesi al mondo affrontano l'attuale crisi economica e sociale in un decadimento etico e istituzionale cosi' esteso e avanzato, con regole deboli e contestate, punti di riferimento comuni cancellati e gruppi dirigenti inadeguati. La democrazia non si e' mai giovata di crisi come quella attuale. Questa puo' si' essere occasione di riflessione e rinnovamento, ma puo' anche essere facilmente il terreno di coltura della demagogia, cio' da cui il nostro Paese, particolarmente, non e' immune. La demagogia e' il rovesciamento del rapporto democratico tra governanti e governati. La sua massima e': il potere scende dall'alto e il consenso si fa salire dal basso. ll primo suo segnale e' la caduta di rappresentativita' del Parlamento. Regole elettorali artificiose, pensate piu' nell'interesse dei partiti che dei cittadini, l'assenza di strumenti di scelta delle candidature (elezioni primarie) e dei candidati (preferenze) capovolgono la rappresentanza. L'investitura da parte di monarchie o oligarchie di partito si mette al posto dell'elezione. La selezione della classe politica diventa una cooptazione chiusa. L'esautoramento del Parlamento da parte del governo, dove siedono monarchi e oligarchi di partito, e' una conseguenza, di cui i decreti-legge e le questioni di fiducia a ripetizione sono a loro volta conseguenza. La separazione dei poteri e' fondamento di ogni regime che teme il dispotismo, ma la demagogia le e' nemica, perche' per essa il potere deve scorrere senza limiti dall'alto al basso. Cosi', l'autonomia della funzione giudiziaria e' minacciata; cosi' il presidenzialismo all'italiana, cioe' senza contrappesi e controlli, e' oggetto di desiderio. Ci sono pero' altre separazioni, anche piu' importanti, che sono travolte: tra politica, economia, cultura, e informazione; tra pubblico e privato; tra Stato e Chiesa. L'intreccio tra questi fattori della vita collettiva, da cui nascono collusioni e concentrazioni di potere, spesso invisibili e sempre inconfessabili, e' la vera, grande anomalia del nostro Paese. Economia, politica, informazione, cultura, religione si alimentano reciprocamente: crescono, si compromettono e si corrompono l'una con l'altra. I grandi temi delle incompatibilita', dei conflitti d'interesse, dell'etica pubblica, della laicita' riguardano queste separazioni di potere e sono tanto meno presenti nell'agenda politica quanto piu' se ne parla a vanvera. Soprattutto, il risultato che ci sta dinnanzi spaventoso e' un regime chiuso di oligarchie rapaci, che succhia dall'alto, impone disuguaglianza, vuole avere a che fare con clienti-consumatori ignari o imboniti, respinge chi, per difendere la propria dignita', non vuole asservirsi, mortifica le energie fresche e allontana i migliori. E' materia di giustizia, ma anche di declino del nostro Paese, tutto intero. Guardiamo la realta', per quanto preoccupante sia. Rivendichiamo i nostri diritti di cittadini. Consideriamo ogni giorno un punto d'inizio, invece che un punto d'arrivo. Cioe': sconfiggiamo la rassegnazione e cerchiamo di dare esiti allo sdegno. * Che cosa possiamo fare dunque noi, soci e amici di Liberta' e Giustizia? Possiamo far crescere le nostre forze per unirle alle intelligenze, alle culture e alle energie di coloro che rendono vivo il nostro Paese e, per amor di se' e dei propri figli, non si rassegnano al suo declino. Con questi obiettivi primari. Innanzitutto, contrastare le proposte di stravolgimento della Costituzione, come il presidenzialismo e l'attrazione della giurisdizione nella sfera d'influenza dell'esecutivo. Nelle condizioni politiche attuali del nostro Paese, esse sarebbero non strumenti di efficienza della democrazia ma espressione e consolidamento di oligarchie demagogiche. Difendere la legalita' contro il lassismo e la corruzione, chiedendo ai partiti che aspirano a rappresentarci di non tollerare al