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Minime. 716
- Subject: Minime. 716
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 30 Jan 2009 01:42:02 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 716 del 30 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Umanita', dignita' e rispetto 2. Primo Levi: La zona grigia (parte terza e conclusiva) 3. Maria Serena Palieri intervista Imre Kertesz (2003) 4. Paola Del Vecchio intervista Imre Kertesz (2004) 5. Sergio Paronetto: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 6. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: UMANITA', DIGNITA' E RISPETTO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] "La fonte del concetto di 'diritti umani' e' molto piu' vecchia di qualsiasi religione conosciuta. Si basa sull'antico convincimento etico che noi dovremmo trattare ogni persona nel modo in cui vorremmo essere trattati noi stessi. (...) Noi desideriamo essere trattati con umanita', dignita' e rispetto. Percio' dobbiamo trattare gli altri con umanita', dignita' e rispetto. Sfortunatamente gli esseri umani spesso non si trattano bene l'un l'altro. (...) Le umiliazioni ed il genocidio subiti dal popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale, il massacro degli armeni da parte dei turchi all'inizio del XX secolo, i campi di concentramento britannici in Sudafrica durante le guerre boere, ci ricordano che nessuna cultura puo' essere compiaciuta della sua condotta verso le altre. E, di questi tempi, non abbiamo bisogno di guardare piu' lontano delle nostre case. Violenza domestica, l'abuso sessuale dei bambini, il trattamento riservato agli anziani, sono tutte questioni che ci interrogano sul nostro personale impegno nel trattare umanamente le altre persone. (...) Percio' il rispetto dei diritti umani si basa davvero sull'etica individuale. Ma anche il concetto di legge si basa, in gran parte, su convincimenti etici. Si basa su cio' che una societa' ritiene valori da promuovere e proteggere. Anche se cio' va contro ai ricchi e ai potenti. Proteggere i diritti umani riguarda quindi il primato della legge: quella regola che dice che essa si applica a tutti allo stesso modo, che tutti siamo uguali di fronte alla legge". Incipit della lezione "Basi giuridiche dell'uso delle leggi internazionali sui diritti umani", tenuta dalla giudice Nazhat Shameem all'Istituto nazionale di giustizia e studi legali delle Isole Fiji. Non so se e' necessario citare una commentatrice meno occidentale di questa, mi sembra poi che le Fiji stiano ben ad oriente rispetto a dove ci troviamo noi, e mi auguro che sia sufficiente. Cio' detto, sembra che questa donna musulmana non consideri le parole "diritti umani" qualcosa di estraneo alla sua cultura, una perversione occidentale o un concetto vuoto. Di piu': insegna ad altri come implementarli. Forma avvocati specializzati in legislazione internazionale sui diritti umani. E conclude la sua bellissima lezione con queste parole: "L'esame che dobbiamo affrontare e' quanto siamo capaci di essere umani con i nostri cittadini meno importanti o meno piacevoli: questo e' il test che ogni civilta' deve superare per chiamarsi tale". * Patriarcati vecchi e nuovi se mai considerano le donne come cittadine di qualcosa, le annoverano certamente nelle categorie "meno importanti" e "meno piacevoli": infatti, i patriarchi sono soliti emanare tonnellate di regole e proibizioni e divieti e codici di comportamento che non si sognerebbero mai di adottare per loro stessi, ma che le donne sono tenute ad osservare minuziosamente pena l'ostracismo, il castigo e la condanna a morte. Di fronte a tali "leggi", quindi, esse non sono uguali. Qualsiasi legge che codifichi la disuguaglianza, che sancisca i proverbiali due pesi e due misure, sfugge al "primato della legge", ed e' percio' contraddizione in termini, tirannia ed abuso. E cio' vale per l'idiozia dell'amministrazione comunale che vieta i cibi "etnici" nel centro storico, per la ferocia di chi ammassa migranti in galere "a permanenza temporanea" e per la violenta arroganza di chiunque pretenda di stabilire una gerarchia fra esseri umani, in virtu' della quale meta' dell'umanita' fa schifo a priori. * Il 19 gennaio 2009, nella valle di Swat in Pakistan sono saltate per aria cinque scuole. Fortunatamente erano vuote per le vacanze invernali, ma il governo ha chiesto agli istituti scolastici ancora in piedi di prorogare tali vacanze almeno sino a marzo, sperando di trovare nel frattempo una soluzione. Gli osservatori locali e stranieri dubitano che sia possibile: l'anno scorso, nella zona, erano gia' bruciate 180 scuole. Si tratta della campagna moralizzatrice contro l'istruzione femminile guidata dal comandante talebano