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Minime. 470
- Subject: Minime. 470
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 29 May 2008 00:45:00 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 470 del 29 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Daniela Carboni: In Italia 2. Un estratto da "A colpi di cuore" di Anna Bravo 3. Guido Crainz presenta "A colpi di cuore" di Anna Bravo 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. DANIELA CARBONI: IN ITALIA [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente intervento del 27 maggio 2008 dal titolo "Amnesty accusa l'Italia . La politica italiana violenta e discriminatoria". Daniela Carboni e' direttrice dell'Ufficio campagne e ricerca di Amnesty International] Il 31 ottobre scorso una donna e' stata aggredita e uccisa a Roma. Dell'accaduto e' stato accusato un cittadino rumeno. Probabilmente, per tutti voi come per noi e' piu' facile ricordare i dettagli della vita e della personalita' della persona accusata dell'omicidio, piuttosto che della vittima. Non e' un caso ne' una vostra personale disattenzione, ma semplicemente il risultato prevedibile del modo in cui le istituzioni hanno affrontato la vicenda e quindi il modo in cui la societa' italiana l'ha vissuta: un drammatico fatto di cronaca - finito nel modo peggiore - non viene visto per quello che e', cioe' l'ennesima violenza contro una donna, ma come il sintomo inequivocabile di una tendenza alla violenza e all'illegalita' di gruppi di persone e minoranze, in base alla nazionalita', all'appartenenza etnica, al luogo in cui dimorano. In quell'occasione, in pochi istanti e in maniera assolutamente irresponsabile, rappresentanti istituzionali e politici di diverso orientamento hanno invocato il pugno di ferro su migliaia di persone che non avevano niente a che fare con la vittima, con l'abuso e l'omicidio, con il responsabile di questi atti. Tanto che, il 6 novembre 2007, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha espresso preoccupazione per il clima di intolleranza manifestatosi in quei giorni e per lo "stato di tensione nei confronti degli stranieri alimentato negli anni anche da risposte demagogiche alle tematiche dell'immigrazione messe in atto dalla politica". Il giorno seguente il Presidente dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa ha messo in guardia l'Italia circa il rischio di una "caccia alle streghe" contro i cittadini rumeni e in particolare contro i rom. * Testa di ariete La violenza su una donna e' diventata infatti la "testa d'ariete" per sfondare la parete del pudore, dell'equilibrio istituzionale, del rispetto dei diritti umani e aprire la strada alla discriminazione e all'erosione dei diritti, attraverso fiumi di parole e specifici atti normativi che rischiano di trasformare l'Italia in un paese "pericoloso", in questo momento particolarmente per rom e rumeni, potenzialmente per chiunque. Per chiunque di noi. L'erosione dei diritti ci mette potenzialmente a rischio nelle piu' diverse situazioni della nostra vita quotidiana, come le mura domestiche, il luogo di lavoro, le manifestazioni di piazza. Riteniamo che sia questa la vera emergenza in Italia. * Con amarezza Amnesty International e' un'organizzazione indipendente, anche e soprattutto rispetto alle parti politiche e ai partiti. I politici italiani - lo diciamo con amarezza - non ci hanno creato problemi in questo senso: sono stati estremamente bipartisan, incredibilmente compatti nel coro di esternazioni violente e discriminatorie. Dopo quell'episodio, l'allora sindaco di Roma, Walter Veltroni, ha dichiarato che "non si possono aprire i boccaporti" e che "prima dell'ingresso della Romania nell'Unione Europea, Roma era la metropoli piu' sicura del mondo", sottolineando quindi la necessita' di provvedimenti d'urgenza. In un'intervista rilasciata il 4 novembre successivo Gianfranco Fini, allora presidente di Alleanza Nazionale, ha dichiarato: "c'e' chi non accetta di integrarsi, perche' non accetta i valori e i principi della societa' in cui risiede" e, riferendosi in particolare ai rom ha affermato "mi chiedo come sia possibile integrare chi considera pressochr' lecito e non immorale il furto, il non lavorare perche' devono essere le donne a farlo magari prostituendosi, e non si fa scrupolo di rapire bambini o di generare figli per destinarli all'accattonaggio. Parlare di integrazione per chi ha una 'cultura' di questo tipo non ha senso". * Grave reponsabilita' Non sappiamo perche' i rappresentanti del Governo allora in carica e il candidato del Partito Democratico alla Presidenza del Consiglio abbiano parlato in questo modo: cio' che ci preme dire e' che, assieme ai rappresentanti dei rispettivi schieramenti