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Minime. 562
- Subject: Minime. 562
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 29 Aug 2008 00:50:58 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 562 del 29 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Cannibali 2. Giuliana Sgrena: Afghanistan 3. Alcuni estratti da "Hannah Arendt" di Julia Kristeva 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CANNIBALI Non sono forse cannibali tutti coloro che ammettono che si divori carne umana? E non e' forse la guerra il festino, l'orgia, la satanica apoteosi dei divoratori di carne umana? In Afghanistan e' in corso - ormai da decenni - una guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, mafiosa e totalitaria. A questo immenso crimine da anni prende parte anche l'Italia, in violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale. * Che cessi immediatamente la partecipazione italiana alla guerra. Che cessi immediatamente la partecipazione italiana a questo immenso crimine. E s'impegni invece l'Italia per la pace con mezzi di pace, per il disarmo e la smilitarizzazione, per la solidarieta' che salva le umane vite. Torni l'Italia al rispetto della legalita' costituzionale e del diritto internazionale. * Vi e' una sola umanita'. La guerra e' nemica dell'umanita'. Chi non si oppone alla guerra e alle stragi ne e' complice. * Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 2. GUERRA. GIULIANA SGRENA: AFGHANISTAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 agosto 2008 col titolo "L'Onu inchioda gli Usa" e il sommario "Scacco alla Nato. Afghanistan, un'inchiesta dell'Unama prova che sotto il bombardamento del 21 agosto nel villaggio di Azizabad c'erano 60 bambini, 15 donne e 15 uomini. Karzai dimette un generale". Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista". Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005; Il prezzo del velo, Feltrinelli, Milano 2008] "L'inchiesta dell'Unama (la missione Onu in Afghanistan, ndr) ha trovato convincenti prove, basate su testimonianze oculari, che circa 90 civili sono stati uccisi, compresi 60 bambini, 15 donne e 15 uomini", ha riferito ieri Kai Eide, inviato delle Nazioni Unite in Afghanistan. Nel comunicato Onu, che si riferisce all'attacco Usa del 21 agosto, si precisa che "la distruzione con bombardamenti aerei e' chiaramente evidenziata da sette-otto case totalmente distrutte e gravi danni causate a molte altre". E "i residenti sono stati in grado di confermare il numero delle vittime, compresi i nomi, l'eta' e il sesso". L'inchiesta Onu ha dunque confermato quello che era apparso evidente fin da subito, anche se negato dagli Usa autori del massacro, e denunciato da fonti afghane: il bombardamento del villaggio di Azizabad, nella provincia di Herat, sotto comando italiano, aveva colpito civili e non taleban. La posizione assunta dal presidente Karzai, che molte volte aveva coperto le azioni Usa e che invece lunedi' ha chiesto di rinegoziare la presenza delle forze internazionali in Afghanistan, e' una ulteriore conferma che la "guerra al terrorismo" che colpisce soprattutto civili sta provocando forti reazioni nella popolazione afghana. E finira' per favorire i taleban. Karzai ha anche destituito il generale Jalandar Shah Behnam, capo dell'esercito nell'Afghanistan occidentale, e il maggiore Abdul Jabar per non aver "compiuto il proprio dovere e aver nascosto i fatti". L'intervento aereo Usa e' stato infatti richiesto da forze afghane che stavano combattendo alcuni taleban nel villaggio. Secondo il generale l'attacco sarebbe avvenuto perche' fonti dell'intelligence avevano riferito che in una casa del villaggio era in corso una riunione con un comandante taleban, Mullah Siddiq. Comunque sia, le bombe hanno colpito una veglia funebre, secondo un capo tribale locale. Sara' l'imprecisione delle informazioni fornite dai Predator o il senso di impotenza di fronte ai taleban, ma i bombardamenti Usa, che colpiscono spesso civili, non sono piu' accettabili nemmeno dalle forze afghane filo-americane. Le azioni militari Usa in Afghanistan ricordano quelle dei sovietici: non avendo la possibilita' (e' troppo rischioso) di andare sul terreno si bombarda senza badare troppo a dove si colpisce. Questo modo di condurre la guerra aveva costretto i sovietici al ritiro nel 1989 e, ora, la forza multinazionale guidata dagli Usa sembra destinata alla sconfitta. Non sara' certo un rafforzamento