Minime. 646



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 646 del 21 novembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Nazisti al governo
2. Beppe Del Colle: Un "pacchetto sicurezza" indegno di uno stato di diritto
3. Laura Balbo: Per una sociologia della laicita'
4. Enrico Alleva, Bianca De Filippis: Il Premio Goteborg alla scienziata
Theo Colborn
5. Giulio Vittorangeli: L'ingiusto oblio
6. Serena Corsi intervista Desmond Tutu
7. Alessandra Iadicicco: Imre Kertesz
8. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
9. L'Agenda dell'antimafia 2009
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. NAZISTI AL GOVERNO

Negare il diritto alla salute.
Negare il diritto all'educazione.
Imporre l'apartheid nei confronti dei bambini e dei malati.
Perseguitare i poveri e gli oppressi.
Una politica nazista.

2. RIFLESSIONE. BEPPE DEL COLLE: UN "PACCHETTO SICUREZZA" INDEGNO DI UNO
STATO DI DIRITTO
[Da "Famiglia cristiana" n.47 del 23 novembre 2008 riprendiamo il seguente
editoriale dal titolo "Un 'pacchetto sicurezza' che non e' degno di uno
stato di diritto. Cosi' si rende piu' difficile la vita di chi e' in
difficolta'. Il Senato potrebbe approvare in settimana norme pesanti per gli
immigrati e i 'senza fissa dimora'"]

Dai lavori di questa settimana in Senato potrebbe uscire uno statuto
legislativo piuttosto pesante nei confronti non solo degli immigrati -
quattro milioni circa di persone, "regolari" o "irregolari" -, ma anche di
cittadini italiani che risultano in concreto "diversi" rispetto a una
normalita' di vita comunemente accettata: i "senza fissa dimora".
I provvedimenti che fanno parte del "pacchetto sicurezza" preparato dal
ministro dell'Interno sono noti: l'istituzione di "ronde" convenzionate con
gli enti locali e formate da "associazioni tra cittadini al fine di
segnalare alle forze di polizia dello Stato eventi che possono arrecare
danno alla sicurezza urbana"; il permesso di soggiorno "a punti", come per
le patenti di guida: una volta persi tutti i "punti", l'immigrato si
vedrebbe revocato il permesso e verrebbe espulso; e' mantenuto il reato di
ingresso clandestino, ma la pena non sara' piu' di tipo giudiziario
(condanna al carcere), bensi' una multa fra 5.000 e 10.000 euro; maggiori
difficolta' per ricevere assistenza sanitaria e per i ricongiungimenti
familiari; la proposta della Lega di interrompere i flussi di immigrazione
per due anni, data l'attuale congiuntura in cui aumentano i disoccupati;
schedatura di tutti i "senza fissa dimora", anche italiani.
In queste misure colpiscono due caratteristiche comuni: l'inutilita' ai fini
a cui sono rivolte e l'estrema difficolta' a metterle in pratica da parte di
uno Stato la cui giustizia e la cui burocrazia gia' faticano a tenere il
passo delle normali incombenze. In piu', esse scontano le conseguenze di
un'esagerata descrizione della realta', come ha dimostrato il caso suscitato
dalla decisione, presa nel giugno scorso da Maroni, sul rilevamento delle
impronte digitali ai bambini rom, contro la quale "Famiglia cristiana" fu
fra i primi a insorgere e che merito' le giuste critiche in sede europea.
I nomadi di origine rom e sinta erano molti meno di quelli denunciati, e la
loro schedatura - soprattutto dei bambini - e' stata effettuata con metodi
diversi e piu' tradizionali, d'intesa con la Croce rossa; anche se questa
pratica piu' civile e piu' umana, decisa d'accordo con il sindaco Alemanno,
e' costata la destituzione al prefetto di Roma, Carlo Mosca. Per quanto
riguarda la schedatura dei "senza fissa dimora", osserviamo innanzitutto che
molti di loro ce l'hanno, anche se non e' scritta in nessun registro
pubblico: sono le panchine dei giardini in cui passano le notti, rischiando
di essere bruciati vivi dai soliti ignoti, come e' capitato a uno di loro a
Rimini.
Se poi si tratta di schedarli, in realta' qualcuno lo ha gia' fatto, ma con
spirito diverso da quello del "pacchetto sicurezza". E' morta qualche mese
fa Lia Varesio, che nel 1980 fondo' a Torino la Bartolomeo & C,
un'associazione di volontari che tutte le notti uscivano nelle strade alla
ricerca di "barboni" che dormivano sulle panchine o sotto i portici delle
stazioni coperti di stracci, e portavano loro qualcosa da mangiare e da
coprirsi, e li aiutavano a trovare un rifugio.
In una sua "memoria" di qualche anno fa, Lia ricordava di aver attuato per
loro, in accordo con il Comune, "la reiscrizione anagrafica", in modo tale
che potessero riacquistare un'identita', visto che molti di loro erano stati
davvero "cancellati".
L'opera da lei avviata continua, in una cultura opposta a quella della
paura, del rifiuto del "diverso" e del ricorso all'autodifesa, in cui le
"ronde" rischiano di essere il simbolo d'un comportamento che uno Stato di
diritto non puo' e non deve permettersi.

