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Voci e volti della nonviolenza. 295
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 295
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 31 Jan 2009 08:58:00 +0100
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 295 del 31 gennaio 2009 In questo numero: 1. Franco Giustolisi: Il secondo armadio della vergogna 2. Franco Giustolisi: Cefalonia impunita? 3. Franco Giustolisi: Un vecchio faldone 4. Franco Giustolisi: Sessantacinque anni di silenzio 1. FRANCO GIUSTOLISI: IL SECONDO ARMADIO DELLA VERGOGNA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 giugno 2008 col titolo "L'armadio della vergogna 2" e il sommario "Memoria. A palazzo Cesi, dove ha sede la Procura generale militare, c'e' un altro archivio che nasconde gli orrori compiuti dalle camice nere. Le carte ritrovate documentano i crimini commessi nei Balcani, ma sul grosso dei fascicoli c'e' il timbro 'segreto', 'riservato'. Si chiede giustizia, la parola ora passa al ministro della Difesa"] Puo' sembrare incredibile, ma si tratta di una verita' fuori discussione: esiste un secondo armadio della vergogna. Come qualcuno ricordera', e per coloro che non lo hanno mai saputo, il primo armadio conteneva i fascicoli dei massacri commessi dai nazisti e dai fascisti, tra l'8 settembre del 1943 e il 25 aprile del 1945, ai danni della popolazione del nostro paese. Civili disarmati, non partigiani: bambini, donne, vecchi. Decine di migliaia di vittime, cui si aggiunsero i nostri militari trucidati dopo che avevano alzato bandiera bianca, come a Cefalonia. Ma non solo. Un numero enorme che nessuno ha sentito l'elementare dovere civico di elencare e che, per ora, e' inquantificabile anche perche', oltre ai fascicoli contenuti in quel maledetto armadio, ce ne sono tanti altri, per lo meno una dozzina. E sapete dove sta questo secondo armadio? Ma sempre li', nel cinquecentesco palazzo Cesi, in via degli Acquasparta, a Roma, dove ha gli uffici la Procura generale militare e ammennicoli vari. E proprio all'angolo di quel palazzo, luogo dei piu' efferati silenzi dovuti alle ragion di Stato - non si perseguirono quei crimini perche' la Germania un tempo nemica, era divenuta alleata e doveva far da sentinella e da bastione contro l'Unione Sovietica - esiste il ricordo suggestivo e romantico di un'antichissima palazzina, che la credenza popolare ha deciso essere di donna Fiammetta, la femmina gentile cui Boccaccio dedico' un'elegia sotto forma di romanzo. Ma questa e' l'Italia d'oggi, tutta un contrasto. * Giustizia negata Ora non so se il secondo armadio sia anch'esso con le ante rivolte verso il muro, chiuso in un sottoscala, protetto da un cancello di ferro, come l'altro. Anzi non so neanche se quei fascicoli siano in un armadio, in una cassapanca o nei cassetti di qualche voluminosa scrivania. Ma esiste. La scoperta la si deve al procuratore militare di Padova Sergio Dini, lo stesso la cui richiesta di chiarimenti, insieme a una mia indagine giornalistica iniziata nel 1996, portarono all'inchiesta del Consiglio della magistratura militare (Cmm), che stabili': e' stato il potere politico ad imporre ai magistrati militari, allora soggetti alle varie sfere governative, il silenzio della giustizia, della storia, della memoria. Dini, il 18 marzo di quest'anno, ha scritto al Cmm, di cui e' componente, la lettera che riproduco testualmente: "Il sottoscritto consigliere Sergio Dini, premesso che autorevoli fonti storiografiche nonche' recenti inchieste giornalistiche hanno riconfermato che nel corso del secondo conflitto mondiale truppe italiane si sarebbero rese responsabili di veri e propri crimini di guerra (in particolare uccisione di ostaggi, eccidi di civili estranei alle operazioni, saccheggi ed incendi di interi villaggi) soprattutto sul teatro di guerra greco albanese e su quello jugoslavo (tanto in Slovenia che in Montenegro), richiede a codesto onorevole Cmm di accertare quanto segue: a. se nel corso del dopoguerra siano stati celebrati processi o comunque intraprese indagini sulle vicende in discorso; b. nel caso che cio' non risulti (come in effetti consta allo scrivente), per quali ragioni cio' non sia mai avvenuto nonostante la inequivoca esistenza di vere e proprie notizie di reato al riguardo risalenti gia' alla seconda meta' degli anni Quaranta; c. per quali ragioni non abbiano avuto esiti processuali le risultanze della commissione di inchiesta nominata con D.M. 6 maggio 1946 (cosiddetta Commissione Gasparotto) che pure aveva individuato una serie di elementi e di nominativi sui quali si sarebbe ben potuta instaurare proficua attivita' processuale. Cio' anche al fine di individuare possibili profili di responsabilita' in capo ad appartenenti all'ordine giudiziario militare, o di chiarire l'esistenza di eventuali ragioni (estranee alla responsabilita' della Magistratura Militare) in ordine a questo macroscopico caso di denegata giustizia". * Fascicoli "riservati" Ora, pur con tutta la stima che ho per il suddetto, non tenderei ad escludere che oltre alle fonti storiografiche ci sia di mezzo anche qualche benedetta gola profonda. Ma questo non cambia i termini della questione perche' alcuni ed importanti segnali sono gia' arrivati. Al Cmm si e' detto, infatti, che delle