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Minime. 671
- Subject: Minime. 671
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 16 Dec 2008 01:32:07 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 671 del 16 dicembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Nonviolenza, una scelta di autonomia 2. Dacia Maraini: Femminicidio 3. Nicola Sessa: Il pizzo delle multinazionali che riforniscono la Nato a talebani e signori della guerra 4. Maria Mataluno intervista Leonardo Casini su Max Horkheimer (2003) 5. Luciana Sica intervista Gianni Vattimo su Herbert Marcuse (2003) 6. Sergio Caroli ricorda Federico Garcia Lorca (2006) 7. Diego Gabutti ricorda Isaac Asimov (2002) 8. Gianfranco Ravasi presenta "Un teologo contro Hitler" di Eraldo Affinati 9. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" 10. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009" 11. L'Agenda dell'antimafia 2009 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. NONVIOLENZA, UNA SCELTA DI AUTONOMIA La scelta della nonviolenza per il movimento di liberazione delle oppresse e degli oppressi e' fondamentale. Ed e' scelta di autonomia, di rottura della subalternita' alle ideologie dominanti della violenza e della menzogna, dello sfruttamento e dell'inquinamento, della gerarchia e del patriarcato, del militarismo e del consumismo. Il movimento di liberazione delle oppresse e degli oppressi deve saper agire storicamente, contestualmente, con un'analisi concreta della situazione concreta, sulla base del principio responsabilita' e dell'etica della cura, del riconoscimento dell'altro e della postura fondata sulla relazione; la sua lotta e' sempre "situata", la sua pratica e' sempre a verifica. Ma deve liberarsi da ogni soggiacenza alle ideologie dell'oppressione e della rassegnazione; deve smascherare i condizionamenti, deve ripudiare l'eteronomia cui i privilegiati e le burocrazie che pretendono di rappresentarlo, e la societa' dello spettacolo che coopera a irretirlo e narcotizzarlo e prostituirlo, vorrebbero ridurlo. La scelta della nonviolenza e' la scelta politica decisiva per un movimento politico di liberazione delle oppresse e degli oppressi che sappia essere portatore di un progetto e una prassi capaci di difendere e inverare legalita', democrazia, solidarieta', riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani, responsabilita' operante per la biosfera. 2. RIFLESSIONE. DACIA MARAINI: FEMMINICIDIO [Dal "Corriere della sera" del 2 dicembre 2008 col titolo "Il triste neologismo 'femminicidio'" e il sommario "Nel 2007 le donne uccise sono state 149, 37 in piu' dell'anno prima"] Femminicidio: una parola che sul vocabolario non c'e', come tante altre parole nate di recente che indicano la divisione di genere. E' vero che la parola "uomo" comprende anche la donna, ma scrivere "omicidio" quando l'uccisione di un essere femminile per mano di un essere maschile si ripete tanto spesso, e' giusto? Ha senso trattare la violenza come anonima e astratta, prescindendo dai generi? Le statistiche ci dicono che non e' lo stesso visto che ogni due giorni muore una donna per mano di una uomo, che spesso e' anche suo marito o suo compagno di vita. Secondo i dati della Direzione centrale della polizia criminale, nel 2007 ci sono state 5.492 donne che hanno denunciato maltrattamenti. Tenendo conto che, come calcola la stessa polizia, solo il 5% delle donne picchiate si decide a denunciare, possiamo immaginare il buio sommerso di violenze quotidiane che non rientrano nelle statistiche. Fra le denunce 1.321 vengono da straniere. Invece, le donne uccise nel 2007 sono state 149, trentasette piu' del 2006. Per quanto riguarda il 2008, si hanno per ora solo i dati del primo semestre e sono allarmanti. Gia' si contano 2.543 denunce per maltrattamenti e 81 omicidi. Se dovesse continuare con questo ritmo, il numero delle donne maltrattate e di quelle assassinate diverrebbe il doppio dell'anno passato. Forse la parola femminicidio non e' cosi' azzardata. Ma perche' tanti uomini si accaniscono contro le proprie donne strangolandole, accoltellandole, tagliandole a pezzi, chiudendole nei sacchi dell'immondizia e gettandole nei cassonetti, come abbiamo letto e continuiamo a leggere sui giornali? Alcuni dicono che la crescita esponenziale viene dall'aumento delle denunce. E' possibile, ma varrebbe solo per i maltrattamenti. Gli omicidi non dipendono dalle denunce. Sono fatti che parlano da se'. E ci dicono che troppe donne muoiono per mano di chi sostiene di amarle. Il contrario non si da'. Non ci sono ogni anno 149 uccisioni di uomini per mano di donne. Quindi e' logico parlare di una differenza di genere. Ma la domanda rimane senza risposta. Perche' tanti uomini sono portati a uccidere le donne che hanno amato e dicono di amare ancora? Sinceramente non credo che gli uomini siano per natura stupratori, picchiatori e assassini. Ma, come sostengono antropologi e scienziati, siamo tutti figli di una cultura che divide e forma, nomina e istituisce. Non solo regole, ma idee di