3. RIFLESSIONE. LAURA BALBO: PER UNA SOCIOLOGIA DELLA LAICITA'
[Dal sito www.sbilanciamoci.info riprendiamo il seguente intervento dal
titolo "Per una sociologia della laicita'" e il sommario "La laicita' e'
componente essenziale della nostra modernita'. Ha bisogno di uno spazio
pubblico, per se' e non in contrapposizione a qualcos'altro"]

Propongo di parlare della laicita' sociologicamente. "Pensare
sociologicamente" - una dimensione della societa' o un'esperienza del
vivere - e' la prospettiva suggerita da Pierre Bourdieu con riferimento in
particolare alla politica. Suggerisce che sia bene, la politica, pensarla
"non solo politicamente, ma sociologicamente". Un passaggio importante.
Non abbiamo lavorato, noi sociologi, a una sociologia della laicita'.
Contributi che di questa dimensione della nostra societa' tengono conto ce
ne sono, naturalmente: si analizza la secolarizzazione, si affrontano le
questioni del pluralismo religioso nelle nostre societa'. Ma il percorso che
propongo e' diverso. Mi interessa che si riconosca la laicita' come
dimensione - scontata, ovvia, legittimata - nello spazio pubblico: non
necessariamente in rapporto a, per differenza (dalla Chiesa cattolica, le
religioni al plurale, lo stato, le istituzioni).
Mi interessa che quando si dice pluralismo (e in genere si aggiunge
"religioso") la dimensione,lo spazio, i soggetti della laicita', ci siano.
C'entra con l'idea di democrazia, con il funzionamento di un sistema
democratico.
Dunque propongo di collocare la dimensione della laicita' in un contesto
storico e sociale ben preciso, il nostro; e di collegarla alle condizioni e
ai processi sociali e storici del presente, e a noi come soggetti, attori
sociali, e a condizioni e processi della nostra vita quotidiana. Si puo'
fare riferimento a questa prospettiva senza entrare nei temi che
generalmente, nella situazione italiana, si associano alla presenza della
Chiesa cattolica: le iniziative, la presenza mediatici, le interferenze, i
privilegi. E senza entrare nel dibattito sulla politica e i partiti (e i
loro rapporti, appunto, con il Vaticano).
Laici non significa essere "privi di valori". E non significa ironizzare su
comportamenti che non sono congruenti con questa chiave di lettura, e in
qualche misura incomprensibili. Che si possa avere bisogno di pregare, di
sollecitare interventi che siano fuori della "normalita'" del proprio
vivere, "miracoli" dunque, io l'ho colto con emozione, mi viene da dire,
entrando una sera nella basilica del Santo a Padova. In una chiesa dove da
bambina avevo visto le cerimonie tradizionali celebrate da una gran folla
c'erano poche persone. Pero' silenziose, concentrate, devote. Erano quasi
tutti immigrati. Trovavano li' un'occasione per manifestare il loro credo,
per affidarsi, per sperare.
*
La societa' "post-tradizionale", la "modernita' riflessiva"
Nello studio del mondo contemporaneo si e' aperta la prospettiva che
definisce la societa' in cui viviamo come "post-tradizionale". L'altro
termine e' "modernita' riflessiva": e dunque noi, gli "attori sociali",
capaci di elaborare opinioni e convincimenti e di prendere posizione nelle
diverse circostanze del nostro vivere; competenti, responsabili.
La laicita', dato ed esperienza della modernita' riflessiva, non vista
dunque per rivendicare spazi di liberta' in astratto, ma come ambito -
privato e pubblico - del nostro vivere quotidiano. Noi, donne e uomini, di
diverse generazioni ed esperienze e progetti di vita, capaci di elaborare
opinioni e convincimenti e di prendere decisioni; competenti, responsabili.
Non per contrapporci a precetti e verita' definiti altrove, ma per starci,
nel nostro vivere, consapevolmente.
Il continuare ad imparare, legittimato e insieme richiesto, e' una
dimensione irrinunciabile in quella che definiamo come "la societa' del
lifelong learning", un contesto - e una fase storica - caratterizzati
appunto da questo dato: che siamo in grado di (e tenuti a) continuare ad
apprendere per tutto il corso del nostro vivere.
Da un passato in cui si delegavano certezze e saperi e anche scelte
quotidiane ad autorita' o esperti o detentori di verita' (i filosofi, i
medici, il clero, e naturalmente coloro che in varie forme esercitavano il
potere) siamo passati, oggi, ad essere riconosciuti come soggetti. L'ordine
post-tradizionale corrisponde alla fase storica che viviamo: siamo liberati
dal monitoraggio del nostro agire da parte di strutture esterne. Non
accettiamo di essere sottoposti ad agenzie di controllo. Dunque ci facciamo
carico della responsabilita' di non affidarci ai saperi di altri.
Non accettiamo di sentirci vincolati da principi di verita' che autorita'
superiori credono di possedere e impongono. Mano a mano che nel vivere si
affrontano passaggi ed eventi e rischi, non si puo' non sottoporre a
verifica quel che si sa (o che si crede di sapere); analizzare criticamente,
e in certi casi dismettere, credenze e convinzioni, portando anche il peso e
la responsabilita' di tutti gli elementi di incertezza (e di rischio) propri
della fase attuale.
Dunque ci si fa carico di decisioni e scelte. Un'opportunita' che per la
