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Voci e volti della nonviolenza. 199
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 199
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 1 Jul 2008 13:13:13 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 199 del primo luglio 2008 In questo numero: Alcuni estratti da "Lo spirito dell'illuminismo" di Tzvetan Todorov LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "LO SPIRITO DELL'ILLUMINISMO" DI TZVETAN TODOROV [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Tzvetan Todorov, Lo spirito dell'illuminismo, Garzanti, Milano 2007 (ed. orig.: L'esprit des Lumieres, 2006). Tzvetan Todorov, nato a Sofia nel 1939, a Parigi dal 1963. Muovendo da studi linguistici e letterari e' andato sempre piu' lavorando su temi antropologici e di storia della cultura e su decisive questioni morali. Riportiamo anche il seguente brano dalla scheda dedicata a Todorov nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Dopo i primi lavori di critica letteraria dedicati alla poetica dei formalisti russi, l'interesse di Todorov si allarga alla filosofia del linguaggio, disciplina che egli concepisce come parte della semiotica o scienza del segno in generale. In questo contesto Todorov cerca di cogliere la peculiarita' del 'simbolo' che va interpretato facendo ricorso, accanto al senso materiale dell'enunciazione, ad un secondo senso che si colloca nell'atto interpretativo. Ne deriva l'inscindibile unita' di simbolismo ed ermeneutica. Con La conquista dell'America, Todorov ha intrapreso una ricerca sulla categoria dell'"alterita'" e sul rapporto tra individui appartenenti a culture e gruppi sociali diversi. Questo tema, che ha la sua lontana origine psicologica nella situazione di emigrato che Todorov si trova a vivere in Francia, trova la sua compiuta espressione in un ideale umanistico di razionalita', moderazione e tolleranza". Tra le opere di Tzvetan Todorov: (a cura di), I formalisti russi. Teoria della letteratura e del metodo critico, Einaudi, Torino 1968, 1977; (a cura di, con Oswald Ducrot), Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio, Isedi, Milano 1972; La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 1977, 1981; Teorie del simbolo, Garzanti, Milano 1984; La conquista dell'America. Il problema dell'"altro", Einaudi, Torino 1984, 1992; Critica della critica, Einaudi, Torino 1986; Simbolismo e interpretazione, Guida, Napoli 1986; Una fragile felicita'. Saggio su Rousseau, Il Mulino, Bologna 1987, Se, Milano 2002; (con Georges Baudot), Racconti aztechi della conquista, Einaudi, Torino 1988; Poetica della prosa, Theoria, Roma-Napoli 1989, Bompiani, Milano 1995; Michail Bachtin. Il principio dialogico, Einaudi, Torino 1990; La deviazione dei lumi, Tempi moderni, Napoli 1990; Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversita' umana, Einaudi, Torino 1991; Di fronte all'estremo, Garzanti, Milano 1992 (ma cfr. la seconda edizione francese, Seuil, Paris 1994); I generi del discorso, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1993; Una tragedia vissuta. Scene di guerra civile, Garzanti, Milano 1995; Le morali della storia, Einaudi, Torino 1995; Gli abusi della memoria, Ipermedium, Napoli 1996; L'uomo spaesato. I percorsi dell'appartenenza, Donzelli, Roma 1997; La vita comune, Pratiche, Milano 1998; Le jardin imparfait, Grasset, 1998; Elogio del quotidiano. Saggio sulla pittura olandese del Seicento, Apeiron, 2000; Elogio dell'individuo. Saggio sulla pittura fiamminga del Rinascimento, Apeiron, 2001; Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001; Il nuovo disordine mondiale, Garzanti, Milano 2003; Benjamin Constant. La passione democratica, Donzelli, Roma 2003; Lo spirito dell'illuminismo, Garzanti, Milano 2007; La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano 2008 (tra esse segnaliamo particolarmente Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001: un'opera che ci sembra fondamentale)] Indice del volume 1. Il progetto; 2. Rifiuti e deviazioni; 3. Autonomia; 4. Laicita'; 5. Verita'; 6. Umanita'; 7. Universalita'; 8. L'illuminismo e l'Europa; Ringraziamenti; Nota bibliografica; Note. * Da pagina 9 e seguenti Non e' semplice dire in che cosa consista esattamente il progetto dell'illuminismo, per due motivi. Innanzitutto e' un periodo di conclusione, di ricapitolazione, di sintesi e non d'innovazione radicale. Le sue