politici, hanno una grave responsabilita' nel deterioramento del dibattito politico e nella legittimazione del linguaggio razzista in Italia. Con la stessa fretta, sull'onda emotiva di un fatto di cronaca, il Consiglio dei Ministri si e' riunito la sera del 31 ottobre e ha approvato un decreto sulle espulsioni dei comunitari. Il provvedimento ha avuto un iter movimentato, essendo decaduto e successivamente "reiterato" con alcune modifiche a dicembre 2007. Nel testo risultavano particolarmente preoccupanti l'indeterminatezza dei nuovi motivi di espulsione dei cittadini dell'Unione Europea, lasciati scarsamente definiti nella norma ("motivi imperativi di pubblica sicurezza") e quindi fonte di un'eccessiva discrezionalita' delle autorita' chiamate ad applicarle, tra cui i prefetti. I contenuti della decretazione d'urgenza sono infine confluiti nel decreto legislativo 32/2008 che, migliorando il testo originario, ha introdotto la necessita' di convalida del giudice ordinario per tutti i provvedimenti di espulsione. Restano non ancorati a parametri legali certi i presupposti dell'espulsione. Nonostante le promesse elettorali sui diritti di migranti, questa e' l'unica nuova legge in materia approvata dal Governo presieduto da Romano Prodi. * I suoi primi passi Con una linea di continuita' di contenuti e di approccio, ha mosso i suoi primi passi il nuovo governo presieduto da Silvio Berlusconi. Nel corso del primo Consiglio dei Ministri, il 21 maggio 2008 a Napoli, com'e' noto e' stato approvato un insieme di modifiche e proposte normative, anch'esse nominalmente riferite alla "sicurezza", che prevedono pesanti restrizioni e nuove figure di reato e colpiscono soprattutto gli immigrati, direttamente o indirettamente. Le nuove misure sono state accompagnate da dichiarazioni in linea con la tendenza a stigmatizzare interi gruppi di persone, in particolare i rom e i migranti irregolari. L'attuale leader dell'opposizione Walter Veltroni ha dichiarato che queste misure in larga parte coincidono con quelle pianificate dalla precedente maggioranza di governo. Il cosiddetto "pacchetto sicurezza" include: un decreto legge che punisce con la reclusione e la confisca del bene chi affitta un immobile a un immigrato irregolare, attribuisce piu' ampi poteri ai sindaci in materia di "ordine e sicurezza pubblica" e rende circostanza aggravante di qualsiasi reato quella di essere stato commesso da un immigrato irregolare; un disegno di legge che vuole aumentare da 60 giorni a 18 mesi il tempo massimo della detenzione nei centri a scopo di espulsione e che introduce il reato di ingresso e soggiorno irregolare; tre bozze di decreti legislativi che inaspriscono, tra le altre cose, le procedure di asilo. * L'allarme Hanno espresso allarme per la riforma normativa molte organizzazioni non governative italiane e internazionali e lo stesso Alto Commissariato delle Nazioni per i rifugiati, il quale ha sottolineato come i richiedenti asilo, spesso costretti dalla mancanza di alternative a fare ingresso irregolarmente nei paesi dove cercano protezione, potrebbero venire accusati di aver commesso un reato. Nel nuovo contesto normativo, quindi, i richiedenti asilo che fuggono da persecuzioni e tortura potrebbero essere accolti in Italia con un'incriminazione per ingresso irregolare - espressamente esclusa dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati - e con 18 mesi di detenzione in un Cpt per il solo fatto di aver messo piede nel nostro paese. Una misura che, secondo gli standard internazionali, dovrebbe essere residuale ed eccezionale. Amnesty International e' estremamente allarmata sia per il contenuto di queste misure, sia per le modalita' affrettate e propagandistiche della loro emanazione e per il clima di discriminazione che le ha precedute e che le accompagna. In questo contesto, in diverse parti d'Italia, vi sono stati attacchi contro le comunita' rom. Attacchi che anche Amnesty International condanna e per i quali chiede che siano aperte indagini per accertare le responsabilita', che siano forniti adeguati risarcimenti per le vittime e le loro famiglie e che sia garantita un'adeguata protezione dei rom da qualsiasi forma di violenza. * Attacchi Nel corso del 2007 e sino a praticamente ieri si sono verificati attacchi violenti ad accampamenti rom in diverse citta' e sono state segnalate diverse aggressioni ai danni di immigrati romeni e di altre nazionalita', tra cui i recentissimi episodi che hanno colpito a Roma, nel quartiere Pigneto, cittadini del Bangladesh. La situazione italiana ha suscitato le preoccupazioni delle Nazioni Unite (Comitato per l'eliminazione della discriminazione razziale, marzo 2008) e dell'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'Osce, organismo