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Nonviolenza. Femminile plurale. 196
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 196
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 21 Jul 2008 09:34:06 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 196 del 21 luglio 2008 In questo numero: 1. Alessandra Pantano: Uno sguardo femminile sulle ambivalenze del presente 2. Michele De Mieri intervista Agota Kristof (2003) 3. Alessandra Farkas intervista Erica Jong (2003) 4. Wanda Tommasi presenta "Malwida von Meysenbug, una idealista nel suo tempo" di Maria Cecilia Barbetta 1. INCONTRI. ALESSANDRA PANTANO: UNO SGUARDO FEMMINILE SULLE AMBIVALENZE DEL PRESENTE [Dalla rivista della comunita' filosofica femminile Diotima "Per amore del mondo", fascicolo della primavera 2008 col titolo "Un certain regard", disponibile nel sito www.diotimafilosofe.it, riprendiamo il seguente articolo. Alessandra Pantano lavora al dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona, e' specialista del pensiero di Jan Patocka, che ha studiato anche mediante alcuni soggiorni presso líarchivio Patocka di Praga; ha curato la traduzione e l'introduzione di alcuni testi del filosofo ceco in volume e per le riviste "aut aut" e "Humanitas". Chiara Zamboni e' docente di filosofia del linguaggio all'Universita' di Verona, partecipa alla comunita' filosofica femminile di "Diotima". Tra le opere di Chiara Zamboni: Favole e immagini della matematica, Adriatica, 1984; Interrogando la cosa. Riflessioni a partire da Martin Heidegger e Simone Weil, IPL, 1993; L'azione perfetta, Centro Virginia Woolf, Roma 1994; La filosofia donna, Demetra, Colognola ai Colli (Vr) 1997; Parole non consumate. Donne e uomini nel linguaggio, Liguori, Napoli 2001; Sul femminile. Scritti di antropologia e religione, Citta' Aperta, Troina (En) 2004] "Uno sguardo femminile sulle ambivalenze del presente". E' questo il titolo che io e Chiara Zamboni abbiamo dato al seminario che si e' svolto il 23 aprile 2007. Quel giorno presso la sala Barbieri del Palazzo del Rettorato si parlava francese e italiano, perche' le nostre invitate erano pensatrici che lavorano in Francia, precisamente a Parigi. Christiane Veauvy, Francoise Collin, Francoise Duroux e Nadia Setti hanno dialogato con alcune donne italiane, per la maggior parte di Diotima, sulle contraddizioni politiche, culturali e linguistiche che emergono oggi nelle nostre societa'. L'iniziativa e' nata per il desiderio non solo di riprendere il dialogo con le donne francesi che condividono un pensiero filosofico e politico femminile, ma anche di confrontarci con loro sui movimenti tellurici che si stanno aprendo. La domanda guida infatti che risuonava nella sala era: quali contraddizioni, quali ambivalenze, quali spostamenti si stanno attuando nella realta' contemporanea? Nella condivisione che lo sguardo femminile sia particolarmente sensibile nel cogliere le spaccature del reale non solo gia' presenti ma anche nel loro sorgere ambiguo, le pensatrici francesi e italiane presenti in quel seminario hanno pensato insieme. Riprendendo le idee offerte nelle relazioni e articolandole nel dibattito, abbiamo fatto circolare non solo teorie ma anche pratiche filosofiche nuove. * La prima parte della mattinata, ascoltando le relazioni di Christiane Veauvy e Nadia Setti, relativamente al tema delle contaminazioni linguistiche e culturali tra le donne del sud e del nord, ha scatenato un acceso dibattito. Si sentiva vero il fatto di andare al di la' di un'"indignata simpatia" tipica del multiculturalismo e comune a molte donne e uomini che si occupano del fenomeno immigrazione. La risposta al problema dell'immigrazione non e' semplicemente l'integrazione all'interno di un "universalismo repubblicano", perche' cio' potrebbe impedire alle donne di essere se stesse e di mantenere un legame con il materno. L'idea che all'inizio ha preso posto nei nostri pensieri, secondo cui l'integrazione e' possibile nel momento in cui si e' disposti ad accettare e interiorizzare l'estraneita', non mi sembrava convincente. Sembrava una pratica filosofica monca... mancava qualcosa. Poi, il dibattito si e' mosso verso quel punto, che a mio parere mancava e che in quella occasione appagava le piu' sensibili. Non basta fare uno spostamento dentro di se' per accogliere l'altro, pratica che non risulta difficile per le donne: occorre anche prendere una posizione di fronte a un uomo o una donna che e' altro e altra rispetto a me. Prendere una posizione ha il significato per me di essere fedeli alla lingua materna. Riconoscere l'estraneita' per convivere insieme nella stessa societa' significa