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Minime. 721
- Subject: Minime. 721
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 4 Feb 2009 01:30:33 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 721 del 4 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Dove cominciano i diritti umani? 2. Gli ultimi giorni dell'umanita', in Italia 3. Alcuni estratti da "Primati e filosofi" di Frans de Waal 4. Claudio De Fiores presenta "L'appello ai diritti" di Stefano Anastasia 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: DOVE COMINCIANO I DIRITTI UMANI? [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] Palcoscenico aperto. Tutti, da destra e sinistra, "condannano duramente". Dicono che: "l'episodio getta una grave ombra, suscita rabbia e indignazione, e' criminale intolleranza". Chiedono che: "i responsabili siano assicurati al piu' presto alla giustizia". Palcoscenico chiuso. * Grazie per la considerazione, ci sentiamo tutti piu' sollevati nel sapere del vostro sdegno. Perche', tanto per dire, mica sara' colpa del sindaco se cinque ragazzi decidono di alleviare la noia dando fuoco ad un essere umano. Ma che nella sua citta' esseri umani, in inverno, dormano nell'atrio della stazione ferroviaria, o sotto un ponte, o su un marciapiede, non fa venire nessun dubbio, al sindaco, su quanto bene egli stia facendo il proprio mestiere? E suvvia, se le donne vengono assalite mica sara' colpa dell'innocente leggerezza del nostrano primus inter pares (2 amnistie, 1 assoluzione dubitativa, 8 archiviazioni, 6 prescrizioni, 3 processi ed un'indagine in corso, per reati che vanno dal finanziamento illecito al concorso in reati gravissimi con in mezzo tutti i "falsi" che riuscite ad immaginare: testimonianze false, bilanci falsi eccetera). L'auto usata che comprereste da un tizio cosi' perderebbe la carrozzeria per strada dopo i primi duecento metri. Poveretto, non ha fatto che ripetere quel che sente al bar di Montecitorio o in consiglio d'amministrazione, che e' poi quel che si sente al bar sotto casa o in autobus, che e' anche quel che si vede nei film e in televisione: lo stupro, in fondo in fondo, e' un apprezzamento. Se le donne non fossero belle gli uomini non le vorrebbero cosi' appassionatamente, no? Ancora un po' di battage pubblicitario e alla prossima aggredita si chiedera' di ringraziare l'assalitore per averle distrutto la vita per sempre. E insomma, mica sara' colpa dei giornali se nella stessa data, primo febbraio, si riportano due stupri e uno ha i titoli di testa e i pistolotti degli "esperti" e l'altro no: nel primo caso i violentatori (e la vittima) erano immigrati, nel secondo il violentatore era italiano (e la vittima immigrata). E avete letto qualcosa dei tre quattordicenni che marinano la scuola assieme ad una coetanea per poi violentarla a turno? Difficile, forse un trafiletto di due righe, perche' il fatto e' accaduto a Trento ed erano tutti italiani. * Durante l'ultimo fine settimana, a Milano, ci sono stati un accoltellamento, tre risse, un'aggressione a scopo di rapina fra minorenni in metropolitana. Il protagonista piu' vecchio di questo scenario pare abbia 21 anni, la protagonista piu' vecchia ne ha 23. Tutti italiani tranne uno (una vittima). Il piu' anziano dei tre immigrati che hanno picchiato a sangue un ragazzino in quel di Lucca ha 24 anni. E' successo che un tizio guardava insistentemente la mia ragazza, allora gli ho tirato un bicchiere in testa ed e' cominciato il caos. E' successo che quelli hanno fatto commenti sulla nostra macchina, allora siamo scesi e li abbiamo pestati. Non mi invento niente, sapete, questo e' il tenore delle dichiarazioni dei giovani coinvolti. E forse, come uno degli assassini di Lorena l'anno scorso, avranno chiesto al termine dell'interrogatorio: "Adesso che vi ho detto tutto posso andare a casa?". Traduzione: cosa ho fatto di male, di sbagliato? Volete dirmi che nell'Italia del gratta (nel senso di "ruba") e vinci non va bene picchiare qualcuno per farsi dare telefonino e soldi? * In tema di discriminazione di genere, nell'analisi del World Economic Forum (novembre 2008) la Norvegia e' il paese meno sessista al mondo (primo posto), il piu' sessista e' lo Yemen. Gli autori del rapporto hanno fotografato la condizione femminile in 130 paesi, alla luce di 14 criteri di valutazione: dalla percentuale di donne occupate nella manodopera locale, al tasso di quelle in ruoli di quadri, nelle alte professionalita' e in posti di governo, alle differenze retributive, al livello di scolarita', alla speranza di vita. L'Italia ha un orrendo sessantasettesimo posto. Cosa fa quindi di male, di sbagliato, qualcuno che prenda una femmina se la vuole, o che meni chi si permette di guardare la "sua" ragazza? Non gli hanno reso forse chiaro a casa, a scuola, in ufficio, in fabbrica, in ospedale, in chiesa, sui giornali, in televisione, che una donna vale comunque meno di lui e che se serve a qualcosa serve a soddisfare i di lui desideri? Non gli hanno forse reso chiaro che la vita e' competizione e che bisogna tenersi la propria "roba" a