carte sono gia' state ritrovate, anche se si tratta, per ora, di documentazione di assai relativa importanza, perche', per quanto riguarda il grosso dei fascicoli, ci si e' dovuti fermare davanti ai timbri "segreto" o "riservato" apposti su ogni pagina. Come si accerto' a suo tempo per il carteggio dei ministri Martino e Taviani che nel 1956 decisero di bloccare l'inchiesta sugli assassini di Cefalonia. Allora, quando il Cmm condusse l'indagine sul ritrovamento di quei fascicoli, ci vollero ben tre anni di continue, reiterate e pressanti sollecitazioni per arrivare alla desecretazione. Chissa' quanti ce ne vorranno oggi con il mefistofelico La Russa, ministro della Difesa, che dovra' vedersela con le storie dei militari italiani, i comandanti specialmente, intendo, che obbedendo agli ordini di Mussolini, compirono in Grecia, Albania, Jugoslavia, Unione Sovietica, azioni meritorie del titolo di campioni del mondo, primi addirittura rispetto ai nazisti e alle SS. Altro che italiani brava gente. Basti ricordare le circolari del generale Roatta, nei Balcani, che ordinava di ripagare "testa per dente", e del generale Geloso che in Grecia imponeva di dare fuoco ai villaggi da cui partivano gli attentati e di fucilare senza tanti distinguo gli ostaggi che capitavano a tiro. In fondo, tanto per riequilibrare i fatti, le disposizioni che imponevano ai nazisti la fucilazione di dieci ostaggi per ogni tedesco ucciso, impartite dal "povero" maresciallo Albert Kesserling, comandante supremo per il Mediterraneo, in nome di Hitler, erano state formulate nel 1943. Quindi, constata Sergio Dini, erano assai successive rispetto a quelle dei suoi colleghi italiani, che si erano ammantati del diritto di vita e di morte sin dal 1941. * La commissione Gasparotto Un passo indietro, anzi molti passi indietro, andiamo agli anni '45-'46. C'e' prima, a liberazione avvenuta, il governo presieduto da Ferruccio Parri che da subito fa iniziare le inchieste per accertare le carneficine che nazisti e fascisti hanno compiuto. C'e' la decisa volonta' di perseguire i colpevoli, e in questa direzione si muove il procuratore generale militare di allora Umberto Borsari. Ma nasce un altro problema: quel che gli invasori italiani hanno commesso nei teatri di guerra aperti dal fascismo alla ricerca di nuove terre, che poi, come si sa, non verranno mai conquistate, anzi ne perderemo parecchie di quelle che gia' avevamo. Ma questo e' un altro discorso. Per capire e valutare bene le accuse che vengono rivolte ai militari italiani - c'era una lista di oltre ottocento personaggi di cui veniva richiesta l'estradizione - viene nominata una commissione d'inchiesta. A presiederla fu chiamato Luigi Gasparotto, gia' ministro della guerra in epoca prefascista, esponente della Democrazia del Lavoro, successivamente, dopo la caduta del fascismo, piu' volte ministro, lui dovra' valutare l'operato di coloro che erano stati denunciati dai paesi invasi dai due gran marescialli dell'impero, Vittorio Emanuele e il suo duce. Presidente del Consiglio e' Alcide De Gasperi, di quel governo fanno parte anche comunisti e socialisti, un classico centrosinistra, insomma. Gasparotto, il cui figlio Leopoldo era stato assassinato insieme ad altri 71 poveri cristi, da fascisti e nazisti nel lager di Fossoli, nei pressi di Carpi, si mette al lavoro. Oltre a Roatta e Geloso deve esaminare il comportamento del generale Robotti, quello che sbraitava con i suoi uomini "qui se ne uccidono troppo pochi"; del generale Gambara che spiegava ai sottoposti "campo di concentramento non significa campo di ingrassamento"; del generale Pirzio Biroli che in Etiopia, come ricorda Alessandra Kersevan, nel suo libro sui lager italiani, faceva buttare nel lago Tana i capitribu' con una pietra legata al collo. E ancora, altri generali: Magaldi, Caruso, Sorrentino, Piazzoni, Baistrocchi... Ma anche molti ufficiali di grado inferiore che andavano proclamando: "quelli", che fossero sloveni, greci, albanesi, eccetera, andavano "uccisi senza pieta'". C'erano, poi, gli alti funzionari civili, non meno abietti dei loro colleghi in divisa, come Bastianini, Giunta, Grazioli... Gasparotto si mise al lavoro: interrogo', acquisi' documentazione, fece confronti. Intorno alla fine del 1947 e i primi mesi dell'anno successivo aveva terminato il suo lavoro. Dei tanti casi che aveva esaminato risulto' che in poco meno di un'ottantina le accuse risultavano provate. Ma, intanto, il governo aveva cambiato fisionomia: c'era sempre De Gasperi, con al fianco il fido Andreotti, ma comunisti e socialisti non erano piu' nella maggioranza. Quindi la destra, come accade oggi, aveva tutti i poteri e cosi' nascose le stragi commesse in Italia dai nazifascisti e quelle perpetrate da Roatta e compagni in giro per l'Europa. * Un affare privato Appena un anno o due dopo, siamo tra il '48 e il '49, un giudice istruttore militare, avendo evidentemente annusato quell'aria di lassismo e di perdonismo, ebbe l'impudenza di scrivere in una sentenza: "...non procediamo contro i nostri perche' gli jugoslavi non procedono contro i loro...". A proposito del divo Giulio, val la pena di sottolineare che, interrogato in Commissione parlamentare - quella che avrebbe dovuto dirci chi, come, quando e perche' decise l'armadio della