delle truppe, promesso da entrambi i candidati alla Casa bianca, a cambiare le sorti della prima missione oltreconfine della Nato. E lo sanno bene i capi militari americani: il 2008 rischia di avere un bilancio ancora piu' sanguinoso del 2007, che aveva gia' registrato il maggior numero di perdite dal 2001. In Afghanistan si sta ampliando il territorio controllato dai taleban, favoriti nella loro riorganizzazione anche dalla incerta situazione pachistana, soprattutto dopo le dimissioni del presidente-generale Pervez Musharraf e la successiva uscita dal governo di Nawaz Sharif. Nelle zone tribali si troverebbero oltre 80 campi di addestramento dei taleban o di al Qaeda. Molti militanti qaedisti, in seguito agli scontri con i Consigli del risveglio, hanno abbandonato l'Iraq e sono tornati in Afghanistan e Pakistan. Mentre i campi taleban sono stati rafforzati dall'arrivo di gran parte dei prigionieri (750) che erano evasi dal carcere di Kandahar nel giugno scorso. Che l'esercito non sia in grado di controllare le aree tribali e' stato ammesso dal generale Ashfaq Kayani, capo dell'esercito pachistano, in un recente incontro a Kabul con il capo dell'Isaf, generale David McKiernan (americano) e il generale Bismillah Kahn, capo di stato maggiore afghano. Nonostante le infiltrazioni dell'intelligence Usa nell'area tribale e le operazioni militari congiunte con le forze pachistane, queste zone di frontiera restano un rifugio sicuro per taleban e al Qaeda. Chi piu' soffre della situazione e' la popolazione. Dopo recenti operazioni militari dalla regione di Bajaur sono fuggiti 300.000 civili. Una misura per contrastare, almeno sul piano finanziario, i taleban e' stata presa ieri dal governo di Islamabad sotto pressione Usa: sono stati congelati i fondi dell'organizzazione Tehrik-e-Taliban, definita dal ministro degli interni Malik una "organizzazione terroristica". 3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "HANNAH ARENDT" DI JULIA KRISTEVA [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Julia Kristeva, Hannah Arendt. La vita, le parole, Donzelli, Roma 2005 (ed. originale: Hannah Arendt, ou l'action comme naissance et comme etrangete'. Le genie feminin, t. I, La vie, Fayard, Paris 1999). Julia Kristeva e' nata a Sofia in Bulgaria nel 1941, si trasferisce a Parigi nel 1965; studi di linguistica con Benveniste; intensa collaborazione con Sollers e la rivista "Tel Quel"; impegnata nel movimento delle donne, psicoanalista, ha dedicato una particolare attenzione alla pratica della scrittura ed alla figura della madre; e' docente all'Universita' di Paris VII. Opere di Julia Kristeva: tra quelle tradotte in italiano segnaliamo particolarmente: Semeiotike', Feltrinelli, Milano; Donne cinesi, Feltrinelli, Milano; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia; In principio era l'amore, Il Mulino, Bologna; Sole nero, Feltrinelli, Milano; Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano; I samurai, Einaudi, Torino; Colette, Donzelli, Roma; Hannah Arendt. La vita, le parole, Donzelli, Roma; Melanie Klein, Donzelli, Roma. In francese: presso Seuil: Semeiotike', 1969, 1978; La revolution du langage poetique, 1974, 1985; (AA. VV.), La traversee des signes, 1975; Polylogue, 1977; (AA. VV.), Folle verite', 1979; Pouvoirs de l'horreur, 1980, 1983; Le langage, cet inconnu, 1969, 1981; presso Fayard: Etrangers a nous-memes, 1988; Les samourais, 1990; Le vieil homme et les loups, 1991; Les nouvelles maladies de l'ame, 1993; Possessions, 1996; Sens et non-sens de la revolte, 1996; La revolte intime, 1997; presso Gallimard, Soleil noir, 1987; Le temps sensible, 1994; presso Denoel: Histoires d'amour, 1983; presso Mouton, Le texte du roman, 1970; presso le Editions des femmes, Des Chinoises, 1974; presso Hachette: Au commencement etait l'amour, 1985. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente scheda: "Julia Kristeva e' nata il 24 giugno 1941 a Silven, Bulgaria. Nel 1963 si diploma in filologia romanza all'Universita' di Sofia, Bulgaria. Nel 1964 prepara un dottorato in letteratura comparata all'Accademia delle Scienze di Sofia; nel 1965 ottiene una borsa di studio nel quadro di accordi franco-bulgari e dopo il 1965 prosegue gli studi e il lavoro di ricerca in Francia all'Ecole Pratique des Hautes Etudes. Nel 1968 consegue il dottorato sotto la direzione di Lucien Goldmann (con Roland Barthes e J. Dubois). Sempre nel 1968 e' eletta segretario generale dell'Association internationale de semiologie ed entra nel comitato di redazione del suo organo, la rivista 'Semiotica'. Nel 1973 consegue il dottorato di stato in lettere sotto la direzione di J. C. Chevalier. Dal 1967 al 1973 e' ricercatrice al Cnrs di linguistica e letteratura francese, al Laboratoire d'anthropologie sociale, al College de France e all'Ecole des Hautes Etudes en sciences sociales. Nel 1972 tiene un corso di linguistica e semiologia all'Ufr di Letteratura, scienze dei testi e documenti dell'Universita' Paris VII 'Denis Diderot'. E' nominata direttore del Dea di Etudes Litteraires. Nel 1974 viene eletta Permanent visiting professor al Dipartimento di letteratura francese della Columbia University, New York. Nel 1988 e' responsabile del Draps (Diplome de recherches approfondies en psycopathologie et semiologie). Nel 1992 e' nominata direttore della Scuola di dottorato "Langues, litteratures et civilisations, recherches transculturelles: monde anglophone - monde francophone", all'Universita' di Paris VII 'Denis Diderot' e Permanent Visiting Professor al Dipartimento di Letteratura comparata dell'Universita' di Toronto, Canada. Nel 1993 e' nominata membro del comitato scientifico, che affianca il ministro dell'educazione nazionale. Attualmente e' professoressa all'Universita' Paris VII 'Denis Diderot'. Dal 1978 dopo una psicoanalisi personale e una analisi didattica presso l'Institut de psychanalyse, esercita come psicoanalista. Gli interessi scientifici di Julia Kristeva vanno dalla linguistica alla semiologia, alla psicoanalisi, alla letteratura del XIX secolo. Esponente di spicco della corrente strutturalista francese e in particolare del gruppo di 'Tel Quel', che ha sviluppato in Francia le ricerche iniziate dai formalisti russi negli anni Venti e continuate dal Circolo linguistico di Praga e da Jakobson, Julia Kristeva ritiene che la semiotica sia la scienza pilota nel campo delle cosiddette 'scienze umane'. Pervenuta oggi a un'estrema formalizzazione, in cui la nozione stessa di segno si dissolve, la semiotica si deve rivolgere alla psicoanalisi per rimettere in questione il soggetto senza di cui la lingua come sistema formale non si realizza nell'atto di parola, indagare la diversita' dei modi della significazione e le loro trasformazioni storiche, e costituirsi infine come teoria generale della significazione, intesa non come semplice estensione del modello linguistico allo studio di ogni oggetto fornito di senso, ma come una critica del concetto stesso di semiosi. Opere di Julia Kristeva: Semeiotike'. Recherches pour une semanalyse, Seuil, Paris 1969; Le texte du roman, Mouton, La Haye 197l; La revolution du language poetique. L'avant-garde a' la fin du XIX siecle: Lautreamont et Mallarme', Seuil, Paris 1974; Des chinoises, Editions des femmes, Paris l974; Polylogue, Seuil, Paris 1977; Pouvoirs de l'horreur. Essai sur l'abjection, Seuil, Paris 1980; Le language, cet inconnu. Une initiation a' la linguistique, Seuil, Paris 198l; Soleil noir. Depression et melancolie, Gallimard, Paris 1987; Les Samourais, Fayard, Paris 1990; Le temps sensible. Proust et l'experience litteraire, Gallimard, Paris l994. Numerosi articoli di Julia Kristeva sono apparsi sulle riviste 'Tel Quel', 'Languages', 'Critique', 'L'Infini', 'Revue francaise de psychanalyse', 'Partisan Review', 'Critical Inquiry' e molte altre. Tra le opere della Kristeva tradotte in italiano, ricordiamo: Semeiotike'. Ricerche per una semanalisi, Feltrinelli, Milano 1978; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia 1979; Storia d'amore, Editori Riuniti, Roma 1985; Sole nero. Depressione e melanconia, Feltrinelli, Milano 1986; In principio era l'amore. Psicoanalisi e fede, Il Mulino, Bologna 1987; Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano; Poteri dell'orrore, Spirali/Vel, Venezia; I samurai, Einaudi, Torino 1991; La donna decapitata, Sellerio, Palermo 1997". Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000. Melanie Klein, illustre psicoanalista (Vienna 1882 - Londra, 1960). Opere di Melanie Klein: Scritti (1921-1958), Boringhieri, Torino 1978; La psicoanalisi dei bambini, Martinelli, Firenze 1970; Nuove vie della psicoanalisi, Il Saggiatore, Milano 1982; Il nostro mondo adulto ed altri saggi, Martinelli, Firenze 1972; Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze 1969; Analisi di un bambino, Boringhieri, Torino 1961. Opere su Melanie Klein: Hanna Segal, Introduzione all'opera di Melanie Klein, Martinelli, Firenze 1968; Hanna Segal, Melanie Klein, Bollati Boringhieri, Torino 1981, 1994; Julia Kristeva, Melanie Klein, Donzelli, Roma 2006; Franco Fornari (a cura di), Fantasmi, gioco e societa', Il Saggiatore, Milano 1976. Sidonie-Gabrielle Colette (1873-1954) e' stata la piu' apprezzata scrittrice francese della prima meta' del Novecento] Indice del volume Introduzione; I. La vita e' racconto. 