proprio interno faccendieri e corrotti, ancorche' portatori di voti. Non usare le candidature nelle elezioni come risorse improprie per risolvere problemi interni, per ripescare personaggi, per pagare conti, per cedere a ricatti. Promuovere, anche cosi', l'obbligatorio ricambio della classe dirigente. Non lasciar morire il tema delle incompatibilita' e dei conflitti d'interesse, un tema cruciale, che non si puo' ridurre ad argomento della polemica politica contingente, un tema che destra e sinistra hanno lasciato cadere. Riaffermare la linea di confine, cioe' la laicita' senza aggettivi, nel rapporto tra lo Stato e la Chiesa cattolica, indipendenti e sovrani "ciascuno nel proprio ordine", non appartenendo la legislazione civile, se non negli stati teocratici, all'ordine della Chiesa. Promuovere la cultura politica, il pensiero critico, una rete di relazioni tra persone ugualmente interessate alla convivenza civile e all'attivita' politica, nel segno dei valori costituzionali. Sono obiettivi ambiziosi ma non irrealistici se la voce collettiva di Liberta' e Giustizia potra' pesare e farsi ascoltare. Per questo chiediamo la tua adesione. * Primi firmatari: Gustavo Zagrebelsky, Gae Aulenti, Giovanni Bachelet, Sandra Bonsanti, Umberto Eco, Giunio Luzzatto, Claudio Magris, Simona Peverelli, Guido Rossi, Elisabetta Rubini, Salvatore Veca. * Per adesioni: www.libertaegiustizia.it o anche www.repubblica.it 3. LE ULTIME COSE. PEPPE SINI: IN TIMORE E TREMORE Ringrazio i lettori e le lettrici che mi hanno scritto in merito all'articolo "Non uccidere" di ieri. Sono nell'impossibilita' di rispondere personalmente ad ogni interlocutrice ed interlocutore, questo notiziario raggiunge ogni giorno per e-mail diverse migliaia di destinatari ed in redazione arrivano ogni giorno diverse centinaia di messaggi, e' gia' un impegno non lieve leggerli tutti. Mi si perdonera' quindi se rivolgo un solo ringraziamento comune a tutti, ed a tutti dichiaro che ho attentamente letto e meditato le loro parole, anche quando le abbia trovate assolutamente inaccettabili. E mi si perdonera' se aggiungo qui qualche forse non inopportuno schiarimento, ancora una volta in poche parole (non per esser secchi ma per esser brevi). * 1. L'uccisione di un essere umano Cio' di cui stiamo parlando e' l'uccisione di un essere umano. Non mi si opponga il dolore dei familiari, l'impudenza del premier eversore, le mene papiste, la Costituzione aggredita, il nunzio sidereo e i massimi sistemi. Cio' di cui stiamo parlando e' l'uccisione di un essere umano. Se si e' in grado di replicare su questo, bene; il resto e' altra cosa. Cio' di cui stiamo parlando e' l'uccisione di un essere umano. Sconvolge solo me? * 2. Laisser faire, laisser passer Mi si e' chiesto come mi permetto di intrudermi nei fatti altrui. Saro' cosi' inelegante da ribattere che se vedi commettere un omicidio non puoi startene buonino buonino a lasciar fare (o peggio, scendere in piazza a manifestare in favore dell'uccisione - in favore dell'uccisione di un essere umano)? Si', sono cosi' inelegante. * 3. La catastrofe della nonviolenza ridotta al suo contrario Se persone che si suppongono o si dichiarano o si pretendono amiche della nonviolenza a forza di essere "ragionevoli" (ovvero, traducendo in lingua corrente: docilmente corrive alla violenza dei poteri violenti) prima accettano la guerra ovvero le stragi di massa, poi accettano anche l'individuale uccisione di innocenti dove neppure guerra c'e', mi chiedo alla fine della nonviolenza (ovvero della lotta contro la violenza) cosa resti nell'agire loro. La nonviolenza, cosi' come la penso io, non e' una visione del mondo totalizzante e totalitaria (il cielo ce ne scampi), non e' una galleria museale di auctores (di cui non sento proprio il bisogno), non e' un'ideologia (che sarebbe ridicola e grottesca pretesa): ma una prassi