prima volta nella storia degli umani ci viene riconosciuta. Emergono aspetti
di liberta'; ma anche di responsabilita'. Dei tanti contributi che
descrivono questa dimensione del vivere contemporaneo alcuni accenni
soltanto.
Un passaggio di Ulrich Beck ci descrive "impegnati in un permanente mettere
in discussione, rivisitare, aggiornare le nostre conoscenze... che
richiedono verifiche e una continua messa a punto". E Anthony Giddens: "Di
continuo dobbiamo fare i conti con dati che mettono in dubbio cio' che
sappiamo - e che ci richiedono di acquisire, in parallelo, conoscenze e
competenze... Non abbiamo altra scelta che scegliere come vivere e come
operare".
Condizioni di vita e processi di cambiamento pongono la grande maggioranza
di noi di fronte a circostanze che non hanno confronti con dati del passato.
Dunque imparare, e imparare in eta' adulta in particolare, come componente
fondamentale del vivere, non come esperienza di pochi (cosi' e' sempre stato
nel passato) ma per tutti. E non e' un accumulare saperi acquisiti e
immagazzinare sistemi di conoscenze ben consolidati, non nelle istituzioni e
nei termini tradizionali.
Una trasformazione di scenario straordinaria, con forte significato anche
simbolico. Certo ci si deve guardare da letture semplificanti. Del complesso
di trasformazioni che il vivere nella modernita' comporta si e' partecipi in
modi e con esiti molto diversi, ed e' evidente che le condizioni che
favoriscono l'apprendere non hanno per tutti le stesse implicazioni e lo
stesso significato. Non e' detto che si impari sempre; e per di piu'
l'imparare non equivale ad acquisire capacita' di informazione critica, ad
essere in grado di anticipare il futuro, ad agire in modo razionale.
Succede a molti di essere disorientati, angosciati, o anche incapaci di
reggere questo aspetto del vivere. Dunque si cercano sicurezze, si ritorna a
valori del passato, si ricostituiscono appartenenze totalizzanti: il
desiderio di mettere nelle mani di altri non solo le scelte piu' importanti,
ma quelle quotidiane, si riflette spesso in pratiche neocomunitarie, in
manifestazioni di fondamentalismo.
*
Il senso (e la fortuna) di essere laica
Un "pezzo" cruciale lo trovo nella mia esperienza di donna. Non penso che
questo riguardi me soltanto. Per le donne della mia generazione molto e'
stato possibile mettere in gioco, con decisioni difficili e anche, in certe
circostanze, drammatiche. Cogliere gli aspetti di apertura, le potenzialita'
di cambiamento.
Insieme, le scelte nella vita quotidiana e lo spazio della sfera pubblica.
Non delegare ad altri. Essere responsabili.
Mi sono data come criterio di non affidarmi al sapere di altri e di non
sentirmi vincolata dai principi di verita' che autorita' superiori credono
di possedere, e impongono. Ho cosi' messo a punto e organizzato il mio modo
di procedere: per tentativi, con incertezze e dubbi.
C'entrava pero' anche il piacere di scoprire alternative: di stili di vita e
abitudini e pratiche culturali. Ho via via capito che ci sono tanti modi -
ugualmente ragionevoli, legittimi - di pensare, e dunque di vivere. Essere
soggetti della modernita': alla ricerca del senso e del valore delle cose
che viviamo: nell'ambito privato e individuale e nello spazio pubblico. Di
difficolta' anche.
Aver vissuto da laica la considero una fortuna. Le cose che contano nella
mia vita ho cercato di affrontarle con le mie risorse. Mi e' estranea l'idea
di attenermi ai precetti di intransigenti depositari di certezze e verita'.
Mi riguardano i temi della "buona morte", i diritti da attribuire alle
unioni di fatto, scelte come l'aborto e la procreazione assistita; la
questione dell'insegnamento della religione nelle scuole; molti altri
ancora.
*
Un programma di lavoro
Collocarsi in questa prospettiva significa riconoscere, oggi, uno spazio che
nelle societa' del passato era negato. Significa costruire (e legittimare)
uno spazio pubblico della laicita' come componente essenziale della nostra
modernita', un percorso di approfondimento e di proposta, un programma di
lavoro.
Non banalmente, lo dico cosi' - ed e' al contesto italiano che mi
riferisco - in contrapposizione a convincimenti, verita', precetti che ci
vengono trasmessi e imposti. E non caratterizzato da continui accomodamenti
e condanne (reciproche), da rinvii, da omissioni e silenzi.
E' altro. E' il pluralismo come contesto del riflettere e dell'agire. Andare
oltre il sistema binario (contrapporre religione e laicita', credenti e
agnostici, i principi della Costituzione e i valori che hanno le loro radici
nella tradizione della chiesa cattolica, e cosi' via). Per me, un programma
di lavoro per i prossimi anni. La dimensione internazionale ed europea -
quello che chiamo "l'effetto eco" (politiche, messaggi, iniziative) - certo
ci e' di aiuto.
Scherzando, infine: l'Unione Europea ha proposto in passato (scelgo alcuni
esempi) l'anno europeo contro il razzismo, l'anno della societa' della
conoscenza; nel 2007, l'anno delle pari opportunita' per tutti. Non penso
che ci possa essere un "anno europeo della laicita'" (dato che tutto sommato
in molti paesi non ce n'e' bisogno). A me basterebbe che avessimo, in
futuro, un anno italiano della laicita'.