che si occupa a livello internazionale di sicurezza e che ha sottolineato come la ricorrente stigmatizzazione di gruppi quali rom e immigrati aumenta le probabilita' che si verifichino violenze contro di loro. L'Italia e tutti i paesi Ue dovrebbero attuare una politica comune per l'inserimento sociale dei rom, piuttosto che marginalizzarli ulteriormente ed espellerli. Ricordiamoci che chi risente particolarmente di queste migrazioni forzate sono i bambini, costretti a fuggire e ad abbandonare la scuola, quindi la possibilita' di un futuro dignitoso e piu' sicuro per tutti. * Tutti, indisciminatamente L'ondata di razzismo coinvolge a cerchi concentrici i cittadini stranieri senza documenti regolari e, di fatto, in termini piu' generali, tutti i migranti presenti nel territorio italiano. Vorremmo che i rappresentanti politici italiani si rendessero contro del fatto che parlare dei diritti umani dei migranti non e' impopolare. Amnesty International lo ha verificato con la campagna "Invisibili": durante 16 mesi di attivita', decine di migliaia di persone hanno scelto di parlare di questi temi senza pregiudizi, firmando petizioni, organizzando o prendendo parte a spettacoli teatrali e di musica, convegni e mostre. Crediamo che i politici e le istituzioni italiane debbano avere lo stesso coraggio dei bambini di Lampedusa, che ai loro coetanei - i migranti che arrivano sulle loro spiagge - hanno dedicato giochi e disegni sui diritti umani. Sul questo tema specifico dei diritti di migranti e richiedenti asilo speravamo, fino a pochi giorni fa, di poter apprezzare senza timori alcuni importanti miglioramenti legislativi. Tra questi, anche i risultati della campagna "Invisibili" sui minori migranti detenuti all'arrivo in Italia: la pubblicazione da parte del Governo dei dati relativi agli arrivi dei minori via mare, la netta diminuzione della detenzione dei minori non accompagnati in frontiera e nuove migliorative istruzioni del Ministero dell'interno sulla determinazione dell'eta', che impongono l'applicazione del beneficio del dubbio in tutti i casi di incertezza sulla minore eta'. * Complimenti Su uno di questi miglioramenti, invece, non abbiamo fatto in tempo a complimentarci: l'introduzione dell'effetto sospensivo, che consente al richiedente asilo di restare nel territorio italiano durante la decisione di secondo grado sulla sua domanda, come richiesto dagli standard internazionali, potrebbe essere presto cancellato dalle nuove misure legislative per la sicurezza. In assenza dell'effetto sospensivo, una decisione sbagliata in prima istanza puo' comportare conseguenze gravi e irreparabili per il richiedente asilo espulso nel suo paese di origine. Pensate che un cittadino sudanese del Darfur o eritreo possa presentare una seconda istanza dal proprio paese, dopo una fuga e un rimpatrio forzato, magari dopo essere passato in andata e al ritorno attraverso i campi di detenzione e le torture in Libia? Questa scelta legislativa peggiorativa in materia di migranti e richiedenti asilo, gia' di per se' contraria agli standard internazionali sui diritti umani, e' preoccupante anche alla luce della collaborazione tra Italia e Libia. * Sempre piu' intensi Una collaborazione trasversale ai governi che si sono succeduti dal primo accordo siglato nel 1999 dall'allora Ministro degli esteri Lamberto Dini, con un paese che - allora come oggi - non ha firmato la Convezione di Ginevra sui rifugiati, non ha una procedura di asilo, attua espulsioni a tappeto nei confronti di migranti e richiedenti asilo. I rapporti si sono via via intensificati con la mediazione in prima persona, nei loro ruoli istituzionali di Ministri, degli onorevoli Massimo D'Alema, Piero Fassino, Giuseppe Pisanu e Giuliano Amato. L'atto finale, per il momento, e' l'accordo del 29 dicembre 2007, che prevede il pattugliamento congiunto con 6 navi della Guardia di Finanza cedute alla Libia, con comando interforze a coordinamento libico. Pochi mesi dopo, con l'approvazione del rifinanziamento delle forze armate e di polizia in missioni internazionali, oltre 6,2 milioni di euro di denaro pubblico sono stati destinati a finanziare il pattugliamento congiunto. In quegli stessi mesi, il leader libico Gheddafi confermava pubblicamente di voler attuare deportazioni di massa. * In alto mare E' quindi sempre piu' urgente che gli accordi con la Libia siano resi pubblici, che venga chiarito quali sono le garanzie richieste dall'Italia per i diritti umani e che cosa accade alle persone fermate in mare nel pattugliamento congiunto. La segretezza di accordi, dati e informazioni che riguardano la vita di migliaia di persone non puo' prolungarsi ulteriormente e assume una parvenza ancor piu' preoccupante