se stessi, miti, feticci, sogni, segnali di identita'. I comportamenti sono determinati della cultura, non della biologia. Margaret Mead ha dimostrato con chiarezza quanto il concetto di maternita', per esempio, cambi secondo i luoghi in cui si nasce, i modi in cui ci si procura il cibo, in cui si dividono i compiti. E cosi' con la pratica dell'aggressivita', del dominio, del rapporto gerarchico fra i sessi. Se l'amore virile viene vissuto come diritto alla proprieta' del corpo e della liberta' della donna amata, nel momento in cui lei dimostrera' una volonta' autonoma il concetto di virilita' dell'uomo andra' pericolosamente in frantumi, trasformandolo in un aggressore, a volte anche in assassino. Nessuno puo' vivere con una idea spezzata di se'. 3. AFGHANISTAN. NICOLA SESSA: IL PIZZO DELLE MULTINAZIONALI CHE RIFORNISCONO LA NATO A TALEBANI E SIGNORI DELLA GUERRA [Dal sito di "Peacereporter" (http://it.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 15 dicembre 2008 col titolo "Il racket dei talebani" e il sottotitolo "Da un'inchiesta del 'Times'"] Non saranno contenti i sudditi della regina Elisabetta per quanto scoperto dal quotidiano "The Times": un po' delle tasse pagate dai contribuenti britannici finiscono nelle tasche dei talebani. Oltre Manica si parla gia' di "Taleban Tax". In realta', se e' vero quanto scritto da Tom Coghlan, non dovrebbero essere contenti neanche i cittadini italiani, francesi e statunitensi. * Finanziare i taleban Leggendo i risultati di un'inchiesta del "Times", l'Occidente starebbe finanziando indirettamente la resistenza afghana, per mezzo di un giro di soldi (moltissimi) utili a garantire il transito sicuro ai convogli che riforniscono le basi Nato in Afghanistan. Di mano in mano questi soldi arrivano ai comandanti talebani. I contratti di rifornimento carburante, equipaggiamento e alimentare sono detenuti da multinazionali. Il piu' delle volte il trasporto viene subappaltato ad aziende afgane o pachistane. Il rischio quando si attraversa il passo di Khyber e' troppo alto e il tratto di strada che porta da Kabul a Kandahar e' tra i piu' pericolosi al mondo: gli attacchi e le imboscate lungo i quasi 500 chilometri di asfalto e sterrato sono all'ordine del giorno. Diversi titolari delle aziende di trasporto confermano che la pratica di pagare le bande armate per un trasporto tranquillo sia molto diffusa: circa il 25% delle somme elargite alle agenzie di sicurezza afgane finiscono nelle casse della resistenza. Considerato che chi si occupa di organizzare le scorte richiede 1.000 dollari per camion e che in media ogni convoglio e' composto da 40-50 fino a 100 automezzi pesanti, e' facile fare i conti. * Il padrino Mangal Ogni agenzia di sicurezza ha il suo "uomo-tramite", il contatto che negozia il transito. Qualcuna, a quanto pare, non ne necessita. Forse sara' solo una voce per screditare la concorrenza, ma sono insistenti le voci che circolano su un'azienda di trasporti della Valle del Panjshir, nel nord del Paese, secondo cui, questa, si servirebbe direttamente dei talebani come scorta, senza "intermediari". Sarebbero gli insorti a sedere a fianco dell'autista del capo-convoglio ad aprire la pista agli altri e a fare da passaporto nella provincia di Ghazni. Fino a 14 mesi fa le scorte erano sufficienti e non c'era bisogno di pagare nessuno. Le cose sono cambiate quando Mangal Bagh, un capo pashtun delle aree tribali pachistane che vanta il comando su 120.000 uomini armati, ha cominciato a pretendere un "diritto di transito" per attraversare il passo Khyber. Non pagare vuol dire subire grandi perdite, come quando il 24 giugno scorso 50 camion furono distrutti e sette autisti decapitati sul ciglio della strada. E la Nato? A quanto pare a Bruxelles non interessa. Il portavoce dell'Alleanza, James Gater, ha chiaramento detto che non ha importanza come arrivino le merci nelle basi: "Esistono accordi per i rifornimenti con due multinazionali europee; sono loro a dover gestire la pratica come meglio credono". * Karachi-Kabul-Kandahar Gli approvvigionamenti per le truppe in Afghanistan arrivano, per lo piu', nel porto pachistano di Karachi, da qui prendono due strade: quella del passo di Khojak, tra Quetta e Chaman, oppure quella del passo di Khyber. Da quest'ultimo valico di montagna transita il 70% dei rifornimenti Nato, 300 camion al giorno: facili prede degli uomini di Bagh. Le dimensioni del potere di controllo esercitato dai talebani sono misurabili con il costante aumento di furti e distruzione di beni destinati alla Nato: 36 cisterne di benzina a marzo, 4 motori di elicotteri ad aprile, 50 camion in giugno. Tra il 7 e l'8 dicembre scorsi 260 tra container e camion sono stati dati alle fiamme da 200 miliziani che hanno fatto irruzione nel deposito di Peshawar L'ultimo attacco, sabato 13, sempre a Peshawar: 11 camion e 13 container incendiati. Il comando Usa, che ha accusato il colpo, ha commentato la notizia dicendo che "l'attacco ha avuto un'incidenza minima sulle operazioni in Afghanistan che continueranno a pieno regime". Ma intanto il Dipartimendo della Difesa Usa sta studiando percorsi alternativi attraverso Georgia, Azerbaijan, Turkmenistan e Uzbekistan. Senza quindi chiedere aiuto alla Russia, con cui la Nato aveva avviato in primavera un negoziato per aprire una nuova strada di accesso, da nord, attraverso Kazakhstan e Uzbekistan. Ma la guerra d'estate tra Georgia e Russia ha cambiato le carte in tavola. 