4. RICONOSCIMENTI. ENRICO ALLEVA, BIANCA DE FILIPPIS: IL PREMIO GOTEBORG
ALLA SCIENZIATA THEO COLBORN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 novembre 2008 col titolo "Un premio a
Theo Colborn"]

Ieri Theo Colborn ha ricevuto, assieme ad altri tre ricercatori, il
prestigioso "Premio Goteborg per lo sviluppo sostenibile", pari a un milione
di corone svedesi (circa 100.000 euro). Il premio e' stato istituito dalla
citta' di Goteborg, assieme a parecchie industrie interessate, "per
stimolare e incoraggiare un lavoro strategico mirato allo sviluppo
sostenibile a livello nazionale e internazionale". E Theo Colborn,
scienziata e attivista ambientale statunitense, con le sue ricerche, libri e
conferenze ha contribuito a una profonda discussione globale sulla
sopravvivenza dell'umanita' e dei sistemi ecologici. In particolare, ha
studiato il rischio rappresentato dalla presenza di sostanze chimiche di
sintesi che persistono nell'ambiente.
"La nostra societa' globale e' seduta su una bomba a orologeria che dobbiamo
disinnescare", ha annunciato la giuria del premio: che percio' e' stato
assegnato quest'anno a quattro persone che si sono distinte attraverso il
loro lavoro quotidiano nella ricerca, politica e meccanismi di mercato che
hanno gettato le fondamenta per una "detossificazione di lungo termine del
mondo". "La societa' moderna dipende dall'uso di una enorme quantita' di
composti chimici. Essi ovviamente contribuiscono al nostro benessere e al
comfort, ma sfortunatamente, sono anche l'origine di preoccupanti, e in
parte ignoti, effetti sulle persone e sull'ambiente".
A questi effetti ha dedicato la sua ricerca la professoressa Theo Colborn,
prima farmacista e poi ph.d. in zoologia. Ha avuto un ruolo pionieristico la
ricerca da lei effettuata alla fine degli anni '80 attorno ai Grandi Laghi
del nord America, quando ha rivelato come alcune tossine sintetiche
disregolino i meccanismi riproduttivi di uccelli e mammiferi, e come essi
influenzino sistemi ormonali sensibili nella specie umana inducendo rischio
di tumori e ridotta fertilita'. Era una delle prime ricerche su quello che
e' poi stato definito "endocrine disruption" (disordine endocrino), che e'
diventata una disciplina a se'.
Nel 1996 Theo Colborn ha raccolto il risultato di anni di ricerca e di
attivismo in un libro, Our stolen future ("Il nostro futuro rubato", ancora
non tradotto in italiano), che il gia' vicepresidente Al Gore ha definito un
sequel del famoso Silent Spring ("Primavera silenziosa") di Rachel Carson,
il libro che aveva suonato il primo allarme su come l'uso massiccio di
composti chimici altera gli ecosistemi. Nel 2003 l'infaticabile ricercatrice
si e' ritirata dal suo incarico di consulente per il Wwf e ha fondato
"Endocrine disruption exchange" (www.endocrinedisruption.com), organismo per
lo scambio di ricerche e informazioni sul tema.
*
Con lei, a Goteborg e' stata premiata anche la vicepresidente dell'Unione
Europea Margot Wallstrom, responsabile, nel suo mandato di commissaria
europea per l'ambiente, dell'implementazione della direttiva Reach, il piu'
avanzato strumento per il controllo chimico a livello mondiale e una delle
piu' progredite leggi ambientali europee. Nonostante la forte resistenza
degli interessi commerciali, Wallstrom ha avuto successo nel lanciare la
Direttiva Reach come un importante primo passo per il controllo dell'uso di
prodotti chimici.