alla luce del clima italiano, che sembra attribuire ai migranti responsabilita' collettive e una soglia piu' bassa di tutela dei diritti umani e quindi di dignita' umana. Le minoranze non sono le uniche ad essere colpite quando la cultura dei diritti viene sostituita dalla loro erosione e dall'impunita'. * Senza leggi E proprio parlando di impunita', non possiamo non ricordare ancora una volta la mancanza di leggi adeguate e di strumenti di prevenzione in Italia di maltrattamenti e tortura. Questo contesto rende allarmante il problema dei diritti umani, trovando purtroppo conferma nei processi in corso. Lo sanno bene le centinaia di persone che sono state vittime di abusi a Genova, durante il G8 del 2001. Nonostante gli impegni presi dal Governo Prodi, non sono state garantite ne' una commissione indipendente di inchiesta ne' gli strumenti necessari per garantire che quanto accaduto a Genova non si ripetesse piu'. Dove sono il reato di tortura e la ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura, che decine di migliaia di persone, le Nazioni Unite e il Consiglio d'Europa chiedono all'Italia ormai da troppi anni? Perche' nessuno degli imputati nel processo e' stato sospeso dal servizio e molti sono stati di fatto promossi, cosi' contribuendo a diffondere un pericoloso clima di impunita' tra chi dovrebbe proteggere la sicurezza? * G8 Senza alcuna soddisfazione constatiamo oggi gli effetti pratici di questo stato di cose, previsti e annunciati da Amnesty International senza incontrare il dovuto ascolto. Nel processo per Bolzaneto la pubblica accusa ha ricostruito gli avvenimenti che, in quei giorni da non dimenticare, hanno colpito nella caserma oltre 250 persone. Secondo i pubblici ministeri, il trattamento e' stato "di oggettiva vessazione nei confronti di tutti i detenuti e per tutto il periodo della loro permanenza presso il sito" e ha violato il divieto di tortura e maltrattamenti previsto dalla Convenzione europea dei diritti umani. Le memorie dei pubblici ministeri hanno segnalato che e' difficile fotografare i fatti accaduti con l'attuale codice penale, che non include il reato specifico di tortura. Fa effetto ascoltare che chi materialmente indaga sui reati e ne deve chiedere l'applicazione, constata gli effetti pratici della mancanza di un reato di tortura. Altrettanto effetto fa constatare che denunce di maltrattamenti e abusi simili sono emersi, dopo Genova, rispetto alle situazioni piu' disparate di protesta e di espressione del dissenso. Ne sono un esempio gli atti di violenza denunciati in relazione all'intervento da parte delle forze di polizia in Val di Susa nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005, contro un centinaio di persone che manifestavano contro la costruzione di un collegamento ferroviario ad alta velocita'. * Stessa mentalita' Per quanto sembrino cose diverse, la mentalita' che consente tutto questo e' la stessa che porta un governo a fidarsi di una semplice lettera di assicurazioni diplomatiche, con la quale un paese come la Tunisia promette di non torturare una persona che l'Italia vuole rinviare. E su questo argomento, l'Italia ha subito una sonora lezione da parte della Corte europea dei diritti umani, che dovrebbe rappresentare un monito per tutti. Si tratta della sentenza che, a febbraio, ha annullato il provvedimento di espulsione nei confronti del cittadino tunisino Nassim Saadi, emesso dal Ministro dell'Interno Amato sulla base del "decreto Pisanu". L'Italia sosteneva che il rischio di tortura all'arrivo non bastasse in se' a bloccare l'espulsione. La Corte europea ha invece respinto il tentativo italiano di relativizzare il divieto di tortura nel diritto internazionale e ha riaffermato che si tratta di un principio assoluto. * Abu Omar L'estrema debolezza dell'impegno italiano contro la tortura e a sostegno del sistema internazionale dei diritti umani e' il contesto in cui si sviluppa il caso di rendition che ha coinvolto Abu Omar. Le indagini della magistratura italiana e l'avvio del processo sul coinvolgimento di funzionari di intelligence italiani e statunitensi nella rendition di Abu Omar stanno contribuendo a svelare la verita' per mezzo della giustizia. Fino ad oggi i ministri della Giustizia che si sono succeduti, Roberto Castelli e Clemente Mastella, non hanno inoltrato al Governo Usa le richieste di estradizione dei 26 agenti della Cia, come sollecitato anche dal Parlamento Europeo e dal Consiglio d'Europa. Non solo: l'Italia, contrariamente alla maggioranza dei paesi europei, di fatto non ha collaborato con le inchieste del Parlamento europeo e del Consiglio d'Europa sulle rendition e le violazioni dei diritti umani nella guerra contro il terrorismo. Auspichiamo un'inversione