idee portanti non nascono nel XVIII secolo; quando non derivano dall'eta' classica, portano i segni dell'alto medioevo, del rinascimento e del classicismo. Gli illuministi fanno proprie e formulano opinioni che in passato erano in contrasto. Pertanto, come piu' volte hanno sottolineato gli storici, bisogna liberarsi di alcune immagini convenzionali. Essi sono al tempo stesso razionalisti ed empiristi, eredi tanto di Cartesio quanto di Locke, accolgono gli antichi e i moderni, gli universalisti e i particolaristi, sono appassionati di storia e di eternita', di dettagli e di astrazioni, di natura e di arte, di liberta' e di uguaglianza. Non si tratta di elementi nuovi, ma vengono combinati in maniera differente: non soltanto sono stati organizzati tra loro, ma, aspetto essenziale, all'epoca dei lumi queste idee lasciano i libri per entrare a far parte del mondo reale. Il secondo ostacolo consiste nel fatto che il pensiero dell'illuminismo e' sviluppato da moltissimi individui che non condividono affatto le medesime opinioni e sono costantemente impegnati in accese discussioni, da un paese all'altro e all'interno del proprio. Il tempo trascorso ci aiuta a effettuare una scelta, senza dubbio, ma solo fino a un certo punto: le divergenze di allora hanno dato vita a scuole di pensiero che si scontrano ancora oggi. L'illuminismo ha rappresentato un'epoca di dibattiti piuttosto che di consensi. Molteplicita' temibile, dunque e tuttavia, anche questo e' sicuro, identifichiamo senza troppa difficolta' l'esistenza di cio' che si puo' definire come un progetto dell'illuminismo. Tre sono le idee alla base del progetto, arricchito anche dalle loro innumerevoli conseguenze: l'autonomia, la finalita' umana delle nostre azioni e in ultimo l'universalita'. Cerchiamo di spiegarci meglio. Il primo aspetto essenziale di questo movimento consiste nel privilegiare cio' che ciascuno sceglie e decide in autonomia, a detrimento di quanto ci viene imposto da un'autorita' esterna. Tale preferenza comporta due aspetti, l'uno critico e l'altro costruttivo: bisogna sottrarsi a ogni forma di tutela imposta agli uomini dall'esterno e lasciarsi guidare dalle leggi, norme e regole volute dagli stessi individui ai quali esse si rivolgono. Emancipazione e autonomia sono i termini che indicano le due fasi, altrettanto indispensabili, di un medesimo processo. Per potervisi dedicare bisogna disporre di una completa liberta' di analizzare, discutere, criticare, dubitare: non esistono piu' dogmi o istituzioni intoccabili. Una conseguenza indiretta, ma decisiva, di questa scelta e' il vincolo imposto alle caratteristiche di ogni forma di autorita': deve essere della stessa natura degli uomini, vale a dire naturale e non soprannaturale. E' in questo senso che l'illuminismo da' vita a un mondo "disincantato", che obbedisce da un capo all'altro alle stesse leggi fisiche o, per quanto riguarda le societa' umane, rivela gli stessi meccanismi di comportamento. La tutela sotto la quale vivevano gli uomini prima dell'illuminismo era innanzitutto di natura religiosa; la sua origine, percio', era al tempo stesso anteriore alla societa' di allora (in tal caso si parla di "eteronomia") e soprannaturale. Le critiche piu' numerose saranno rivolte alla religione, in modo che l'umanita' possa assumere le redini del proprio destino. Si tratta comunque di una critica mirata: viene rifiutata la sottomissione della societa' o dell'individuo a precetti la cui sola legittimita' deriva dal fatto che la tradizione li attribuisce alle divinita' o agli antenati; non deve essere piu' l'autorita' del passato a orientare la vita degli uomini, ma il progetto che essi hanno sul loro avvenire. In compenso, non si fa parola dell'esperienza religiosa in quanto tale, ne' dell'idea di trascendenza, ne' dell'una o dell'altra dottrina morale sviluppata da una specifica religione; la critica riguarda la struttura della societa', non il contenuto delle confessioni. La religione esce dallo stato senza per questo abbandonare l'individuo. La corrente principale dell'illuminismo non s'ispira all'ateismo, ma alla religione naturale, al deismo, o a una delle loro numerose varianti. L'osservazione e la descrizione delle confessioni professate nel mondo intero, alle quali si dedicano gli illuministi, hanno lo scopo non di rifiutare le religioni, ma di condurre a un atteggiamento di tolleranza e alla difesa della