4. MEMORIA. MARIA MATALUNO INTERVISTA LEONARDO CASINI SU MAX HORKHEIMER (2003) [Dal quotidiano "La gazzetta di Parma" dell'11 luglio 2003 col titolo "Leonardo Casini parla del filosofo morto nel luglio del '73 e della Scuola di Francoforte. Dialettica della profezia. Horkheimer? Attuale la sua posizione sul divino"] "Nel momento stesso in cui le conoscenze tecniche allargano l'orizzonte del pensiero e delle azioni degli uomini, diminuiscono invece l'autonomia dell'uomo come individuo, la sua capacita' di difendersi dall'apparato sempre piu' potente e complesso della propaganda di massa, la forza della sua immaginazione, la sua indipendenza di giudizio. (...) Cosi' il progresso minaccia di distruggere proprio quello scopo che dovrebbe realizzare: l'idea dell'uomo". Sembrano parole scritte l'altro ieri, e invece sono passati quasi sessant'anni da quando Max Horkheimer, il filosofo tedesco nato a Stoccarda nel 1895 e morto a Norimberga nel luglio del 1973, le pronuncio' alla Columbia University. Era il 1944, e Horkheimer, cosi' come la maggior parte dei membri dell'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, da lui diretto dal 1929 al '33, aveva dovuto lasciare l'Europa e risolversi a esportare nel mondo le proprie idee sulla rivoluzione e sul capitalismo, sulla societa' di massa che minaccia la liberta' del singolo e sulla tecnica che riduce gli uomini ad automi. Leonardo Casini insegna Filosofia morale all'Universita' di Roma Tre e da anni si occupa della Scuola di Francoforte e di Horkheimer, sul quale sta scrivendo un libro. * - Maria Mataluno: Professor Casini, quali sono le linee teoriche fondamentali della Scuola di Francoforte e quale contributo diede Horkheimer alla loro definizione? - Leonardo Casini: La Scuola di Francoforte, pur nella diversita' di interessi dei singoli esponenti, aveva come fondamento comune il riferimento al marxismo. Rispetto ad esso, pero', assunse subito una posizione "eretica", caratterizzata da una parte dall'integrazione della dialettica marxista con le teorie psicanalitiche - che li spinse a trasferire l'analisi marxista del dominio e dell'autoritarismo dall'ambito della societa' a quello piu' ristretto della famiglia -, e dall'altra dal rifiuto della dimensione utopistica della filosofia marxista: Horkheimer e i suoi collaboratori non credevano nella futura palingenesi della societa' mediante la rivoluzione delle masse. * - Maria Mataluno: Ad allontanare Horkheimer da Marx e' anche la sua concezione della scienza: mentre l'autore del Capitale considerava la scienza neutra rispetto alla lotta di classe, per Horkheimer essa e' uno strumento di dominio. - Leonardo Casini: Si'. La concezione della scienza di Horkheimer prende le distanze da quella marxista e si avvicina invece alla lezione di Heidegger, il filosofo del Novecento che piu' di ogni altro ha indagato sul destino dell'uomo nell'era della tecnica. Di questo problema Horkheimer si occupa nella sua opera piu' famosa, Dialettica dell'illuminismo, scritta insieme a Theodor Wiesengrund Adorno. Dove per illuminismo s'intende una concezione della ragione e della scienza che risale alla Grecia antica e si e' consolidata nell'eta' contemporanea: quella della scienza come strumento di potere, di dominio dell'uomo sulla natura e sugli altri uomini. Nel momento in cui l'uomo usa la propria ragione non come strumento di conoscenza ma come strumento per manipolare la realta', introduce uno squilibrio nel rapporto "naturale" tra uomo e natura. Il prototipo dell'uomo che fa un uso strumentale della ragione - provocando quell'Eclisse della ragione che da' il titolo a un'altra famosa opera di Horkheimer - e' Ulisse, che per sfuggire al richiamo delle sirene si fa legare all'albero della sua nave. E' il rifiuto dell'eros e della seduzione come metafora del rifiuto della natura: un tema molto presente nell'ambito della Scuola di Francoforte, in particolare nel pensiero di Herbert Marcuse. * - Maria Mataluno: Horkheimer ha scritto la Dialettica dell'illuminismo insieme ad Adorno. Questi due filosofi vengono spesso accomunati, quasi fossero un'unica entita': quali sono, invece, i motivi che li distinsero? - Leonardo Casini: La Scuola di Francoforte nasce con degli assunti comuni, ma presenta un'ampia diversita' di vedute al suo interno, provocata anche dall'esperienza della diaspora negli Stati Uniti e dal conseguente contatto con una cultura e una societa' tanto diverse da quelle europee. Il discorso vale anche per Adorno e Horkheimer. Potremmo dire che a dividere i due autori della Dialettica dell'illuminismo furono l'arte e la religione: compositore e critico