di rotta, che potrebbe cominciare da un tema sin qui non citato. L'Italia, notoriamente tra i principali produttori ed esportatori di armi al mondo, dovrebbe integrare effettivamente il rispetto dei diritti umani nelle scelte politiche e amministrative che riguardano queste attivita'. * Afghanistan Le singole autorizzazioni devono essere affrontate dal Governo anche nell'ambito della propria politica estera. Gli sforzi dell'Italia e della comunita' internazionale per il rafforzamento della tutela dei diritti umani in Afghanistan, per esempio, rischiano di essere danneggiati da un'eccessiva quantita' di armi piccole e leggere offerta dai paesi Nato e tra essi dall'Italia. L'Italia ha esportato verso l'Afghanistan armi "comuni da sparo" per oltre 3 milioni di euro per il quinquennio 2003/2007, con un netto incremento nell'ultimo anno. In particolare, l'Italia ha sempre dichiarato di volersi impegnare per la difesa dei diritti dei minori, con una specifica attenzione ai bambini soldato. Tra il 2002 e il 2007, i governi che si sono alternati hanno autorizzato l'esportazione di armi di diversa tipologia e calibro - per un valore di diversi milioni di euro - a privati e forze armate di stati quali Filippine, Afghanistan, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Nepal, Uganda, Burundi e Ciad. Per una "sfortunata" coincidenza, questi paesi sono tutti nell'elenco di quelli in cui i bambini sono utilizzati come soldati, in base ai Rapporti del Segretario Generale delle Nazioni Unite e della Coalizione "Stop all'uso dei bambini soldato". Non stiamo facendo una richiesta utopistica e irrealizzabile, ma solo la richiesta di una scelta netta: quella di non autorizzare piu' esportazioni di armi ne' da guerra ne' cosiddette "comuni da sparo" verso paesi in cui quelle armi alimentano conflitti di cui bambine e bambini sono vittime certe e numerose, perche' feriti o uccisi o perche' mandati a combattere con pistole e fucili made in Italy. Piu' in generale, per concludere, chiediamo all'Italia di fare una scelta ben precisa, che non ammette compromessi: il governo e il parlamento devono decidere se violare i diritti umani oppure tutelarli, e agire di conseguenza. 2. LIBRI. UN ESTRATTO DA "A COLPI DI CUORE" DI ANNA BRAVO [Dal sito della casa editrice Laterza (www.laterza.it) rprendiamo il seguente estratto del libro di Anna Bravo, A colpi di cuore. Storie del Sessantotto, Laterza, Roma-Bari 2008. Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008] La valanga A partire dall'inizio degli anni Settanta, in tutti i paesi occidentali esplode, letteralmente, la lotta per l'abolizione delle leggi proibizioniste in tema di aborto e contraccezione, la piu' ampia e difficile del movimento delle donne. E' la svolta verso la dimensione di massa, l'allargamento della composizione sociale e generazionale, una nuova presenza pubblica - sit-in, girotondi, cortei fragorosi totalmente inermi. E di sole donne. La storia ha gia' visto manifestazioni tutte femminili, basta pensare alle operaie tessili e dell'abbigliamento, in Italia alle mondine. Ma queste sono le prime programmaticamente separate, le prime a rivendicare il potere della donna sul corpo fecondo. Per molte, quei cortei di decine di migliaia di loro simili risuscitano la baldanza delle bambine che sono state, prima dell'addestramento alla remissivita' soave della fanciulla per bene. Quasi ovunque, ansia e sospetto dei politici, non solo fra i conservatori; dolore o rabbia maschili; riprovazione della Chiesa cattolica e di alcune Chiese protestanti; appoggio dei progressisti, grande spazio sui media. Ovunque, una strategia femminista su vari piani, con tappe comuni in numerosi paesi. Spesso si parte da un processo particolarmente scandaloso per la condizione dell'accusata - giovane eta', gravidanza in seguito a stupro, problemi economici, di salute, di isolamento - e se ne fa un "caso" capace di scuotere l'opinione pubblica. Maestra la Francia, che con l'affaire Dreyfus ha guadagnato la primogenitura. Si creano associazioni per la difesa delle incriminate, come la parigina Choisir (Scegliere), promossa dall'avvocata Gisele Halimi. Attrici, scrittrici, intellettuali si autodenunciano dichiarando di aver abortito - per la furia e lo scandalo delle destre, che in Francia le etichettano "les salopes", le sporcaccione. Autodenunce anche in Italia e nella Repubblica federale tedesca. [...] In molti paesi, e fra questi l'Italia, il movimento cresce a valanga, ben oltre le aspettative delle stesse femministe. Per capire come mai, basta ricordare due scenari. Il primo descrive quel che e' stato l'aborto fino alle normative che negli anni Settanta lo depenalizzano o lo legalizzano. L'attesa delle mestruazioni, la ricerca