5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: L'INGIUSTO OBLIO
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento]

Negli anni '80 il piccolo Centroamerica, da sempre dimenticato - cosi'
lontano da dio e cosi' vicino agli Stati Uniti - e vagamente identificato
come la regione delle "repubbliche delle banane", da sempre "il cortile di
casa" degli Usa e da questi sempre invaso e saccheggiato, tentava
stoicamente di sfidare l'insensibilita', la superficialita' il cinismo e di
quei famigerati anni.
I movimenti di liberazione nazionale in Salvador e in Guatemala, e piu'
ancora l'esperienza rivoluzionaria sandinista in Nicaragua, sollevavano a
livello mondiale grandi speranze di cambiamento. Si trattava non solo di
rovesciare dittature sanguinarie e fin genocide, di contrastare le
condizioni di estrema oppressione e miseria in cui viveva la grande
maggioranza della popolazione, ma di cambiare i rapporti tra gli esseri
umani, di costruire solidarieta', di promuovere un "hombre nuevo".
Gli Stati Uniti reagivano a questo impegno di liberazione con la guerra; gli
esperti del Pentagono la definivano "di bassa intensita'", ma in realta'
l'azione statunitense era terrorismo allo stato puro, come avrebbe
documentato il Tribunale Internazionale dell'Aja nel giugno del 1986.
Quel terrorismo imperiale non si sarebbe fermato davanti a niente e a
nessuno pur di raggiungere il suo scopo: il soffocamento del sandinismo, o
lo snaturamento della sua originalita' (e sui meriti della rivoluzione
sandinista bastera' ricordare che la prima misura presa dal governo di
ricostruzione del Nicaragua fu l'abolizione non solo della pena di morte, ma
anche dell'ergastolo, introducendo misure che ridussero enormemente le
detenzioni); e la fine delle altre forze rivoluzionarie di lotta di
liberazione nazionale.
*
In Salvador all'alba del 16 novembre 1989 i soldati del battaglione Atlacatl
(un'unita' specificamente addestrata negli Stati Uniti), facevano irruzione
nell'Universita' Centroamericana (Uca) di San Salvador uccidendo a sangue
freddo i religiosi spagnoli Ignacio Ellacuria, allora rettore delliateneo,
Ignacio Martin Baro, il vicerettore, Segundo Montes, Juan Ramon Moreno,
Amando Lopez e il salvadoregno Joaquin Lopez y Lopez, oltre alla cuoca
dell'ateneo Elba Julia Ramos e alla sua figlia quindicenne Celina Mariceth
Ramos.
Quella notizia passo' praticamente sotto silenzio in una Europa che viveva
in quei giorni l'euforia del crollo del Muro di Berlino, ed oggi (da noi)
non se la ricorda piu' nessuno; come tutto il Centroamerica, passato da
scenario privilegiato di ieri all'oblio piu' assoluto.
In Salvador, líassassinio dei sei gesuiti e' invece una ferita ancora
aperta; un episodio rimasto impunito, nonostante le ripetute richieste di
giustizia da parte dei confratelli delle vittime.
Nove soldati, tra cui il direttore della scuola militare della capitale, il
colonnello Guillermo Alfredo Benavides, sono stati processati nel 1991 per
responsabilita' nella strage; tra questi Benavides e il tenente Yusshy
Mendoza sono stati condannati a 30 anni di carcere, ma hanno beneficiato due
anni dopo dell'amnistia proclamata nel 1993 dall'Alleanza Repubblicana
Nazionalista (Arena), allora al governo, nell'ambito degli accordi di pace
che nel '91 avevano messo fine ai dodici anni di conflitto.
*
Dobbiamo ricordare anche quanto e' accaduto in Guatemala: 150.000 civili
assassinati, 200.000 orfani, 50.000 desaparecidos (dati dalla relazione
"Nunca mas" sulle responsabilita' dei massacri nella guerra guatemalteca),
sono il saldo dell'azione dell'esercito. Ad oggi, tutti i dirigenti delle
giunte militari (che applicarono il terrorismo di Stato come strategia
istituzionalizzata) vivono nella piu' completa impunita'. Nessun ex generale
e' stato portato davanti a un tribunale.
*
In Centroamerica, esaurita la spinta rivoluzionaria e con essa la speranza
di un cambiamento radicale, e' subentrata una limitata democrazia, associata
al neoliberismo. La fine della guerra, il pluralismo dei partiti, la
liberta' d'espressione non hanno condotto ad un aumento del benessere, ed il
problema della poverta' continua a rimanere il principale tra quelli che
attanagliano la regione.
Quanto alla strage del 16 novembre 1989 la novita' di questi giorni e' che
due denunce contro l'ex presidente salvadoregno Alfredo Cristiani (per aver
ostacolato le indagini a beneficio dei militari responsabili
dell'operazione) e 14 ufficiali dell'esercito in servizio durante il suo
mandato (1989-1994) sono state presentate di fronte all'Audiencia Nacional
di Madrid, massimo tribunale penale spagnolo. La spagnola Asociacion Pro
Derechos Humanos (Apdhe) e il Center for Justice & Accountability (Cja) di
San Francisco hanno agito in base alla nazionalita' spagnola di cinque delle
vittime e invocando il principio della giurisdizione universale in materia
di diritti umani, gia' riconosciuto in passato dall'alta corte di Madrid per
giudicare crimini compiuti al di fuori dei confini spagnoli.
Al di la' della vicenda processuale, non possiamo pero' non interrogarci su
questo ingiusto oblio.