vergogna numero 1 - riferendosi al carteggio Martino-Taviani, che blocco' l'inchiesta sugli assassini di Cefalonia, ha avuto il coraggio di dire che si trattava di un affare "privato". Testuale: "privato". E il centrodestra di oggi, parlo della Commissione, se n'e' servito, come il centrodestra di ieri, per cercare di cancellare quel che gli scottava e gli scotta. * Postilla. Il libro. Gli scheletri segreti "L'armadio della vergogna" fu aperto nel 2004, aveva le ante rivolte contro il muro e svelo' le atrocita' di nazisti e fascisti, tra il settembre del '43 e l'aprile del '45, che si accanivano sui civili italiani disarmati. Nei mesi successivi alla Liberazione, molti dei colpevoli furono individuati e furono aperti procedimenti penali. Ma dal 1947 una mano ignota occulto' tutto. Fu grazie a un'inchiesta di Franco Giustolisi che l'esistenza di quei fascicoli fu portata alla luce. La storia delle stragi e dell'insabbiamento e' raccontata nel suo libro, L'armadio della vergogna, uscito nel 2004 per Nutrimenti edizioni. 2. FRANCO GIUSTOLISI: CEFALONIA IMPUNITA? [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 luglio 2008 col titolo "Cefalonia impunita? Procura militare sotto indagine disciplinare" e il sommario "Storia. Nessun responsabile per la strage nazista nella quale furono uccisi seimila soldati italiani che si erano opposti alla resa all'esercito tedesco? Forse si apre uno spiraglio. Ma ancora nessun rinvio a giudizio per il fucilatore del generale Gandin"] Un'accusa di negligenza? E' quella che rischia il procuratore militare di Roma, Antonino Intelisano, per la ritardata apertura dell'inchiesta sul massacro di Cefalonia. Ecco i fatti. L'11 agosto dell'anno passato, Guido Ambrosino, corrispondente del "Manifesto" da Berlino, nell'articolo dal titolo "Una pietra sulla strage di Cefalonia", scriveva che il procuratore federale di Dortmund, Ulrich Maass, aveva chiuso, come gia' fatto dal suo collega di Monaco, August Stern, ogni indagine. Nella sua ordinanza scrivera' che quei crimini - migliaia di soldati italiani trucidati dopo aver alzato bandiera bianca - sono ormai prescritti in quanto non era stata ravvisata alcuna aggravante. Il che e' falso come se l'acqua di fonte potesse essere paragonata a uno scarico di fogna. Ma quel che piu' sconcerta non e' stato tanto il passare all'archivio l'esistenza e la storia di tante giovani vite troncate perche' avevano compiuto il loro dovere, quanto il fatto che chi di dovere, cioe' la procura militare di Roma, pur essendo a conoscenza che alcuni nazisti, responsabili dell'eccidio, non avevano o non hanno ancora esalato l'ultimo criminal respiro, non abbia esercitato il dovere, che hanno anche i magistrati militari, dell'obbligatorieta' dell'azione penale. All'articolo di Ambrosino fara' seguito una lettera aperta al presidente della repubblica Giorgio Napolitano, all'allora primo ministro Romano Prodi e ai titolari dei dicasteri interessati. Firmatari: Marcella De Negri, figlia del capitano Francesco De Negri, trucidato in quell'isola, e chi scrive, il quale dell'armadio della vergogna e dintorni ha fatto ragione di parte della sua vita. Marcella ed io ci domandammo e chiedemmo il perche' di questo silenzio, impotenza e lassismo da parte italiana. Quando fu scoperto l'armadio nel giugno del 1994, tra i tanti fascicoli affioro' anche quello sulla vera e propria tragedia avvenuta in quell'isola greca. Ma risulto' che gli assassini, i cui nomi erano gia' annotati nelle carte ingiallite dal tempo, erano tutti deceduti. Quindi archiviazione, come del resto accadde per quasi tutte le altre stragi avvenute all'estero e in Italia a opera di nazisti e fascisti. Archiviazioni avvenute all'insegna della faciloneria (era passato quasi mezzo secolo, molti colpevoli erano morti, come un gran numero di testimoni...), del disinteresse, del silenzio della stampa in parte perche' non aveva saputo, in parte perche' schiava come al solito del potere politico, aveva annusato l'aria dell'"abbiamo gia' tante grane, non creiamocene delle altre". Eccezioni importati, cito le principali, avvennero nelle procure militari di Torino (condanna all'ergastolo dell'ex capitano delle SS Theo Saeveck), di Verona (stessa condanna per l'SS ucraino Michael Seifert, sadico aguzzino omicida, estradato dal Canada, l'unico, se non sbaglio, ora a riposo forzato nella fortezza di Gaeta). Discorso a parte merita La Spezia, dove sono state aperte molte inchieste, tra le piu' importanti quelle di Stazzema e Marzabotto, conclusesi a processo, con tanti ergastoli sia pure in contumacia. A proposito, il nuovo ministro degli esteri, che sembra tanto la rana di Esopo e di Fedro, se non ha altro da fare perche' non si interessa dell'esecuzione di queste sentenze, o tutta la giustizia italiana va buttata nel cesso? Nella lettera aperta, Marcella De Negri ed io ricordavamo che a parte la primitiva e frettolosa archiviazione per morte degli indagati, i nomi di altri colpevoli in vita erano venuti alla luce, come quello del sottotenente Otmar Muehlhauser, l'ufficiale che comando' i plotoni di esecuzione che misero a morte, alla Casetta Rossa, il comandante della divisione Acqui, generale Antonio Gandin e 137 altri ufficiali. Un tipo schietto quel Muehlhauser: disse nei suoi interrogatori