affannosa di un medico, un'ostetrica, una praticona, una donna che l'abbia gia' fatto. I soldi che mancano, gli appartamenti-scannatoio senza nome sul campanello, il prezzo da saldare in anticipo, un tavolo da cucina come letto operatorio, metodi sempre pericolosi, a volte mortali, un male che non passa. Il gap di classe e' duro - chi puo' va in cliniche private o all'estero, nei paesi non proibizionisti; e cosi' quello di cultura - un ambiente piu' aperto non protegge dal dolore, ma consente maggiore informazione e tranquillita'. Dietro la modernizzazione del costume, ci sono ancora molta ignoranza, solitudine, paura, sia per la propria vita sia per possibili conseguenze giudiziarie. Anche se gli Stati ritengono inopportuno perseguire sistematicamente l'aborto, niente garantisce a una donna di non essere l'eccezione. In Italia, dove lo speciale potere della Chiesa cattolica nella politica nazionale e la prudenza del partito comunista sul tema ostacolano le prospettive di riforma, vige ancora la legge fascista, e anche dopo l'abrogazione della norma che vieta la propaganda di qualsiasi contraccettivo, il ministero della Sanita' continua ad applicare il regolamento che proibisce di registrare farmaci sotto la dicitura "anticoncezionali". Senza questi dati minimi, oggi sarebbe difficile capire il senso di slogan come "io sono mia", oppure "l'utero e' mio e lo gestisco io", cosi' simili al "potere studentesco" del '68 nell'utopismo sovrano e nella capacita' di rendere lo spessore della storia. Ma - secondo scenario - non e' stato il fascismo a inventare la legislazione antiaborto e anticontraccezione. Si tratta di un processo secolare attraverso il quale il potere religioso, poi, lungo l'800, quello medico, e infine politico, arrivano a imprigionare il corpo femminile in un sistema di obblighi e divieti. Sull'onda delle retoriche imperiali, dell'ansia per il declino delle popolazioni bianche e della pregiata natalita' dei ceti medi, il tasso di fecondita' diventa un problema nazionale. In Gran Bretagna la Madre e' eletta a Supremo strumento della Natura per il Futuro, mentre le madri reali sono viste come brutte copie egoiste e disamorate, che fanno figli sempre meno numerosi, e sempre meno adatti a diventare buoni soldati per conquistare territori e buoni cittadini per popolarli. Come mostra l'immaginario vittoriano, neppure i paesi protestanti sono immuni dal sogno della maternita' sacrificale. Complice la nascente eugenetica, si parla molto di salute e purezza della razza, di nuovi controlli su riproduzione e allevamento. Nel cui nome gli asili nido e la fornitura di latte alle madri povere vengono bollati come espedienti da sopportare per ragioni di forza maggiore, ma da limitare nel tempo in modo che le donne non prendano l'abitudine a farsi sostituire. Ai doveri non corrispondono i diritti: la madre alleva figli che giuridicamente non le appartengono, perche' i codici attribuiscono all'uomo il potere nella famiglia e l'esercizio della patria potesta'. La penalizzazione dell'aborto nasce in questo clima di interesse e sospetto verso il corpo gravido, e arriva a dichiarare madre e feto realta' separate e contrapposte. Le leggi e la loro applicazione potevano essere piu' o meno dure, le motivazioni variare dalla tutela della persona agli interessi della "razza", della nazione, di un'ideologia totalitaria. Sono distinzioni rilevanti sul piano giuridico e politico, e prima ancora per la vita delle donne. Una cosa e' la maggiore ingerenza dello Stato nei paesi democratici, dove si accompagna all'ampliamento dei diritti legati alla cittadinanza, al suffragio femminile, spesso al potenziamento dell'informazione sugli anticoncezionali - e al libero confronto di opinioni. Tutt'altra cosa e' il dominio sui corpi nella Germania nazista, nell'Urss di Stalin, nell'Italia fascista. Anche su questo terreno i totalitarismi non sono la verita' nascosta delle democrazie. Resta il fatto che il controllo sul corpo e la natalita' da parte degli Stati e delle istituzioni medico-scientifiche e' un aspetto della modernita'; e che le normative riducono la donna a ambiente di crescita del feto e a sua potenziale nemica. Fra la Mater dolorosa e Medea, versione procreativa dell'antinomia vergine/puttana, non c'e' spazio per la paura, il dubbio, la sprovvedutezza, il sacrosanto rifiuto del sacrificio a tutti i costi, la voglia di autonomia, e altro ancora. 