allora farsi riconoscere; cosi' facendo lo spostamento dentro di se', capace di creare il simbolico, e' reciproco. In questo modo non c'e' affatto il rischio, come qualcuno potrebbe pensare, di chiudersi in una mera identita' culturale e linguistica: la fedelta' alla lingua materna permette alla lingua di fare il suo gioco, di mostrare la sua potenza. Permette uno scambio. * La seconda parte della giornata si e' fatta piu' impegnativa. C'era un legame tra le relazioni di Collin e di Duroux, che ha aperto poi la discussione: una particolare attenzione per il femminismo di oggi. Il tema si presentava difficile non solo perche' chiamava in causa le contraddizioni, o secondo l'espressione di Collin, le opposizioni tra donne, ma anche perche' divideva le donne francesi dalle donne italiane. E' emersa infatti una differenza tra il modo di abitare il mondo da parte delle francesi rispetto a quello delle italiane. Tra le donne italiane presenti, che condividevano l'esperienza della comunita' filosofica e politica di Diotima, e' emerso che non e' la stessa rappresentazione ideale del mondo che rende possibile una collaborazione tra donne, bensi' sono le pratiche. Condividere le stesse pratiche fa nascere non solo delle relazioni significative tra donne, ma anche un nuovo mondo. Quello che chiamiamo mondo non e' altro che una complessita' di relazioni, che si costruiscono non a partire da idee iperuraniche ma da un sentire comune della realta'. E da una prassi politica condivisa. Di diversa opinione e tradizione erano invece le donne francesi, le quali insistevano sulla priorita' del mondo comune, sulla necessita' di avere la stessa rappresentazione della realta', la quale, poi, avrebbe messo in relazione le donne. La conclusione verso cui questa posizione si muoveva non mi trovava d'accordo: non e' il mondo in se' a permettere le relazioni tra donne, bensi' sono le pratiche delle donne mosse dai loro desideri che creano il mondo. Un esempio molto chiaro per me era quello stesso seminario: lo scambio, la discussione, le relazioni che si sono consolidate tra le donne francesi e italiane sono state possibili perche' all'inizio di tutto c'era un desiderio; il mio desiderio e quello di Chiara era di capire il mondo, quel mondo che ci accomuna. Muoverci insieme per soddisfare questo desiderio ha creato un'occasione per le donne italiane e francesi di pensare insieme. Ha creato un mondo. * Nadia Setti e' docente e direttrice di ricerca di Letterature comparate e Studi femminili del Centre de Recherche d'Etudes Feminines dell'Universita' di Paris VIII. Si occupa di poetica, letterature comparate femminili, questioni di scrittura e di lettura femminili, scritture migranti. Ha tradotto Antoinette Fouque, I sessi sono due, Helene Cixous, Il teatro del cuore e Le fantasticherie della donna selvaggia. Christiane Veauvy, sociologa, ricercatrice al Cnrs (sociologia) e insegnante nel Dess "Genre et sexualites. Conseiller/Mediateur" (Universite' de Reims). I suoi interessi gravitano intorno al pensiero delle donne nel Mediterraneo, nell'intreccio tra contraddizioni e non contraddizioni. Ricordiamo tra le sue ultime pubblicazioni, Mutation d'Identites en Mediterranee e Les femmes dans l'espace public. Francoise Collin, nata in Belgio, vive attualmente a Parigi. E' stata una delle protagoniste del femminismo francese e ha fondato la rivista Le Cahiers du Grif. Esperta del pensiero di Maurice Blanchot, Hannah Arendt ed Emmanuel Levinas. Francoise Duroux, studiosa di filosofia antica e interessata alle tematiche etiche e politiche. Collabora con l'Universita' Paris VIII. Tra i suoi scritti va ricordato Antigone encore. Les femmes et la loi. 2. RIFLESSIONE. MICHELE DE MIERI INTERVISTA AGOTA KRISTOF (2003) [Dal quotidiano "L'Unita'" del 5 ottobre 2003 col titolo "Dentro la fabbrica di Agota Kristof". Michele De Mieri e' autore di programmi televisivi e radiofonici, giornalista e critico letterario. Ha lavorato come autore ai programmi culturali prima del gruppo Mediaset, poi della Rai. Ha scritto per "Il Tirreno", "Leggere", "Il Ponte", "La Stampa - Tuttolibri", e piu' recentemente per "L'Unita'", "Il Messaggero" e il settimale "Diario". Agota Kristof, scrittrice ungherese, scrive in francese. Dalla Wikipedia riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Agota Kristof e' nata a Csikvand (Ungheria) nel 1935. Nel 1956, in seguito all'intervento militare sovietico, Agota Kristof fugge con il marito e la figlia in Svizzera, a Neuchatel, dove impara il francese e dove tuttora risiede. Raggiunge il successo internazionale nel 1987, con la pubblicazione de Le grand cahier (Il grande quaderno). Le