musicale, Adorno incentro' la sua riflessione sull'esperienza artistica, concependo l'arte come uno strumento di reazione contro ogni forma di potere repressivo. Horkheimer, invece, era piu' interessato agli aspetti conoscitivi, epistemologici della filosofia: sua preoccupazione era recuperare quella che lui chiama "ragione oggettiva" - volta alla conoscenza delle cose -, contro il dilagare della ragione soggettiva, tecnicistica, volta all'acquisizione di un potere. * - Maria Mataluno: A trent'anni dalla sua morte, in cosa consiste l'attualita' del pensiero di Horkheimer? - Leonardo Casini: La Scuola di Francoforte e' stata lungo dimenticata dalla cultura contemporanea, forse per via della forte componente ideologica che le viene dal suo essere nata sul terreno del marxismo. Oggi, pero', assistiamo a un ritorno d'interesse nei confronti di questi pensatori, dovuto al fatto che molte delle loro analisi sulla societa' di massa e sull'eta' della tecnica sono ancora utili a descrivere alcuni aspetti del mondo contemporaneo. Non a caso al pensiero di Horkheimer, Marcuse e Fromm si rifanno molti esponenti del movimento antiglobalizzazione. Altro motivo di grande attualita', a mio avviso, e' quello religioso. La posizione di Horkheimer, che pur sentendo la necessita' di avvicinarsi al divino non arriva ad abbracciare nessuna confessione particolare, rispecchia una tendenza tipica del nostro tempo: un tempo in cui, in un generale ritorno al sacro, sono sempre piu' rari coloro che fanno professione di ateismo radicale, mentre cresce il numero di coloro che non sanno compiere fino in fondo quel salto che permetta di aderire a una confessione determinata. 5. MEMORIA. LUCIANA SICA INTERVISTA GIANNI VATTIMO SU HERBERT MARCUSE (2003) [Dal quotidiano "La Repubblica" del 15 luglio 2003 col titolo "Parla Gianni Vattimo: 'Il suo pensiero della rivolta lo iscrive fra i grandi pensatori del secolo. Ma per lui la vera rivoluzione era anche liberarsi da se stessi'. La sua riflessione ancora attuale: ipotizza una liberazione 'estetica' che non si lascia integrare. Riusci' a far capire che non basta rovesciare le classi dominanti, se non ci si libera dalla repressione interiore"] E' un'idea oggi abbastanza diffusa: a Herbert Marcuse nuoce essere ricordato soprattutto come il filosofo della rivoluzione studentesca, mentre e' tra i piu' importanti pensatori del Novecento. Ma quest'idea, a Gianni Vattimo, sembra piuttosto un luogo comune del tutto inconsistente. "Marcuse - dice - e' un marxista critico, ma pur sempre un marxista, che non separa facilmente la teoria dalla prassi. Io non opporrei le sue qualita', perche' anzi le due cose si tengono strettamente: e' proprio il suo pensiero della rivolta che lo iscrive tra i grandi filosofi del secolo. Del resto anche Hegel, quando preparava i suoi scritti, era un ammiratore della Rivoluzione francese". * - Luciana Sica: Oggi in che consiste la grandezza di Marcuse? - Gianni Vattimo: Nell'aver liberato il marxismo dal puro sociologismo... Marcuse, con Eros e civilta', mostra che non si puo' immaginare la rivoluzione solo come rovesciamento del potere della classe dominante, ma anche come rottura delle gerarchie repressive interne ai singoli individui. In questo unifica l'eredita' di Marx con quella di Hegel, ma anche con l'insegnamento di Nietzsche. * - Luciana Sica: E mostra di aver letto a fondo Freud... - Gianni Vattimo: Senz'altro: legge Freud come Marx. Non e' affatto un ideologo della psicoanalisi, Marcuse, ma lega saldamente lo strapotere invadente delle strutture sociali alle repressioni individuali. E quindi non puo' fare a meno di Freud. Naturalmente il problema e' vedere se la fine dell'alienazione sia possibile. * - Luciana Sica: Marcuse lo crede davvero? Si direbbe di no. In fondo ritiene che la societa' repressiva sia congegnata in modo da integrare i "portatori di alternative": studenti, intellettuali, emarginati, poveri del mondo... Non e' una posizione assolutamente pessimista? - Gianni Vattimo: Non sono sicuro che fosse cosi' disperato. Non era molto ottimista, e' vero, ma la sua idea di un'uscita "estetica" dall'alienazione puo' ancora indicare una direzione realisticamente percorribile. * - Luciana Sica: In che senso? Nel saggio del '55 che lei citava, Eros e civilta', Marcuse riconosce nella dimensione estetica il modello di un'esperienza non alienata, rivalutando la nozione romantica del "gioco" come principio di una cultura non repressiva. Ma oggi, di questa analisi, che cosa resta in piedi? - Gianni Vattimo: Resta in piedi che non crediamo piu' nella possibilita' e neppure nella necessita' di trasformare totalmente la societa'. In questo siamo meno pessimisti di lui, nel senso che - pur non aspettandoci la rivoluzione globale - riteniamo possibile realizzare delle zone di esistenza autentica, appunto "estetica". E' in fondo l'idea di prendersi cura di se stessi, anche al di fuori della presa del potere a tutti i costi, di una possibilita' di spazi creativi individuali o di gruppi o anche di comunita'. * - Luciana