autocosciente di lotta contro la violenza, una prassi autocosciente complessa e sperimentale, dialettica e dialogica, contestuale e fallibilista; la nonviolenza e' per me sostanzialmente una guida per l'azione: ma una guida per l'azione che ti chiede di essere attento al rapporto tra mezzi e fini; che ti chiede di rispettare e salvare la vita, la dignita' e i diritti tuoi propri ed altrui; che ti chiede di combattere - combattere, dico, combattere - contro la violenza e la menzogna, e contro l'ignoranza e l'indifferenza, e contro la vilta' che coopera al crimine. E' la nonviolenza che trovo nella Ginestra di Giacomo Leopardi e nella societa' delle estranee di Virginia Woolf, nell'Antigone di Sofocle e in Vandana Shiva, nel Manifesto di Marx ed Engels e nei Vangeli cristiani, nel lavoro immenso e nella luminosa riflessione di Franca Ongaro e Franco Basaglia, in Primo Levi e in Nelson Mandela, in Hannah Arendt e Simone Weil, in Rosa Luxemburg e Luce Fabbri, nei miei maestri di morale Vittorio Emanuele Giuntella e Tomaso Serra. * 4. Le parole e le cose Proporrei di non essere ipocriti. Alle persone che presumono di sapere "cosa vuole" una persona che da molti anni non puo' comunicare volonta' esplicite, e che in base a questa mera presunzione sono favorevoli a metterla a morte, chiederei un po' di modestia, e - se mi si consente - un po' di pieta'. Alle persone che vedono solo il dolore straziante dei familiari chiederei se questo basta perche' una persona sia messa a morte. Quanto alle persone che vedono solo l'astratto caso giuridico ed istituzionale e non vedono piu' la concreta uccisione di un essere umano, ebbene, saro' cosi' amaro da rinviarli a cio' che Pascal scriveva sull'allora corrente manualistica etico-giuridica nelle Lettere Provinciali. * 5. Gettarsi sulla spada Sono due cose distinte suicidio e omicidio. Personalmente credo che ogni persona abbia il diritto di togliersi la vita, se la vita gli fosse insostenibile ed altri esseri umani non mettessero in opera ogni forma di aiuto per rendergliela sostenibile; ma credo anche che nessuna persona abbia il diritto di ucciderne altre. So bene che i progressi tecnologici in campo biomedico rendono ancor piu' complicato cio' che ancora in un recente passato pareva semplice (anche se ad onor del vero semplice non era affatto neanche allora); e so che la riflessione etica e giuridica e' investita dai laceranti interrogativi che la situazione derivante da questi sviluppi suscita; anch'io ho letto nel corso degli anni centinaia e centinaia di libri e di saggi e di articoli sulle questioni che questa tragica vicenda pone, dalle "artes moriendi" ai testi del dibattito bioetico di questi ultimi decenni. Ma proprio per questo ritengo che occorra ancor piu' fortemente attenersi alla massima "Tu non uccidere". * 6. Contro il Fuhrerprinzip In questioni cosi' gravi non vale il principio di autorita', non e' ammissibile la delega agli "esperti". Io la penso come Guenther Anders: la pretesa di lasciare le questioni morali fondamentali in monopolio alla presunta competenza dei potenti dominanti, e dei prominenti cosiddetti "tecnici", e' prova d'incompetenza morale, e vile una resa al fascismo. Non delego ne' a chierici ne' a giudici ne' a medici ne' a parlamentari ne' a professori di qualsivoglia professura ne' a giornalisti onniciarlieri di pensare al mio posto: sulle questioni morali fondamentali ogni essere umano ha il diritto (e direi anche il dovere) di comprendere, valutare ed esprimersi con la propria ragione e la propria responsabilita'. Per questo mi e' sempre sembrato comico e borioso anche il ricorso, da parte delle personalita' autoritarie di ogni dogma e affiliazione, all'ipse dixit: fosse pure lo Stagirita, San Paolo, Karl Marx o Mohandas Gandhi: grazie tante, ma preferisco pensare con la mia testa. * 7. La societa' dello spettacolo