costo di uccidere, e quindi oggi che hanno vent'anni picchiano il coetaneo, e domani quando ne avranno trenta si terranno in casa sei pistole, con le quali dopodomani, a quaranta, ammazzeranno il vicino di casa perche' faceva rumore, o la moglie "per sbaglio" (era buio, e credevano che fosse un ladro). * La classe politica italiana pensa di aver fatto il proprio dovere quando rilascia una dichiarazione sull'ultimo fatto di cronaca; una dichiarazione sempre autorevole e vibrante, soprattutto quando non dice nulla di concreto, fatta ad un giornalista sempre prestigioso e corretto, anche quando costui scrive idiozie immani in un italiano stentato. Io dico che credero' al loro sdegno quando mi mostreranno leggi e bilanci. Quando l'educazione al genere ed alla nonviolenza saranno materie scolastiche. Quando la rete delle case antiviolenza ricevera' finanziamenti. Quando il Ministero delle Pari Opportunita', e a cascata le Commissioni correlate, faranno davvero il lavoro che devono fare. Quando si tuteleranno le lavoratrici dalle dimissioni in bianco e dal mobbing post-maternita'. * Nel 1958, in occasione del decimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Eleanor Roosevelt disse: "Dov'e', dopotutto, che i diritti umani cominciano? In posti piccoli, vicini a casa, cosi' vicini e cosi' piccoli che non si vedono sul mappamondo. Pure essi sono il mondo concreto di ogni individuo: il borgo in cui la persona vive, la scuola che frequenta, la fabbrica, la fattoria o l'ufficio in cui lavora. Questi sono i luoghi in cui ogni uomo, ogni donna, ogni bambino chiede eguale giustizia, eguale opportunita', eguale dignita' senza discriminazione". 2. LE ULTIME COSE. GLI ULTIMI GIORNI DELL'UMANITA', IN ITALIA In alto: la guerra afgana. In basso: tre giovani indigeni danno fuoco allo straniero che dorme sulla panchina. * In alto: il "pacchetto sicurezza". In basso: il poliziotto indigeno afferra il fucile e uccide il vicino di casa straniero. * In alto: il ministro dichiara che occorre essere "cattivi" con i migranti. In basso: l'ex-convivente indigeno attira in casa l'ex-convivente straniera, armato dei pugni e di un martello la picchia e la violenta. * In alto: il fascismo. In basso: il fascismo ancora. * Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "PRIMATI E FILOSOFI" DI FRANS DE WAAL [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Frans de Waal, Primati e filosofi. Evoluzione e moralita', Garzanti, Milano 2008 (ed. orig. Primates and Philosophers, 2006). Non vi e' bisogno di dire che alcune opinioni espresse in questo testo sono ovviamente ben discutibili] Indice del volume Ringraziamenti; Introduzione, di Josiah Ober e Stephen Macedo; Prima parte. Moralmente evoluti. Istinti sociali dei primati, moralita' umana e alterne fortune della "teoria della patina", di Frans de Waal: La teoria della patina; L'etica secondo Darwin; Edward Westermarck; Empatia animale; Cos'e' l'empatia? Aneddoti sullo "scambio di posto nella fantasia"; Il comportamento di consolazione; Il modello della matrioska; Reciprocita' e giustizia; Gratitudine tra scimpanze'; La giustizia tra le scimmie; Mencio e il predominio dell'affetto; L'interesse per la comunita'; Appendice A. Antropomorfismo e antropodiniego; Appendice B. Le antropomorfe hanno una teoria della mente? Appendice C. I diritti degli animali; Antropomorfe in pensione. Seconda parte. Commenti. Usi dell'antropomorfismo, di Robert Wright: I due generi di linguaggio antropomorfico; Cosa si prova a essere uno scimpanze? Una considerazione extrascientifica; Moralita' e particolarita' dell'azione umana, di Christine M. Korsgaard; Etica ed evoluzione. Come si arriva da li' a qui, di Philip Kitcher; Moralita', ragione, diritti degli animali, di Peter Singer: La critica di de Waal alla moralita' come patina; Diritti e pari considerazione per gli animali; Terza parte. Risposta ai commentatori. La torre della moralita', di Frans de Waal: Inclusione morale e fedelta? Tre livelli di moralita': Livello 1: elementi costitutivi; Livello 2: pressione sociale; Livello 3: giudizio e ragionamento; Colpo di grazia; Facce dell'altruismo; Conclusione; Bibliografia; Autori. * Da pagina 23 "Noi approviamo e disapproviamo perche' non possiamo fare altrimenti. Possiamo fare a meno di provare dolore quando il fuoco ci brucia? Possiamo fare a meno di provare compassione per i nostri amici?" (Edward Westermarck, 1908) "Perche' la nostra cattiveria dovrebbe essere il retaggio del nostro passato scimmiesco e la nostra bonta' qualcosa di unicamente umano? Perche' non cercare anche nei nostri tratti 'nobili' una continuita' con gli altri animali?" (Stephen Jay Gould, 1980) Homo homini lupus, "l'uomo e' un lupo per l'uomo", e' un antico proverbio latino reso celebre da Thomas Hobbes. Nonostante il principio di fondo che lo ispira informi ampi settori del diritto, dell'economia e della scienza della politica, questo proverbio contiene due gravi errori. Innanzitutto, non rende giustizia ai canidi, che sono fra gli animali piu' gregari e cooperativi del pianeta (Schleidt e Shalter 2003). Ma, cosa