3. LIBRI. GUIDO CRAINZ PRESENTA "A COLPI DI CUORE" DI ANNA BRAVO [Dal quotidiano "La Repubblica" del 10 aprile 2008 col titolo "Il sessantotto amore e dolore". Guido Crainz (Udine, 1947) e' docente di Storia contemporanea nella facolta' di Scienze della comunicazione dell'Universita' di Teramo; ha dedicato diversi studi alla societa' rurale in eta' contemporanea, al rapporto fra mass-media e storia, alla transizione dal fascismo al post-fascismo e all'Italia repubblicana. Fra le opere di Guido Cranz: Padania. Il mondo dei braccianti dall'Ottocento alla fuga dalle campagne, Donzelli, Roma 1994; Storia del miracolo italiano. Cultura, identita', trasformazioni fra anni Cinquanta e Sessanta, Donzelli, Roma 1997, 2003; L'Italia repubblicana, Giunti, Firenze 2000; Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Donzelli, Roma 2003); Il dolore e l'esilio. L'Istria e le memorie divise d'Europa, Donzelli, Roma 2005; ha inoltre curato il volume di Enzo Forcella, Millecinquecento lettori. Confessioni di un giornalista politico, Donzelli, Roma 2004] A colpi di cuore. Storie del sessantotto di Anna Bravo, ora in libreria per la casa editrice Laterza e' un libro complesso. Difficile da discutere, perche' toglie vie di scampo alle semplificazioni di diverso e opposto segno. Fortemente segnato ma non imprigionato dal vissuto generazionale. Intriso di soggettivita', e di riflessioni su di essa, ma al tempo stesso attento a indicare le tracce profonde di un "contesto" che nulla giustifica ma aiuta a capire. Incentrato sugli "anni '68", cioe' sugli anni Sessanta e Settanta, con un'attenzione privilegiata ai percorsi di formazione di giovani e donne, movimenti studenteschi e femminismo. Lo sguardo si allarga dalla generazione del dopoguerra, cresciuta all'ombra della paura atomica, sino agli anni di piombo e si misura al tempo stesso con la dimensione internazionale dei processi. Sceglie di farlo ripercorrendo culture ed esperienze, in modo trasversale e non sistematico: un terreno che puo' essere infido, una sfida rischiosa che appare per piu' versi pero' una sfida vinta. In larga misura, dunque, un libro di storia culturale e al tempo stesso di riflessione etica che si muove fra Italia e Stati Uniti, Europa dell'Ovest e dell'Est, e che mette al centro i banchi di prova piu' impegnativi: il tema della violenza, il rapporto fra responsabilita' individuale e vicenda collettiva e, in varie forme, i nessi fra passione e ragione (non solo nei capitoli che a questo esplicitamente rinviano, dedicati a Dolore e Amore). Al tempo stesso, una ricerca sul rapporto fra generazioni, generi e modernita': con una attenzione specifica alla vicenda italiana che inizia con le trasformazioni degli anni Cinquanta e conosce poi una cesura alla fine degli anni Settanta. In questo quadro l'analisi si muove fra due poli in qualche modo estremi, interrogati entrambi in modo problematico. Da un lato si sottolinea la rottura salutare indotta dai movimenti giovanili, sin da quelli dei beat e degli hippie, capaci di avviare o perlomeno accelerare processi piu' ampi. Cio' vale in modo particolare per un paese come il nostro, segnato da un'arretratezza delle istituzioni e da condizionamenti sociali e familiari oggi inimmaginabili, ma anche da contraddizioni e storture della incipiente modernita'. Da arcaismi ma al tempo stesso, precocemente, da modelli di successo e di ascesa individuale sprezzanti di regole e vincoli collettivi. La presa di parola degli "anni '68" apri' indubbiamente la via a una concezione piu' ampia dei diritti e moltiplico' i soggetti in grado di rivendicarli. Hannah Arendt vi vide il riproporsi della "felicita' pubblica", il coincidere della liberazione individuale e di quella collettiva, e l'immagine ha segnato l'autoraccontarsi (talora consolatorio) di una generazione. "E' vero (o quasi) per una scheggia di tempo", osserva la Bravo, e aggiunge: "Per chi e per quanti?". Con altrettanto rigore sono considerati quei terreni su cui, a giudizio quasi unanime, i movimenti avrebbero vinto: la cultura, il costume, le sensibilita'. Certo, si annota, e' forte la memoria di una trasformazione ma in quella memoria rimane "una cicatrice: il dubbio di aver vinto male". Non puo' esser rimosso, in altri termini, l'interrogarsi sulla qualita' dei processi che si sono poi affermati. E anche quel "partire da se'" che sembro' - e forse poteva essere - la via per rifondare la politica e' sottoposto ad un vaglio critico serrato. La sottolineatura di una straordinaria effervescenza ("del '68 tutto si puo' dire tranne che non fosse desiderabile esserci") non impedisce insomma di indagare a fondo la natura di essa: feconda ma al tempo stesso inadeguata a misurarsi con contraddizioni profonde. Ed esposta anche a deformazioni che ne avrebbero limitato le potenzialita' e contribuito a derive negative. All'altro estremo, all'altro polo della riflessione vi e' infatti non solo e non tanto la barbarie del terrorismo quanto il nodo in se' della violenza. Non e' un tema che possa essere affrontato come gli altri, sottolinea