Sica: Lei considera la lezione di Marcuse molto attuale, ma l'impressione e' un'altra. Si potrebbe forse riassumere cosi': Marcuse negli anni Sessanta e' un mito, ma poi il suo pensiero - come piu' in generale quello dei "francofortesi" - diventa quasi una zavorra del passato... - Gianni Vattimo: Per quello che mi riguarda, parlo sempre di Marcuse: lo trovo un pensatore estremamente attuale, che intanto ha il merito di separare il progetto di autenticita' dall'idea leninista di rivoluzione. * - Luciana Sica: Ma il best-seller di Marcuse e' L'uomo a una dimensione, dove si ipotizza un'omologazione di patrie, di razze, di individui... Non le sembra che il ritorno ai nazionalismi e alle teocrazie lo rendano abbastanza inservibile? - Gianni Vattimo: Certamente, il saggio di Marcuse piu' attuale e' Eros e civilta', dove l'idea della liberazione sul piano estetico ipotizza molteplici forme di esistenza che non si lasciano integrare da nessuna parte. L'uomo a una dimensione introduce invece quel pessimismo totale sulla societa' tecnologica che puo' sfociare soltanto nel terrorismo o nell'inerzia. 6. MEMORIA. SERGIO CAROLI RICORDA FEDERICO GARCIA LORCA (2006) [Dal "Corriere del Ticino" del 18 agosto 2006 col titolo "Lorca: amore, dolore e morte. Settant'anni fa venne fucilato il grande poeta spagnolo"] A settant'anni dalla morte, Federico Garcia Lorca appartiene alla nostra storia come pochi altri. All'ombra delle ali sottili della falena ch'egli canto' ("non possono portare fino alla luce celeste di cui e' innamorata"), palpita un microuniverso di presenze segrete, di avventure senza fine della conoscenza, mentre si fa poesia un cosmo inquietante e fatato, enigmaticamente all'unisono con le cupe dissonanze del tempo che gli fu dato di vivere. La morte lo colse all'apice della gloria, nei primi giorni della guerra civile spagnola: per aver preso partito come scrittore davanti all'ascesa dei fascismi e della guerra, venne fucilato senza processo all'alba del 19 agosto 1936, nei pressi di Granada. E ancora oggi si ignora il luogo dove i soldati franchisti costrinsero questo grande della poesia del Novecento, appena trentottenne, a scavarsi la fossa prima dell'esecuzione. Lirico, drammaturgo, uomo di teatro, musicista, pittore, animatore della cultura piu' viva della sua epoca, ma soprattutto della sensibilita' e della comprensione artistica del suo Paese, Garcia Lorca nacque, figlio dell'agiata borghesia terriera, a Fuentevaqueros, nei dintorni di Granada, nel 1898. Senza mai spezzare i legami con l'Andalusia e con la sua famiglia, nel '19 si stabili' nella Residenza degli Studenti di Madrid, rinunciando alla carriera musicale. Terminati gli studi di diritto e di lettere, si consacro' alla creazione poetica e teatrale e si fece promotore dell'avanguardia artistica europea. Amico fin dai tempi della Residenza di Luis Bunuel e di Salvador Dali', collabora col grande musicista Manuel de Falla, stringe amicizia con i poeti Jimenez e Machado e, piu' tardi, con Pablo Neruda, che, molti anni dopo, cosi' lo ricordera': "Che poeta! Non ho mai visto riunite, come in lui, la grazia e il genio, il cuore alato e la cascata cristallina. Federico era lo spirito scialacquatore. L'allegria centrifuga, che raccoglieva in seno e irradiava, come un pianeta, la felicita' di vivere. Ingenuo e commediante, cosmico e provinciale, timido e superstizioso, singolare musicista e splendido mimo, raggiante e gentile: era una sorta di riassunto delle eta' della Spagna, della fioritura popolare, un prodotto arabico-andaluso che illuminava e profumava, come un gelsomino, tutta la scena di quella Spagna, ahime', scomparsa". Del 1919 e' la sua prima opera letteraria, Impressioni e paesaggi, che, insieme al successivo Libro dei poemi, sboccia da un ardente bisogno di amare e di essere amato, di comprendere e di essere compreso. La stessa appassionata ricerca anima il dramma romantico in versi Mariana Pine?da, che, redatto sotto la dittatura di Primo de Rivera, acquista particolare rilievo in quanto rievocazione della martire granadina, impiccata nel 1831 per aver bordato una bandiera dei liberali in lotta contro la tirannide di Ferdinando VII. Un anno trascorso nel Nuovo Mondo, nel 1929-30, prima a New York poi a Cuba, gli detta apocalittiche invettive contro la civilta' americana: "Impressionante per gelo e crudelta' e' Wall Street. Vi giunge l'oro da tutte le parti del mondo e la morte giunge con esso". Al ritorno in Spagna, in consonanza con gli sforzi culturali della Seconda Repubblica, inizia il periodo piu' felice e operoso della sua vita: crea il teatro ambulante universitario La Barraca, con cui mette in scena, gratuitamente, classici del teatro spagnolo del Secolo d'Oro; scrive pieces tra le quali torreggiano, per realismo potente e tragico, quattro capolavori: Nozze di sangue, Yerma, Donna Rosina nubile, La casa di Bernarda Alba, costruiti intorno a personaggi irretiti in climi di cupa superstizione e di violenta repressione degli istinti. Comune a tutta la poesia lorchiana - tra le cui raccolte ricordiamo Poema del cante jondo, canto tradizionale del sud dell'Andalusia, Canciones, Romancero gitano, il capolavoro apparso nel '28, Poeta en Nueva York, Llanto por Ignacio Sanchez Mejias, Divan del Tamarit - e' la contemplazione drammatica dell'universo primitivo delle passioni; universo astorico e immobile, ma che e' il solo reale nei sanguinosi itinerari della civilta' contemporanea. In ritmi flebili, che talora si fanno struggenti come pizzicati profondi di mandola, balenano immagini frante, quasi disumane: cantano la Spagna crocefissa, il suo silenzio di calce e di mirto, le malve tra la gramigna e le speranze degli uomini nell'affannosa battaglia della vita; cantano Granada, "citta' di dolore e muschio con le torri di cannella", i suoi patii e le sue rose, i paesi sulla roccia, i buoi che "hanno ritmo di campane antiche e occhi d'uccello", i pascoli, i colori squillanti sulle gradinate delle corride e il sangue rappreso nell'arena infuocata. Immune da vagheggiamenti nostalgici o esistenziali, Lorca canta la propria infanzia, e con essa il suo cuore disilluso per sempre, come "una farfalla intrappolata nella tela di ragno", mentre un senso di consunzione e di morte s'insinua nelle sue canzoni d'amore. "Perche' ti ho perduto per sempre / in quella chiara sera? Oggi il mio cuore e' arido / come una stella spenta", geme la chiusa di Alba. Se nelle sue poesie la chitarra fa piangere i sogni e "il singhiozzo delle anime perdute sfugge dalla sua bocca rotonda", e la lira, il mandolino e la vihuela (viola) si trasfigurano talora in "metafore assolute" di vicende d'amore e di morte (la lira e' assimilata ad un canto su un cimitero ebraico), nei drammi della maturita' la musica di quegli strumenti accompagna, melanconico e dolente contrappunto, l'azione tragica. La poesia appare a Lorca come un'avventura per dare all'inesprimibile la voce che gli e' dovuta, e il fine ultimo dell'arte (che per lui resta sempre "parola-colore", canto e gestualita' signoreggiata) e' ricreare un'armonia espressiva tra l'uomo e la vita universale. Analogo impulso muove lo scrittore, la danzatrice e il torero - di cui il Lamento per Ignazio e' emblema poeticamente altissimo - a interpretare il loro gioco con la morte senza limitazione alcuna. In tal modo esso li rende inclini ad accettare la vera "legge del tempo", che e' tutt'uno con quella della scomparsa e dell'oblio. "Chi - ha notato la studiosa Marie Laffranque - non l'accetta, chi, nella vita come nell'avventura estetica, non osa giocare il proprio asso di cuori, lo giochera' suo malgrado e morira' senza aver vissuto". Ecco perche' il compito dell'artista e "degli altri intellettuali delle classi definite agiate e' - scrive Lorca - immergersi nell'argilla fino alla cintola per aiutare coloro che cercano i gigli". La solidarieta' con i piu' deboli, epicamente scandita nelle due grandi odi di Poeta a Nuova York (Ode a Whitman e Grido a Roma), egli la riafferma orgogliosamente alla vigilia della morte: "Il dolore dell'uomo e l'ingiustizia costante che assordano il mondo, il mio corpo e il mio stesso pensiero m'impediscono di trasportare la mia casa nelle stelle" (giugno 1936). 7. MEMORIA. DIEGO GABUTTI RICORDA ISAAC ASIMOV (2002) [Da "Il Nuovo" del 6 aprile 2002, col titolo "Asimov dieci anni dopo" e il sommario "Il piu' celebre autore di fantascienza mori' esattamente dieci anni fa a New York. Nato in Unione Sovietica nel 1920, era considerato dagli americani un bene nazionale come il Gran Canyon"] C'e' un racconto ucronico di Frederick Pohl, "Riunione al Mile-Hig", dove s'immagina che i membri d'un vecchio club di tifosi della fantascienza, i "Futuriani", attivi nella New York degli anni Trenta e Quaranta, si riuniscano intorno al loro socio piu' celebre, Isaac Asimov, che in quest'universo parallelo ha rubato la scena ad Albert Einstein e fatto dell'era atomica l'eta' della biochimica. Giornalisti, leader politici, telecamere. Siamo sul terrazzo del piu' grande grattacielo di New York, un chilometro e mezzo sopra "l'angolo tra la Cinquantaduesima e la Sesta Avenue": il Mile-High e' una meraviglia architettonica ed e' un peccato (o forse una fortuna, se si pensa a certi turisti maomettani, tipo Bin Laden e soci) che nel nostro universo non sia mai stata eretta la sua controparte. Tra i "Futuriani", in entrambi gli universi, ci sono anche Frederick Pohl e Damon Knight, che nel nostro universo sono importanti scrittori e critici di fantascienza, mentre nell'universo ucronico di "Riunione al Mile-Hig" non sono dopotutto che importanti critici e scrittori di fantascienza, il cui successo letterario sbiadisce a fronte della grandezza di Asimov, primo scienziato del pianeta. Asimov prende un drink con gli amici, rimpiange il passato e si strugge pensando che, se le cose fossero andate in un altro modo, avrebbe forse potuto diventare uno scrittore di successo, mentre qui gli tocca accontentarsi d'aver plasmato a sua immagine la storia del mondo. Dice Asimov a Pohl: "Se avessi voluto, Fred, avrei potuto