ancor peggiore, il detto nega l'intrinseca natura sociale della nostra specie. La teoria del contratto sociale, e con essa la civilta' occidentale, sembrano impregnate fino alla saturazione dal presupposto che noi siamo degli esseri asociali, addirittura delle creature malvagie e non lo zoon politikon che Aristotele vedeva in noi. Hobbes rifiutava esplicitamente l'idea aristotelica, sostenendo che alla loro apparizione i nostri progenitori erano autonomi e bellicosi, e giunsero a stabilire forme di vita comunitaria solo quando il prezzo della lotta era diventato insostenibile. Secondo Hobbes noi non siamo pervenuti alla vita sociale in modo naturale, ma abbiamo intrapreso questo passo con riluttanza e "solo per un patto, che e' artificiale" (Hobbes 1991 [1651], p. 120). In tempi piu' recenti, Rawls (1972) ha riproposto la stessa idea in una versione meno aspra, aggiungendo che il passaggio alla socialita' compiuto dal genere umano prende le mosse da una riconosciuta condizione di parita', vale a dire da una prospettiva di cooperazione tra eguali reciprocamente vantaggiosa. Queste idee su come abbia avuto origine la societa' ordinata sono tuttora in auge, anche se il presupposto che le sostiene, quello di una decisione razionale presa da creature intrinsecamente asociali, e' indifendibile alla luce di cio' che sappiamo sull'evoluzione della nostra specie. Hobbes e Rawls ci danno l'immagine illusoria che la societa' umana sia il frutto di un accordo volontario fatto in base a regole autonomamente scelte e accettate da soggetti liberi e pari tra loro. Eppure non c'e' mai stato un momento in cui siamo diventati sociali: in quanto discendenti di antenati estremamente sociali - una lunga progenie di scimmie e grandi scimmie - viviamo da sempre in gruppo. Individui liberi e pari tra loro non sono mai esistiti. Gli esseri umani hanno mosso i loro primi passi - sempre che si possa individuare un primo passo - gia' da individui interdipendenti, reciprocamente vincolati e diseguali tra loro. Siamo il risultato di una lunga genealogia di animali gerarchici per i quali la vita di gruppo non e' un'opzione, ma una strategia di sopravvivenza. Qualsiasi zoologo classificherebbe la nostra specie come obbligatoriamente gregaria. Poter contare su dei compagni procura enormi vantaggi nella ricerca di cibo e nella difesa dai predatori (Wrangham 1980; van Schaik 1983). Poiche' gli individui predisposti alla vita di gruppo lasciano una prole piu' numerosa di quelli meno inclini alla vita sociale (per esempio Silk e altri 2003), la socialita' si e' radicata sempre piu' profondamente nella biologia e nella psicologia dei primati. Se mai decisione fu presa di costituire delle societa', piuttosto che a noi il merito andrebbe attribuito a Madre Natura. Questo non vuol dire liquidare il valore euristico della "situazione originaria" di Rawls, proprio perche' e' un modo per farci riflettere su qual e' il tipo di societa' in cui ci piacerebbe vivere. La sua idea di situazione originaria si riferisce a "una situazione puramente ipotetica caratterizzata in modo tale da portare a determinate concezioni della giustizia" (Rawls 1972, p. 12). Ma anche se non prendiamo la situazione originaria alla lettera e la teniamo presente solo per il gusto di discutere, essa ci fa pur sempre deviare dal dibattito piu' pertinente che dovremmo approfondire, vale a dire come siamo realmente giunti a essere cio' che siamo oggi. Quali parti della natura umana ci hanno condotto lungo questo cammino e in che modo l'evoluzione ha forgiato tali parti? Queste domande, rivolte a un passato reale anziche' ipotetico, sono destinate a portarci piu' vicino alla verita', ovvero al fatto che siamo esseri sociali fin nell'essenza. A titolo di illustrazione della natura profondamente sociale della nostra specie basti pensare che, subito dopo la pena di morte, la punizione massima che possiamo concepire e' la cella di isolamento. Funziona cosi' bene, evidentemente, proprio perche' non siamo venuti al mondo per vivere da soli. I nostri corpi e le nostre menti non sono stati progettati per vivere una vita da cui gli altri siano assenti. Senza il sostegno della socialita' cadiamo in una depressione disperata e la nostra salute peggiora. In un esperimento fatto di recente, dei volontari sani intenzionalmente esposti al virus del raffreddore e dell'influenza si ammalavano con maggior facilita' se attorno a loro avevano meno amici e familiari (Cohen e altri 1997). Se le donne colgono naturalmente l'importanza di un sistema di relazioni - forse perche' per centottanta milioni di anni le femmine dei mammiferi con tendenze all'accudimento si sono riprodotte di piu' rispetto a quelle che ne erano carenti - la cosa riguarda ugualmente anche gli uomini. Nella societa' moderna non c'e' modo migliore per gli uomini di allungare la prospettiva di vita che quella di ammogliarsi e di rimanere sposati: la possibilita' di vivere oltre i sessantacinque anni aumenta dal 65 al 90 per cento (Taylor 2002). La nostra indole sociale e' talmente evidente che non dovrebbe esserci