liberta' di coscienza. Dopo essersi liberati dall'antico giogo, gli uomini stabiliranno leggi e norme nuove con l'aiuto di mezzi semplicemente umani: non c'e' piu' spazio qui per la magia, ne' per la rivelazione. Alla certezza della Luce discesa dall'alto si sostituira' la pluralita' delle luci che si diffondono dall'uno all'altro. La prima autonomia a essere conquistata e' quella della conoscenza. Essa prende le mosse dal principio che nessuna autorita', a prescindere dalla solidita' e dal prestigio di cui possa godere, e' al riparo dalle critiche. La conoscenza ha solo due fonti, la ragione e l'esperienza, entrambe alla portata di tutti. La ragione e' valorizzata come strumento di conoscenza, non come motore dei comportamenti umani, si oppone alla fede, non alle passioni. Esse, al contrario, sono a loro volta libere dai vincoli che provengono dall'esterno. * Da pagina 52 e seguenti La storia europea moderna, dal rinascimento fino all'illuminismo, da Erasmo a Rousseau, si identifica con un consolidamento della separazione tra istituzioni pubbliche e tradizioni religiose e un accrescimento della liberta' individuale. In effetti, il potere temporale della chiesa e' destabilizzato senza essere abolito, come provano i numerosi tentativi compiuti a favore della tolleranza religiosa. Una testimonianza fra le tante: "Sono indignato come voi", scrive Rousseau a Voltaire nel 1756, "che la fede di ciascuno non sia nella piu' totale liberta' e che l'uomo abbia l'ardire di controllare l'intimo delle coscienze, dove non puo' penetrare". Uno dopo l'altro, interi segmenti della societa' reclamano il ritiro della tutela religiosa e il diritto all'autonomia. Una delle rivendicazioni piu' significative e' quella di Cesare Beccaria, autore del trattato Dei delitti e delle pene (pubblicato all'eta' di ventisei anni), nel quale formula con chiarezza la distinzione tra peccato e delitto, che consente di sottrarre l'azione dei tribunali alla sfera d'influenza religiosa. Le leggi riguardano soltanto le relazioni degli uomini nella citta'; le loro trasgressioni non hanno nulla a che vedere con la dottrina religiosa. I peccati, poi, non cadono sotto la scure della legge: diritto e teologia non sono piu' considerati un'unica entita'. Beccaria mette in risalto anche un'altra minaccia per la liberta' dell'individuo, proveniente questa volta non dalla chiesa (che non deve esercitare il potere temporale), ne' dallo stato (che non deve occuparsi di questioni attinenti alla sfera spirituale), ma dalla famiglia. In essa il capo puo' esercitare un'autorita' oppressiva sugli altri membri, privandoli cosi' dell'indipendenza che hanno acquisito nei confronti delle strutture sociali. Proprio come ogni individuo che abbia raggiunto l'eta' della ragione ha il diritto di rivolgersi direttamente a Dio, cosi' puo' affidarsi direttamente alla repubblica di cui e' membro, per beneficiare dei diritti che essa garantisce. Allora, "lo spirito repubblicano non solo spirera' nelle piazze e nelle adunanze della nazione, ma anche nelle domestiche mura, dove sta gran parte della felicita' o della miseria degli uomini". In una democrazia liberale moderna, il comportamento dell'individuo si divide, dunque, non tanto tra ordine temporale e spirituale, ma in tre sfere. A uno dei poli si colloca la sfera privata e personale che l'individuo gestisce da solo, senza che nessuno abbia nulla da obiettare: dopo la Riforma, la liberta' di coscienza si e' ampliata fino a diventare liberta' di tutti i comportamenti privati. Al polo opposto si colloca la sfera legale, in cui l'individuo si vede imporre norme rigide, garantite dallo stato, che non puo' trasgredire senza divenire un criminale. Tra le due si trova una terza vasta area, pubblica o sociale, fortemente caratterizzata da norme e valori, che lasciano, comunque, una certa liberta'. Mentre le leggi formulano ordini e infliggono pene, qui ci si accontenta di fornire consigli o esprimere disapprovazioni, nel quadro di un dibattito pubblico: per esempio regole morali, pressioni esercitate dalla moda o dallo spirito dei tempi, o anche prescrizioni religiose (dunque rappresenta il luogo in cui un tempo agiva il potere spirituale). * Da pagina 58 e seguenti Tutte le societa' occidentali contemporanee praticano diverse forme di laicita', che a partire dagli anni Novanta del XX secolo e' stata messa in discussione, in seguito all'ascesa dell'islamismo. La