1. Una biografia "talmente esposta"; 2. Amare secondo Agostino; 3. Il senso di un esempio: Rahel Varnhagen; 4. Arendt e Aristotele: un'apologia della narrazione; 5. Raccontare il XX secolo; II. L'umanita' superflua. 1. Essere ebrea; 2. Tra gli elementi della struttura... il caso francese; 3. Che cos'e' un antisemitismo moderno? 4. Imperialismo... e totalitarismo; 5. La banalita' del male; 6. Fede e rivoluzione... nella societa', questa amministratrice; III. Pensare, volere, giudicare. 1. "Chi" e il corpo; 2. Il dialogo dell'Io pensante: "scissione", malinconia, tirannia; 3. Dall'uomo interiore alla violenza del processo vitale; 4. Il gusto dello spettatore: verso una filosofia politica; 5. Il giudizio: tra perdono e promessa; Appendice. Bibliografia; Indice delle opere di Hannah Arendt citate; Indice dei nomi e dei personaggi. * Da pagina 3 "Una delle passioni piu' intense e' l'amore per la verita' nell'uomo di genio" (Laplace) "Che genio!": talento, dono naturale, ricerca eccezionale della verita'; la recente pretesa degli esseri umani di riconoscere a se stessi elementi di "genio" abolisce l'antica divinizzazione della personalita'. Lo spirito divino, che si riteneva vegliasse sulla nascita del futuro eroe, si e' trasformato in una capacita' notevole di innovazione: "Soprattutto la capacita' inventiva sembrava un dono degli dei, quell'ingenium quasi ingenitum, una specie di ispirazione divina" (Voltaire). In seguito, per semplice metonimia o per analogia, ci si accordo' a chiamare "genio" anche la persona "che ha genio" o, semplicemente, influenza su qualcuno. Hannah Arendt, una delle protagoniste di quest'opera in tre parti, si prende allegramente gioco del "genio", inventato secondo lei dagli uomini del Rinascimento: frustrati perche' si vedevano confusi con i frutti (pur se sempre piu' straordinari) delle proprie attivita', stavano intanto perdendo Dio e ne avrebbero trasferito la trascendenza a quelli tra di loro che possedevano le qualita' migliori. [...] Le tre donne delle quali ci occuperemo in questa trilogia non sono probabilmente le uniche a lasciare il segno nelle attivita' sempre piu' diversificate del nostro secolo. E' per affinita' personale che ho letto, amato e scelto Hannah Arendt (1906-1975), Melanie Klein (1882-1960) e Colette (1873-1954). Spero che il lettore si convincera', alla fine dell'opera, che questa scelta personale corrisponde a un oggettivo riconoscimento. Il XX secolo e' stato quello in cui i progressi affannosi della tecnica hanno rivelato, piu' e meglio di prima, l'eccellenza degli uomini e al tempo stesso i rischi di autodistruzione che l'umanita' porta dentro di se'. La Shoah ne e' la prova, e' quasi superfluo aggiungervi la bomba atomica o i pericoli della globalizzazione. La vita ci appare di conseguenza come il bene ultimo, dopo il crollo dei sistemi di valori. Vita minacciata, vita desiderabile: ma quale vita? Hannah Arendt e' stata totalmente assorbita da questo pensiero quando, di fronte ai due totalitarismi, ha scommesso su un'azione politica che rispettasse e rivelasse il "miracolo della natalita'". Preferira' pero' non pensare che una lingua puo' impazzire e che il "buon senso" dell'umanita' puo' celare in se' una minaccia di demenza. Sara' Melanie Klein a portare avanti l'indagine sugli abissi della psiche umana e, come una regina del romanzo giallo, a indagare senza posa la pulsione di morte che anima l'essere dotato di parola dal giorno in cui vede la luce, con la malinconia o la schizoparanoia a contendersi il primato del condizionamento. Le gaudenti, le seduttrici che si inebriano della polpa di un'albicocca come dell'aro del sesso di un innamorato o dei seni profumati di lilla' di un'innamorata non hanno comunque disertato l'era atomica. Se questo secolo non e' solo di sinistra memoria, probabilmente lo deve anche alla gioia e all'impudicizia di donne libere, come quelle che Colette e' stata capace di raccontare con la grazia insolente della ribelle che fu. Il gusto delle parole, restituito a quegli