6. RIFLESSIONE. SERENA CORSI INTERVISTA DESMOND TUTU
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 novembre 2008 col titolo "Politici
senza ideali, corrotti dal monopolio del potere" e il sommario "Sudafrica,
fine di un'era. Intervista. La critica di Desmond Tutu, il padre della
Rainbow Nation. Il mitico partito di Mandela e' finito ma per un altro padre
della patria la crisi e la nascita di un nuovo movimento daranno una scossa
positiva"]

Se Mandela si tiene a debita distanza dal polverone politico, un altro
storico simbolo della lotta contro l'apartheid non ha rinunciato a dire la
sua: l'arcivescovo Desmond Tutu, colui che conio' l'espressione Rainbow
Nation (nazione arcobaleno) come metafora del Sudafrica post-apartheid e che
guido' la Truth and Reconciliation Commission (Trc), la commissione che
raccolse centinaia di migliaia di testimonianze e di confessioni sui decenni
dell'apartheid. Considerato la coscienza morale della lotta dell'Anc prima,
e dell'intero Sudafrica dalla fine dell'apartheid poi, Tutu ha fatto notizia
poche settimane fa dichiarando che, amareggiato dalla faida interna al
partito, non si sarebbe recato alle urne alle prossime presidenziali di
aprile. Lo abbiamo intervistato per capire le ragioni di questa posizione.
*
- Serena Corsi: Qual e' lo stato di salute della Rainbow Nation, quattordici
anni dopo la fine dell'apartheid?
- Desmond Tutu: Le cose potrebbero essere di gran lunga migliori, ma non
dimentico mai quanto sono state peggiori. Quando penso da dove veniamo, la
nostra stabilita' mi sembra incredibile. Molta gente si aspettava un bagno
di sangue da parte dei neri oppressi cosi' a lungo. Abbiamo sorpreso e dato
una lezione al mondo con la nostra transizione pacifica. Ma e' chiaro che ci
sono ancora troppi problemi. Primo fra tutti quello della casa. Troppe
persone continuano a vivere nelle baracche. Subito dopo viene il tragico
ritardo nel diritto all'educazione e alla salute. E la piaga dell'aids non
sarebbe cosi' grave se non avessimo perso anni di tempo con politiche
sbagliate. D'altra parte diventare liberi non significa ritrovarsi una
bacchetta magica fra le mani.
*
- Serena Corsi: La transizione pacifica ha comunque lasciato tensioni
irrisolte nella societa'. - Desmond Tutu: Gli attacchi xenofobi del maggio
scorso sono una conseguenza di certe tensioni?
- Desmond Tutu: Io non sono in grado di spiegare in maniera definitiva
quello che e' successo con gli attacchi xenofobi. Se si fosse trattato di
rabbia, se fosse stata la frustrazione della pace seguita ai lavori della
commissione Trc, avrebbero attaccato dei bianchi; o almeno, anche dei
bianchi. Il problema e' che non siamo stati in grado di agire adeguatamente
sulle cause della poverta': cosi' si e' sviluppato un meccanismo molto
simile a quello avvenuto in Germania negli anni '30 contro gli ebrei. Di
fronte a una situazione economica personale disastrosa, di fronte alla
disoccupazione, la gente ha cercato un capro espiatorio. Non uno qualunque
ma qualcuno che, partendo da una condizione simile, ce l'aveva fatta. Il
piu' simile a te che pero' se la cava. Molti dei negozi nelle township sono
di stranieri, forse piu' preparati a sacrificarsi e ad avere meno guadagno.
E' ovvio che la rabbia avrebbe dovuto rivolgersi verso il governo, ma, e
questo e' importante, si percepisce il governo come qualcosa di molto