grand cahier confluira', insieme a La preuve (La prova) e La troisieme mensonge (La terza menzogna), nella Trilogie (Trilogia della citta' di K.), il riconosciuto capolavoro letterario di Agota Kristof, pubblicata in oltre 30 paesi. Tra le opere di Agota Kristof: Quello che resta [il futuro Il grande quaderno], Milano, Guanda, 1988; La prova, Milano, Guanda, 1989; Trilogia della citta' di K. [Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna], Torino, Einaudi, 1998; La chiave dell'ascensore. L'ora grigia, Torino, Einaudi, 1999; Ieri, Torino, Einaudi, 2002; La vendetta, Torino, Einaudi, 2005; L'analfabeta. Racconto autobiografico, Bellinzona, Casagrande, 2005; Dove sei Mathias?, Bellinzona, Casagrande, 2006"] Minuscola e leggera, con un passo claudicante e un paio di grossi occhiali a fare da schermo ai due occhi quasi sempre socchiusi, sorpresa dal tanto pubblico che cominciavo ad arrivare per il reading in campo Sant'Angelo per l'edizione numero cinque di Fondamenta, Agota Kristof si lascia avvicinare per le interviste che man mano diventano una sorpresa: ben presto infatti la taciturna scrittrice di culto, nata in Ungheria nel 1935 e trasferitasi in Svizzera a 21 anni dopo i fatti d'Ungheria, parla di tutto, confessa che non scrivera' mai piu' nulla di cosi' interessante come i tre libri della Trilogia della citta' di K, non fa sconti alla versione filmica del suo Ieri (firmata da Silvio Soldini col titolo Brucio nel vento): "Troppo melensa e poi l'attrice non era in grado di dare corpo al personaggio di Line", confessa di leggere pochissimo e di guardare molto la televisione: "prima amavo molto il cinema ma ora ho paura di uscire da sola la sera". Timori, crediamo, non d'ordine pubblico: a Neuchatel riesce difficile immaginarsi una delinquenza comune che rende le strade insicure le serate, come i suoi personaggi la Kristof ha altre antenne per sentire chissa' quali, ben diverse paure. * - Michele De Mieri: Come ha cominciato a scrivere e cosa ha significato per lei il passaggio dalla sua lingua madre al francese? - Agota Kristof: Un mio personaggio, in Ieri, dice che e' diventando assolutamente niente che si puo' diventare scrittori. Devo dire che questa affermazione vale anche per me. Fin dall'infanzia ho amato leggere e scrivere. Tutte le altre cose non avevano nessuna importanza, ma non volevo fare degli studi letterari, diventare un professore. No, non amavo quella strada: ho preferito andare a lavorare in una fabbrica. Li' potevo concentrarmi sulla scrittura, sui miei pensieri, vicino alla macchina che io usavo in fabbrica c'era un foglio su cui scrivevo i miei versi, ed era la cadenza delle macchine a darmi il ritmo di quella poesia. Allora scrivevo in ungherese. Poi ho scritto pochissimo per molti anni: avevo abbandonato il mio paese e stavo lasciando anche la mia lingua per il francese che non conoscevo bene e cosi' mi esercitavo con dialoghi teatrali. Oggi quelle mie prime opere in francese mi sembrano quasi tutte orribili. Non tutte, qualcuna buona c'e'. Erano gli anni Settanta. * - Michele De Mieri: E i tre libri della "Trilogia" come nascono? - Agota Kristof: Dopo le pieces teatrali cominciai a scrivere delle piccole novelle, volevo parlare della mia infanzia durante la guerra, vissuta con mio fratello maggiore. Scrivevo sempre delle scene corte, una o due pagine, poi queste scene, con il loro titolo, diventavano capitoli del mio romanzo. Quindi cambiai il mio nome e quello di mio fratello e trasformai i personaggi in due maschi e poi in due gemelli. Da quel momento non scrissi solo di cose da me vissute ma cominciai a immaginare altro. Lasciai l'autobiografia e riorganizzai quei capitoli per uno struttura romanzesca. * - Michele De Mieri: Come ha raggiunto questo stile essenziale, duro, secco? - Agota Kristof: All'inizio non era per niente cosi'. Anche quando scrivevo in ungherese ero melliflua, romantica, troppo letteraria. Le mie prime cose in francese, quelle per il teatro, erano scritte in una lingua normale, quotidiana. Solo quando ho cominciato a scrivere i capitoli della prima parte della Trilogia ho cercato fortemente un nuovo linguaggio: dovevo rendere lo stile di un libro scritto da dei bambini (i due gemelli - ndr), anche se un po' speciali, molto intelligenti e autodidatti, che amano i dizionari, come eravamo io e mio fratello. Per la verita' chi mi ha messo definitivamente sulla buona strada e' stato mio figlio quando aveva dieci, dodici anni, io l'osservavo molto scrivere, studiavo il modo e il contenuto, e cercavo di apprendere quello stile, quel punto di vista. Il mio stile e' figlio di mio figlio. * - Michele De Mieri: Lei sembra indicarci che solo attraverso il dolore possiamo avere un'opportunita' di comprendere gli altri, il mondo... - Agota Kristof: Questo e' vero, ma lo e' solo per me. E' il mio modo di mettermi in contatto col mondo, ma non posso dire che questo sia valido per le altre persone. * - Michele De Mieri: Oggi come vive la separazione col suo paese, con quella lingua? Legge letteratura ungherese? Torna spesso in Ungheria? - Agota Kristof: Io non volevo lasciare il mio paese. Lo rimprovero sempre al mio ex marito: era lui che aveva paura dopo i fatti del '56, io non avevo nulla da temere, lavoravo in fabbrica e amavo scrivere. All'inizio non capivo cosa c'entravano con me la Svizzera, la lingua francese. E' stata una separazione difficile, soprattutto quella della mia lingua, ma non potevo continuare, come hanno fatto alcuni altri scrittori dell'Est, a scrivere in una lingua che non parlavo piu' quotidianamente. Non avrei avuto neppure lettori. E cosi' scrivere in francese e' stata una necessita' oltre che una sfida. Mi dicevo: "come puo' accadere questo, io che sto scrivendo in una lingua che non e' la mia". Era un po' un miracolo. Oggi mi capita di ritornare in Ungheria, ho pure il doppio passaporto, ma per brevi periodi; io vivo in Svizzera vicino ai miei figli. Tra gli scrittori ungheresi conosco bene e personalmente Imre Kertesz, sono stata felice per il suo Nobel l'anno scorso. Sa, e' stato per anni povero e senza successo. 3. RIFLESSIONE. ALESSANDRA FARKAS INTERVISTA ERICA JONG (2003) [Dal "Corriere della sera" del 19 maggio 2003 col titolo "Erica senza paura vola sul pianeta Saffo" e il sommario "Intervista alla scrittrice femminista. Che riscopre la poetessa di Lesbo. Jong: Saffo, eroina moderna, ha inventato il vocabolario dell'amore". Alessandra Farkas, giornalista, nata a Roma, vive a New York, dove ha lavorato prima come collaboratrice dell'"Europeo", poi, a partire dal 1985, come corrispondente dagli Stati Uniti del "Corriere della Sera". Opere di Alessandra Farkas: Pranzo di famiglia, Sperling & Kupfer, Milano 2006. Erica Jong e' una delle piu' note scrittrici americane. Dalla Wikipedia, edizine italiana, riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Erica Jong (nata Mann) (New York City, 1942) e' una scrittrice, saggista, poetessa ed educatrice statunitense. Laureatasi nel 1963 al Barnard College, con un master in letteratura inglese del XVIII secolo alla Columbia University (1965), Erica Jong e' conosciuta soprattutto per il suo primo romanzo, Paura di volare (1973). Erica Jong e' cresciuta a New York, figlia di Seymour Mann (nato Nathan Weisman), un musicista ebreo di origini polacche, e della sua prima moglie, Eda Mirsky, una pittrice e disegnatrice di tessuti la cui famiglia era immigrata negli Stati Uniti dall'Inghilterra e prima ancora dalla Russia. Erica Jong inizia la sua attivita' letteraria nel 1971 con una raccolta di poesie dal titolo Frutta e verdura (1973) ma conquista la popolarita' nel 1974 con il suo primo romanzo Paura di volare nel quale vengono messi in risalto i temi del femminismo degli anni Sessanta vissuti dalla protagonista Isadora Wing. Nei due romanzi, Come salvarsi la vita del 1977 e in Paracaduti e baci del 1984, la storia di Isidora assume un carattere maggiormente autobiografico, protagonista dei romanzi una scrittrice che ha avuto grande successo nel mondo dei media. Risale al 1980 il romanzo Fanny dove riscrive in modo arguto ed erudito le vicende di Fanny Hill che erano state narrate da John Cleland nel capolavoro della narrativa erotica del Settecento con il titolo Fanny Hill: or, the Memoirs of a Woman of Pleasure. Le opere successive sono tutte incentrate sul mondo femminile e per lo piu' a carattere autobiografico come il saggio del 1981 Streghe, Il mio primo divorzio del 1984, Serenissima del 1987, La ballata di ogni donna del 1990, Paura dei cinquanta del 1994, Inventare la memoria: romanzo di madri e figlie del 1997. Nel 2003 pubblica Il salto di Saffo, ricostruendo la vita della poetessa di Lesbo Saffo sulla base delle poche notizie disponibili sulla sua vita, approfondendole con l'immaginazione e ricreando una storia introspettiva e al tempo stesso avventurosa. L'ultima opera pubblicata in Italia da Bompiani nel 2006 e' Sedurre il demonio, la sua autobiografia. Opere di Erica Jong: a) romanzi: Paura di volare (Fear Of Flying) (1973); Come salvarsi la vita (How To Save Your Own Life) (1977); Fanny (Fanny, Being The True History of the Adventures of Fanny Hackabout-Jones) (1980); Paracaduti e baci (Parachutes & Kisses) (1984); Serenissima (Shylock's Daughter)(1987); La ballata di ogni donna (Any