diffusione di una versione fondamentalista della religione musulmana ha avuto sulla vita di numerosi paesi due importanti conseguenze, strettamente connesse tra loro: gli atti terroristici, che non hanno come obiettivo specifico la laicita', e la sottomissione delle donne, che invece ha tale obiettivo. Quest'ultima pratica non e' esclusivamente islamica, perche' si ritrova su un vasto territorio che include il Mediterraneo e il Medio Oriente, in cui sono professate diverse religioni. Rimane il fatto che nell'Europa contemporanea l'ineguaglianza delle donne e' rivendicata principalmente da alcuni rappresentanti dell'islam. Nel loro caso, un'interpretazione troppo letterale dei testi sacri porta a giustificare la supremazia degli uomini - padre, fratello o marito - su donne che hanno raggiunto la maggiore eta', privandole delle liberta' individuali di cui godono tutte le altre donne, cittadine dello stesso paese. La minaccia denunciata da Beccaria diventa nuovamente realta'. Una simile interpretazione ha l'effetto di erigere un culto della verginita' e della fedelta', privando cosi' le giovani del controllo sul proprio corpo e vietando alle donne sposate di lavorare all'esterno o anche soltanto di uscire di casa e subire lo sguardo di sconosciuti. Fatto ancora piu' grave, le donne vengono picchiate per ogni trasgressione di queste regole, in accordo con le prescrizioni religiose, come rivendicano pubblicamente alcuni rappresentanti di questo islam integralista. Non possiamo dimenticare le dichiarazioni di Hani Ramadan, allora direttore del Centro islamico di Ginevra, che spiegava come la legge religiosa fosse in realta' molto clemente: "La lapidazione prevista in caso di adulterio e' possibile solo se quattro persone sono state testimoni oculari del crimine". Quanti altri la pensano allo stesso modo senza avere il coraggio di sostenerlo in pubblico? Numerose voci di donne musulmane si sono levate per denunciare questa situazione. In Francia, l'associazione "Ni putes ni soumises" si e' impegnata in questa lotta; ha organizzato una marcia nazionale e nel 2002 ha pubblicato un manifesto nel quale si puo' leggere: "Ni putes ni soumises, semplicemente donne che vogliono vivere la propria liberta' per manifestare il proprio desiderio di giustizia". Sono le famiglie, non gli imam, a voler sottomettere le donne, ma e' proprio nei testi sacri che trovano la legittimazione dei loro divieti. Come conseguenza la liberta' di queste donne risulta limitata e finisce per esserla anche l'uguaglianza di tutti i membri della stessa societa'. Ayaan Hirsi Ali, oggi deputata olandese e atea, ma somala di origine e musulmana di educazione, si impegna da molti anni per proteggere e aiutare le donne picchiate, violentate e mutilate in nome dei principi tratti dall'islam. La trama del film che ha scritto, Submission, nel 2004 ha portato all'assassinio del suo realizzatore, Theo Van Gogh. A sua volta, Ayaan Hirsi Ali rifiuta la sottomissione dell'individuo alle prescrizioni di un gruppo come quello dei musulmani fondamentalisti e rivendica al contrario la sottomissione di tutti i cittadini alle stesse leggi. Come ella afferma, "la liberta' individuale e l'uguaglianza tra uomo e donna" non sono scelte facoltative, ma "valori universali", che appartengono alle leggi del paese. In una democrazia liberale, sottomettere con la forza agli uomini le donne e impedire loro di agire di propria iniziativa non sono azioni tollerabili. Accanto a questi rifiuti della laicita', se ne puo' anche osservare la deviazione ottenuta attraverso semplificazione e sistematizzazione abusive. Sarebbe cosi' se la societa' secolare divenisse sinonimo di una societa' da cui e' bandito ogni elemento sacro. Nella societa' tradizionale il sacro e' definito dal dogma religioso e puo' estendersi alle istituzioni come agli oggetti. La rivoluzione francese ha tentato di sacralizzare la nazione; si pensava che l'amore per la patria giocasse il ruolo attribuito in precedenza all'amore per Dio. I regimi totalitari, a loro volta, hanno voluto sacralizzare dei sostituti terreni del divino, come il popolo, il partito o la classe operaia. Le democrazie liberali contemporanee non sopprimono tutti i doveri dei cittadini, ma nemmeno li sacralizzano. Non impediscono agli individui di trovare il sacro all'interno della loro sfera privata: per uno e' il lavoro a essere sacro, per un altro le