lontano, un'entita' distante e con cui e' impossibile discutere. Come un
uomo maltrattato dal proprio capo e che, al ritorno a casa, si rifa'
picchiando la moglie...
*
- Serena Corsi: L'Anc sta affrontando la crisi piu' grave della sua storia,
che ha persino dato luogo a una scissione. Come vive questa spaccatura chi
viene dalla storica lotta di liberazione?
- Desmond Tutu: Molti di noi sono tristi per il fatto che gli ideali che
avevano animato la lotta contro l'apartheid sembrano essere sfumati in un
mare di divisioni. E' vero, fa sentire amarezza... ma questo e' l'evolversi
naturale della politica. Quante divisioni politiche avvengono in italia? Un
italiano cambia piu' governi che calzini! L'Italia e' anche un buon esempio
della prominenza della mafia e della corruzione in politica... Succede
ovunque, non e' certo una nostra peculiarita'. Ma anche cosi' fa male,
perche' noi pensavamo di essere speciali. E lo siamo stati: la nostra gente
ha lottato in un modo speciale. Irripetibile. Comunque, penso che da questa
crisi possa venire qualcosa di buono: la gente vede chiaramente che la
grande maggioranza dei politici ha completamente perso l'orizzonte ideale.
Ha abbandonato l'idea che i nostri politici non si sarebbero lasciati
corrompere. Lo stesso Jacob Zuma alcuni anni fa, coinvolto nello scandalo
della compravendita di armi, aveva dichiarato "se cadro', non cadro' da
solo", rendendo cosi' noto che molti altri politici erano coinvolti nello
scandalo. E un'altra cosa: la nascita di questo nuovo movimento puo'
scuotere l'Anc, spingerlo a migliorarsi. Se il potere di per se' corrompe,
figuriamoci il potere assoluto del monopolio che ha l'Anc.
*
- Serena Corsi: Si puo' dire che i veri eredi della lotta di liberazione
oggi sono tutti quelli che lottano contro l'apartheid economico, come quelli
della campagna contro gli sfratti e per la somministrazione gratuita degli
antiretrovirali?
- Desmond Tutu: Piu' o meno. E' corretto dirlo ma senza dimenticare che
anche dentro l'Anc ci sono ancora persone che lottano davvero per il bene
della nostra gente, alcuni piu' in vista, altri meno. Io ad esempio ho
grande rispetto per l'attuale presidente ad interim, Motlanthe. E' un uomo
modesto, avrebbe potuto fare un buon lavoro. Comunque mi auguro che i
movimenti svolgano un ruolo complementare, arrivando ad avere la stessa
importanza di quelli che lottarono contro l'apartheid: man mano la gente
capisce che, come diceva non ricordo chi, la politica e' troppo importante
per essere lasciata nelle mani dei politici.
*
- Serena Corsi: Grande oggetto di discussione oggi in Sudafrica sono i
mondiali del 2010. Secondo alcuni e' una grande occasione, secondo altri uno
spreco di risorse che aggravera' le differenze del paese.
- Desmond Tutu: Qualunque cosa accada, o sia fatta accadere, che ci aiuti a
sentirci un unico popolo e' fondamentale. La prima volta che ci siamo
sentiti davvero un unico popolo e' stato quando abbiamo vinto quella
eccezionale finale di rugby nel 1995. Non e' affatto un tema secondario. Su
un un piano piu' concreto, e' innegabile che l'evento dara' lavoro in un
momento in cui uno dei principali problemi del paese e' la disoccupazione.
Non si puo' essere cosi' cinici da sostenere in assoluto che sia una cosa
negativa. Dipende, ancora una volta, da noi: da come e per chi faremo le
cose.