Maulana Fazlullah, un signore che dopo aver rapito gente a scopo di estorsione e ricatto, distrutto e saccheggiato villaggi, decapitato gli oppositori interni e ucciso a fucilate quelli esterni di morale ne deve sapere veramente molto, abbastanza comunque da essere certo che le scuole femminili "promuovono oscenita' e volgarita'". Vuoi mettere quanto sano e pulito e' un omicidio, al confronto. La valle di Swat era un tempo nota come "la Svizzera del Pakistan", e la sua citta' principale, Mingora, meta del turismo "romantico" per le coppie in luna di miele. Il mese scorso a Mingora c'erano cinquanta cadaveri per strada, alcuni decapitati, con cartellini appuntati che vietavano di rimuoverli sino a contrordine dei talebani. E' la sorte toccata anche ad una vedova del villaggio di Kuza Bandai, un'insegnante che manteneva con il proprio lavoro se stessa e tre figli piccoli. Perche' non basta che le donne non studino, non devono neanche avere un impiego. La radio diffonde i messaggi, diretti agli uomini: tenetele a casa o ne pagherete le conseguenze. Ma non c'erano uomini nella casa dell'insegnante, e quando i talebani la affrontarono direttamente la donna si rifiuto' di smettere di lavorare. Percio' fu picchiata, umiliata, uccisa, e al cadavere esposto al pubblico si applicarono delle cavigliere, il segno distintivo delle prostitute. Un anno e mezzo di occupazione talebana ha gia' fatto fuggire dalla valle decine di migliaia di persone e i musulmani fuggiti non la pensano diversamente dagli altri. Jahanzeb Khan sta cercando lavoro a Peshawar per poter portare via da la' la sua famiglia: "I militanti hanno fermato mia moglie e mia figlia, e hanno ordinato loro di mettersi il burqa, minacciando ritorsioni, nonostante tutte e due portassero chador lunghi e pesanti". * Ma a Peshawar c'e' anche Shaista Bibi: e' venuta in citta' per comprare libri scolastici destinati alla sua nipote quindicenne. "Adesso devo trovare un modo sicuro per portarli a mia sorella, che vive nella valle di Swat, in un villaggio vicino a Matta". La sorella maggiore di Shaista, Qudsia Bibi, ha in progetto di non far perdere gli esami alla figlia. La ragazza vuol diplomarsi in primavera, come avrebbe fatto se non le si fosse impedito di andare a scuola. Qudsia, che e' laureata, ha accettato di insegnare anche ad alcune ex compagne della figlia: arrivano a casa sua alla spicciolata, in segreto, con la consegna di dire a chi le ferma per strada che stanno andando a far la spesa o cose simili. Vedete? Desiderano essere trattate "con umanita', dignita' e rispetto". E lo desiderano al punto che nemmeno le minacce di morte riescono a fermarle. Qudsia e le ragazze domani potrebbero essere uccise. A chi consiglia sempre agli altri di "sporcarsi le mani" per giustificare cose simili, in nome della religione, delle tradizioni, delle culture, dell'oppressione imperialista, eccetera, vorrei dire che sono disposta a mettere le mani nel fango, negli escrementi e persino nel fuoco, ma nel sangue delle mie sorelle no. 2. MAESTRI. PRIMO LEVI: LA ZONA GRIGIA (PARTE TERZA E CONCLUSIVA) [Dal sito www.minerva.unito.it riprendiamo il testo del capitolo "La zona grigia" da Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986, pp. 24-52. Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi: fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994; Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992; Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997; Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1976] La stessa "impotentia judicandi" ci paralizza davanti al caso Rumkowski. La storia di Chaim Rumkowski non e' propriamente una storia di Lager, benche' nel Lager si concluda: e' una storia di ghetto, ma cosi' eloquente sul tema fondamentale dell'ambiguita' umana provocata fatalmente dall'oppressione, che mi pare si attagli fin troppo bene al nostro discorso. La ripeto qui, anche se gia' l'ho narrata altrove. Al mio ritorno da Auschwitz mi sono trovato in tasca una curiosa moneta in lega leggera, che conservo tuttora. E' graffiata e corrosa; reca su una faccia la stella ebraica (lo "Scudo di Davide"), la data 1943 e la parola getto, che alla tedesca si legge ghetto; sull'altra faccia, le scritte QUITTUNG UBER 10 MARK e DER ALTESTE DER JUDEN IN LITZMANNSTADT, e cioe' rispettivamente Quietanza su 10 marchi e Il decano degli ebrei in Litzmannstadt: era insomma una moneta interna di un ghetto. Per molti anni ne ho dimenticato l'esistenza, poi, verso il 1974, ho potuto ricostruirne la storia, che e' affascinante e sinistra. Col nome di Litzmannstadt, in onore di un generale Litzmann vittorioso sui russi nella prima guerra mondiale, i nazisti avevano ribattezzato la citta' polacca di Lodz. Negli ultimi mesi