bisogno di insistere su questo punto, se la sua assenza non balzasse agli occhi nelle narrazioni che riguardano le nostre origini in discipline come il diritto, l'economia e la scienza della politica. In Occidente la tendenza a leggere le emozioni come qualcosa di labile, e i legami affettivi di tipo sociale come qualcosa di confuso, ha fatto si' che i teorici si siano volti alle facolta' cognitive come criterio-guida privilegiato del comportamento umano. E' il trionfo della razionalita'. Tutto questo nonostante la ricerca psicologica affermi il primato dell'affettivita': vale a dire che il comportamento umano deriva soprattutto da giudizi immediati e automatici di tipo emozionale e solo secondariamente da piu' lenti processi coscienti (per esempio Zajonc 1980, 1984; Bargh e Chartrand 1999). Il risalto dato all'autonomia individuale e alla razionalita', a cui corrisponde una disattenzione nei confronti delle emozioni e dei legami affettivi, purtroppo non e' circoscrivibile agli studi umanistici e alle scienze sociali. Anche all'interno della biologia dell'evoluzione alcuni hanno sposato l'idea che noi siamo una specie che si e' inventata da sola. Parallelamente ha imperversato un dibattito che mette in competizione la ragione con le emozioni e che ha come oggetto le origini della moralita', marchio distintivo della societa' umana. Una scuola di pensiero vede la moralita' come un'innovazione culturale raggiunta solo dalla nostra specie e non riconosce le tendenze morali come parte integrante della natura umana. I nostri progenitori, si sostiene, sarebbero diventati morali per scelta. L'altra scuola, invece, concepisce la moralita' come conseguenza diretta degli istinti sociali che abbiamo in comune con altri animali e, nella sua visione, la moralita' non e' una nostra peculiarita', ne' l'effetto di una decisione consapevole presa in un momento specifico della nostra storia, ma il risultato dell'evoluzione della nostra socialita'. Il primo di questi punti di vista presuppone che in fondo non siamo veramente morali e considera la moralita' come un rivestimento culturale, una patina sottile che cela al di sotto una natura per altri versi egoista e brutale. Fino a poco tempo fa, era questo l'approccio alla moralita' che prevaleva all'interno della biologia dell'evoluzione come tra gli scrittori scientifici che fanno opera di divulgazione in questo campo. Faro' uso del termine "teoria della patina" per indicare queste idee, delineandone le origini nella riflessione di Thomas Henry Huxley, anche se evidentemente nella filosofia e nella religione occidentali risalgono molto piu' indietro, fino al concetto di peccato originale. Dopo aver discusso queste idee, esaminero' il punto di vista completamente diverso di Charles Darwin sull'evoluzione della moralita', da lui derivato dall'illuminismo scozzese. Infine prendero' in esame le opinioni di Mencio e di Westermarck che coincidono con quelle di Darwin. Delineato questo contrasto di opinioni che vede la continuita' opporsi alla discontinuita' con gli animali, ripercorrero' poi un mio testo precedente (de Waal 1996) per prestare particolare attenzione al comportamento dei primati non umani, al fine di spiegare perche' penso che dal punto di vista evolutivo gli elementi costitutivi della moralita' siano molto piu' antichi. * Da pagina 77 L'interesse per la comunita' In questo saggio ho delineato il netto contrasto tra due scuole di pensiero riguardo alla bonta' umana. Una scuola considera gli uomini essenzialmente cattivi ed egoisti, e di conseguenza la moralita' come un puro e semplice rivestimento culturale. Questa scuola, rappresentata da T. H. Huxley, e' tuttora molto in auge, anche se ho notato che a nessuno (neanche a quelli che ne sostengono esplicitamente le posizioni) piace esser definito "teorico della patina". Magari e' l'appellativo a non piacere o il fatto che, una volta messi a nudo i presupposti su cui si appoggia la teoria della patina, diventa chiaro che essa non fornisce nessuna spiegazione su come noi da animali amorali siamo diventati degli esseri morali - a meno che non si sia disposti a intraprendere la strada puramente razionalista dei moderni seguaci di Hobbes, come per esempio Gauthier (1986). La teoria non si accorda con le prove che dimostrano che l'elaborazione emozionale e' la forza trainante del giudizio morale. Se la moralita' umana potesse veramente essere ridotta a calcolo e ragionamento, saremmo piu' o meno tutti degli psicopatici che, quando si comportano in modo gentile, in realta' non intendono affatto esserlo. La maggioranza di noi spera di essere qualcosa di meglio di questo, e da qui potrebbe nascere l'antipatia per la contrapposizione senza compromessi che faccio tra la teoria della patina e la scuola alternativa, che invece cerca di fondare la moralita' nella natura umana. Questa scuola pensa che nella nostra specie la moralita' si manifesti in modo naturale e crede che per le capacita' che in essa sono in gioco ci siano valide ragioni evolutive. Cio' non toglie che la struttura teorica che serve a spiegare la