diventare uno scrittore piu' bravo di di te". Questo vecchio racconto celebra il mito di Asimov. Non e' soltanto l'esatta fotografia della distanza (calcolata in popolarita' e copie vendute) che anche nel nostro universo correva tra Asimov e i suoi colleghi. E' l'esatta fotografia anche un po' del suo smisurato egocentrismo. Nato il 2 gennaio 1920 a Petrovichi, in quella che era allora una giovanissima Unione Sovietica spazzata dalle bufere del comunismo di guerra, Isaac Asimov mori' a New York il 6 aprile 1992, esattamente dieci anni fa. A ucciderlo fu l'Aids, che lo infetto' dopo una disgraziata trasfusione in ospedale, come ha rivelato poco tempo fa la sua vedova, Janet Opal Jeppson, in un'intervista concessa al giornale inglese "The Sunday Times". Asimov, che pure amava mettersi a nudo, tanto che da vivo pubblico' un'autobiografia in due volumi (I, Asimov) lodandosi e imbrodandosi (con umorismo ma senza troppa ironia) per centinaia di pagine, volle per una volta che la notizia non fosse divulgata. C'era gia' troppo allarmismo intorno ai rischi di contagio da Aids e Asimov non voleva gettare altra benzina sul fuoco. Mori' da liberal, com'era sempre vissuto, ottimista a parole, ma disincantato nell'anima. Maestro e icona della fantascienza moderna, zazzera da scienziato pazzo e occhialoni da eterno astronauta dei pulps, sempre curatissimo, un elegantone, l'aria del grande narcisista, devoto a un suo bizzarro look futurista, Isaac Asimov e' uno dei pochi scrittori di fantascienza che sia riuscito ad uscire dal ghetto delle pubblicazioni specializzate, riverite da pochi fedeli, per prendere posto al tavolo delle grandi tirature, tra gli scrittori e gl'intellettuali che contano. Era una faccia conosciuta da tutti gli americani, il suo nome era insieme un logo e una garanzia e aveva un'altissima opinione di se stesso. Scriveva novelle poliziesche per l'"Ellery Queen's Mistery Magazine" e firmava gli editoriali dell'"Isaac Asimov Science Fiction Magazine". Seminava con invadente generosita' i suoi articoli nelle pagine delle riviste piu' gettonate e dei giornali piu' autorevoli. Nemico numero uno del fondamentalismo cristiano antiscientista e bacchettone, probabilmente e' stato anche il piu' importante divulgatore scientifico del XX secolo. Appariva continuamente in televisione (piu' nelle vesti dell'opinionista illuminato e illuminista che in quelle dello scrittore di fantascienza). Come ha scritto Riccardo Valla, Isaac Asimov era diventato col tempo "una specie di national asset, un bene nazionale americano, come il Grand Canyon, e ciascuno dei due ha i suoi turisti". Tutto era cominciato molti anni prima, nella drogheria newyorchese di suo padre, dove il giovane Isaac dava una mano con i clienti e intanto leggeva dal mattino alla sera fumetti e riviste di fantascienza, prima fra tutte "Astounding Science Fiction Stories", diretta da William S. Campbell, che fu a tutti gli effetti non solo l'inventore ma anche il dio e il profeta della fantascienza moderna. Campbell, negli anni in cui diresse "Astounding", creo' dal nulla autori come Robert A. Heinlein e Alfred E. Van Vogt, futuri padri della chiesa fantascientifica. Campbell suggeri' e discusse con loro trame fantascientifiche poi entrate nella leggenda della fantascienza letteraria e cinematografica. Tra gli altri Campbell scopri' anche Isaac Asimov, che era all'epoca un ragazzino brufoloso che studiava chimica all'universita' di New York e frequentava i "Futuriani", il club di tifosi della fantascienza al centro del racconto di Pohl citato all'inizio, un circolo politico e letterario dalle cui fila uscirono altre grandi firme della fantascienza moderna, primo tra tutti proprio Frederick Pohl, piu' tardi agente letterario, direttore di "Galaxy" e campione della cosiddetta "fantascienza sociologica", narrativa pop di scuola liberal e swiftiana. Al giovane Asimov il direttore di "Astounding", che era diversamente da lui un famoso reazionario, suggeri' il canovaccio delle storie dell'Impero galattico, modellato sulla Storia della decadenza e caduta dell'Impero romano di Gibbon: quel ciclo della Fondazione che ha compiuto l'anno scorso cinquant'anni dal di' della pubblicazione e intorno al quale, negli ultimi anni della sua vita, Asimov riunifico' in un solo ciclo tutte le sue storie, a cominciare dalla serie dei robot. Al centro del ciclo della Fondazione c'era l'idea della psicostoriografia: una scienza esatta delle previsioni storiche, roba che Marx nemmeno se la sognava, un superstoricismo che centrava infallibilmente ogni bersaglio, indovinando gli eventi futuri fin nel piu' infinitesimale dettaglio, compreso il colore delle cravatte che sara' piu' apprezzato tra diecimila anni dai gaga'. Al centro del ciclo dei robot c'erano invece le tre leggi della robotica, che impediscono a un robot di fare del male a un essere umano e insieme gli permettono di conservare, nonostante i tabu' che gli tarpano le ali, almeno un barlume di libero arbitrio. Frankenstein addomesticato, il robot asimoviano era tuttavia