del 1944 gli ultimi superstiti del ghetto di Lodz erano stati deportati ad Auschwitz: io devo aver trovato sul suolo del Lager quella moneta ormai inutile. Nel 1939 Lodz aveva 750.000 abitanti, ed era la piu' industriale delle citta' polacche, la piu' "moderna" e la piu' brutta: viveva sull'industria tessile, come Manchester e Biella, ed era condizionata dalla presenza di una miriade di stabilimenti grandi e piccoli, per lo piu' antiquati gia' allora. Come in tutte le citta' di una certa importanza dell'Europa orientale occupata, i nazisti si affrettarono a costituirvi un ghetto, ripristinandovi, aggravato dalla loro moderna ferocia, il regime dei ghetti del medioevo e della controriforma. Il ghetto di Lodz, aperto gia' nel febbraio 1940, fu il primo in ordine di tempo, ed il secondo, dopo quello di Varsavia, come consistenza numerica: giunse a contenere piu' di 160.000 ebrei, e fu sciolto solo nell'autunno del 1944. Fu dunque il piu' longevo dei ghetti nazisti, e cio' va attribuito a due ragioni: la sua importanza economica e la conturbante personalita' del suo presidente. Si chiamava Chaim Rumkowski: gia' piccolo industriale fallito, dopo vari viaggi ed alterne vicende si era stabilito a Lodz nel 1917. Nel 1940 aveva quasi sessant'anni ed era vedovo senza figli; godeva di una certa stima, ed era noto come direttore di opere pie ebraiche e come uomo energico, incolto ed autoritario. La carica di Presidente (o Decano) di un ghetto era intrinsecamente spaventosa, ma era una carica, costituiva un riconoscimento sociale, sollevava di uno scalino e conferiva diritti e privilegi, cioe' autorita': ora Rumkowski amava appassionatamente l'autorita'. Come sia pervenuto all'investitura, non e' noto: forse si tratto' di una beffa nel tristo stile nazista (Rumkowski era, o sembrava, uno sciocco dall'aria per bene, insomma uno zimbello ideale}; forse intrigo' egli stesso per essere scelto, tanto doveva essere forte in lui la voglia del potere. E' provato che i quattro anni della sua presidenza, o meglio della sua dittatura, furono un sorprendente groviglio di sogno megalomane, di vitalita' barbarica e di reale capacita' diplomatica ed organizzativa. Egli giunse presto a vedere se stesso in veste di monarca assoluto ma illuminato, e certo fu sospinto su questa via dai suoi padroni tedeschi, che giocavano bensi' con lui, ma apprezzavano i suoi talenti di buon amministratore e d'uomo d'ordine. Da loro ottenne l'autorizzazione a battere moneta, sia metallica (quella mia moneta) sia cartacea, su carta a filigrana che gli fu fornita ufficialmente. In questa moneta erano pagati gli operai estenuati del ghetto; potevano spenderla negli spacci per acquistarvi le loro razioni alimentari, che ammontavano in media a 800 calorie giornaliere (ricordo, di passata, che ne occorrono almeno 2.000 per sopravvivere in stato di assoluto riposo}. Da questi suoi sudditi affamati, Rumkowski ambiva riscuotere non solo obbedienza e rispetto, ma anche amore: in questo le dittature moderne differiscono dalle antiche. Poiche' disponeva di un esercito di eccellenti artisti ed artigiani, pronti ad ogni suo cenno contro un quarto di pane, fece disegnare e stampare francobolli che recano la sua effigie, con i capelli e la barba candidi nella luce della Speranza e della Fede. Ebbe una carrozza trainata da un ronzino scheletrico, e su questa percorreva le strade del suo minuscolo regno, affollate di mendicanti e di postulanti. Ebbe un manto regale, e si attornio' di una corte di adulatori e di sicari; dai suoi poeti-cortigiani fece comporre inni in cui si celebrava la sua "mano ferma e potente", e la pace e l'ordine che per virtu' sua regnavano nel ghetto; ordino' che ai bambini delle nefande scuole, ogni giorno devastate dalle epidemie, dalla denutrizione e dalle razzie tedesche, fossero assegnati temi in lode "del nostro amato e provvido Presidente". Come tutti gli autocrati, si affretto' ad organizzare una polizia efficiente, nominalmente per mantenere l'ordine, di fatto per proteggere la sua persona e per imporre la sua disciplina: era costituita da seicento guardie armate di bastone, e da un numero imprecisato di spie. Pronuncio' molti discorsi, di cui alcuni ci sono stati conservati, ed il cui stile e' inconfondibile: aveva adottato la tecnica oratoria di Mussolini e di Hitler, quella della recitazione ispirata, dello pseudo-colloquio con la folla, della creazione del consenso attraverso il plagio ed il plauso. Forse questa sua imitazione era deliberata; forse era invece una identificazione inconscia col modello dell'"eroe necessario" che allora dominava l'Europa ed era stato cantato da D'Annunzio; ma e' piu' probabile che il suo atteggiamento scaturisse dalla sua condizione di piccolo