La questione che pongo e' semplice, e tante digressioni che mi sono state opposte sono appunto digressioni, e direi quasi cortine per non vedere e non nominare quel che realmente sta accadendo: che si sta procedendo all'uccisione di un essere umano. L'uccisione. Come l'uccisione di un essere umano possa essere ridotta ad argomento da talk-show con tante finte goffe polemiche ed autentiche lugubri smancerie tra "favorevoli e contrari" mi fa rabbrividire: pensavo che non si facesse "il dibattito e il televoto" sull'omicidio, pensavo che fosse acquisito che uccidere e' un delitto, e che l'apologia di reato e' un reato anch'essa. E aggiungo che trovo ripugnante il roboante invito ai cittadini da parte di politicanti e vassalli loro gia' responsabili di complicita' con regimi totalitari, con guerre e stragi, col regime della corruzione, col berlusconismo e il razzismo oggi al potere, a scender per le strade a manifestare in favore della messa a morte di una persona. Mi chiedo, cari amici, come sia possibile che non vediate. * 8. Infine Infine: penso forse di aver le risposte per tutto? Al contrario: penso di aver molte domande e molti dubbi su tante cose. E ben poche dolorose tragiche certezze, che non risolvono ma complicano vieppiu' i dilemmi. * 9. Dimenticavo A me e' capitato di chiudere per sempre con le mie dita gli occhi spenti di una persona amata. A me e' capitato di vegliare notte dopo notte una persona in coma. A me e' capitato che mi si chiedesse aiuto e non arrivassi in tempo, arrivo' prima la corda. Ma il fatto che abbia passato tanta parte della mia vita a cercare di recar soccorso a persone ridotte in condizioni estreme di oppressione, sofferenza o fragilita' non implica dal mio punto di vista che le mie opinioni in questa materia valgano un ette di piu' delle altrui: si prescinda dunque dalla mia persona, per favore, e su questo si rifletta: se sia lecito uccidere un essere umano. Io dico di no. 4. MATERIALI. CONTRO LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI Segnaliamo la Legge 9 gennaio 2006, n. 7, recante "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile", disponibile nel sito del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali (www.ministerosalute.it). Segnaliamo le "Linee guida destinate alle figure professionali sanitarie nonche' ad altre figure professionali che operano con le comunita' di immigrati provenienti da paesi dove sono effettuate le pratiche di mutilazione genitale femminile per realizzare una attivita' di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine gia' sottoposte a tali pratiche", linee guida previste dall'art. 4 della legge 9 gennaio 2006, n. 7, disponibili nel sito del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali (www.ministerosalute.it). Segnaliamo l'Opuscolo informativo sulle mutilazioni genitali femminili, disponibile nel sito del Ministero per le Pari Opportunita' (www.pariopportunita.gov.it). 5. DOCUMENTAZIONE: AMOS SCHOCKEN: IO VOTO MERETZ [Ringraziamo Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per averci messo a disposizione in traduzione italiana il seguente articolo che Amos Schocken, direttore ed editore del giornale israeliano "Haaretz", nonche' nipote del fondatore del quotidiano nel 1919, ha pubblicato sul suo giornale lo scorso 6 febbraio 2009 col titolo "Io voto Meretz"] Durante la guerra nel sud, il Meretz ha tenuto una posizione che non da' motivo per negargli il voto. Casomai, quella posizione e' un titolo d'onore per il partito e per i suoi leader, e rappresenta una delle molte ragioni per votarlo nel prossimo turno elettorale. "Lo Stato d'Israele ha il diritto e il dovere di tutelare il benessere e la sicurezza dei suoi cittadini", ha affermato il capo del partito Haim Oron durante lo speciale dibattito svoltosi alla Knesset due giorni dopo l'inizio delle operazioni militari. "Cio' non