individui robotizzati che siamo, e' forse il piu' bel regalo che una scrittura femminile possa fare alla lingua materna. * Da pagina 12 Queste tre esperienze, queste tre opere dalla verita' rivelatrice si sono prodotte nel bel mezzo del secolo e insieme ai suoi margini. Non proprio escluse, non proprio marginali, Arendt, Klein e Colette sono pero' "fuori dal coro". Realizzano la loro liberta' di esploratrici fuori dalle correnti dominanti, dalle istituzioni, dai partiti e dalle scuole. Il pensiero della Arendt si situa nel punto di intersezione tra piu' discipline (filosofia? politologia? sociologia?), e' trasversale rispetto alle religioni e alle appartenenze etniche o politiche, ribelle all'establishment sia di "destra" sia di "sinistra". La ricerca della Klein sfida il conformismo dei freudiani e, senza temere il rischio di infedelta' all'ortodossia psicoanalitica dell'epoca, introduce una vera e propria rottura nell'esplorazione dell'Edipo, dell'immaginazione, del linguaggio e del prelinguaggio. Provinciale e scandalosa, poi mondana, ma sempre popolare, Colette raggiunge in definitiva l'accademismo letterario solo perseverando nella sua perspicace analisi della commedia sociale e nella sua ribellione sensuale. Innovatrici perche' non conformi, il loro genio ha un prezzo. Questo: se le ribelli ne ricavano motivo di esaltazione, ne pagano anche le spese subendo ostracismo, incomprensione e disprezzo. Destino comune ai geni... e alle donne? La vita, la follia, le parole: queste donne se ne sono fatte esploratrici lucide e appassionate, impegnando la loro vita e il loro pensiero e illuminando per noi di una luce singolare i rischi e le opportunita' maggiori della nostra epoca. Cercheremo di leggerle senza fermarci ai pochi argomenti ormai celebri che i loro nomi richiamano subito alla mente. Hannah Arendt non si riduce alla "banalita' del male" e al "processo Eichmann", o all'identificazione tra nazismo e stalinismo. Melanie Klein non si ferma alla "proiezione paranoica precoce", alla "invidia e gratitudine" indotte da quell'"oggetto parziale" che e' il seno materno o alla "scissione multipla" che genera la psicosi endogena. Neppure la provocazione della donna indipendente che scandalizza per regnare piu' agevolmente all'Academie Goncourt esaurisce la magia di Colette. Quelli sono solo dettagli, che spesso impediscono di vedere insiemi assai piu' attraenti, ma anche pericolosamente piu' complessi. * Da pagina 19 "E' come se determinate persone si trovassero nella loro propria vita (e soltanto in tale dimensione, non in se stesse in quanto persone!) talmente esposte da poter essere paragonate nello stesso tempo a punti d'incrocio e a oggettivazioni concrete 'della' vita". Hannah Arendt (1906-1975) scrive queste righe, che prefigurano il suo proprio destino, quando ha solo ventiquattro anni. Ha gia' incontrato e amato Heidegger, fascinosa presenza per tutta la sua vita, e ha gia' discusso la sua tesi di dottorato a Heidelberg: Der Liebesbegriff bei Augustin [Il concetto d'amore in Agostino], sotto la guida dello stesso Karl Jaspers, con il quale si confida. Fin dal primo momento sa di essere "esposta" al punto da cristallizzarsi in "punto di incrocio e oggettivazione 'della' vita". Dopo avere pensato di dedicarsi alla teologia ed essersi poi data allo studio e allo "smantellamento" della metafisica, il pensiero della giovane filosofa e' impegnato ben presto sostanzialmente dalla vita. Dapprima, la vita di per se': perche' Hannah Arendt, per sopravvivere, nel 1933 deve lasciare la Germania, sfuggendo cosi' alla Shoah con l'esilio. Soggiorna dapprima a Parigi e sbarca infine, nel 1941, a New York, dove dieci anni dopo otterra' la cittadinanza americana. Diventata politologa, scrive qui un testo importante sulla storia dell'antisemitismo e le origini del totalitarismo, per ritornare poi a meditazioni fondamentali sulla vita della mente. Presa immediatamente da quella singolare passione in cui vita e pensiero sono tutt'uno, il suo itinerario movimentato, ma profondamente coerente, non cessa di collocare al centro la vita, in se' e come concetto da chiarire. Perche' Hannah Arendt, lungi dall'essere una "pensatrice di professione", agisce il proprio pensiero nel cuore della propria vita: si e' quasi tentati di vedere in questo tratto tipicamente arendtiano anche una peculiarita' femminile; e' proprio vero, infatti, che la "rimozione", detta "problematica", impedisce alla donna