tiranno, impotente verso l'alto ed onnipotente verso il basso. Chi ha trono e scettro, chi non teme di essere contraddetto ne' irriso, parla cosi'. Eppure la sua figura fu piu' complessa di quanto appaia fin qui. Rumkowski non fu soltanto un rinnegato ed un complice; in qualche misura, oltre a farlo credere, deve essersi progressivamente convinto egli stesso di essere un messia, un salvatore del suo popolo, il cui bene, almeno ad intervalli, egli deve avere pure desiderato. Occorre beneficare per sentirsi benefici, e sentirsi benefici e' gratificante anche per un satrapo corrotto. Paradossalmente, alla sua identificazione con gli oppressori si alterna o si affianca un'identificazione con gli oppressi, poiche' l'uomo, dice Thomas Mann, e' una creatura confusa; e tanto piu' confusa diventa, possiamo aggiungere, quanto piu' e' sottoposta a tensioni: allora sfugge al nostro giudizio, cosi' come impazzisce una bussola al polo magnetico. Benche' sia stato costantemente disprezzato e deriso dai tedeschi, e' probabile che Rumkowski pensasse a se stesso non come a un servo ma come a un Signore. Deve aver preso sul serio la propria autorita': quando la Gestapo si impadroni' senza preavviso dei "suoi" consiglieri, accorse con coraggio in loro aiuto, esponendosi a beffe e schiaffi che seppe sopportare con dignita'. Anche in altre occasioni, cerco' di mercanteggiare con i tedeschi, che esigevano sempre piu' tela da Lodz, e da lui contingenti sempre piu' alti di bocche inutili (vecchi, bambini, ammalati) da mandare alle camere a gas di Treblinka e poi di Auschwitz. La stessa durezza con cui si precipito' a reprimere i moti d'insubordinazione dei suoi sudditi (esistevano, a Lodz come in altri ghetti, nuclei di temeraria resistenza politica, di radice sionista, bundista o comunista) non proveniva tanto da servilismo verso i tedeschi, quanto da "lesa maesta'", da indignazione per l'oltraggio inferto alla sua regale persona. Nel settembre 1944, poiche' il fronte russo si stava avvicinando, i nazisti diedero inizio alla liquidazione del ghetto di Lodz. Decine di migliaia di uomini e donne furono deportati ad Auschwitz, "anus mundi", luogo di drenaggio ultimo dell'universo tedesco; esausti com'erano, furono quasi tutti soppressi immediatamente. Rimasero nel ghetto un migliaio di uomini, a smobilitare il macchinario delle fabbriche ed a cancellare le tracce della strage: essi furono liberati dall'Armata Rossa poco dopo, ed a loro si debbono le notizie qui riportate. Sul destino finale di Chaim Rumkowski esistono due versioni, come se l'ambiguita' sotto il cui segno aveva vissuto si fosse protratta ad avvolgerne la morte. Secondo la prima versione, nel corso della liquidazione del ghetto egli avrebbe cercato di opporsi alla deportazione di suo fratello, da cui non voleva separarsi; un ufficiale tedesco gli avrebbe allora proposto di partire volontariamente insieme con lui, ed egli avrebbe accettato. Un'altra versione afferma invece che il salvataggio di Rumkowski sarebbe stato tentato da Hans Biebow, altro personaggio ammantato di doppiezza. Questo losco industriale tedesco era il funzionario responsabile dell'amministrazione del ghetto, e in pari tempo ne era l'appaltatore: il suo era dunque un incarico delicato, perche' le fabbriche tessili di Lodz lavoravano per le forze armate. Biebow non era una belva: non gli interessava creare sofferenze inutili ne' punire gli ebrei per la loro colpa di essere ebrei, bensi' guadagnare sulle forniture, nei modi leciti e negli altri. Il tormento del ghetto lo toccava, ma solo per via indiretta; desiderava che gli operai schiavi lavorassero, e percio' desiderava che non morissero di fame: il suo senso morale si fermava qui. Di fatto, era il vero padrone del ghetto, ed era legato a Rumkowski da quel rapporto committente-fornitore che spesso sfocia in una ruvida amicizia. Biebow, piccolo sciacallo troppo cinico per prendere sul serio la demonologia della razza, avrebbe voluto rimandare a oltranza lo scioglimento del ghetto, che per lui era un ottimo affare, e preservare dalla deportazione Rumkowski, della cui complicita' si fidava: dove si vede come spesso un realista sia obiettivamente migliore di un teorico. Ma i teorici delle SS erano di parere contrario, ed erano i piu' forti. Erano gruendlich, radicali: via il ghetto e via Rumkowski. Non potendo provvedere diversamente, Biebow, che aveva buone aderenze, consegno' a Rumkowski una lettera indirizzata al comandante del Lager di destinazione, e gli garanti' che essa lo avrebbe protetto e gli avrebbe assicurato un trattamento di favore. Rumkowski avrebbe chiesto a Biebow, ed ottenuto, di viaggiare fino ad Auschwitz, lui e la sua famiglia, col decoro che si addiceva al suo rango, e cioe' in un vagone