vacanze, per un terzo i bambini e per altri ancora la religione... Tuttavia, nessuna istituzione, nessun oggetto e' sacro: tutto puo' essere criticato. Perfino gli avvenimenti che nella societa' francese suscitano un giudizio di valore unanime, come il genocidio degli ebrei o la resistenza, non possiedono, nella sfera pubblica, un carattere sacro: perche' la conoscenza possa compiere progressi, non deve urtarsi con zone vietate e il sacro e' proprio una di quelle con cui non si ha il diritto di interferire. Comunque, non e' vero che nelle nostre societa' secolari non sia piu' presente il sacro; e' solo che non si trova nei dogmi e tanto meno nelle reliquie, ma nei diritti degli esseri umani. Per noi e' sacra una certa liberta' dell'individuo: il suo diritto di praticare (o meno) la religione di sua scelta, di criticare le istituzioni, di cercare da se' la verita'. E' sacra la vita umana, per questo gli stati hanno rinunciato al diritto che avevano di colpirla con la pena di morte. E' sacra l'integrita' del corpo umano, per questo e' bandita la tortura, anche quando la ragion di stato ne consiglia il ricorso, o e' vietata l'infibulazione, praticata su ragazzine che non sono ancora in grado di decidere autonomamente. * Da pagina 95 e seguenti Oggi i diritti dell'uomo godono di un immenso prestigio e quasi tutti i governi vorrebbero apparirne difensori. Cio' non impedisce a questi governi, anche i piu' espliciti in tale rivendicazione, di rifiutarli all'atto pratico, quando sembra che le circostanze lo richiedano. E' il caso, per esempio, della pena di morte. Beccaria, nel suo trattato Dei delitti e delle pene, esprime meglio di tutti il pensiero dell'illuminismo a questo proposito. Ogni essere umano, in quanto membro della specie e non perche' cittadino dell'uno o dell'altro paese, ha diritto alla vita e questo diritto e' inalienabile: io rinuncio alla mia liberta' naturale per godere di una liberta' (e di una protezione) civile, ma non ho mai accordato alla comunita', ne' esplicitamente ne' tacitamente, un diritto di vita e di morte su di me. Che cosa potrebbe giustificare questo annullamento totale della volonta' individuale a opera della volonta' collettiva? Non e' la necessita' di impedire al criminale di nuocere, perche', per ucciderlo, e' stato necessario come minimo arrestarlo ed egli deve quindi trovarsi gia' in prigione. Espiare la colpa? Una punizione simile avrebbe senso solo se si credesse a una forma di vita dopo la morte: nell'aldila' il condannato a morte potrebbe misurare la gravita' della sua colpa in base alla severita' della punizione. Se la persona non si trova in tale condizione, la lezione e' del tutto inutile per lei. Rimane un'altra giustificazione frequentemente avanzata, il valore dissuasivo della condanna suprema per quelli che rimangono: la punizione esemplare. Tuttavia, nessuna analisi ha mai confermato che l'effetto sia stato regolarmente ottenuto e il paese occidentale che continua a praticare la pena di morte, gli Stati Uniti, e' anche quello che ha il tasso di criminalita' piu' elevato. Beccaria, per parte sua, dubita che un tale effetto sia possibile perche', invece di opporsi all'assassinio che si presume essa punisca, la pena di morte lo imita. "Il medesimo spirito di ferocia che guidava la mano del legislatore, reggeva quella del parricida e del sicario". Egli pensa perfino che questa pena rischia di causare imitazioni. "Non e' utile la pena di morte per l'esempio di atrocita' che da' agli uomini". E' vero che in tempo di guerra ogni governo autorizza e incoraggia anche i propri cittadini a uccidere il maggior numero di nemici. Ma, giustamente, la guerra e' dichiarata perche' non e' stato possibile raggiungere nessun accordo negoziato. In tempo di pace i cittadini di un paese vivono secondo la legge e imitare in piena legalita' l'azione militare corrisponde a compromettere l'idea stessa di legge. "Parmi un assurdo che le leggi che sono l'espressione della pubblica volonta', che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio". Un'altra trasgressione dei diritti dell'uomo, praticata sporadicamente dai governi, e' costituita dalla tortura. Ogni essere umano ha diritto all'integrita' del proprio corpo; egli solo puo' rinunciarvi, infliggendosi mutilazioni o suicidandosi. Dunque, non diversamente dall'omicidio, la tortura non puo' essere legalizzata. I governi vi ricorrono, non per sadismo, ma per