Woman's Blues) (1990); Inventare la memoria: romanzo di madri e figlie (Inventing Memory: a Novel of Mothers and Daughters) (1997); Il salto di Saffo (Sappho's Leap) (2003); b) saggi e testi autobiografici: Streghe (romanzo) (Witches) (1981, 1997, 1999); Il mio primo divorzio (Megan's Book of Divorce)(1984,1996); The Devil at Large: Erica Jong on Henry Miller (1993); Paura dei cinquanta (Fear of Fifty: A Midlife Memoir) (1994); Che cosa vogliono le donne? (What Do Women Want? Bread Roses Sex Power) (1998); Sedurre il demonio: scritti della mia vita (Seducing the Demon : Writing for My Life) (2006); Bad Girls: 26 Writers Misbehave essay, "My Dirty Secret" (2007); c) poesie: Frutta e verdura (Fruits & Vegetables) (1971, 1997); Half-Lives (1973); Loveroot (1975); At The Edge Of The Body (1979); Ordinary Miracles (1983); Becoming Light: New And Selected (1991)] New York - Mentre l'America si prepara a festeggiare il trentesimo anniversario dall'uscita di Paura di volare, simbolo della liberazione sessuale della donna contemporanea, Erica Jong ha deciso di chiudere simbolicamente il cerchio. Con Il salto di Saffo (che in Italia sara' pubblicato da Bompiani), una biografia romanzata della poetessa di Lesbo, trasformata dalla sessantunenne scrittrice newyorchese in un'icona femminista. "Con Paura di volare ho iniziato a raccontare storie di donne sconosciute, dimenticate dai libri di storia - spiega al 'Corriere' la Jong - in Il salto di Saffo intendo fare lo stesso: riscoprire una grande eroina misconosciuta". * - Alessandra Farkas: Perche' proprio Saffo? - Erica Jong: Perche' ha inventato il vocabolario dell'amore giunto sino ai giorni nostri. Perche' ogni poeta importante l'ha copiata, da Catullo a Ovidio alla cultura europea odierna. Se ascolti le canzoni d'amore di oggi, scopri che le metafore di Saffo furoreggiano. Saffo e' una donna moderna: nei suoi sentimenti verso l'amore, la gelosia, il matrimonio, la maternita', nei problemi con il fratello. Se fosse viva oggi sarebbe italiana, europea, americana. * - Alessandra Farkas: Il libro e' anche un po' autobiografico? - Erica Jong: In un certo senso scrivi sempre della tua personale esperienza, che poi pero' modifichi. Saffo fu una grandissima cantautrice, l'incrocio tra una pop star e una poetessa: meta' Madonna e meta' Sylvia Plath. Come lei, anch'io so che cos'e' catturare e sedurre gli ascoltatori attraverso le parole. * - Alessandra Farkas: Che cosa ha scoperto di inedito rispetto al mito? - Erica Jong: Che la storia del suo suicidio e' una menzogna per sminuire o annullare la sua importanza. Saffo era una donna eccezionale e molti uomini che non potevano competere con lei, cosi' brillante, hanno inventato che si e' gettata da un dirupo a causa del giovane Faone. Lei, la donna che ha cantato la passione verso i due sessi, che amava uomini e donne, alla fine viene ricordata come la povera, ormai vecchia ragazza che si e' gettata nel burrone per un amore non corrisposto. Ma una donna fortissima come lei non avrebbe mai fatto una cosa del genere. * - Alessandra Farkas: Quali aspetti della sua vita ha trovato particolarmente controversi? - Erica Jong: La sua bisessualita' totalmente aperta mi interessava perche' i pagani non avevano nulla di questa nostra cristiana moralita': non era ancora stata inventata. Essi amavano persone del loro stesso sesso e del sesso opposto ma nessuno trovava cio' strano. Volevo tornare ai tempi precristiani per vedere com'era il mondo prima che inventassimo il nostro moralistico Dio giudaico-cristiano che punisce. Ho una tremenda attrazione verso il paganesimo: anch'io, come Saffo, amo Afrodite. * - Alessandra Farkas: Come verra' accolto il suo libro nell'era di George W. Bush? - Erica Jong: Bush e la destra fondamentalista cristiana lo odieranno. Pur parlando del passato, in esso mostro lo specchio dell'oggi. I tiranni greci che come il legislatore di Lesbo andarono al potere nel VII secolo a. C. usavano le guerre per far stare la gente dalla loro parte. Tutto quello che accadde nell'antica Grecia sta succedendo nell'America del 2003. La guerra diventa un grande schema per tenere buona la gente che supporta il tiranno. Mantenere costante la paura del terrorismo: ecco il modo in cui Bush la sta facendo franca. * - Alessandra Farkas: Il suo libro ha anche un risvolto politico, insomma? - Erica Jong: Si'. Sono impaurita dalla situazione politica americana. Abbiamo un'amministrazione fondamentalista con un ampio conflitto di interessi, dove tutti i signori del petrolio si arricchiscono con l'Afghanistan e con i giacimenti e la ricostruzione dell'Iraq. Purtroppo gli americani non capiscono: e' un brutto momento per il Paese, mi creda. * - Alessandra Farkas: Ritiene che anche i diritti delle donne siano in pericolo? - Erica Jong: L'amministrazione Bush sta tentando di sbarazzarsi della liberta' di procreare, dell'aborto e della contraccezione. Come ministro della Salute Bush ha scelto uno che non crede negli anticoncezionali. Stiamo perdendo la nostra credibilita' nel mondo perche' non onoriamo i trattati, abbiamo scaricato l'Onu, distruggiamo l'ambiente. La dottrina Bush e' sempre piu' aggressiva. L'America e' su una cattiva strada: altri quattro anni di repubblicani e saremo davvero nei guai. * - Alessandra Farkas: Pensa che alle prossime elezioni Bush vincera' ancora? - Erica Jong: Sembra proprio di si' perche' la guerra che genera affari funziona. Cosi' la gente sventola la bandiera e dice: "dobbiamo rieleggerlo, siamo in guerra". E' uno dei trucchi piu' vecchi del libro. La Bibbia intendo dire. * - Alessandra Farkas: Il suo prossimo progetto? - Erica Jong: Un libro sul matrimonio di una donna di eta' avanzata nella New York contemporanea. Ho sempre desiderato scrivere una storia su una donna anziana, sexy e vitale in un mondo in cui si suppone che a 50 anni devi smettere di fare sesso. E' un argomento su cui ben pochi hanno scritto qualcosa. * - Alessandra Farkas: E' vero che Hollywood vuole trasformare Paura di volare in film? - Erica Jong: Si'. Dopo il recente allestimento teatrale al Manhattan Theater Club spero proprio che anche il mio sogno di un film si avveri. Magari interpretato da Renee Zellweger o da Kate Hudson o Reese Witherspoon. * - Alessandra Farkas: Paura di volare e' considerata la sua opera piu' importante. Come lo spiega? - Erica Jong: Penso che abbia aperto una porta alle donne, permettendo loro di parlare delle emozioni del sesso senza inibizioni. Dopo averlo letto, molte si sono dette: "ma allora non sono pazza, non sono l'unica a sentire certe cose". Cio' ha avuto un grande impatto, perche' erano abituate a vergognarsi se esprimevano le proprie fantasie. Trovarsele in un libro diede loro una tremenda sensazione di liberta', la voglia di rivendicare nuovi spazi. Per molte donne fu il punto di partenza di una rivoluzione. * - Alessandra Farkas: Che cosa la ispiro' a scrivere quel libro? - Erica Jong: Il Lamento di Portnoy ebbe su di me un'influenza straordinaria. Quando usci' mi domandai: "Perche' non esiste un libro come questo per noi donne"? I motivi erano molti: una femmina che parlava di sesso era considerata una sgualdrina e in America non esisteva un linguaggio per la sessualita' che non fosse "sporco". Philip Roth mi fece capire che anche io avrei potuto scrivere di certe cose dal punto di vista di una donna. * - Alessandra Farkas: Oggi la situazione e' molto diversa? - Erica Jong: Si' e no. Da una parte molte idee che si era abituati a considerare "femministe" sono state completamente assorbite nella nostra cultura e vengono considerate normali. Penso alle eroine promiscue di Sex and the City. Dall'altra niente e' cambiato. Recentemente ho tenuto un corso alla Barnard University, dove mi sono laureata, rimanendo esterrefatta del fatto che per i miei studenti, maschi e femmine, una donna che si apre sulla propria sessualita' oggi e' considerata una sgualdrina. La nuova edizione per il trentesimo anniversario del libro e' destinata proprio a questa nuova generazione che lo sta scoprendo e apprezzando, trovandone gli argomenti attuali e di rilievo. * - Alessandra Farkas: Lei si considera una donna felice? - Erica Jong: Sono stordita dalla gioia per l'imminente matrimonio della mia unica figlia con Matthew Greenfield, docente di inglese e studioso di Shakespeare colto e intelligente che scrive splendide poesie: non ho mai visto Molly cosi' felice. E sono soddisfatta per quello che sto facendo nel mio lavoro. Con ogni nuovo libro tento di inoltrarmi in territori nuovi, scrivendo di cose di cui un tempo avevo paura. Credo che sia dovere di ogni scrittore appropriarsi di spazi inediti, con ogni sforzo. Non voglio mai fermarmi. E non e' facile. 4. LIBRI. WANDA TOMMASI PRESENTA "MALWIDA VON MEYSENBUG, UNA IDEALISTA NEL SUO TEMPO" DI MARIA CECILIA BARBETTA [Dalla rivista della comunita' filosofica femminile Diotima "Per amore del mondo", fascicolo della primavera 2008 col titolo "Un certain regard", disponibile nel sito www.diotimafilosofe.it, riprendiamo la seguente recensione. Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima". Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del deserto, Liguori, Napoli 2004. Maria Cecilia Barbetta, docente e saggista, insegna Storia della filosofia presso la Facolta' di lingue e letterature straniere dell'Universita' di Verona; si e' occupata in particolare di Nietzsche, di Hegel, di Goethe, di Herder, di Schopenhauer. Tra le opere di Maria Cecilia Barbetta: Il "femminile" in F. Nietzsche, Libreria Universitaria Editrice, Verona 1980; Malwida von Meysenbug, una idealista nel suo tempo. Da Kassel all'esilio londinese (1816-1852), Qui Edit, Verona 2006. Malwida von Meysenbug (Kassel 1816 - Roma 1903), intellettuale tedesca, di forte impegno umanitario e sociale per la liberazione degli oppressi e delle donne: Opere di Malwida von Meysenbug: (a cura di Giovanna Zavatti), Malwida. Le memorie di Malwida von Meysenbug, acuta testimone dell'Ottocento accanto a personaggi come Wagner, Nietzsche, Liszt, Herzen, Mazzini e la ricostruzione della sua singolare amicizia con Romain Rolland, Simonelli, 2003; Il mio Quarantotto. Emancipazione della donna e libero pensiero dalle "Memorie di una idealista", Spartaco, 2006. Opere su Malwida von Meysenbug: Maria Cecilia Barbetta, Malwida von Meysenbug, una idealista nel suo tempo. Da Kassel all'esilio londinese (1816-1852), Qui Edit, Verona 2006] Il libro di Maria Cecilia Barbetta su Malwida von Meysenbug (Qui Edit, Verona 2006, pp. 254) e' una ricostruzione attenta e appassionata della vita dell'autrice tedesca, delle sue letture filosofiche e del contesto storico in cui Malwida si colloco' e a cui partecipo' attivamente, in particolare agli entusiasmi che accompagnarono i moti del 1848. Il volume ne ripercorre gli anni di formazione, fino all'esilio in Inghilterra, dovuto alla compromissione di Malwida con il movimento rivoluzionario del '48. Un secondo volume, in preparazione, dovrebbe completare il quadro della vita e delle convinzioni filosofiche dell'autrice tedesca. Gia' da questo primo volume, tuttavia, emerge a tutto tondo la figura di Malwida, giovane aristocratica che coltivo', autonomamente e spesso in conflitto con la propria classe di appartenenza, le proprie convinzioni umanitarie e sociali a favore della liberazione, attraverso la cultura, degli oppressi e delle donne. Nei propri scritti autobiografici, Malwida si defini' un'idealista: lo fu in effetti, ma non tanto perche' appartenesse effettivamente alla corrente filosofica dell'idealismo, quanto piuttosto perche' per tutta la vita si mise al servizio di un ideale umanitario, lotto' contro l'oppressione sociale delle classi subalterne e si batte' contro la discriminazione delle donne, impegnandosi soprattutto per l'educazione e per la promozione culturale degli uni come delle altre. "La sofferenza piu' grande e' l'assenza dell'ideale" (p. 232), scrive l'autrice in uno degli aforismi, opportunamente tradotti da Barbetta in appendice al testo, e, piu' avanti, interrogandosi su che cosa significhi "idealista", precisa che vuole dire "non lasciare, semplicemente, le idee in modo astratto, ma realizzarle, dunque anche essere pratici nel senso piu' nobile" (p. 236): tensione all'ideale e impegno etico, pratico e politico per realizzarlo sono presenti entrambi, infatti, nella biografia di Malwida. Certo, al tono idealizzante di molte affermazioni e scelte esistenziali dell'autrice tedesca contribuirono anche il clima e il linguaggio dell'epoca, quella degli ideali risorgimentali. Sono da sottolineare a questo proposito alcune amicizie particolarmente significative, quella con Theodor Althaus, teologo votato al libero pensiero e nutrito di ideali rivoluzionari, con cui la giovane Malwida ebbe un'importante quanto sfortunata relazione sentimentale, e, piu' tardi, quella con Giuseppe Mazzini. Dalla fine dell'amore per Theodor Althaus, un amore troncato dolorosamente quando Malwida seppe che lui aveva un legame affettivo con un'altra donna, la giovane si risollevo' trasferendo sull'ideale, che entrambi condividevano, tutto l'amore che aveva provato per lui. Pongo l'accento su questa tendenza all'idealizzazione, perche' riconosco in essa un tratto che spesso accompagna la differenza femminile, un suo modo di essere: anche oggi, in un periodo cosi' lontano dal linguaggio e dagli slanci ideali della stagione risorgimentale, c'e' in molte donne una tendenza all'idealizzazione, a inseguire un'immagine ideale di se' o un obiettivo idealizzato. Credo che questa tendenza non sia del tutto positiva, perche', alla proiezione di ogni bene sull'ideale, fa spesso da contraltare la proiezione del negativo, nella forma dell'odio, su altri oggetti, ma devo tuttavia riconoscere che in tale tendenza femminile all'idealizzazione c'e' una potente molla dell'agire politico, una spinta a realizzare qualcosa dando il meglio di se'. Il secondo aspetto della biografia