implica l'uso di tutta la forza disponibile, ne' offre giustificazione a ciascuna delle azioni messe in atto nelle passate 48 ore", ha aggiunto. L'opposizione del Meretz all'operazione di terra e' stata immediata e vigorosa, e si e' espressa nell'affermare che "il pantano della campagna libanese sara' considerato un modesto acquitrino in confronto al pantano che si profila a Gaza. Un'offensiva delle truppe di terra, con l'invasione di Gaza, contraddice un interesse di fondo di Israele". Il Meretz avrebbe potuto mirare a ottenere il favore del suo elettorato con l'esprimere opposizione a qualsiasi tipo di operazione militare. Ma alla luce della complicata situazione creata dal protrarsi del bombardamento del territorio israeliano da parte di Hamas, il Meretz non ha voltato le spalle alle popolazioni che risiedono nel sud, anche se esse non costituiscono il suo elettorato naturale; e, onde fronteggiare una situazione complessa, altrettanto complesso e' stato l'atteggiamento mantenuto dal partito. Ora, per essersi comportato in modo responsabile ed equilibrato, il Meretz sta pagando un prezzo elevato [in termini di consenso elettorale], sebbene tale suo comportamento meriterebbe in realta' d'essere premiato da un ampio tributo di voti. Ma la partita elettorale della prossima settimana non puo' limitarsi a fare riferimento a una guerra nella cui conduzione il Meretz - a differenza di Kadima e del Partito laburista - non e' stato coinvolto. Il voto deve anche tenere conto dell'orizzonte diplomatico, dei diritti umani e civili, dell'educazione, della salute, dell'ambiente e della struttura dell'apparato costituzionale israeliano. Dispiace il fatto che in tutti questi ambiti, senza eccezione alcuna, il Meretz sia l'unica sponda verso la quale dirigersi. L'ultima legislatura della Knesset fu caratterizzata da un tentativo di sbarazzarsi dei traguardi costituzionali conseguiti da Israele e di scalzare il principio del primato della legge. I cinque deputati del Meretz, assieme a pochi altri parlamentari, per lo piu' laburisti, furono i soli a difendere il sistema di applicazione della legalita' e la Suprema Corte dagli sfrenati attacchi da parte del governo. Fu il Meretz a promuovere la legge che, proibendo la tratta degli esseri umani, consente di citare in giudizio coloro che praticano la tratta delle donne, nonche' di assistere i lavoratori migranti e prevenire il commercio degli organi umani. Grazie al suo lavoro legislativo, il partito ha esteso il ventaglio degli idonei alla fruizione dell'edilizia pubblica; ha incrementato l'assistenza legale ai ceti poveri; ha dato vigore al Consiglio dei Consumatori israeliani; e in prima lettura, ha fatto approvare dispositivi di legge che, in opposizione agli orientamenti del governo, allargano il paniere dei servizi sanitari finanziati dallo Stato. Tutto cio' in aggiunta a una battaglia campale contro una legislazione intesa ad avvilire i diritti umani, come la "legge Shai Dromi" che permette ai padroni di casa di uccidere uno scassinatore anche quando la vita umana non sia piu' in pericolo, e come l'emendamento alla Legge sulla Cittadinanza che vieta ai palestinesi coniugati a cittadini d'Israele di vivere in territorio israeliano. Oltre alla consistente produzione legislativa, ardua da promuovere per chi sta sui banchi dell'opposizione, i parlamentari del Meretz, unitamente a un ristretto stuolo di altri deputati, hanno lavorato per proteggere i rifugiati dal Sudan e per il riconoscimento dei loro diritti. Il Meretz e' stato l'unico partito che si e' espresso in termini chiari per denunciare il crescente nocumento arrecato alla comunita' omosessuale d'Israele e che ha sostenuto la "Gay Pride parade" a Gerusalemme. E se tutto cio' non bastasse, il Meretz e' rimasto l'unico possibile partito al quale conferire il voto poiche' e' la sola forza