di isolarsi nelle torri d'avorio ossessive del pensiero puro, per ancorarla alla concretezza dei corpi e ai legami con gli altri. Piu' ancora, pero', il tema della vita guida il suo pensiero in tutti i suoi scritti, nella disamina sia della storia politica sia di quella della metafisica, anche se da un'occorrenza all'altra, comparendo cosi' spesso, si affina e si cesella. Il pensiero della Arendt lo sottende quando l'autrice stabilisce con grande coraggio intellettuale - quanto contestato! - che nazismo e stalinismo sono le due facce di un medesimo orrore, il totalitarismo, perche' convergono nella stessa negazione della vita umana. Sotto la spinta del progresso tecnologico a partire dalla prima guerra mondiale, il disprezzo che distrugge la vita, gia' noto in altre civilta', raggiunge un livello di parossismo fino ad allora sconosciuto: mossi a monte da quella medesima negazione, ma in una maniera diversa, i due totalitarismi si ritrovano nel fenomeno concentrazionario. Hannah Arendt scrive dunque: "il senso della superfluita' degli uomini, tipico delle masse (e assolutamente nuovo in Europa, un fenomeno associato alla disoccupazione generale e all'incremento demografico degli ultimi centocinquant'anni) ha dominato per secoli incontrastato [nei paesi del tradizionale dispotismo orientale] nel disprezzo della vita umana". O ancora: "La vecchia massima secondo cui i poveri e gli oppressi non avevano nulla da perdere all'infuori delle loro catene non si applicava piu' a questi uomini, che avevano perso ben piu' delle catene della miseria quando avevano smarrito l'interesse per se stessi: era venuta meno la fonte delle ansie e delle preoccupazioni che rendono la vita umana penosa e tormentata. In confronto del loro non materialistico distacco dal mondo, il monaco cristiano faceva la figura dell'uomo assorbito dagli affari terreni". Questo tono grave, in cui la rabbia si colora d'ironia, tradisce un'ansieta' dagli accenti talvolta apocalittici, quando la Arendt diagnostica che il "male radicale" risiede nella "volonta' perversa", nel senso di Kant, di rendere gli uomini "superflui": in altre parole, l'uomo del totalitarismo, passato e latente, distrugge la vita umana dopo avere abolito il senso di ogni vita, compresa la propria. Peggio ancora, questa "superfluita'" della vita umana, che la studiosa di storia insiste nell'individuare nel successo dell'imperialismo, non scompare - tutt'altro - nelle democrazie moderne invase dall'automazione: "possiamo dire che il male radicale e' comparso nel contesto di un sistema in cui tutti gli uomini sono diventati ugualmente superflui. I governanti totalitari sono convinti della propria superfluita' non meno di quella altrui; e i carnefici sono cosi' pericolosi perche' gli e' indifferente vivere o morire, esser nati o non avere mai visto la luce. Il pericolo delle invenzioni totalitarie e' che oggi, con la popolazione e lo sradicamento in rapido aumento dovunque, intere masse di uomini sono di continuo rese superflue nel senso della terminologia utilitaristica. E' come se le tendenze politiche, sociali ed economiche dell'epoca congiurassero segretamente con gli strumenti escogitati per maneggiare gli uomini come cose superflue". Di fronte a una minaccia del genere, una difesa veemente della vita si leva in The Human Condition [Vita activa]. Agli antipodi rispetto alla vita banalmente riprodotta dall'accanimento vitalistico del consumismo e dalla tecnica moderna applicata al "processo vitale", la Arendt intona un inno alla singolarita' di ogni nascita, qualunque essa sia, capace di inaugurare quello che non esita a chiamare il "miracolo della vita": "Il miracolo che salva il mondo, il dominio delle faccende umane, dalla sua normale, 'naturale' rovina e' in definitiva il fatto della natalita', in cui e' ontologicamente radicata la facolta' dell'azione. E', in altre parole, la nascita di nuovi uomini e il nuovo inizio, l'azione di cui essi sono capaci in virtu' dell'esser nati. Solo la piena esperienza di questa facolta' puo' conferire alle cose umane fede e speranza, le due essenziali caratteristiche dell'esperienza umana che l'antichita' greca ignoro' completamente. E' questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua piu' gloriosa e stringata espressione nelle poche parole con cui il vangelo annuncio' la 'lieta novella' dell'avvento: 'Un bambino e' nato per noi'". Oggi e' molto difficile per noi accettare che la vita, valore