intellettuale e umana di Malwida su cui vorrei soffermarmi e' quello che chiamerei il suo talento per le relazioni: al di la' delle letture che hanno contribuito alla sua formazione - Goethe, Hegel e Schopenhauer, in particolare -, sono stati soprattutto degli incontri importanti, delle relazioni, a segnare la vita dell'autrice e a fare del suo impegno teorico e pratico un centro di irradiazione spirituale. Oltre alla relazione, fondamentale, con Theodor Althaus, gia' ricordata, e anche con la madre e con la sorella di lui, vi sono l'amicizia con Nietzsche e quella con Mazzini. Nei confronti di Nietzsche, Malwida assunse un atteggiamento materno, di cura amorevole e di attenzione. Si delinea in lei con chiarezza la dimensione di una maternita' spirituale, che, dopo la rinuncia alla maternita' fisica, la vide impegnata non solo nei confronti di uomini, ma anche nei confronti di donne, come Olga, figlia del rivoluzionario Aleksandr Herzen, che Malwida adotto' come figlia, occupandosi di lei e della sua educazione fino al matrimonio di quest'ultima. La vocazione materna che Malwida seppe sviluppare nella sua cerchia di relazioni ci rimanda a sua volta al rapporto con la sua stessa madre. Quest'ultima aveva avuto un ruolo fondamentale nell'educazione della figlia: spirito anticonvenzionale, la madre invitava a casa sua intellettuali e artisti, senza considerare la loro classe d'origine, ma valutandoli solo in base alle doti "di mente e di cuore" (p. 59). Tuttavia la madre fu in seguito sconcertata dalle scelte radicali della figlia e reagi' negativamente ad esse: avverso' in particolare il progetto di Malwida di emigrare in America e, piu' in generale, di andare a vivere per conto proprio, al di fuori del matrimonio o del convento, uniche strade che si aprivano allora a una donna per bene che volesse abbandonare la famiglia. Di fronte all'ostilita' materna nei confronti del progetto di emigrare in America, Malwida fece un passo indietro, scelse di "trasformare la sua ribellione in rinuncia" (p. 155), ma non rinuncio' comunque ai propri ideali ne' al progetto di indipendenza personale. Si dedico' infatti all'insegnamento nella scuola superiore femminile di Amburgo, dove visse per proprio conto, lontana dalla famiglia, dedicandosi a un compito - l'istruzione superiore delle donne -, in cui credeva profondamente: "La migliore educazione delle donne, l'acquisizione di svariate conoscenze per il conseguimento dell'indipendenza economica [...] - questo doveva essere il primo compito per rendere le donne piu' capaci di prendere in mano l'educazione della gioventu' [...]. Sentivo che la meta della mia vita, d'ora in poi, sarebbe stata aiutare a lavorare all'emancipazione delle donne dagli stretti confini che la societa' ha posto al loro sviluppo" (p. 146). Mentre si pensava allora che l'educazione di una fanciulla cessasse con l'uscita dalla scuola, e che poi il suo compito fosse quello di sposarsi e di badare alla famiglia, l'intento della scuola superiore femminile era invece quello di dare alle giovani, che avevano gia' compiuto il loro corso di studi, o anche a donne piu' mature, che volessero comunque approfondire la loro istruzione, la possibilita' di seguire studi ulteriori, sia specialistici sia di cultura generale. Malwida collaboro' attivamente con la scuola, affiancando la direttrice nelle funzioni dirigenti e organizzando le giornate delle studentesse fra lavori manuali e partecipazione a conferenze. Nello stesso periodo, Malwida partecipava anche a una societa' di mutuo soccorso per i poveri. In tal modo, teneva insieme i due piu' importanti ideali della sua vita, quello a favore delle donne e quello a favore degli oppressi. Nel ricordare entrambi questi ideali, mi sia concesso tuttavia di mettere l'accento soprattutto sul suo impegno per l'educazione femminile. Nel suo "idealismo", Malwida infatti non dimentica mai di essere innanzitutto una donna; non si spende solo a favore di altri oppressi, come capita spesso invece a donne che si infiammano si' per alti ideali, ma per ideali che il piu' delle volte non le riguardano direttamente. Pur estendendo il proprio impegno a tutti coloro che sono in qualche modo oppressi e discriminati, Malwida spende gran parte delle proprie energie proprio a favore delle donne. Uno dei meriti dell'appassionata biografia di Maria Cecilia Barbetta e' anche quello di mettere opportunamente in luce la centralita' dell'impegno di Malwida a favore delle proprie simili. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 196 del 21 luglio 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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