in Germania, che gli italiani meritavano la morte in quanto "traditori". Concetti analoghi ripete', sotto falso nome, il 12 dicembre 2001 in un'intervista alla collega tedesca Christian Kohl della "Suddeutsche Zeitung", ripresa da "La Repubblica", che poi lo intervisto', con il suo vero nome, l'11 agosto del 2004. Forse alla procura militare di Roma non leggevano i giornali? Forse. Ma nel maggio del 2003 dalla procura federale di Dortmund, arrivo' la richiesta, formulata personalmente da uno o due magistrati tedeschi, di alcune rogatorie. Quindi ecco che la tanto disinformata procura militare di Roma era stata, finalmente, messa al corrente. Nella sua risposta a quella lettera aperta, il procuratore Intelisano, faceva presente, sempre sul "Manifesto", il 30 agosto, che non si possono processare i morti ne' coloro che sono stati gia' processati. Concetti di cui persino i due sprovveduti mittenti di lettere erano al corrente. Ma non si trattava evidentemente ne' di morti ne' di persone gia' processate. Concludeva il procuratore italiano che avrebbe chiesto gli atti al suo collega di Dortmund, per riaprire, "nel caso", l'inchiesta: si spera non a morte gia' avvenuta degli indagati. Un giudice militare ha presentato al Consiglio della magistratura militare (Cmm), di cui fa parte, un esposto, allegando gli scritti apparsi su questo giornale, chiedendo che venga fatta luce, che cioe' si chiarisca perche' la procura militare di Roma non abbia aperto l'inchiesta nei tempi dovuti, e che, di conseguenza, venga aperta una eventuale azione disciplinare. Titolari di questa, ripetiamo, eventuale azione, sono il procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione, Alfio Massimo Nicolosi, e il ministro della Difesa. Sono arrivate, a quanto sembra, alcune risposte: Roma non ha proceduto date le contemporanee inchieste aperte in Germania (ma non esiste l'obbligatorieta' dell'azione penale? ndr). Se si fosse attivato in Italia il processo, tutt'al piu' avrebbe comportato delle condanne in contumacia. Comunque, non appena sono arrivati gli atti inviati dai magistrati tedeschi, si e' proceduto immediatamente con l'apertura di "atti non costituenti notizia di reato" (la prudenza non e' mai troppa, ndr). Un paio di mesi dopo, a seguito delle prime indagini, gli atti sono stati modificati con l'intestazione di "estremi di reato a carico di noti". E' il caso di ricordare che il 21 settembre prossimo si arrivera' ai 65 anni, diconsi sessantacinque, di ricorrenza di quel massacro? Altro che sospensione dei processi per un anno: Berlusconi ha commesso solo un errore, non aver fatto in modo, lui che ha trovato tante scappatoie pro domo sua, di non farsi processare dai magistrati militari. 3. FRANCO GIUSTOLISI: UN VECCHIO FALDONE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 agosto 2008 col titolo "Armadio della vergogna 2, arrivano le prime prove. La documentazione nel palazzo dove fu occultato per 60 anni il primo"] Un vecchio faldone scuro, alto una decina di centimetri. Roso dal tempo, sbrecciato, polveroso. Ha un'eta' ragguardevole, poco meno di 60 anni. A fatica si legge l'intestazione: "Criminali di guerra - Proced. (sta per procedimenti, ndr) contro Roatta ed altri" (seguono i nomi di altri 32 imputati, ndr). Altra documentazione che si scova nel cinquecentesco palazzo di via degli Acquasparta, in Roma, dove hanno sede i vertici della giustizia militare e dove fu trovato, nel giugno del 1994, l'armadio della vergogna, che nascondeva i fascicoli delle stragi commesse dai nazifascisti, nel nostro paese, dall'8 settembre del 1943 al 25 aprile del '45. Decine e decine di migliaia di morti, all'enorme maggioranza dei quali si deve ancora giustizia, che la memoria tende a dimenticare e che la storia fatica ancora ad inserire nel suo tabellino di marcia. Ora di questo secondo armadio della vergogna di cui ho gia' parlato sul "Manifesto" di circa un mese fa, e che e' figlio o padre del primo, come cerchero' di spiegare piu' avanti, si individuano le prime tracce per via di questo faldone. Contiene riferimenti alla Commissione d'inchiesta presieduta dal senatore, antifascista di lunga data, Luigi Gasparotto. Fu nominata il 6 maggio del 1946 da un governo che oggi chiameremo di centrosinistra e che piu' di un anno dopo un governo di formazione opposta, un berlusconiano di destra diremmo oggi, si incarico' di annullare in ogni modo, nascondendo i risultati agghiaccianti. Riguardavano le imprese compiute dai generali fascisti nei territori aggrediti dal fascismo: Jugoslavia, Albania, Grecia, Unione Sovietica, Etiopia. Fu una gara, tra loro e i nazisti, SS comprese, a chi si distinguesse in bieca crudelta'. * I due armadi Italiani brava gente? No: italiani brutta gente. Ho alluso ad una stretta parentela tra i due armadi perche' in quegli anni il primo governo che si richiamava alla Resistenza e alla lotta partigiana, quello presieduto da Ferruccio Parri, voleva rendere giustizia alle vittime dei nazifascisti. Ma anche jugoslavi, greci, albanesi, sovietici esigevano giustizia per i massacri compiuti dalle truppe inviate da Mussolini per "conquistare terre al sole". Allora un governo che non aveva fascisti in senso organico nel suo seno, ma che fascista era d'animo, e che io ho individuato nel mio libro