politica che si e' dichiarata non disponibile a fare parte di una coalizione che comprenda l'Yisrael Beiteinu di Avigdor Lieberman. Dopo essersi fatto promotore, con l'appoggio di Kadima e del Partito laburista, dell'esclusione razzista e antidemocratica dei partiti arabi, Lieberman costituisce chiaramente una reale minaccia per chiunque abbia a cuore uno Stato d'Israele ebraico e democratico. Il presidente dei laburisti Ehud Barak, che intende essere il leader del campo della pace, non esclude di prendere parte a una coalizione della quale sia membro anche un personaggio che si propone di togliere la cittadinanza agli arabi israeliani. La presidente di Kadima Tzipi Livni, che aspira alla poltrona di primo ministro, non potra' mai raggiungere il suo obiettivo senza includere nella compagine di governo l'Yisrael Beiteinu. In effetti, il votare per un qualsiasi partito diverso dal Meretz significa attribuire a qualcuno che costituisce un autentica minaccia per la societa' israeliana un dicastero "di primaria importanza" - come ha promesso il presidente del Likud Benjamin Netanyahu. La guerra nel sud puo' essere un problema che ci giunge dal passato. Lieberman e' certamente la macchia nera del futuro. Io voto Meretz. 6. LIBRI. MARINA MONTESANO PRESENTA "ISLAM. LO SVILUPPO RELIGIOSO IN MAROCCO E IN INDONESIA" DI CLIFFORD GEERTZ [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 gennaio 2009 col titolo "Societa' musulmane sotto la lente di Clifford Geertz"] Clifford Geertz, Islam. Lo sviluppo religioso in Marocco e in Indonesia, Raffaello Cortina Editore, pp. 134, euro 16,80. * L'antropologia interpretativa di Clifford Geertz ha segnato profondamente gli studi storici e antropologici nell'ultimo quarto del XX secolo. Islam Observed e' stato uno dei suoi primissimi libri, tratto dall'esperienza sul campo dell'allora giovane studioso: uno studio comparato dell'Islam in Indonesia e in Marocco, pubblicato negli Stati Uniti nel 1968. In Italia la traduzione arriva soltanto quarant'anni piu' tardi (Islam. Lo sviluppo religioso in Marocco e in Indonesia, Raffaello Cortina 2008), forse in seguito alla scomparsa di Geertz, avvenuta il 30 ottobre 2006, forse perche' il tema dell'Islam oggi torna a interessare. Geertz scriveva in un'epoca in cui si riteneva che le religioni fossero in regresso non soltanto nelle societa' occidentali, e alcuni riflessi di tale opinione si percepiscono anche nel suo lavoro. Leggere la ricerca dell'antropologo statunitense alla luce di sviluppi piu' recenti, permette di comprendere come alcune fra le sue riflessioni gia' mostrassero quanto l'intreccio tra politica e religione - evidente tanto nel Marocco quanto nell'Indonesia postcoloniali - sarebbe stato carico di implicazioni per gli anni a venire. Ma il merito di Geertz non sta nell'aver predetto il futuro, quanto nell'aver mostrato la stretta interazione tra cultura, storia e religione. La scelta degli elementi da comparare e' in apparenza quasi paradossale: Marocco e Indonesia sono due paesi musulmani situati agli estremi opposti del globo; il primo e' stato investito in pieno dalla prima onda dell'espansione araba, il secondo e' stato islamizzato gradualmente in tempi molto piu' recenti. E' dunque possibile una comparazione? Geertz ci mostra che e' possibile e sorprendente: entrambe le societa' vivono la conversione e l'essere musulmane alla luce delle tradizioni religiose e dei contesti culturali precedenti, dando vita a due interpretazioni profondamente differenti dell'Islam, in una fase che Geertz definisce di tradizione religiosa "classica" dei due paesi. Ma cosi' come al suo arrivo la nuova fede non opera in un contesto di vuoto culturale, anche gli eventi storici successivi portano in Marocco e in Indonesia modificazioni importanti; la reazione all'occupazione coloniale induce a una reazione non solo contro