anche capace, in genere per troppa umanita', di gesti autonomi e persino di qualche sconcertante crudelta', tutte eccezioni che Asimov passo' la vita a esplorare, piu' da enigmista e da lettore di romanzi gialli che da scienziato. Asimov, all'inizio degli anni Cinquanta, lascio' "Astounding" per tentare nuove avventure quando Campbell si converti' prima alla dianetica e poi alla scientologia, pseudoscienze che disapprovava dal profondo del cuore. Si dedico' all'insegnamento, alla divulgazione scientifica, alla narrativa per ragazzi e alle novelle poliziesche prima di tornare definitivamente alla fantascienza negli anni Settanta, sia come scrittore di romanzi e di novelle a raffica che come direttore dell'"Isaac Asimov's Science Fiction Magazine". Scrisse piu' d'un centinaio di libri, comprese opere capricciose e stravaganti, per esempio un'edizione commentata di Shakespeare, per non parlare della sua autobiografia: una delle piu' sfacciate autocelebrazioni della storia della letteratura. Suo e' il soggetto di Viaggio allucinante, un classico del cinema di fantascienza, che ebbe per scenografo nientemeno che Salvador Dali'. Come Agatha Christie, le cui storie continuano a essere ripubblicate senza che gli scaffali delle librerie diano segno di stanchezza, anche Isaac Asimov e' un autore che tiene duro nelle preferenze del pubblico. Scrittori molto meno celebri di lui hanno scritto fantascienza di gran lunga migliore della sua. Eppure quelli nessuno li conosce mentre lui era e rimane Isaac Asimov. Chissa'. Puo' darsi che Pohl avesse visto piu' giusto di quanto pensava. Forse, come i protagonisti di "Riunione al Mile-Hig", viviamo senza saperlo in un universo parallelo asimoviano. Forse il vero Asimov vive in un altro continuum spaziotemporale e legge fantascienza in una drogheria di Brooklyn. Forse il nostro mondo e' soltanto la proiezione d'una sua fantasia narcisista. 8. LIBRI. GIANFRANCO RAVASI PRESENTA "UN TEOLOGO CONTRO HITLER" DI ERALDO AFFINATI [Dal mensile "Letture", n. 587, maggio 2002, col titolo "Bonhoeffer, martire dal volto luminoso"] Eraldo Affinati, Un teologo contro Hitler, Mondadori, 2002, pp. 172, euro 14,80. * Era lunedi' 9 aprile 1945: nel lager bavarese di Flossenbuerg il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer moriva impiccato a 39 anni. Due settimane dopo il campo veniva liberato, e tre settimane dopo Adolf Hitler si uccideva nel suo bunker berlinese. La nudita' della cronologia svela la tragicita' di quei giorni: una voce ferma e forte era spenta dall'ultimo contorcersi di un mostro che aveva insanguinato l'Europa. In realta' l'aveva fatta rinascere attraverso le continue edizioni degli scritti di questo teologo e le ininterrotte riprese della sua testimonianza, a partire dalla fondamentale biografia dell'amico e discepolo Eberhard Bethge. In questo filo vivo della memoria si colloca anche lo splendido ritratto narrativo di Bonhoeffer che lo scrittore romano Eraldo Affinati ha disegnato con quella sua capacita' straordinaria di camminare sul crinale tra racconto e saggio, componendo un'opera dal genere letterario non inedito ma delineato in forma originale. Egli compie una specie di pellegrinaggio sulle tracce del suo personaggio: penetra nelle dimore della sua adolescenza; lo segue nei viaggi negli Stati Uniti e a Roma in compagnia del fratello Klaus; lo vede percorrere l'Europa lasciando segni della sua presenza in opere scritte e in atti emblematici; riesce anche a scovare Dante Curcio, il compagno di carcere di Bonhoeffer a Tegel, presso Berlino; punta a Rignano Flaminio ove il citato amico Bethge riceveva le lettere poi raccolte nelle pagine emozionanti di Resistenza e resa. Eppure, anche se l'itinerario e' di sua natura biografico, Affinati sa far balenare la profondita' di una spiritualita' "confessante" e di un'umanita' persino gioiosa, capace di un intenso innamoramento e di sdegno, di tenerezza e di lotta, di riflessione acuta e di simboli frementi. Sara' questo il nuovo viaggio da intraprendere da parte del lettore: ritornare agli scritti di Bonhoeffer, all'Etica, alla Vita comune, alla gia' evocata Resistenza e resa, per ritrovare il volto luminoso di un martire dalla fede limpida e tenace. 9. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA" "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 10. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009" Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti". E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009". Una copia: 10 euro. Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it 11. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009 E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne nella lotta contro le mafie e per la democrazia. Si puo' acquistare a 10 euro a copia. * Per richieste: - Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it - Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 671 del 16 dicembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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