L'armadio della vergogna, nel primo o nel secondo governo De Gasperi di centrodestra, si distinse per uno sporco lavaggio di mani: si vogliono perseguire gli aguzzini nazifascisti responsabili degli eccidi in Italia, non si possono non perseguire coloro che hanno commesso crimini della stessa natura all'estero. La decisione finale: tutto fu annullato, tutto fu occultato, tutto fu fatto dimenticare. Ma alla fine i nodi, come si usa dire, vengono al pettine. E' vero, c'e' voluto piu' di mezzo secolo, ma che vogliamo farci, questa e' l'Italia. Nell'immediato dopoguerra faceva sparire brutalmente quel che serviva a bloccare la giustizia, oggi uomini che vengono dal niente si inventano il lodo, che e' un dolo, per arrivare agli stessi risultati. Bisogna dare atto ai "nuovi" della loro maggiore eleganza rispetto ai "vecchi": ci mettono persino l'avallo del Parlamento. * Dove sono le carte? Torniamo all'armadio della vergogna numero due, la cui esistenza fu prospettata al Consiglio della magistratura militare dall'ex procuratore militare di Padova Sergio Dini, ora passato, come circa la meta' dei suoi colleghi, alla magistratura ordinaria. Dini poneva il problema: dove sono finite le carte della Commissione Gasparotto? S'e' voluto eludere la giustizia? Misteri, ancora misteri, sempre misteri. "La prego, perlomeno per quel che riguarda l'oggi, non mi riferisco evidentemente ad un lontano passato, che lei ha illustrato nel suo libro, non usi il termine misteri - dice Alfio Massimo Nicolosi, procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione, in breve la massima autorita' della giustizia in stellette - lei dice misteri, ma per quel che ci riguarda non ce ne sono. Non appena ho ricevuto l'esposto del procuratore Dini ho immediatamente incaricato il qui presente capo della segreteria, dottor Alessandro Bianchi, di cercare per ogni dove quello che lei ha definito l'armadio della vergogna numero 2. Ma la montagna, e lo dico senza facile ironia, ha scoperto solo un topolino, cioe' il faldone di cui stiamo parlando. Conteneva soltanto o prevalentemente corrispondenza sul tema crimini di guerra asseritamente compiuti dall'esercito italiano in terre straniere. Da una prima sommaria e superficiale visione ho accertato che si tratta di documentazione che potrebbe avere solo un valore storico. C'erano timbri di riservatezza, di segretezza, eccetera. Ne ho chiesto l'eliminazione ai ministeri competenti, la Difesa ha gia' acconsentito, debbono ancora rispondere gli Esteri e gli Interni: Ed io sto provvedendo ad inviare tutto questo materiale al Consiglio della magistratura militare che decidera' cosa farne e se, eventualmente, aprire un'altra inchiesta come fece tra il 1996 e il 1999 per l'armadio della vergogna numero uno". Ma dove sono finite le conclusioni dell'inchiesta condotta da Gasparotto? "Ah, questo proprio non lo so, puo' fare tutte le ipotesi che vuole... Un momento, dimenticavo una cosa: in quel faldone c'e' anche una sentenza, mi sembra che risalga al 1951. E trattandosi di una sentenza che non puo' essere soggetta ad alcun segreto, ne puo' fare richiesta ed ottenerla". Dottor Bianchi, lei che e' il ritrovatore degli armadi, individuo' quello che conteneva i fascicoli delle stragi commesse dai nazifascisti con gia' annotati i nomi dei criminali che le avevano compiute, ha faticato piu' questa volta o la precedente? "Senz'altro la prima volta, chi poteva pensare, cosi', di prima intenzione, che quell'armadio seminascosto potesse contenere carte cosi' interessanti: girai, girai, sinche' alla fine mi decisi a vedere anche li'... Questa volta e' stato molto piu' semplice. Ho pensato che poteva trovarsi, quel materiale, soltanto nell'archivio dell'ex procura generale presso il tribunale supremo militare, che ormai non c'e' piu'. E alla fine, ho trovato quel faldone inserito tra tanti altri in una delle incastellature metalliche...". Ma non e' possibile che le risultanze della Commissione Gasparotto siano occultate da qualche altra parte in questo enorme palazzo? "Tenderei ad escluderlo perche' tutti i locali sono stati rinnovati e, poi, dopo la ricerca dell'armadio che lei ha definito della vergogna, ogni angolo era stato ispezionato. Se c'e', e' da qualche altra parte, non da noi". Dove, per esempio? "Presumo al ministero della Difesa, il cui ministro a suo tempo nomino' la Commissione ed e' logico pensare che i risultati siano stati consegnati allo stesso ministero...". * "Condanniamoli tutti, poi..." Ma non e' da escludere, e questa e' una mia supposizione, che sia finito al ministero degli Esteri, dato che dalla documentazione del passato emerge la sua presenza piu' di una volta nello scambio di informazioni con la procura generale militare in tema di stragi nazifasciste e il suo interesse d'ufficio nelle richieste degli stati invasi dal fascismo di ottenere l'estradizione dei criminali di guerra italiani. Ricordo una lettera, scovata dagli storici Filippo Focardi e Lutz Klinkammer, in cui l'allora ambasciatore a Mosca Pietro Quaroni suggeriva al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, con il massimo possibile del cinismo, questa via d'uscita: "Condanniamoli tutti, a morte, all'ergastolo, poi li faremo uscire alla chetichella...". "Non mi sembra - spiega Bianchi - che ci sia