7. AUTORI. ALESSANDRA IADICICCO: IMRE KERTESZ
[Dal mensile "Letture", n. 591, novembre 2002, col titolo "Imre Kertesz: la
pazienza premiata" e il sommario "Il capolavoro dello scrittore ungherese,
Essere senza destino, sul tema dell'Olocausto, nacque mezzo secolo fa.
Osteggiato dal regime, l'autore lo pubblico' solo nel 1976. Oggi finalmente
il riconoscimento internazionale"]

Pazienza premiata. In una formula (che non vuole essere riduttiva:
tutt'altro) si puo' riassumere la vicenda dell'Imre Kertesz appena
incoronato dall'Accademia Reale di Svezia. Della piu' silenziosa, la meno
vistosa, la piu' lenta delle virtu', lo scrittore ungherese ha dovuto
infatti fare lungo esercizio. Per uscirne, alla lunga, pluripremiato. La
sequela dei riconoscimenti si era avviata, timidamente, con il "Flaiano",
ricevuto l'anno scorso a Pescara. Poi, precipitosamente, a neanche
ventiquattr'ore l'uno dall'altro, sarebbero seguiti l'"Hans Sahl" conferito
a Berlino dall'Autorenkreis der Bundesrepublik (circolo degli autori della
Repubblica federale) lo scorso 9 ottobre e, il giorno dopo, il Nobel. Il
tempo, insomma, ha giocato un (non brutto) scherzo all'autore settantaduenne
che, assurto oggi al maggiore dei titoli letterari, ha scritto il suo
capolavoro mezzo secolo fa.
Il romanzo Sorstalansag (Essere senza destino, Feltrinelli 1999) che gli e'
valso il Nobel, data infatti ai primi anni Cinquanta. Nasce dalla
rielaborazione dell'esperienza di prigionia nei campi nazisti di Auschwitz,
Buchenwald e Zeitz vissuta sulla propria pelle tra i quattordici e i
quindici anni. Un quattordicenne, Gyurka, e' appunto il protagonista (alter
ego dello scrittore) della narrazione autobiografica: ragazzo che, rapito
alla famiglia, strappato alla madrepatria, e' buttato nell'inferno dei
lager. Costretto a sopportare, paziente, la quotidianita' dell'orrore e la
piu' stolida crudelta'. In questi termini Kertesz descrive nel suo
libro-verita' quella "banalita' del male" che, nella piu' assurda e
inverosimile delle situazioni, appare, al di qua del recinto di filo
spinato, come una feriale routine. Ed e' appunto questa sobrieta' nel
descrivere la tragedia a rappresentare la cifra originale che distingue la
sua testimonianza dalle innumerevoli che si sono date nella letteratura
sull'Olocausto.
Della propria capacita' di sopportazione, lunga, logorante, Kertesz avrebbe
dovuto dare prova anche dopo la liberazione. L'occasione si sarebbe
presentata nella madrepatria ungherese che, stretta nel rigore del blocco
socialista, pur di non leggere denunce a politiche totalitarie (seppure di
segno diverso), rifiuto' per vent'anni la pubblicazione del romanzo. E
quando, nel 1976, finalmente usci', gli nego' qualsiasi attenzione. Ignorato
per quarant'anni, Kertesz non desiste e in lingua tedesca (che ben conosce,
e continuamente frequenta da traduttore di Hofmannsthal, Schnitzler, Roth,
Canetti, Nietzsche, Wittgenstein, Freud) pubblica nel 1996 la sua opera
prima, avviandosi alla fama europea. E' paradossale, ma proprio all'edizione
nella lingua di coloro che un tempo furono i suoi carnefici lo scrittore
ungherese deve l'inizio di quella notorieta' che ha portato fino al Nobel.
Oggi, finalmente, anche i suoi connazionali (che a muro crollato lo leggono
piu' serenamente) riconoscono a Kertesz la sua statura d'artista. "Siamo
molto contenti che la sua carriera sia andata cosi' avanti", ha detto il
presidente degli scrittori ungheresi, Marton Kalasz, "e che egli abbia
ottenuto il riconoscimento internazionale che gli spetta".

8. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

9. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 646 del 21 novembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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