speciale, agganciato in coda alla tradotta di vagoni merci stipati di deportati senza privilegi: ma il destino degli ebrei in mano tedesca era uno solo, fossero vili od eroi, umili o superbi. Ne' la lettera ne' il vagone valsero a salvare dal gas Chaim Rumkowski, re dei Giudei. * Una storia come questa non e' chiusa in se'. E' pregna, pone piu' domande di quante ne soddisfaccia, riassume in se' l'intera tematica della zona grigia, e lascia sospesi. Grida e chiama per essere capita, perche' vi si intravede un simbolo, come nei sogni e nei segni del cielo. Chi e' Rumkowski? Non e' un mostro, e neppure un uomo comune; tuttavia molti intorno a noi sono simili a lui. I fallimenti che hanno preceduto la sua "carriera" sono significativi: gli uomini che da un fallimento ricavano forza morale sono pochi. Mi pare che nella sua storia si possa riconoscere in forma esemplare la necessita' quasi fisica che dalla costrizione politica fa nascere l'area indefinita dell'ambiguita' e del compromesso. Ai piedi di ogni trono assoluto gli uomini come il nostro si affollano per ghermire la loro porzioncina di potere: e' uno spettacolo ricorrente, ritornano alla memoria le lotte a coltello degli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, alla corte di Hitler e fra i ministri di Salo'; uomini grigi anche questi, ciechi prima che criminali, accaniti a spartirsi i brandelli d'una autorita' scellerata e moribonda. Il potere e' come la droga: il bisogno dell'uno e dell'altra e' ignoto a chi non li ha provati, ma dopo l'iniziazione, che (come per Rumkowski) puo' essere fortuita, nasce la dipendenza e la necessita' di dosi sempre piu' alte; nasce anche il rifiuto della realta' e il ritorno ai sogni infantili di onnipotenza. Se e' valida l'interpretazione di un Rumkowski intossicato dal potere, bisogna ammettere che l'intossicazione e' sopraggiunta non a causa, ma nonostante l'ambiente del ghetto; che cioe' essa e' cosi' potente da prevalere perfino in condizioni che sembrerebbero tali da spegnere ogni volonta' individuale. Di fatto, era ben visibile in lui, come nei suoi modelli piu' famosi, la sindrome del potere protratto e incontrastato: la visione distorta del mondo, l'arroganza dogmatica, il bisogno di adulazione, l'aggrapparsi convulso alle leve di comando, il disprezzo delle leggi. Tutto questo non esonera Rumkowski dalla sua responsabilita'. Che dall'afflizione di Lodz un Rumkowski sia emerso, duole e brucia; se fosse sopravvissuto alla sua tragedia, ed alla tragedia del ghetto che lui ha inquinata sovrapponendovi la sua immagine di istrione, nessun tribunale lo avrebbe assolto, ne' certo lo possiamo assolvere noi sul piano morale. Ha pero' delle attenuanti: un ordine infero, qual era il nazionalsocialismo, esercita uno spaventoso potere di corruzione, da cui e' difficile guardarsi. Degrada le sue vittime e le fa simili a se', perche' gli occorrono complicita' grandi e piccole. Per resistergli, ci vuole una ben solida ossatura morale, e quella di cui disponeva Chaim Rumkowski, il mercante di Lodz, insieme con tutta la sua generazione, era fragile: ma quanto forte e' la nostra, di noi europei di oggi? Come si comporterebbe ognuno di noi se venisse spinto dalla necessita' e in pari tempo allettato dalla seduzione? La storia di Rumkowski e' la storia incresciosa e inquietante dei Kapos e dei funzionari dei Lager; dei gerarchetti che servono un regime alle cui colpe sono volutamente ciechi; dei subordinati che firmano tutto, perche' una firma costa poco; di chi scuote il capo ma acconsente; di chi dice "se non lo facessi io, lo farebbe un altro peggiore di me". In questa fascia di mezze coscienze va collocato Rumkowski, figura simbolica e compendiaria. Se in alto o in basso, e' difficile dire: lui solo lo potrebbe chiarire se potesse parlare davanti a noi, magari mentendo, come forse sempre mentiva, anche a se stesso; ci aiuterebbe comunque a comprenderlo, come ogni imputato aiuta il suo giudice, anche se non vuole, anche se mente, perche' la capacita' dell'uomo di recitare una parte non e' illimitata. Ma tutto questo non basta a spiegare il senso di urgenza e di minaccia che emana da questa storia. Forse il suo significato e' piu' vasto: in Rumkowski ci rispecchiamo tutti, la sua ambiguita' e' la nostra, connaturata, di ibridi impastati di argilla e di spirito; la sua febbre e' la nostra, quella della nostra civilta' occidentale che "scende all'inferno con trombe e tamburi", ed i suoi orpelli miserabili sono l'immagine distorta dei nostri simboli di prestigio sociale. La sua follia e' quella dell'Uomo presuntuoso e mortale quale lo descrive Isabella in Misura per misura, l'Uomo che, ... ammantato d'autorita' precaria, di cio' ignaro di cui si crede certo, - della sua essenza, ch'e' di vetro -, quale una scimmia arrabbiata, gioca tali insulse buffonate sotto il cielo da far piangere gli angeli. Come Rumkowski, anche noi siamo cosi' abbagliati dal potere e dal prestigio da dimenticare la nostra fragilita' essenziale: col potere veniamo a patti, volentieri o no, dimenticando che nel ghetto siamo tutti, che il ghetto e' cintato, che fuori del recinto stanno i signori della morte, e che poco lontano aspetta il treno. 