corrispondenza di questo tipo. In quel faldone ci sono soprattutto lettere inviate e ricevute dal procuratore generale del tempo, credo Umberto Borsari, ai ministeri della Difesa, degli Esteri, degli Interni e viceversa. Fanno riferimento al problema dei crimini di guerra di cui furono accusati molti generali e altri ufficiali italiani". In attesa che il "malloppo" sbuchi fuori da qualche parte passiamo alla sentenza di cui ho detto e che mi e' stato relativamente facile ottenere al prezzo di cancelleria di euro 4,65, compreso il diritto d'urgenza. Una sentenza curiosa per vari motivi. Anzitutto perche', con mia relativa sorpresa, viene vistata dal viceprocuratore generale militare Tringali, lo stesso, se ben ricordo, che aveva inviato una sorta di circolare sulla strage delle Ardeatine, per quel che riguardava gli altri colpevoli, oltre a Kappler, questa la conclusione: "...non sembrando conveniente turbare ancora una volta l'opinione pubblica riportando alla ribalta il triste episodio...". Nella sostanza: lasciamo perdere, non facciamo piangere ancora chi ha gia' pianto. E la giustizia? Non aveva ingresso. Come capita oggi, del resto, per altri versi. Fu quella circolare che mi arrivo' in forma anonima nei primi mesi del '96 al giornale dove allora lavoravo, fogli ingialliti dal tempo, sbrecciati, in parte illeggibili, a convincermi ad iniziare l'inchiesta sull'armadio della vergogna. Ma la sorpresa maggiore mi e' venuta perche' nella sentenza non ci sono i fatti cui conseguirono le imputazioni, solo alcune date che non si comprende a cosa si riferiscano. Non credo che si tratti di motivi di sintesi: la burocrazia se si e' distinta in questo campo, lo ha fatto sempre per il motivo opposto. Quindi tacere, nascondere, far finta di niente. Vengono riportati soltanto i motivi di carattere generale delle imputazioni: "Concorso in uso di mezzi di guerra vietati, concorso in rappresaglie ordinate fuori dai casi consentiti dalla legge" (mi sfuggiva che alcune rappresaglie erano legislativamente consentite, ndr). La premessa si riferisce alle "relazioni del nuovo governo jugoslavo contenenti un lungo elenco di persone ritenute criminali di guerra. Queste relazioni inviate in Italia, vennero esaminate da una Commissione d'inchiesta per i presunti crimini di guerra (leggi Commissione Gasparotto, che aveva ritenuto queste relazioni, quanto meno, fondate, ndr) istituita presso il ministero della Guerra. Accogliendo le proposte di tale Commissione d'inchiesta, il ministero presentava le seguenti richieste di procedimento...". Segue un elenco di 33 nomi, tanti evidentemente, ma assai inferiore agli oltre ottocento denunciati dalle nazioni aggredite dal fascismo. In questa sentenza, come si vedra', quasi tutti gli imputati avrebbero dovuto rispondere dei loro crimini commessi in Jugoslavia. Mancano pero' i nomi di tutti gli altri, non si sa se per loro sono state emesse sentenze di altri tribunali militari dopo le inchieste della Commissione Gasparotto. "Roatta Mario, Comandante della II Armata; Robotti Mario, comandante dell'XI Corpo d'Armata e, successivamente della II Armata; Bastianini Giuseppe, governatore della Dalmazia; Magaldi Gherardo, presidente di un Tribunale Straordinario in Dalmazia; Serrentino Vincenzo, membro di detto Tribunale; Giunta Francesco, governatore della Dalmazia; Alacevich Giuseppe, segretario del Fascio di Sebenico; Rocchi Armando, comandante della sezione di Sabbioncello; Pirzio Biroli Alessandro e Zani Francesco, il primo Governatore del Montenegro ed il secondo comandante di una grande unita' in Montenegro; Gambara Gastone, comandante dell'XI Corpo d'Armata; Coturri Renato, comandante del V Corpo d'Armata; Grazioli Emilio, Alto commissario per la provincia di Lubiana; Dal Negro Pier Luigi, Sestili Gualtiero, Fais Giovanni, Sartori Giuseppe, Viscardi Giuseppe, Delogu Giuseppe, gia' in sevizio in Jugoslavia; Barbara Gaspero, prefetto di Zara, Brunelli Roberto e Spitalieri Salvatore, gia' in servizio in Montenegro; Testa Temistocle, prefetto di Fiume; Fabbri Umberto, comandante del V Raggruppamento g.a.f.; Roncoroni Alfredo e Gaetano Giuseppe, in servizio alle dipendenze del Comando dei Carabinieri della Dalmazia; Viale Carlo, comandante la Divisione "Zara"; Manutello Fabio, ufficiale della Divisione "Bergamo"; David Tommaso, comandante della 28ma Compagnia M.v.a.c.; Scalchi Ivan, comandante della 107ma Legione M.v.s.n. in Zara; Mauta Eugenio, Commissario civile di Cabar; Cassanego Emilio, Commissario civile del Distretto di Ornomeli; Giorleo Armando, comandante del I battaglione del XXVI G.a.f; Magaldi Gherardo, quale presidente di un tribunale militare in Atene". Ma di questa sentenza quel che piu' colpisce e' la chicca finale: "Tutti non punibili per mancanza di parita' di tutela penale da parte dello stato nemico (dimenticando persino un ex davanti a quel nemico, ndr)". Il tutto sulla base di una "comunicazione del ministero degli Esteri", espressamente citata: "Gli stati ex nemici di cui trattasi non garantiscono la parita' di tutela penale allo Stato italiano ed in pratica cio' ha portato ad assicurare l'impunita' a molti stranieri responsabili di gravi delitti contro combattenti e prigionieri italiani", che, non va dimenticato, erano gli invasori. Il tutto firmato