la religione degli occupanti, ma anche e soprattutto nei confronti delle tradizioni religiose "classiche", dando vita alla fase "scritturalista"; e' un processo proprio non solo all'Islam, ma anche ad altri contesti religiosi presenti e passati: in epoche di crisi si presentano come tentativi di ritorno alle origini (spesso reimmaginate o inventate ex novo), spinte in realta' profondamente innovatrici. La fase "scritturalista" del Marocco e dell'Indonesia si lega strettamente alla costruzione di nuove forme statuali, cosi' come furono quelle avviate rispettivamente da Maometto V e da Sukarno a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta. In alcuni suoi brevi saggi piu' recenti, Geertz era tornato a riflettere sul problema, a indicare strade per analizzare in campo antropologico gli sviluppi dell'Islam contemporaneo al di la' delle sterili, consuete polemiche sul cosiddetto "fondamentalismo"; ci si puo' solo augurare che altri siano in grado di farlo al suo livello. 7. LIBRI. MARINA MONTESANO PRESENTA "QUANDO L'EUROPA E' DIVENTATA CRISTIANA" DI PAUL VEYNE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 gennaio 2009 col titolo "Paul Veyne rivisita la svolta di Costantino" e il sommario "Storia. Da Garzanti un saggio dello studioso francese"] Paul Veyne, Quando l'Europa e' diventata cristiana (312-394), Garzanti, pp. 204, euro 23. * Alcuni argomenti storici suscitano quasi naturalmente curiosita' di tipo ucronico; per esempio, cosa sarebbe avvenuto se l'imperatore Costantino non avesse concesso liberta' di culto ai cristiani e soprattutto non avesse sostenuto la Chiesa nascente? Il cristianesimo si sarebbe imposto con ritardo? Oppure mai? O in forme diverse da quelle che conosciamo? Quando l'Europa e' diventata cristiana (312-394), l'ultima opera di Paul Veyne, celebre studioso del mondo antico, non e' un libro ucronico, ma suscita questo genere di interrogativi. Il IV secolo comporto' per l'impero romano grandi sconvolgimenti. L'arco compreso fra 312 e 394 si apri' infatti con l'affermazione della liberta' di praticare il cristianesimo e si chiuse con la condanna di tutti i culti all'infuori di questo; fu insomma il secolo in cui la nuova religione venuta dall'Oriente per il tramite greco si fece strada nell'impero, sottomettendo e poi ostracizzando ogni altro credo religioso; tuttavia, per compiersi, questo processo dovette attraversare un momento di crisi profonda, l'opposizione del Senato romano, la "rinascita" pagana del giovane imperatore Giuliano (quello che la polemistica cristiana avrebbe chiamato "l'Apostata"). In realta', il libro di Veyne tocca di sfuggita questi aspetti, poiche' al centro del suo interesse vi sono Costantino e la cosiddetta "questione costantiniana", cioe' la valutazione storiografica del significato della sua conversione. La "questione costantiniana", come e' noto, e' stata ampiamente dibattuta, e - ricorda lo stesso Veyne - almeno a partire dal XIX secolo si e' affermata una forte tendenza a svalutare il significato religioso della conversione per privilegiare l'idea che sotto tale scelta vi fosse una tendenza ad assecondare non solo e non tanto il cristianesimo, quanto le tendenze religiose monoteiste, oppure una valutazione di tipo politico (o un intreccio tra questi due ordini di ragioni). Si e' infatti considerato che nel mondo romano ellenizzato fosse in atto da tempo una decadenza dei culti tradizionali, che corrispondeva a una diversificazione delle esigenze presenti nella societa'. Nel corso dell'eta' ellenistica, la diffusione dei culti solari aveva influenzato la stessa figura del Dio-Padre uranico che aveva finito per "orientalizzarsi"; tuttavia, l'influenza delle divinita' solari raggiunse nel tardo impero livelli tali da intaccare il primato stesso di Giove e, sia pure tra oscillazioni derivanti dalla volonta' politica degli