3. RIFLESSIONE. MARIA SERENA PALIERI INTERVISTA IMRE KERTESZ (2003) [Dal quotidiano "L'Unita'" del 6 settembre 2003 col titolo "Kertesz: Questa democrazia cosi' assurda"] Imre Kertesz, premio Nobel per la Letteratura 2002, arriva al Festivaletteratura accompagnato da Magda, la donna che ha sposato in seconde nozze dopo essere rimasto vedovo. Bionda, abbondante, ridente, Magda Kertesz racconta di essere un'organizzatrice professionale di eventi culturali e di aver dovuto mettere negli ultimi undici mesi questo mestiere al servizio della causa coniugale: sostenere il marito, uomo cresciuto sotto due totalitarismi, il nazismo e lo stalinismo, e vissuto nel culto del proprio anonimato come sola garanzia di liberta' interiore, nella necessita' di darsi d'ora in poi in pasto ai mass media, in quanto "scrittore d'improvviso rivelato a tutto il mondo". E', questa, la ancora sbalordita formula con cui Imre Kertesz si defini' a dicembre scorso ricevendo il premio dagli Accademici di Svezia: per quarant'anni, dal '51, l'anno in cui lascio' il lavoro di giornalista, si era mantenuto nella sua oscurita' di traduttore di Nietzsche, Wittengstein, Canetti, Freud, Roth, Schniztler. Lavoro oscuro ma svolto con gioia perche', racconta, "rendere in ungherese le frasi di Roth, che sono frecce puntate verso l'alto, e' come riscriverne la musica". Disse assai di piu', li' a Stoccolma, nella sua "Lettura": "Non e' facile essere un'eccezione e pensare a quanti sono morti senza avere visto la misericordia". I morti, cioe', di Auschwitz e di Buchenwald, i due lager nei quali, di famiglia ebraica, spese i mesi tra il 1944 e il 1945. Con caustica ironia, Kertesz riassume cosi' la propria parabola: "Mentre ci trasportavano nei vagoni piombati non ci dicevano che il contratto prevedeva, alla fine, il premio Nobel. Ma la vita e' assurda e quest'assegno bisogna saperlo accettare: accettare che ti vogliano ammazzare e, poi, che ci sia gente che abbia voglia di ascoltare in che modo ti volevano ammazzare". Feltrinelli pubblica in questi giorni Fiasco, secondo capitolo della trilogia uscita in Ungheria tra il 1975 e il 1990, che si conclude con Kaddish per un bambino mai nato: tre romanzi legati da un personaggio comune Gyorgy Koves. E l'essere qui, col panama bianco in testa e scarpe comode da jogging ai piedi, al braccio della sua Magda, nonostante l'accoglienza soleggiata che gli fa Mantova sembra far parte, per Imre Kertesz, di un nuovo, ostico, copione post-Nobel. * - Maria Serena Palieri: Fiasco e' un romanzo che lei ha pubblicato a Budapest nel 1988. E la storia contiene, come in un gioco di scatole cinesi, il "fiasco" che l'Ungheria del socialismo reale aveva decretato per il precedente Essere senza destino, il romanzo sul lager, che lei aveva impiegato dieci anni a pubblicare e che aveva provocato la sua definitiva messa al bando. Ma qual e' il "fiasco", lo sconforto, che narra piu' ampiamente? - Imre Kertesz: E' un romanzo che ho scritto sotto il regime comunista e il cui protagonista e' un uomo che scrive sotto lo stesso regime. All'inizio e' chiuso in una stanza piccolissima, cioe' in una situazione come quella dell'epoca brezneviana, quando la vita era una pozzanghera di acqua stagnante. Ma il significato va oltre: ci sono due vie, una e' quella dell'uomo che vuole creare se stesso e l'altra e' quella dell'oppressione senza speranza che il regime impone. Chi opta per la prima, sceglie la liberta', ma incappa nella tragedia perche' non e' possibile agire basandosi su di essa. Il romanzo e', percio', tragico: e' la storia di Sisifo rivisitata alcuni decenni dopo il capolavoro di Albert Camus. * - Maria Serena Palieri: Lei ha sperimentato il nazismo e il regime sovietico. Qual e' stato, nella sua esperienza, il nesso tra i due totalitarismi? - Imre Kertesz: Dico sempre che il regime comunista, su di me, ha avuto l'effetto che la madeleine inzuppata nel te' ha avuto sulla memoria di Proust: ha sprigionato i sapori del passato. Cosa ho vissuto ad Auschwitz l'ho ricordato e capito nell'Ungheria comunista, specie dopo il fallimento della rivoluzione del 1956, quando ho visto come un popolo possa venire sottomesso e i suoi ideali possano essere distrutti; come i moti dell'animo umano possano essere ritorti contro le stesse persone: allora