transizione dall'animale sociale all'essere umano morale e' del tutto frammentaria. Le sue fondamenta sono la teoria della selezione di parentela e quella dell'altruismo reciproco, ma e' chiaro che bisognera' aggiungervi altri elementi. A volersi documentare su temi come la costruzione della reputazione, i principi di equita', l'empatia e la risoluzione dei conflitti (in svariate pubblicazioni che qui non possono essere esaminate), si scoprira' che esiste un orientamento che fa ben sperare verso una teoria maggiormente integrata su come possa essersi formata la moralita' (si veda Katz 2000). Va inoltre osservato che le pressioni evolutive responsabili delle nostre tendenze morali magari non sono state tutte gentili e positive. Dopo tutto la moralita' e' in gran parte un fenomeno interno al gruppo. Sempre e ovunque gli esseri umani si comportano con gli esterni al loro gruppo in maniera molto peggiore di quanto facciano con i membri della loro stessa comunita': le regole morali, in effetti, difficilmente sembrano valere all'esterno del proprio gruppo. E' vero che nella modernita' esiste un orientamento ad allargare il cerchio della moralita' e a includervi anche i combattenti nemici - per esempio la convenzione di Ginevra adottata nel 1949 - ma tutti sappiamo quanto fragile sia un progetto come questo. Con tutta probabilita' la moralita' si e' evoluta come un fenomeno interno al gruppo insieme ad altre capacita' che di solito si sviluppano all'interno del gruppo, come la risoluzione dei conflitti, la cooperazione e la spartizione. Ogni individuo pero' e' fedele per prima cosa non al gruppo, ma a se stesso e ai propri familiari. Con l'aumento dell'integrazione sociale e della dipendenza dalla cooperazione, gli interessi condivisi devono essere emersi alla superficie, al punto che la comunits' nel suo complesso e' diventata il punto di riferimento. Il piu' grande passo compiuto nell'evoluzione della moralita' umana e' stato il passaggio dalle relazioni interpersonali all'individuazione di un bene piu' grande. Possiamo vederne gli albori nelle antropomorfe quando intervengono per appianare i rapporti tra gli altri. Le femmine possono riunire i maschi dopo una lite tra loro, e quindi fanno da intermediarie di una riconciliazione, mentre i maschi, quando di rango superiore, mettono spesso fine alle lotte tra gli altri in maniera imparziale, favorendo cosi' la pace all'interno del gruppo. Considero un comportamento di questo genere il riflesso dell'interesse per la comunita' (de Waal 1996), che a sua volta riflette la compartecipazione che ogni membro del gruppo ha all'interno di un ambiente cooperativo. La maggioranza degli individui avrebbe molto da perdere se la comunita' si sfasciasse, da qui il loro interesse affinche' si preservi integra e armoniosa. Boehm (1999), prendendo in esame questioni di questo tipo, ha aggiunto il ruolo esercitato dalla pressione sociale, almeno per quanto riguarda gli esseri umani: l'intera comunita' si impegna a gratificare un comportamento che favorisce il gruppo e a punire quello che lo indebolisce. Naturalmente, la forza piu' potente per sviluppare il senso di comunita' e' l'ostilita' nei confronti degli esterni al gruppo, che costringe all'unita' elementi che normalmente non sarebbero in armonia. Questo magari allo zoo non si vede, ma e' sicuramente un elemento in atto tra gli scimpanze' allo stato selvatico, in cui si manifesta una violenza letale tra una comunita' e l'altra (Wrangham e Peterson 1996). Nella nostra specie non c'e' nulla di piu' ovvio che unirsi contro gli avversari. Nel corso dell'evoluzione umana l'ostilita' verso gli esterni ha rafforzato la solidarieta' tra gli interni al gruppo fino a fare apparire la moralita'. Anziche' semplicemente migliorare i rapporti che ci stanno intorno, come fanno le scimmie antropomorfe, noi abbiamo espliciti precetti che riguardano il valore della comunita' e la precedenza che le spetta, o dovrebbe spettarle, rispetto agli interessi individuali. In questo campo gli uomini si spingono ben piu' in la' delle scimmie antropomorfe (Alexander 1987), motivo per cui noi possediamo sistemi morali e le grandi scimmie no. E cosi' il culmine del paradosso e' che la nostra piu' alta acquisizione, la moralita', ha dei legami sul piano evolutivo con il nostro comportamento piu' basso, la guerra: il senso di comunita' che esige la prima e' stato fornito dalla seconda. Quando abbiamo superato il punto di equilibrio tra interessi individuali in conflitto e interessi condivisi, abbiamo aumentato la pressione sociale per assicurarci che tutti contribuissero al bene comune. Se accettiamo quest'idea di una moralita' frutto dell'evoluzione e risultato logico delle tendenze alla cooperazione, non andiamo contro la nostra natura sviluppando un atteggiamento soccorrevole e morale, piu' di quanto non faccia una societa' civile che e', come pensava Huxley (1989 [1894]), un ingovernabile giardino tenuto a bada da un infaticabile giardiniere. I comportamenti morali ci hanno accompagnato fin dalle origini e il giardiniere, come ha notato giustamente