sacro delle democrazie cristiane e post-cristiane, sia il frutto recente di un'evoluzione storica, e prendere in considerazione l'eventualita' che possa essere minacciata. Proprio l'interrogativo su questo valore fondamentale, su come si sia formato nell'escatologia cristiana e sui pericoli che corre nel mondo moderno, attraversa da un capo all'altro tutta l'opera della Arendt - dalla sua tesi su Agostino al manoscritto incompiuto sulla capacita' di giudicare -, sempre che segretamente non le dia una struttura. * Da pagina 42 Possiamo parlare di un'opera? Certamente. Le nostre consuetudini accademiche ed editoriali indicano senza ombra di dubbio Hannah Arendt come l'autrice di un'opera (politica? filosofica? femminile? Per il momento lasciamo la questione aperta) tra le piu' importanti del XX secolo. Lo stile incisivo, la concisione, la rapidita', l'erudizione immensa ma mai esaustiva dei suoi scritti sono stati riconosciuti: le ripetizioni e l'eterogeneita' del loro stile hanno infastidito gli specialisti di ogni tendenza; ma e' soprattutto perche' ancorati all'esperienza personale e alla vita del secolo che i suoi testi non danno tanto l'impressione di un'opera, ma di un'azione. L'incontestabile singolarita' della Arendt si rivela in questo: non rifinisce e non conclude, ne' da' al suo pensiero una forma rigida al di sopra delle parti. Colei che comprende prende la palla al balzo, interroga i "dati", dialoga con gli "autori", palesi o nascosti, interagendo continuamente con gli altri e, per cominciare, con se stessa. All'interno di questo labirinto polemico il pensiero rinuncia forse alla precisione e ai tecnicismi, ma lo fa per entrare meglio in sintonia con le memorie precedenti (al plurale) e incidere sul mondo attuale. Una foto della fine degli anni Cinquanta fornisce, secondo me, l'immagine piu' sconcertante di "colei che comprende". La tensione di penetrare (Heidegger dice: durchschauen, Durchsichtigkeit), di svelare, conferisce al suo volto un'aria mascolina e una voracita' ironica. Tuttavia, il sorriso e lo sguardo conquistatore restano illuminati da una furtiva dolcezza che traduce e trasmette fiducia e complicita' insieme. La maturita' e la battaglia intellettuale hanno pero' fatto scomparire la ragazza soave dai capelli lunghi che, a diciotto anni, aveva sedotto il suo Platone di Marburg. Anche la ragazza con la sigaretta, che si rivolgeva con un profilo concentrato al pubblico di una conferenza di New York nel 1944, si e' brutalmente irrigidita. * Da pagina 127 Hannah Arendt deve la propria celebrita' all'opera di antropologia politica intitolata Le origini del totalitarismo. Il saggio cerca di descrivere la cristallizzazione di un male assoluto: l'idea e la sua pratica attuazione nel XX secolo che l'umanita' sia superflua. Facendo leva sull'economia, la politica, la sociologia, persino sulla psicologia sociale, attingendo alla letteratura e alla filosofia, la Arendt racconta una Storia fatta di storie personali e collettive: i "dati" transitano attraverso l'immaginario e sono strumentalizzati dall'ideologia piu' mortifera che l'umanita' abbia mai conosciuto, poiche' arriva al punto di decretare che alcuni esseri umani sono superflui. Alcuni, oppure, sotto la spinta dell'utilitarismo e dell'automazione e a lungo andare tutti gli esseri umani? Questo e' il timore, per nulla dissimulato, della Arendt. L'ambizione di rintracciare le "origini" o la "natura" di tale orrore e' temperata dalla sua perspicacia intellettuale: poiche' la categoria della "causalita'" e' estranea al campo delle discipline storiche e politiche, bisogna individuare alcuni "elementi" che divengono un'"origine degli eventi solo quando si cristallizzano in forme fisse e definite. Allora, e solo allora, sara' possibile seguire all'indietro la loro storia. L'evento illumina il suo stesso passato, ma non puo' mai essere dedotto da esso". L'autrice ammette dunque che la "cristallizzazione", da lei individuata ripercorrendo gli eventi a ritroso, alla ricerca nel passato degli "elementi" premonitori, e' simile a un processo dell'immaginazione. Stendhal non parlava forse della nascita dell'amore come di una "cristallizzazione"? Per altro verso, rivela che la sua intenzione era quella di fornire gli "elementi" (the elemental structure) "che alla fine si cristallizzano" nel totalitarismo. Claude Levi-Strauss aveva appena pubblicato Le strutture elementari della parentela (1949) e lo strutturalismo