la speranza divento' uno strumento del male e porto' gli individui, passo dopo passo, ad accettare il totalitarismo. Il totalitarismo ti concede di sopravvivere solo se accetti le sue regole. Questa, a ben vedere, e' stata la mia esperienza piu' tremenda. Di questo parlo nel mio nuovo romanzo che esce in Ungheria e in Germania a fine mese: il titolo in italiano significa Resa dei conti. * - Maria Serena Palieri: Lei ha spiegato che, ogni volta che immagina un nuovo romanzo, pensa ad Auschwitz. Perche'? - Imre Kertesz: Perche' Auschwitz ha costituito la frattura etica piu' grande in duemila anni di storia europea. L'arte che non "sente" questa frattura non e' arte, e' solo intrattenimento di massa. * - Maria Serena Palieri: Da uomo sempre sotto scacco lei si e' trasformato in premio Nobel. E intanto l'Ungheria e' diventata un paese libero. Nel rileggere Fiasco in occasione dell'uscita in Italia, le e' venuta la tentazione di un epilogo meno tragico? - Imre Kertesz: Non ritocco mai quello che ho scritto. Quello che ho scritto sotto il comunismo e' autentico tanto quanto quello che ho scritto dopo. E' cambiata solo la situazione. E questo si vede nel nuovo stile del mio nuovo romanzo. * - Maria Serena Palieri: Cosa racconta? - Imre Kertesz: Si svolge negli anni del crollo del Muro, quando le persone sentono che il passato e' scomparso e anche il presente si sta dissolvendo: gli intellettuali d'opposizione, in particolare, escono comunque perdenti, perche' immaginavano un futuro diverso e vedono mancare il loro stesso ruolo. So che molti sono in disaccordo con me, ma io continuo a credere che non bisognasse approfittare neppure dei buchi di liberta' che il totalitarismo concedeva. Nello scrivere Essere senza destino, il mio primo romanzo, sono stato attentissimo a non diventare in alcun modo noto prima di averlo finito, per non cedere ad alcun compromesso. * - Maria Serena Palieri: Ma vuol dire che anche oggi, nonostante tutto, regna l'Assurdo che lei ha saputo raccontare cosi' bene? - Imre Kertesz: La democrazia e' un'assurdita' non facile: chiede allo scrittore una responsabilita' complessa, chiede il consenso. Ha lo stesso potere manipolatorio di altri sistemi, solo che sotto le dittature le persone si nascondono, mentre in democrazia non lo fanno volentieri. Ma dobbiamo stare attenti a non far manipolare il nostro, personale, segreto romanzo. 4. RIFLESSIONE. PAOLA DEL VECCHIO INTERVISTA IMRE KERTESZ (2004) [Dal quotidiano "Il Mattino" del 10 marzo 2004 col titolo "Kertesz e il male"] B e' il misterioso protagonista di Liquidazione, ultimo romanzo - inedito in Italia - dello scrittore ungherese Imre Kertesz che ha ricevuto nel 2002 il Nobel per la letteratura. Come Kertesz, "B" e' traduttore e scrittore. E' nato nel dicembre del 1944 a Birkenau, nel campo di concentramento di Auschwitz dove ai bambini veniva tatuata una lettera e un numero di quattro cifre sulla gamba, a differenza degli adulti che l'avevano impresso sul braccio. La sua vita nasce dalla tragedia: la madre, una ebrea ungherese, era riuscita, con la complicita' della blokova, la comandante polacca della baracca adibita ad ospedale, ad essere iscritta col nome di una prigioniera politica slovena appena morta. Quella "B" al posto della "A", con cui venivano marchiati gli ebrei, aumentava di molto le possibilita' di sopravvivenza. Eppure "B", da adulto, scegliera' il suicidio "come unico modo di fare del bene". Tra le lettere postume dell'amico scrittore, Kaseru' - che Kertesz chiama "l'eroe della nostra storia" - cerca un romanzo inedito, ma si imbarca, senza aspettarselo, nella revisione della propria vita. Con Liquidazione il Nobel ungherese - a Madrid per presentare il romanzo - porta al culmine il progetto letterario cominciato con la trilogia Essere senza destino, Kaddish per un bambino mai nato e Fiasco. Nel libro, breve ma intenso, lo scrittore sopravvissuto nei campi di Auschwitz e Buchenwald, e che per decenni ha sofferto la dittatura comunista nel suo paese, esplora il passato piu' oscuro e il presente piu' incerto dell'Europa contemporanea. * - Paola Del Vecchio: Kertesz, considera un elogio o una critica l'etichetta di autore monotematico, ossessionato da quello che lei chiama "il mito di Auschwitz"? - Imre Kertesz: Naturalmente nasconde molte critiche. Di recente mi e' stato rifiutato l'invito ad un'accademia perche' alcuni dei partecipanti chiesero che non ci fossi: secondo loro rappresentavo solo un argomento, non l'intera Ungheria. Ma queste critiche non mi preoccupano, dato che l'Olocausto e' stata la mia esperienza esistenziale fondamentale ed e' grazie alla letteratura che ho potuto sopravvivere. * - Paola Del Vecchio: Non fu cosi' per tre sopravvissuti poi suicidatisi, Primo