da: "Giudice istruttore militare, ten. gen. B. Olivieri". Sembrano affermazioni di leghisti e fascisti che dicono: nei paesi islamici non vogliono far costruire chiese e noi non faremo costruire moschee. Quella comunicazione del ministero e' datata 2 luglio 1951, la sentenza e' del 30 luglio dello stesso anno, esattamente 29 giorni dopo. Nessuno mi togliera' dalla testa che i giudici militari prima di esprimersi hanno atteso il "la" politico del governo attraverso il ministero degli Esteri. E appena sette giorni dopo, precisamente il 6 agosto, una grande scritta, a margine della sentenza, con tanto di firme e timbri, annuncia: "La presente sentenza e' definitiva". Una specie di lodo Alfano, insomma, che io preferisco chiamare dolo. * Appendice prima: I documenti scomparsi. Armadio o "cassonetto", e' sempre una vergogna Dino Messina sul "Corriere della sera" del 7 agosto, riprendendo il mio articolo apparso sul "Manifesto" del 27 giugno intitolato "L'armadio della vergogna 2", da' la parola al procuratore militare di Roma il quale dice: "Si tratta di una invenzione giornalistica che non corrisponde alla realta' delle cose". Lo vuol chiamare comodino, etagere, cassapanca, como', armadietto, si accomodi ma sempre della vergogna e'. Comunque, come avra' potuto leggere in questo articolo, altri suoi colleghi non sono d'accordo con i suoi concetti. In piu' il "carrello con alcuni faldoni che portano il segno degli anni", come scrive Messina, non contiene i risultati della commissione Gasparotto bensi' alcune carte di processi, da cui ho ricavato quello che pubblico. Il procuratore cerca, su quel carrello, le carte della strage di Domenikon in Tessaglia, dopo l'esposto inviatogli dal suo ex collega Sergio Dini che gli ha fornito anche i nomi degli storici che diligentemente lui cita. Un tempo la magistratura militare era al servizio del potere, poi, dal 1980, non piu'. Come mai tanta cautela? Riemerge il fetido odore del passato? * Appendice seconda: Stragi nazifasciste e misteri Un faldone scuro e polveroso intestato "Criminali di guerra" riguarda 33 imputati, ma e' pieno di omissis e timbri di segretezza. Fa riferimento alla commissione d'inchiesta Gasparotto del '46, i cui atti furono fatti sparire per nascondere le "imprese" compiute dai generali fascisti in Jugoslavia, Albania, Grecia, Unione Sovietica ed Etiopia. E intanto oggi si ricorda l'anniversario dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema. * Appendice terza: Gli imputati. Da Roatta a Biroli, le gesta dei comandanti fascisti Mario Roatta, grande amico di Galeazzo Ciano, direttore del Sim, il servizio segreto militare che ideo' e attuo' l'assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli. Comandante della II Armata in Croazia, ordina ai suoi uomini di "applicare le mie disposizioni senza falsa pieta'". E' rimasta famosa la sua invettiva contro le popolazioni aggredite da Mussolini: "Non dente per dente, ma testa per dente". Arrestato nel dopoguerra per l'omicidio dei fratelli Rosselli, evase con l'aiuto del Sim e dei carabinieri. Mario Robotti, successore di Roatta nel comando della seconda Armata in Croazia. Spronava i suoi ufficiali con questa frase: "Qui ne ammazziamo troppo pochi". Di croati, s'intende. Gastone Gambara, comandante dell'XI Corpo d'Armata. Invitava i suoi sottoposti a distinguere: "Questi sono campi di concentramento non di ingrassamento". Alessandro Pirzio Biroli, governatore del Montenegro. Durante l'invasione dell'Etiopia si distinse per il "giochino" che ordinava ai suoi: faceva legare una pietra al collo dei capitribu' ribelli per poi farli gettare nel lago Tana. 4. FRANCO GIUSTOLISI: SESSANTACINQUE ANNI DI SILENZIO [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 novembre 2008 col titolo "65 anni di silenzio" e il sommario "Da Cefalonia a Marzabotto, i massacri di nazisti e repubblichini sono ancora 'casi' senza risposta"] Sessantacinque anni. Sessantacinque anni di attesa. Di silenzi. Di angosce. Di ingiustizia. Sessantacinque anni: tanti ne sono passati da quando i nazisti, seguiti a ruota dai repubblichini, dettero inizio ai massacri. Forse i primi due, dal 20 al 21 settembre del '43, furono compiuti a Cefalonia e a Matera, la citta' antesignana a insorgere contro l'invasore. E poi Civitella Val di Chiana. E poi Capistrello. E poi Sant'Anna di Stazzema. E poi Fivizzano. E poi Marzabotto. E poi, e poi, e poi... Una sfilza di altre atrocita'. Un registro degli orrori che elenca ben 2.274 voci di reato. Sono omicidi a danno di bimbi, alcuni in fasce, altri mai nati perche' cavati dai ventri materni e usati come bersagli. Donne, vecchi. Una recente letteratura, chiamiamola cosi', ha cercato di rovesciare la storia versando lacrimucce sulla sorte dei vinti, facendo finta di dimenticare quel che fecero durante quella nobile gara, tra SS e bande nere, a chi fosse il piu' feroce. E quanti furono i morti innocenti, i civili che non avevano commesso reati, e i militari che avevano fatto il loro dovere? E chi lo sa? Quindicimila. Ventimila. Trentamila. La Commissione parlamentare d'inchiesta, nata dopo una difficilissima battaglia contro la netta ostilita' del centrodestra e la semi-indifferenza del centrosinistra non si e' occupata di questo aspetto. E' vero, non faceva parte dei compiti