cominciava ad assumere importanza, analizzando gli elementi costitutivi del "pensiero selvaggio". Solo lo sfociare parossistico degli "elementi" in "eventi" porta a indicare i primi come ingredienti dei secondi. Quanto al processo della "cristallizzazione" in se', il ricercatore non puo' che raccontarne la storia, basata su fatti incontestabili e su interpretazioni determinate dalle proprie personali implicazioni, dalle proprie scelte politiche e dai propri giudizi personali, che non sono direttamente morali, ma dipendono da una serie di parametri. La Arendt ha rifiutato ogni "impegno" alla maniera di Sartre o di qualunque altra "nuova sinistra", per rivendicare unicamente il ruolo dello "spettatore" esterno all'azione; solo lo spettatore puo' giudicarla con imparzialita': e' questa la condizione necessaria che permette al giudizio di diventare un'azione, la piu' pertinente di tutte. La lucidita' della Arendt su tale conseguenza, la sua passione per la verita', rivelata come se fosse al tempo stesso una verita' personale (quella di un'ebrea sfuggita alla Shoah) e una necessita' storica universale (quella del giudizio piu' informato e piu' rigoroso, perche' non si limita a essere coerente, ma si basa su un imperativo morale che altro non e' che l'amore per il prossimo), fanno di questo libro una testimonianza unica. Oggi, a distanza di tempo, senza trascurare la pertinenza delle analisi storiche e il vigore del pamphlet moralista - salutati o criticati fin dalla pubblicazione - la qualita' essenziale di questo testo ci sembra consistere prima di tutto nell'arte di raccontare il romanzo del secolo: Le origini del totalitarismo si presenta infatti come una serie di storie individuali e collettive intervallate dalla storia personale della narratrice, anche lei alle prese con la "cristallizzazione". * Da pagina 207 Non sarebbe possibile cogliere l'originalita' della concezione arendtiana dell'azione politica senza tenere conto del fatto che essa e' pensata come l'attualizzarsi - ipotetico, arrischiato, votato alla speranza piu' che fondato su un'improbabile constatazione - di un "chi". Benche' l'attualita' del liberalismo e della tecnica condanni all'insuccesso qualunque azione pretenda di modificare l'alienazione, la reificazione o 1'"impianto" [Gestell], l'esperienza personale e politica della Arendt la spinge comunque ad adeguare la propria attenzione e le proprie critiche al mondo moderno a partire da un'appropriazione dell'ontologia fondamentale incentrata sull'"essenza dell'uomo", e a intravedere qualche avvio di azione politica portatrice del "chi". Pensare, volere e giudicare la inducono a meditazioni in apparenza filosofiche che, di fatto, smantellano sia la filosofia, sia la politica e delineano uno sguardo nuovo, specificamente arendtiano, sulla liberta'. Le aporie del "chi" e del corpo guideranno il nostro ingresso in quest'ultima decostruzione della metafisica secondo la Arendt, costituita dalla rifusione dell'antinomia filosofia-politica da lei realizzata in La vita della mente. "Chi siamo?" si contrappone a "Che cosa siamo?": questa e' l'inquietante rivelazione che anima l'opera politica e filosofica della Arendt. L'aveva preceduta il quesito heideggeriano "Chi e' il Dasein?". Tuttavia, a differenza della riflessione solitaria, la Arendt radica le azioni e le parole che rivelano il "chi" nella pluralita' del mondo. Ha forse operato un'antropologizzazione dell'ontologia fondamentale - simmetrica alla sua lettura "abusivamente sociologica" di Kant, come le rimprovera qualcuno? Il pensiero della Arendt riprende e mette in discussione la rivoluzione heideggeriana: il "chi" e' sottratto alla vita trascendentale della coscienza, nella quale si colloca l'Ego husserliano; si apre agli essenti e a se stesso e raggiunge il proprio essere nell'eccesso; il Dasein si appropria dell'Essere con la "vista" (Sicht) e, trascurando le preoccupazioni intramondane per situarsi nella "cura" (Sorge), si orienta verso la sua possibilita' piu' intrinseca, che e' la propria finitezza; l'angoscia del suo essere al mondo lo rivela alla sua mortalita' come poter-essere piu' proprio. Lungi dal venire rifiutata dalla Arendt, questa rivelazione sottintende da cima a fondo la distinzione fatta in Vita activa tra "chi" e "cio' che". 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 562 del 29 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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