Dewey, e' piuttosto un coltivatore organico. Il giardiniere capace crea le condizioni per introdurre specie vegetali che possono essere estranee a questo specifico appezzamento di terra "ma che fanno parte dell'uso e costume della natura nel suo insieme" (Dewey 1993 [1898], pp. 109-10). In altri termini, quando agiamo in nome di un senso morale non stiamo ipocritamente ingannando tutti: prendiamo delle decisioni che derivano da istinti sociali che sono piu' antichi della nostra specie, anche se vi aggiungiamo la complessita' esclusivamente umana di un interesse senza secondi fini nei confronti degli altri e della societa' nel suo complesso. Sulle tracce di Hume (1985 [1739]), che considerava la ragione schiava delle passioni, Haidt (2001) ha invocato una revisione completa del ruolo giocato dalla razionalita' nel giudizio morale, sostenendo che la giustificazione umana sembra presentarsi alla mente per la quasi totalita' post hoc, ovvero dopo che i giudizi morali sono stati conseguiti sulla base di intuizioni rapide e automatiche. Mentre la teoria della patina, con la sua enfasi sulla peculiarita' umana, presumeva che la risoluzione dei problemi morali fosse da attribuire ad ampliamenti evolutivi recenti del nostro cervello come la corteccia prefrontale, le tecniche di neuroimaging rivelano invece che il giudizio morale coinvolge un'ampia varieta' di aree del cervello, di cui alcune molto antiche (Greene e Haidt 2002). In poche parole, le neuroscienze sembrano accreditare un'idea della moralita' umana come evolutivamente ancorata alla socialita' dei mammiferi. * Da pagina 193 La torre della moralita' Mentre l'attenzione dei miei stimati colleghi si concentra su cio' che sembra mancare agli altri primati anziche' su cio' che e' presente in loro, da parte mia ho cercato di porre in evidenza invece le caratteristiche che abbiamo in comune con essi. Cio' riflette il mio desiderio di contrastare l'idea che la moralita' umana per certi versi sia in contraddizione con le nostre origini animali o addirittura con la natura in generale. Non manco di apprezzare comunque l'appoggio di tutti a questa mia posizione e concordo con le loro ripetute sollecitazioni a considerare anche gli aspetti di discontinuita'. Quindi questo e' quanto intendo piu' o meno fare questa volta, a cominciare dalla mia definizione di moralita'. Tranne che io, naturalmente, non parlerei mai di "discontinuita'". L'evoluzione non avviene mai per salti: le nuove caratteristiche sono modificazioni delle vecchie, di modo che specie strettamente legate tra loro pervengono a una differenziazione solo per gradi. Anche se la moralita' umana rappresenta un significativo passo in avanti, difficilmente rompe con il passato. * Inclusione morale e fedelta' La moralita' e' un fenomeno che si rivolge al gruppo, sorto dal fatto che noi per sopravvivere dipendiamo da un sistema di sostegno (MacIntyre 1999). Una persona isolata non avrebbe alcun bisogno della moralita' e nemmeno una persona che vive con gli altri senza avere dipendenze reciproche. In circostanze di questo tipo ogni individuo puo' procedere per la propria strada. Non ci sarebbe nessuna pressione per sviluppare costrizioni sociali o tendenze morali. Al fine di favorire la cooperazione e l'armonia all'interno della comunita', la moralita' definisce limiti al comportamento, soprattutto quando gli interessi entrano in collisione. Le regole morali danno luogo a un modus vivendi tra ricchi e poveri, sani e malati, vecchi e giovani, sposati e non sposati e cosi' via. Poiche' la moralita' contribuisce a far andar d'accordo le persone e alla riuscita di sforzi congiunti, spesso pone il bene comune al di sopra degli interessi individuali. Non li nega mai, ma insiste sul fatto di trattare gli altri nel modo in cui noi stessi vorremmo essere trattati. In maniera piu' specifica, il campo d'azione della moralita' e' Aiutare o (non) Arrecare danno agli altri (de Waal 2006). Le due A sono interconnesse. Se stai annegando e mi rifiuto di aiutarti, in effetti sto arrecandoti un danno. La decisione di aiutare o meno e', a detta di tutti, una decisione di tipo morale. Qualsiasi cosa che non sia in rapporto con le due A esula dalla moralita'. Coloro che si appellano alla moralita' in rapporto, per esempio, ai matrimoni tra persone dello stesso sesso o alla visione di un seno nudo in televisione in prima serata, stanno semplicemente cercando di occultare le convenzioni sociali sotto un linguaggio morale. Poiche' le convenzioni sociali non sono necessariamente ancorate ai bisogni degli altri o a quelli della comunita', spesso il male che si compie trasgredendole e' opinabile. Le convenzioni sociali possono variare enormemente: cio' che all'interno di una cultura la gente trova scandaloso (come per esempio ruttare dopo un pasto), magari e' auspicabile che accada in un'altra. Frenate dall'impatto che hanno sul benessere degli altri, le regole morali invece sono di gran lunga piu' costanti delle convenzioni sociali. La regola aurea e' universale. Le questioni morali della nostra epoca - la pena