ottenere informazioni che giudicano indispensabili: vorrebbero, scrive Beccaria, "che il dolore divenisse il crogiuolo della verita'". E' un risultato pagato a caro prezzo perche', per estorcere queste confessioni la cui validita' rimane dubbia (si confesserebbe qualunque cosa pur di far cessare il dolore), non solo si infligge una sofferenza intollerabile al torturato che ne rimarra' segnato per tutta la vita, ma si distrugge interiormente chi tortura, che perde il senso della comunita' umana universale, e si rivolge a tutta la popolazione un messaggio che autorizza la trasgressione dei limiti posti dalla legge. L'esercito francese ha praticato sistematicamente la tortura durante la guerra d'Algeria, in special modo a partire dal 1957, quando si e' vista affidare le funzioni di controllo, con la giustificazione che, in una guerra civile come quella, il nemico era invisibile e ottenere informazioni era necessario per identificarlo. A cio' si aggiungeva spesso l'argomento della "bomba che esplodera' entro un'ora", circostanza in realta' eccezionale, mentre la tortura riguardava migliaia di persone e continuava a lungo dopo l'ora presunta dell'attentato. Germaine Tillion, che allora cercava di impedire queste pratiche, scriveva all'arcivescovo di Parigi (il 7 dicembre 1957): "Nel corso degli ultimi sei mesi, numerose giovani donne musulmane e cristiane sono state torturate per motivi futili o inesistenti: denudamento, supplizio dell'affogamento, supplizio dell'elettricita' talvolta con elettrodi applicati alle parti genitali, sospensione per i polsi con le mani legate dietro la schiena, un supplizio analogo a quello della croce, perche' provoca l'asfissia". E' proprio cosi' che e' morto, nel novembre 2003, il prigioniero iracheno Manadel al-Jamadi, torturato nella prigione di Abu Graib a Baghdad dagli agenti della Cia. Dopo che gli erano state rotte sei costole e la testa avviluppata in un sacco di plastica, e' stato sospeso per i polsi ammanettati dietro la schiena; meno di un'ora dopo il suo ingresso nella prigione e' morto per soffocamento. Alcuni sopravvivono alla sola sospensione, come Jean Amery, prigioniero della Gestapo durante la seconda guerra mondiale, in Belgio, che ha lasciato un minuzioso racconto della sua esperienza in Intellettuale ad Auschwitz. Altri che erano detenuti da tempo, usciti dal campo di Guantanamo, hanno raccontato di avervi subito percosse, di essere stati messi nudi in gabbie, obbligati a ingoiare medicine e a guardare film pornografici e minacciati da vicino da cani tenuti al guinzaglio: lontana reminiscenza dei topi che sfiorano il viso dei prigionieri in 1984. I servizi segreti americani probabilmente non sono i soli a sottoporre i loro prigionieri alla tortura; in compenso, il governo degli Stati Uniti ha assunto una posizione eccezionale tentando di legalizzarla. All'indomani degli attentati dell'11 settembre 2001 il vicepresidente Cheney ha promesso di ricorrere a tutti i mezzi a sua disposizione per combattere il terrorismo. Un memorandum del Dipartimento di Giustizia, datato primo agosto 2002, elenca alcuni di questi mezzi: far soffocare gli individui senza provocare la morte, inondarli, non curare le loro ferite, impedire loro di dormire, assordarli e accecarli. Sovente si tratta di una tortura psicologica piu' che fisica, ma che porta i detenuti sull'orlo della pazzia e lascia disturbi permanenti. Il governo americano rifiuta sistematicamente di trattare questi terroristi secondo la convenzione di Ginevra che riguarda i prigionieri di guerra. Un senatore americano, John McCain, che era stato prigioniero in Vietnam e aveva subÏto la tortura, ha presentato un progetto di legge che impone alle prigioni della Cia gli stessi regolamenti adottati nelle altre prigioni americane, ovvero, detto in altre parole, che rende la tortura illegale. Il progetto, alla fine votato dal senato il 30 dicembre 2005, e' stato aspramente osteggiato dalla Casa Bianca. Questi atti di tortura continuano a verificarsi molti anni dopo gli attentati terroristici e gli interventi militari. Cio' che colpisce, qui, e' che la tortura non soltanto e' tollerata, ma rivendicata in nome di una lotta per la sicurezza interna e per i diritti dell'uomo, gli stessi diritti di cui essa si fa beffe. * Da pagina 109 e seguenti Bisogna dire che, rispetto ad altre parti del mondo, l'Europa effettivamente si distingue per la molteplicita' di