la Bravo, e riprendendo parole di Andrea Casalegno aggiunge: "si puo' cambiare, e molti lo hanno fatto senza sbandierarlo: ma non si puo' diventare ex assassini, per l'identico motivo per cui non si diventa mai ex madri". Oggetto privilegiato di indagine e' la violenza di chi "e' rimasto al di qua dello spartiacque rappresentato dall'aver versato il sangue degli altri", e in generale il nodo della responsabilita' individuale: pratiche violente e pratiche armate non sono direttamente assimilabili ma al tempo stesso non sono prive di legami, di zone di confine. Anche in questo caso l'ambito della riflessione e' indicato con nettezza. Instaurare una continuita' fra '68 e terrorismo "e' un'operazione storiograficamente debole e ideologicamente fortissima, serve poco a capire quegli anni", ma e' altrettanto debole l'idea del '68 come "eta' dell'innocenza totale" ("i riferimenti teorici prevedevano la violenza, i simboli e i popoli piu' amati erano uomini e popoli in guerra"). In Italia come in America e altrove, si osserva, nel loro sorgere i movimenti adottano forme di lotta pacifiche, la violenza e' un'eccezione. Di li' a poco pero' sara' vero il contrario, e il peso di contesti internazionali e nazionali tesissimi non esime dall'interrogarsi sulle scelte soggettive, sulle motivazioni che portano all'adozione di alcuni modelli e all'appannamento di altri: con il privilegiamento, appunto, di quelli armati, ed il quasi totale disinteresse per le suggestioni che potevano venire dai grandi esempi del pacifismo internazionale. O dai percorsi stessi del dissenso nell'Europa centro-orientale, che costringe a misurarsi con un altro banco di prova impietoso. Negli "anni '68", sottolinea la Bravo, e' forte la sensibilita' nei confronti del dolore degli oppressi ma "non tutti gli oppressi hanno diritto al compianto (e neppure ai diritti democratici)". Dopo il '56 ungherese, Solzenicyn, Praga, la realta' dell'est europeo non puo' essere ignorata eppure "quell'enorme giacimento di sofferenza e' il meno sentito dei mali del secolo". Vi e' qui un nodo irto, al quale e' impossibile sfuggire: il paradosso di un movimento che nasce sinceramente libertario e portatore di vere ansie di democratizzazione, ma al tempo stesso carente di una reale cultura democratica e per questo esposto all'insidia delle ideologie. E' una questione che ritorna in piu' forme e sin nelle pagine che si interrogano sul rapporto fra '68 e femminismo, sulle contraddizioni piu' che sulla parentela fra essi: anche a voler ammettere che il femminismo degli anni Settanta nasca dal '68, annota la Bravo, ne e' semmai figlio non previsto, non voluto, in molti casi avversato. Gia' nel 1964 del resto le attiviste nere dello Student Non-violent Coordinating Committee (il piu' importante movimento per i diritti civili degli afro-americani) denunciavano le discriminazioni nei confronti delle donne all'interno dell'organizzazione. E "il se' da cui si parte nel '68 e' filtrato dal maschile", altra spia di un universalismo solo apparente. E' qui impossibile seguire piu' da presso il libro nel suo ripercorrere fasi e problemi del femminismo, origini di lungo periodo e tumultuosi sviluppi, rovelli e talora rimozioni. Nel suo considerare la piu' generale storia delle donne, disseminata di "eredita' senza testamento", cioe' senza destinatari ne' canali ufficiali, ma anche di "testamenti senza eredi", di patrimoni culturali che rischiano di andare dispersi. Almeno un aspetto va pero' segnalato, il rigore con cui vengono posti i problemi connessi alle discussioni degli anni Settanta e Ottanta sull'aborto ("un'esperienza che oscilla fra la categoria della violenza e quella del dolore"). E' richiamato anche qui il contesto, la disumana realta' dell'aborto clandestino e le ragioni dell'impegno per introdurre tutele e norme di legge, ma sono indagati al tempo stesso gli elementi di insensibilita' che in quell'impegno talora affiorano. E' la "cognizione del dolore" (e del "dolore del feto") ad essere interrogata, cosi' come la rimozione di quell'angoscia. Dietro il silenzio, osserva Anna Bravo, vi era il peso di vecchie forme mentali: "il primato di quel che e' compiuto e completo su quel che e' parziale e liminale, la cecita' verso il dolore non detto, non dicibile, non accertabile completamente". E conclude: non eravamo sole in questa difficolta' a cogliere la vicinanza fra l'umano e il non ancora o imperfettamente umano. Sono solo alcuni esempi, alcuni squarci di un denso e complesso libro che si legge d'un fiato e che sara' difficile metter da parte. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 470 del 29 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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