capitale, l'aborto, l'eutanasia e l'assistenza agli anziani, ai malati o ai poveri - ruotano tutte intorno ai temi eterni della vita, della morte, delle risorse e dell'accudimento. Le risorse decisive in relazione con le due A sono il cibo e i partner sessuali, entrambi soggetti alle regole del possesso, della spartizione e dello scambio. Il cibo e' importantissimo per le femmine dei primati, soprattutto quando sono incinte o allattano (cioe' in condizioni in cui si trovano frequentemente), e le partner sessuali sono importantissime per i maschi, il cui successo riproduttivo dipende dal numero di femmine fecondate. Questo puo' forse spiegare il notorio "doppio standard" che favorisce gli uomini nei casi delle infedelta' coniugali. Le donne, da parte loro, tendono a essere favorite nei casi di affidamento dei figli, cosa che rispecchia il primato attribuito al legame madre-figlio. Quindi, anche se ci battiamo a favore di modelli morali senza connotazione di genere, i giudizi che riguardano la vita reale non sono immuni dalla biologia dei mammiferi. Di rado un sistema morale vitale lascia che le sue regole si distacchino dagli imperativi biologici della sopravvivenza e della riproduzione. Visto quanto il privilegio riservato al proprio gruppo ha servito efficacemente l'umanita' per milioni di anni, e quanto efficacemente ancora ci serve, e' impossibile che un sistema morale mostri pari considerazione nei confronti di tutte le forme di vita sulla terra. Il sistema deve stabilire delle priorita'. Come notava Pierre-Joseph Proudhon oltre un secolo fa: "Se tutti sono miei fratelli, allora non ho fratelli" (Hardin 1982). Se a un certo livello Peter Singer ha ragione a dichiarare che tutto il dolore del mondo ha la stessa importanza ("Se un animale prova dolore, il dolore assume la stessa importanza di quando e' un essere umano a provarlo"), a un altro livello questa affermazione si scontra frontalmente con la distinzione tra interni ed esterni al gruppo che abbiamo nel sangue (Berreby 2005). I sistemi morali per loro natura privilegiano gli interni al gruppo. La moralita' si e' evoluta innanzitutto per avere rapporti con la propria comunita' e solo di recente ha cominciato a includere i membri di altri gruppi, l'umanita' in generale e gli animali non umani. Nel momento in cui si plaude all'espansione del cerchio, questa espansione risulta condizionata dalla disponibilita' economica, vale a dire che i cerchi si possono allargare in tempi di abbondanza, ma si restringeranno inevitabilmente nel momento in cui le risorse si assottiglieranno. Questo accade perche' i cerchi demarcano il livello di obbligo. Come ho gia' avuto modo di dire: "Il cerchio della moralita' si amplia sempre piu' solo quando la buona salute e la sopravvivenza dei cerchi piu' interni siano assicurate" (de Waal 1996, p. 213). Poiche' per il momento viviamo in circostanze di benessere, possiamo (e dobbiamo) preoccuparci per coloro che sono al di fuori della nostra stretta cerchia. Ciononostante, un rapporto ad armi pari, in cui tutti i circoli contano allo stesso modo, va a cozzare con le antiche strategie di sopravvivenza. Non siamo solo parziali in favore dei circoli piu' interni (noi stessi, la nostra famiglia, la nostra comunita', la nostra specie), noi sentiamo il dovere di esserlo. La fedelta' e' un dovere morale. Se durante un periodo di carestia diffusa, dopo un giorno passato alla ricerca di cibo, tornassi a casa a mani vuote e dicessi a quelli della mia famiglia affamata che avevo trovato del pane ma l'ho regalato, ne rimarrebbero completamente sconvolti. La cosa verrebbe considerata come una catastrofe morale, come un'ingiustizia, non perche' i beneficiari del mio comportamento non meritassero sostentamento, ma in ragione del mio dovere nei confronti di coloro che mi sono vicini. Il contrasto diventa ancora piu' evidente durante una guerra, quando la solidarieta' con la propria tribu' o con la propria nazione e' obbligatoria: da un punto di vista morale, il tradimento per noi e' cosa riprovevole. * Da pagina 216 Conclusione La questione se la moralita' umana operi su tendenze preesistenti e' senza dubbio l'argomento centrale di questo libro. La discussione con i miei colleghi mi ha fatto pensare a quel consiglio che Wilson (1975, p. 562) ci ha dato trent'anni fa secondo il quale "e' venuta l'ora di strappare temporaneamente l'etica dalle mani dei filosofi e di biologizzarla". Al momento sembriamo essere a meta' di questo processo, non perche' abbiamo messo i filosofi da parte, ma proprio perche' li abbiamo resi partecipi, cosi' che i fondamenti evolutivi della moralita' umana possano essere illuminati da diverse prospettive disciplinari. Non prendere in considerazione le basi che abbiamo in comune con gli altri primati e negare le radici evolutive della moralita' umana sarebbe come arrivare in cima a una torre per dichiarare che il resto dell'edificio e' irrilevante, che il prezioso concetto di "torre" debba essere riservato solo alla sua sommita'. Mentre puo' servire a fare delle belle risse accademiche, per il resto la semantica e' per lo piu' una perdita di tempo. Gli animali sono esseri morali? Concludiamo semplicemente dicendo che occupano parecchi piani della torre della moralita'. Rifiutare perfino questa modesta proposta puo' portare solo a una visione ben piu' misera che non coglie l'edificio nella sua interezza. 