stati presenti sul suo territorio. Confrontandola con la Cina, la cui superficie e' all'incirca equivalente, non si puo' che restare colpiti dal contrasto: un solo stato, da un lato, si contrappone oggi a una quarantina di stati indipendenti, dall'altro. E' in questa molteplicita', che si sarebbe potuta credere un ostacolo, che gli illuministi hanno visto il vantaggio dell'Europa; e' il confronto con la Cina che sembra loro non lasciare alcun dubbio. Hume dichiara: "In Cina pare vi sia un fondo di civilta' e di scienza discretamente rilevante, che, nel corso di tanti secoli, ci si poteva naturalmente aspettare che maturasse in qualche cosa di piu' perfetto e compiuto di quello che finora e' stato prodotto da quel paese. Ma la Cina e' un grande impero, ove si parla una sola lingua, governato da una sola legge e in cui i sentimenti e le opinioni sono largamente condivisi". Un fondo originariamente ricco di inventiva e creativita' e' stato messo a tacere dalla presenza di un immenso impero unificato, in cui il regno incontrastato dell'autorita', delle tradizioni, delle solide reputazioni ha provocato la stagnazione delle menti. Contrariamente a cio' che afferma l'antico adagio, qui e' la divisione che fa la forza! Hume forse e' il primo pensatore a vedere l'identita' dell'Europa piu' che in una caratteristica condivisa da tutti (l'eredita' dell'impero romano, la religione cristiana), nella sua stessa pluralita': non quella degli individui, ma quella dei paesi che la formano. Rimane da capire per quale alchimia si riesca a trasformare, non il fango in oro, ma una caratteristica di per se' negativa (la differenza) in qualita' positiva; e come la pluralita' possa dare origine all'unita'. I pensatori del XVIII secolo hanno voluto sapere in che cosa potessero consistere i vantaggi della diversita' e hanno formulato numerose ipotesi, forse perche' si sono confrontati con questa domanda in vari ambiti. Per cominciare, la pluralita' piu' problematica, quella delle religioni: in viaggio a L'Aja, Voltaire si rallegra della tolleranza che regna in essa, tutte le religioni sembrano buone e nessuna cerca di eliminare le altre. Dieci anni piu' tardi, durante il suo soggiorno in Inghilterra, osserva gli stessi vantaggi della pluralita' e conclude: "Se in Inghilterra ci fosse una sola religione, ci sarebbe da temere il dispotismo; se ne ce fossero due, si taglierebbero la gola; ma se ce ne sono trenta, vivono in pace e felici". Possiamo immaginare le ragioni di questa preferenza: se una religione occupasse una posizione egemonica, i suoi adepti sarebbero inevitabilmente tentati di opprimere gli altri, fino a eliminarli. D'altro canto, la presenza di due religioni soltanto, alimenterebbe eccessivamente la rivalita': il ricordo delle guerre di religione, guerre civili che hanno insanguinato la Francia, e' ancora vivo in tutti. La pluralita' comincia con il numero tre e implica che un'autorita' esterna, dunque non religiosa, assicuri la pace tra loro: e' meglio separare potere spirituale e potere temporale. Montesquieu, per parte sua, non condanna le religioni, ma auspica che siano numerose: ciascuna di esse cerca di inculcare nei suoi fedeli regole di buona condotta "e che cosa puo' animare questo zelo piu' della loro molteplicita'?". La pluralita' favorisce l'emulazione e nessuna volonta' che mira al bene e' mai di troppo. * Da pagina 115 e seguenti La lezione dell'illuminismo consiste, pertanto, nel sostenere che la pluralita' puo' dare origine a una nuova unita' almeno in tre modi: incita alla tolleranza attraverso l'emulazione, sviluppa e protegge il libero spirito critico, facilita il distacco da se' portando a un'integrazione superiore di se' e dell'altro. Come non cogliere che la costruzione dell'Europa, oggi, puo' trarre vantaggio da questa lezione? Per un suo esito positivo, tale costruzione non deve limitarsi ai soli accordi che riguardano le tariffe doganali, ne' accontentarsi unicamente di migliorare le strutture burocratiche, ma assumere anche un certo spirito europeo, di cui gli abitanti del continente possono sentirsi fieri. Ora, a questo proposito c'e' un problema: cio' che tutte le nazioni europee condividono - razionalita' scientifica, difesa dello stato di diritto e dei diritti dell'uomo - possiede una vocazione universale e non specificamente europea. Al tempo stesso, questo sostrato comune non e' sufficiente a organizzare