imperatori, a prenderne il posto. Cio' non impediva che altri culti divenissero popolari a Roma; e' il caso dei culti iniziatici, come quelli di Cibele e di Mithra. Tuttavia, mentre per definizione tali culti investivano l'ambito privato, quelli solari ebbero subito carattere istituzionale; al principio del III secolo venne introdotto a Roma, da Caracalla e poi da Eliogabalo, il culto del Sol Invictus e l'importanza che esso raggiunse condusse presto alla concentrazione della devozione su un'unica figura, dunque a una forma, seppure elastica, di monoteismo. Il cristianesimo giunse a Roma mimetizzato fra le tendenze orientalizzanti ormai sempre piu' diffuse, anche se furono presto chiare le sue differenze rispetto agli altri culti. Il secondo e il terzo capitolo del libro di Veyne sono dedicati a delineare le ragioni di tale differenza; ragioni che ovviamente derivano dalla differente origine del cristianesimo e dalla diversita' di quel monoteismo assoluto rispetto alle tendenze ben piu' flessibili affermatesi fino a quel momento nella societa' romana. E' la premessa che serve a comprendere come, in controtendenza con quanto larga parte della storiografia pensa, per lo storico francese la scelta di Costantino sia da considerarsi profondamente religiosa, non politica, e dunque "in buona fede". E' una tesi presentata in modo eloquente e con ricchezza di spunti, ma che pure desta alcune perplessita'. Fu, quella di Costantino, una scelta politica? Veyne dice che il cristianesimo era minoritario al tempo e malvisto, il che e' vero; ma nei cristiani, che Costantino comincio' presto a inserire nei quadri di governo, egli trovo' alleati fedelissimi. Come scrive Veyne, "il paganesimo era maggioritario, ma vecchiotto, mentre il cristianesimo, anche agli occhi dei suoi critici, era d'avanguardia". Soprattutto, pero', Veyne asserisce che non vi sono prove del sincretismo costantiniano, e che le ragioni addotte in suo favore (il fatto che Costantino abbia mantenuto la carica di pontefice massimo dopo la conversione, o la monetazione che recava intatti i simboli del paganesimo) significano solo che Costantino compi' un percorso privato, mentre l'impero e i suoi simboli potevano restare improntati alla tradizione precedente. "Quanto alla ragione profonda di questa conversione, non la sapremo mai... Non speculeremo pertanto... perche' la credenza e' una condizione di cui non riusciamo a comprendere la causalita'". Se il "mistero" non puo' essere sondato, possono esserlo pero' le forme che tale conversione assume; tutto cio' che lo storico puo' giudicare sono i fatti, le testimonianze pubbliche, non il privato della coscienza. Sotto Diocleziano molti cristiani avevano pagato con la vita il non poter cedere, proprio in virtu' della loro professione di fede nel Dio unico, al culto dell'imperatore. Alla luce di questo, allora, ci si chiede: se quella di Costantino fu una conversione in senso paolino, cioe' totalizzante, come poteva esservi spazio per un imperatore pienamente cristiano e insieme pontifex? Costantino accetta il suo ruolo imperiale, con tutto cio' che esso comporta, pur appoggiandosi sulla nuova fede. In tal senso il suo sincretismo e' innegabile, se ci si accorda sul significato di tale termine: sincretismo non significa infatti confusione fra culti, ma vuol dire che il cristianesimo si trasforma passando dalla Palestina alla Grecia, dalla Grecia a Roma, e ancora mutera' nei secoli a venire, quando alla conversione aderiranno popoli nuovi. Al punto che, se non si puo' forse parlare di "cristianesimi" al plurale, e' opportuno almeno parlare di "stili" secondo cui il cristianesimo si declina a seconda di dove e da chi viene praticato. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 727 del 10 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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