Levi, Jean Amery, Paul Celan. - Imre Kertesz: Tutto dipende dalla persona. Per me tutto inizio' quando decisi di capire a fondo che cosa e' accaduto nel momento in cui mi hanno portato in un campo di sterminio, se ero una vittima impotente o partecipavo in forma attiva a quell'ingranaggio. Convertii questa esperienza negativa in esperienza positiva grazie alla creazione. * - Paola Del Vecchio: Il suo romanzo ha un'ardita tecnica narrativa, un linguaggio demolitore e allo stesso tempo vitale. I personaggi sono alla ricerca di una catarsi che permetta loro di superare il passato. - Imre Kertesz: Dal mio primo libro, Essere senza destino, scritto nel 1975, nel quale narravo gli orrori quotidiani di Auschwitz, Buchenwald e Zeitz, utilizzo un linguaggio atonale, quello delle composizioni della musica del XX secolo, caratterizzato dall'assenza del basso continuo. Posso immaginare che equivalga, in un'opera letteraria, alla melodia alla quale si relazionano tutte le voci, un consenso che possa chiamarsi cultura, che e' un insieme di valori condivisi. Nella societa' odierna manca il basso continuo, l'accordo, il consenso rispetto ai valori. Ed e' questo che rifletto nella mia letteratura. I valori oggi appaiono solo in forma ironica. Non servono per sopravvivere ad Auschwitz. Bisognera' trovarne di nuovi, perche' possa crearsi un nuovo consenso. * - Paola Del Vecchio: Un sopravvissuto ai campi di concentramento e al fanatismo stalinista come vive l'attuale momento politico? - Imre Kertesz: Con i totalitarismi non c'e' relazione possibile. Uno e' allo stesso tempo attore e vittima, come nel nazismo. Nel gulag si poteva stabilire una relazione con la politica, ma sempre nella possibilita' lasciata aperta dall'esercito russo che occupava l'Ungheria. Si credeva nella possibilita' di riformare il socialismo, sulla quale io pero' non ho mai sperato. Ero sicuro che un giorno sarebbe finito perche' era contrario alla natura. Oggi c'e' una democrazia in Ungheria, ci sono elezioni libere, si lotta per raggiungere obiettivi economici. * - Paola Del Vecchio: Per poter vivere c'e' bisogno di una resa dei conti col passato? - Imre Kertesz: I totalitarismi pongono le persone in situazioni assurde, senza scelta. La vita diventa un'alienazione. Se uno non riconosce le proprie azioni, non assume responsabilita' e l'unita' della vita si disfa. La liberta' comincia quando tentiamo di fare nostra la nostra vita alienata. Allora ci liberiamo della nostra angoscia. E' molto importante che un popolo compia questo processo, altrimenti si ammala. Le pulsioni rigide, estremiste, possono dissolversi se si produce un dibattito sociale, una democrazia aperta. * - Paola Del Vecchio: In Italia c'e' un grosso dibattito sulla eventualita' di concedere la grazia a Priebke, il criminale nazista delle Fosse Ardeatine. Pensa che bisogna avere clemenza per motivi umanitari? - Imre Kertesz: Non conosco il caso nei dettagli. Posso solo dire: avrebbe potuto scegliere di non essere nazista. * - Paola Del Vecchio: Che cos'e' per Kertesz la dignita' umana? - Imre Kertesz: E' bella da definire, difficile da circoscrivere. Bisogna realizzarla. 5. VOCI. SERGIO PARONETTO: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com) per questo intervento] Mi abbono ad "Azione nonviolenta", una delle riviste che mi accompagnano mensilmente,(assieme a "Mosaico di pace", a "Rocca", a "Nigrizia", a "Confronti") per educarmi ed educare alla pace, per alimentare la fiducia nella possibilita' di cambiare. Quanto sta avvenendo da anni in molte parti del mondo (Darfur e Centro Africa, Palestina-Israele, Iraq e Afghanistan, Centro America e Colombia, Caucaso e Tibet, Balcani e Birmania...) e in Italia ("ossessione sicurezza", forme di neorazzismo) ha conseguenze pesanti. Il logoramento del diritto internazionale e costituzionale incattivisce e corrompe le menti. Crea un clima diffuso di degrado etico, giuridico e istituzionale. Viene svuotata la politica come arte di costruire il bene comune. Vengono rovesciati i valori della convivenza civile. E' un modello disumano (e anticristiano) che gli operatori di pace devono contrastare con la forza progettuale della nonviolenza che, richiamandosi ai pilastri della "Pacem in terris" di Giovanni XXIII, puo' agire come forza di verita', spirito di liberta', economia di giustizia, sviluppo della democrazia, potere dell'amore che trasforma i rapporti umani. Alcune luci sono accese. Qualche stella indica il cammino. La speranza e' seminata nei nostri cuori. 6. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA" "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 716 del 30 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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