4. LIBRI. CLAUDIO DE FIORES PRESENTA "L'APPELLO AI DIRITTI" DI STEFANO ANASTASIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 gennaio 2009 col titolo "La spinta propulsiva dei diritti rinnova lo spazio della politica"] Stefano Anastasia, L'appello ai diritti. Diritti e ordinamenti nella mdoernita' e dopo, Giappichelli, pp. 132, euro 12. * A sessant'anni dalla "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo", mai come oggi la questione dei diritti e della loro effettiva tutela pare avere assunto una valenza dirompente e, per alcuni tratti, emergenziale. Il recente lavoro di Stefano Anastasia parte da questa premessa per interrogarsi sull'effettiva natura dei diritti, indagandone la soggettivita', svelandone i paradossi e le virtu' dell'universalismo, ripensando in definitiva il modo in cui il rapporto tra diritto e diritti, tra autorita' e soggetto, tra individuo e potere si e' sviluppato. Un libro, quello di Anastasia, che vuole essere un viaggio intorno ai "diritti della persona umana" e a quella che e' stata la loro multiforme capacita' di emersione nello spazio e nel tempo (sotto forma di diritti umani, diritti naturali, diritti inalienabili, diritti fondamentali). E in questo ambizioso tentativo risiede anche il punto di forza di questo volume, il cui principale merito e' quello di essere riuscito, con prosa scorrevole e argomentazioni serrate, a delineare le travagliate sorti dei diritti, ponendo alla base della propria ricostruzione teorica un unico, ma risolutivo paradigma di riferimento: il rapporto fra "storicita' e giuridicita'". Attenendosi rigorosamente a questo approccio, l'autore ricostruisce, nel corso di sette capitoli, l'intricata vicenda storica dei diritti: dalla politeia alla Carta dei diritti dell'Unione, da Aristotele a Juergen Habermas. Un excursus storico e teorico che enuclea le principali trasformazioni giuridiche nelle diverse epoche storiche, delineando le incessanti trasmutazioni delle dinamiche sociali e i loro riflessi sulla sfera privata e politica degli individui. Fino a rintracciare - e a ragione - il vero punto di svolta nell'articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino ("ogni societa' in cui la garanzia dei diritti non e' assicurata, ne' la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione"). E' a partire dalla stesura di questa disposizione normativa che "l'appello ai diritti diventa momento costitutivo dell'ordine giuridico-politico della modernita'". I diritti non sono un prodotto della natura, ma della storia. Prima di divenire norme giuridiche, i diritti si sono manifestati sotto forma di bisogni sociali organizzati. Istanze che il potere giuridico, dopo averle riconosciute meritevoli di tutela, ha poi provveduto a soddisfare. Gli sviluppi storici dei diritti sono quindi inestricabilmente segnati dalle dinamiche del conflitto e dalla progressiva emersione di nuove figure che, nel corso del tempo, hanno contribuito a dare marxianamente concretezza all'uomo astratto. Ma la storicita' e' solo una delle facce dei diritti. Poi c'e' anche quella rappresentata dalla loro naturale "ambizione universalistica" e dall'istintiva inclinazione a superare le barriere ordinamentali. Ed e' proprio in questa dicotomia che andrebbe oggi rintracciata la principale causa dell'attuale impasse sulla questione dei diritti. Perche' i cataloghi dei diritti reggono storicamente solo quando sono espressione di popoli culturalmente omogenei. Nel momento in cui, invece, gli stessi diritti dovessero essere riconosciuti, urbi et orbi, a tutti i popoli del pianeta, tale simmetria sarebbe fatalmente destinata a venire meno, mentre il particolarismo storico dei diritti esautora ogni astratta pretesa universalistica. E' in tale contraddizione, ricorda Anastasia, che risiede non solo l'ambiguita', ma anche la forza dell'"appello ai diritti". Quell'appello che ha avuto come destinatario esclusivo l'individuo di genere maschile e come "culla" l'Occidente, ma che si e' dimostrato uno straordinario strumento di mobilitazione anche per il movimento delle donne e per le lotte dei movimenti di liberazione nazionale dal dominio coloniale occidentale. Di qui la necessita' di avviare una nuova lotta per i diritti che sappia riqualificarne i contenuti, fare i conti con il pluralismo normativo, fronteggiare le sfide della globalizzazione e del multiculturalismo. Solo cosi', forse, l'universalismo non sara' l'ampollosa retorica dei "parlanti", l'universalita' dei diritti non restera' il miraggio degli esclusi, il pluralismo non si risolvera' nel particolarismo delle culture, degli ordinamenti, dei diritti. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 721 del 4 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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