un'entita' politica durevole, deve essere completato da scelte particolari, radicate nella storia e nella cultura di ogni nazione. L'esempio della lingua e' rivelatore: ogni gruppo umano parla la propria, invece di adottarne una universale; l'esistenza di una lingua di comunicazione internazionale, come oggi l'inglese, non sopprime affatto le lingue particolari. Per di piu', nel corso della loro lunga storia, le nazioni europee hanno visto confrontarsi le scelte ideologiche piu' diverse e ogni dottrina dominante ne ha suscitate altre che l'hanno combattuta. La fede appartiene alla tradizione europea, ma anche l'ateismo, la difesa della gerarchia e quella dell'uguaglianza, la continuita' come il cambiamento, l'ampliamento dell'impero come la lotta antimperialista, la rivoluzione come la riforma o il conservatorismo. Le popolazioni europee sono veramente troppo diverse per poter essere ridotte a una manciata di elementi comuni; inoltre, hanno ricevuto l'apporto di altre popolazioni immigrate, che hanno portato con se' la propria religione, i propri costumi, la propria memoria. La "volonta' di tutti", per dirla con Rousseau, non potrebbe imporsi senza che una parte degli europei subisca una pressione violenta da parte degli altri; altrimenti si tratterebbe solo di una finzione, di un tentativo di pavoneggiarsi con una maschera edificante. In compenso, l'identita' dell'Europa, e dunque la sua "volonta' generale", potra' affermarsi se si fa leva sulle analisi effettuate all'epoca dei lumi e, invece di isolare una certa qualita' per imporla a tutti, si prendono a fondamento dell'unita' lo statuto accordato alle nostre differenze e le maniere di trarne profitto: favorendo la tolleranza e l'emulazione, il libero esercizio dello spirito critico, il distacco da se' che permette di proiettarsi nell'altro e giungere cosi' a un livello di generalita' che include il punto di vista di entrambi. Volendo scrivere una storia identica per tutti gli europei, saremmo obbligati a eliminarne ogni motivo di disaccordo; il risultato sarebbe una storia edificante, che dissimula tutto cio' che infastidisce, in accordo con le esigenze del "politicamente corretto" del momento. Tentando, invece, di scrivere una storia "generale", i francesi non si limiterebbero a studiare la storia che li riguarda ponendosi esclusivamente dal proprio punto di vista, ma terrebbero conto dello sguardo rivolto a questi stessi avvenimenti dai tedeschi, o dagli inglesi, o dagli spagnoli, o dagli algerini o dai vietnamiti. Scoprirebbero cosi' che il loro popolo non sempre ha giocato i ruoli positivi dell'eroe e della vittima e sfuggirebbero in tal modo alla tentazione manichea di vedere il bene e il male distribuiti al di qua e al di la' di una frontiera. E' proprio questo l'atteggiamento che gli europei di domani potrebbero avere in comune e vagheggiare come la loro eredita' piu' preziosa. La capacita' di integrare le differenze senza annullarle distingue l'Europa dagli altri grandi gruppi politici mondiali: dall'India o dalla Cina, dalla Russia o dagli Stati Uniti, in cui gli individui sono estremamente diversi, ma inseriti in seno a una nazione unica. L'Europa, invece, riconosce non solo i diritti degli individui, ma anche quelli delle comunita' storiche, culturali e politiche che gli stati membri dell'Unione rappresentano. Questa lungimiranza non e' un dono del cielo, e' stata pagata a caro prezzo: prima di essere il continente che incarna la tolleranza e il riconoscimento reciproco, l'Europa e' stato quello delle lacerazioni dolorose, dei conflitti mortali, delle guerre incessanti. Questa lunga esperienza di cui serba memoria, tanto nei suoi racconti quanto nei suoi edifici, se non addirittura nei suoi paesaggi, e' il tributo che ha dovuto pagare per poter beneficiare, secoli piu' tardi, della pace. L'illuminismo e' la creazione piu' importante dell'Europa e non avrebbe potuto vedere la luce senza l'esistenza dell'area europea, al tempo stesso una e molteplice. Ora, e' altrettanto vero anche l'inverso: e' l'illuminismo all'origine dell'Europa, cosi' come la concepiamo oggi. E allora possiamo dire senza timore di esagerare: senza Europa niente illuminismo; e anche: senza illuminismo niente Europa. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 199 del primo luglio 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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