assegnati, ma non ci sarebbe voluto nulla a muoversi anche in questa direzione. Il Parlamento ha taciuto, e anche grossolanamente falsato come poi spieghero'. Le grandi associazioni hanno addirittura cestinato le proposte fatte in questo senso che pure avevano ottenuto il consenso della base. Non ne conosco il motivo esatto. Vado a naso: una certa pigrizia mentale, una massiccia dose di "queta non movere", il timore parossistico di fare azioni non gradite agli eredi del vecchio Pci che aveva cercato di chiudere definitivamente e sconsideratamente con i fascisti che poi, invece, ci ritroviamo al governo... Fate voi, ma questi sono i fatti. Per ordine del centrodestra, con una specie di dolo-lodo Alfano, tutto fini' nel nulla tra il 1946 e il '47. Solo 18 processi furono celebrati in quei cinque decenni, e di risibile importanza, a eccezione di quello a Walter Reder per la strage di Marzabotto (fu condannato all'ergastolo, ma poi fu graziato); quello a carico dei criminali nazisti di Rodi, rei di scientifici massacri (ebbero pene pesantissime, ma all'indomani della condanna varcarono silenziosamente i nostri confini dato che erano stati graziati dal presidente Luigi Einaudi); quello al maggiore delle SS Josef Strauch, uno dei sedici responsabili della strage delle paludi di Fucecchio, o padule come dicono i toscani, dove furono uccisi 184 civili (i magistrati militari gli comminarono tre anni, con tutte le attenuanti possibili e immaginabili, compresa quella di aver combattuto a fianco degli italiani nella guerra fascista). Questi i fatti incontestabili presi in esame dalla Commissione parlamentare che lavoro' per quasi due anni, dal 2004 in poi. Centrosinistra e centrodestra si divisero solo nell'orrido finale con due distinte relazioni. Il centrosinistra rimase nel vago. Gli altri, i compari dei predecessori che avevano creato l'armadio, furono, invece, assai precisi e calzanti. La loro relazione fu affidata a Enzo Raisi, deputato di An, uomo indubbiamente in preda ai geni e ai fumi del passato. In quelle carte e' scritto testualmente che quei fascicoli rimasero in panne per "noncuranza" dei magistrati militari. Non viene spiegato nelle centinaia di pagine della relazione quali siano i motivi di questa afflizione mentalcorporea. Ma c'era un grosso scoglio da superare: quel carteggio tra due ministri di un governo Segni, futuro presidente della Repubblica. Gaetano Martino, ministro degli Esteri, e Paolo Emilio Taviani, ministro della Difesa (liberale il primo, democristiano il secondo) si scrivono per trovare il modo per affossare l'inchiesta sull'eccidio delle migliaia di militari italiani trucidati a Cefalonia dopo la loro resa. Il primo propone, il secondo acconsente. Al magistrato militare che sollecitava un parere, allora la categoria era soggetta al potere politico, rispondono di lasciar perdere. Era un ordine e fu eseguito. Ma il brillante Raisi trova il modo di cavarsela, prendendo a pretesto la testimonianza del divino Giulio, al secolo Andreotti, che aveva definito "personale", nella sua testimonianza in Commissione, quello scambio di lettere: scrive, dice, sostiene che questa e' la pura, sacrosanta verita'. Dopo la scoperta dell'armadio della vergogna, la figlia del capitano Francesco De Negri, Marcella, si rivolse alla magistratura ordinaria che dopo una serie di palleggiamenti le fece sapere che ormai la questione era chiusa dal 4 giugno 1960, da quando, cioe', il giudice istruttore militare Carlo Del Prato aveva prosciolto per non aver commesso il fatto il generale Hubert Lanz da cui dipendevano gli assassini di Cefalonia. Marcella De Negri, a proprie spese e senza il minimo sostegno delle istituzioni, si rivolse, allora, alla giustizia tedesca, dato che a Monaco di Baviera era sotto processo il sottotenente Otmar Muhlhauser, comandante dei plotoni di esecuzione che fucilarono davanti alla Casetta Rossa 137 ufficiali della divisione Acqui. Costui, interrogato a suo tempo, aveva dichiarato: "Tra noi ufficiali si parlava degli italiani solo come traditori. E i traditori meritano un'unica risposta, l'esecuzione". Il procuratore prese per buone queste parole: lascio' tranquillo il fucilatore e si uni' al coro degli "italiani traditori". Marcella si appello', fece ricorsi, ma l'esito non cambio'. Nel frattempo scopri' che il procuratore militare di Roma, Intelisano, non aveva aperto nessuna inchiesta perche' "la stavano facendo i colleghi tedeschi". Il 16 agosto 2007 Marcella ha inviato una lettera al presidente della Repubblica, pubblicata dal "Manifesto". Intelisano le ha risposto con ampie rassicurazioni: "Riapriremo il caso". Ma non c'e' niente da riaprire, bensi' da aprire. E su questo aspetto e' stata aperta un'indagine dal Procuratore generale militare presso la Cassazione, Alfio Massimo Nicolosi. Intanto Marcella per abbreviare i tempi, quel Muhlhauser ha 88 anni, fa tradurre e autenticare a proprie spese tutti gli atti della magistratura tedesca. Ma la chiusura delle indagini viene inspiegabilmente rinviata di mese in mese. Il Muhlhauser sopravvivra', chissa', arriveremo ai 70-80 anni di attesa. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 295 del 31 gennaio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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